Conception – No rewind

Interview by Marcelo Vieira (metalbite.com), click HERE for the original English version.
Intervista a cura di Marcelo Vieira (metalbite.com), clicca QUI per la versione originale in inglese.

Dopo una pausa di oltre due decenni, i Conception, uno dei nomi più iconici del progressive metal, si sono finalmente riuniti per continuare ad incantare gli ammiratori con il loro suono innovativo e i testi profondi. In questa intervista esclusiva, il cantante Roy Khan ha riflettuto sul viaggio della band dopo la loro riunion. Ha anche sottolineato la calorosa accoglienza dei fan al ritorno dei Conception e il livello di evoluzione musicale che la band ha raggiunto con gli ultimi lavori, l’EP “My Dark Symphony” (2018) e l’album “State Of Deception” (2020). Oltre a ricordare i momenti salienti della sua carriera, sia con i Conception che con i Kamelot, Roy ha rivelato come la band si è preparata per questo trionfale ritorno. (Marcelo Vieira)

Quando Conception hanno annunciato la riunion con il tuo ritorno come cantante, la risposta dei fan non avrebbe potuto essere più entusiasta. In quel momento hai percepito quanto sia importante per gli altri la vostra musica e quanto si sia avvertita l’assenza della band dalle scene?
Sì, avevo idea che alla gente sarebbe piaciuto, ma non sapevamo davvero cosa aspettarci perché erano passati tanti anni… Ma l’accoglienza è stata calorosa e davvero bella.

Tu e gli altri siete rimasti amici durante questa pausa di 20 anni. Si può dire che fosse solo questione di tempo prima del ritorno di Conception, oppure la questione non era mai stata posta sul tavolo?
No, non proprio. Ciò che avevo con i Kamelot era immenso in quel momento. Quindi non vedevo comunque una riunion con i ragazzi dei Conception come qualcosa che sarebbe successo in quel momento. Ma anche dopo aver lasciato i Kamelot, non volevo più avere niente a che fare con la musica. Quindi ci sono voluti alcuni anni prima che iniziassi a pensarci.

In che momento voi quattro avete concluso che era giunto il momento di risvegliare finalmente il gigante dormiente?
Quando Tore [Østby, chitarrista e tastierista] si è avvicinato a me con alcuni demo, avevano improvvisato, suonato alcune canzoni, e questo ha scatenato qualcosa in me che ci ha portato a quello che abbiamo oggi. Tore e io abbiamo pensato di chiuderci in un box da qualche parte e provare a scrivere di nuovo qualche canzone insieme. Ciò ha prodotto forse sette, otto demo davvero interessanti. E da lì è stato facile, davvero.

Oserei dire che “State Of Deception” è il mio album preferito dei Conception. E’ anche il tuo?
È davvero difficile scegliere un preferito, ma mi piacciono molto questi ultimi due album. Hanno una maturità che non avevamo negli anni ’90. Abbiamo tutti attraversato momenti davvero difficili da quei giorni ad oggi. Quindi, emotivamente, è stata un lavoro liberatorio da far uscire e condividere con le persone. Ma è davvero difficile sceglierne uno preferito. Adoro anche gli altri album in catalogo. Ma “My Dark Symphony” e “State Of Deception” sono decisamente all’altezza.

In che modo, secondo te, questi ultimi album sono così eccellenti?
La loro maturità arriva da tutti quegli anni intermedi. Quando svolgi una professione per anni e anni, sviluppi determinate connessioni. Ti evolvi come musicista, come cantautore, come paroliere. E penso che tutti noi avessimo molta più energia da investire in questa cosa su cui non lavoravamo da anni. Scrivere un album è davvero una magia che si svolge davanti a te perché inizia dal nulla. L’intero processo è davvero un po’ simile all’essere un alchimista. Crei qualcosa. È come creare oro dal nulla.

Considerata questa magia, si potrebbe dire, allora, che questi 20 anni siano stati forse la cosa migliore che sarebbe potuta accadere alla band?
Forse. Sicuramente vorrei non aver avuto i momenti difficili e i problemi che ho avuto nella mia vita, ma sono sicuro che tutti questi anni hanno avuto una parte importante nel modo in cui questi album sono venuti fuori.

Vorrei che tu mi parlassi un po’ di come sono gli show dei Conception oggi.
I Conception sono una band che ha davvero bisogno di essere vissuta dal vivo. Sono davvero una creatura molto coesa. Ed è anche una questione di interazione con il pubblico. I fan brasiliani sono davvero entusiasti e cantano insieme, ed è fantastico.

È bello sapere che, nonostante sia passato un po’ di tempo, ricordi ancora il mio Paese e i fan.
Ovviamente. Ero a San Paolo alla showcase di Edu Falaschi nel gennaio di quest’anno. Così ho avuto un piccolo assaggio dell’eccitazione. È stato stupefacente.

Cosa ricordi ancora dei tempi in cui sei stato in Brasile con i Kamelot?
Hanno suonato solo pochi spettacoli con me. Uno a San Paolo, in via Funchal, che ho sentito dire non esiste più. Ma anche quello fatto ai tempi “Epica” è stato uno show fantastico. E poi abbiamo ci siamo esibiti anche a Rio. Ma è successo molti anni fa. Ma, come dicevo prima, l’entusiasmo, il cantare insieme e il calore del pubblico sono davvero qualcosa di speciale.

Ho 34 anni, quindi appartengo a una generazione di fan che ti ha conosciuot come il cantante dei Kamelot. Voglio che tu faccia due confronti. Innanzitutto, com’è stato lavorare con i Kamelot rispetto ai Conception?
Non molto diverso, a dire il vero. Naturalmente, nei Kamelot eravamo principalmente io e Thomas [Youngblood, chitarrista] a scrivere canzoni insieme e a suonare. Ma anche tutti gli altri ragazzi ci hanno aiutato in molte cose, come le riprese e altre cose sul web e il montaggio. E Casey [Grillo, batterista] ha avuto un ruolo importante. E la stessa cosa è successa con i Conception, Tore ed io abbiamo scritto la maggior parte delle canzoni e anche suonato. Penso che la differenza principale sia che gestiamo la nostra etichetta discografica. Con i Kamelot avevamo dei contratti e un’etichetta discografica alle spalle. Mentre con i Conception facciamo tutto da soli, il che è molto duro, molto lavoro, ma dà anche molta libertà.

Quando eravate sotto contratto con un’etichetta discografica, c’era più pressione riguardo alle date, allo stile musicale e alle date di consegna?
Abbiamo avuto una libertà artistica praticamente totale anche con i Kamelot. Ma, ovviamente, quando hai un’etichetta discografica che ti sostiene, loro investono molti soldi. E ti senti più obbligato a rispettare determinate scadenze. E devi sempre pensare al fatto che ti giudicano sempre dall’ultimo album. Quindi è necessario essere in qualche modo in linea con ciò che l’azienda si aspetta. Ma entrambe le band hanno sempre avuto totale libertà artistica.

Nel 2014, hai dichiarato di aver avuto un esaurimento nervoso e hai deciso di lasciare i Kamelot per dare priorità alla tua salute e alla tua famiglia. Guardando indietro, cosa ha causato tutto questo?
Una varietà di cose. Vivevo la mia vita davvero male, lavorando troppo. Avevo una famiglia e stavo via metà dell’anno. Inoltre non ero molto presente quando ero a casa. Vivevo in questa bolla dei Kamelot e gradualmente sentivo sempre di più che queste due personalità mi stavano lacerando. Come un personaggio teatrale, Roy Khan, l’artista, e il mio vero io, marito, padre e tutto il resto. Ho avuto un grave esaurimento nervoso durante l’estate del 2010, durante la quale ho trascorso sei settimane quasi senza dormire. È stata dura. Ma è stata un’ottima decisione quella di lasciare la band in quel momento, anche se, ovviamente, è stato difficile.

Di intesa con Thomas, non è stata annunciata subito la tua fuoriuscita, nel caso in cui ti fossi ripreso e avessi cambiato idea. Ciò non è accaduto. Cosa ti ha fatto decidere che la tua assenza da Kamelot sarebbe stata permanente invece che temporanea?
Sentivo semplicemente che era una vita che mi ero lasciato alle spalle. Due settimane prima della pubblicazione di “Poetry For The Poisoned” (2010), avevo trascorso una lunga estate quasi senza dormire. Mi sentivo un disastro completo, mi sentivo davvero come se stessi impazzendo. E in una certa misura lo ero. In realtà, già in quel momento, decisi che non l’avrei più fatto. Il solo pensiero di andare all’aeroporto mi faceva stare male fisicamente. Non potevo guardare programmi TV come Idol, The Voice e l’Eurovision. Non potevo sopportare di vedere la gente sul palco. Quindi, era proprio una vita che sentivo di essermi lasciato alle spalle quando ho detto per la prima volta ai ragazzi che era arrivato il momento di staccare.

In che modo unirti alla Chiesa e lavorare lì ti hanno aiutato a riprenderti?
Era un vero lavoro. Era sicuramente un qualcosa per il mio ego, però. Venivo dai Kamelot e ad un certo punto mi sono trovato sul palco davanti a decine di migliaia di persone. E poi ho fondato questo club giovanile nella mia chiesa. La prima notte eravamo in due. E io ho pensato, cosa? Questo è diverso. E poi si è sviluppato un gruppo piuttosto numeroso di giovani che venivano a venerdì alterni. È stato qualcosa di bello. Ma all’inizio ha davvero scosso il mio ego. Probabilmente era qualcosa di cui avevo bisogno.

Com’è oggi il tuo rapporto con la fede?
Questa è una domanda difficile perché ogni tanto vado ancora in chiesa, il che non è fondamentale, secondo me. Puoi avere una relazione con Dio, qualunque cosa significhi. Persone diverse hanno definizioni diverse di cosa sia Dio. È davvero difficile discuterne. Ma è sicuramente qualcosa che è sempre lì, nella parte posteriore della mia testa. Non una voce udibile, ma continuo a discutere.

Un potere superiore?
Dentro me stesso. Si chiama fede per un motivo. Non posso esserne davvero sicuro. Quello che so per certo, però, è che la fede mi ha aiutato in alcuni momenti molto difficili. Ho la sensazione molto chiara che qualcosa là fuori mi stesse vicino in quel periodo di depressione e disperazione.

Hai in programma di pubblicare un album o della musica legata a questa fede?
Ho scritto una canzone e tutto quello che ho pubblicato durante la Pasqua del 2018. Non è che io abbia un grande desiderio di pubblicare un album completo. Ma se succede, succede. Ho alcune canzoni che vanno chiaramente in quella direzione. Inoltre, non escludo questi pensieri dai testi attuali. Ci sono sicuramente indizi della mia fede in certe canzoni.

Oggi, nonostante il risultato, qual è il tuo giudizio sul tuo lavoro con Kamelot?
Mi sono unito ai Kamelot in un periodo in cui la band non era ancora grande. Poi abbiamo collaborato con Sasha e Miro, i produttori in Germania, e tutto ha continuato a crescere. Ogni album vendeva di più, ogni tour aveva più successo. È stata una gita fuori dal mondo. Thomas ed io formavamo una squadra complementare, sia in termini di scrittura che di affari. Quindi è stato davvero bello. Sono molto grato per tutti quegli anni. Rimaniamo ancora in contatto. Facciamo ancora affari insieme dato che possediamo entrambi i diritti su quegli album. Quindi ci sono sempre decisioni da prendere, cose che devono essere fatte.

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