“Teppisti in azione nella notte” è il primo full length dei Duocane, power duo pugliese composto da Stefano Capozzo (basso e voce) e Giovanni Solazzo (batteria), amici di vecchia data e musicisti in svariati altri progetti (Banana Mayor e Turangalila su tutti). Anticipato dal dissacrante singolo “Neqroots” (omaggio ad un mitico calciatore del Bari degli anni ’90), l’album d’esordio della band è il seguito ideale dei primi due EP “Puzza di giovani” (2019) e “Sudditi” (2020), ed esce autoprodotto il 12 ottobre 2022, su Cd oltre che in streaming e digital download. Otto tracce in bilico tra math-rock, stoner & noise, dall’approccio ironico e dissacrante.
Ciao ragazzi e bentrovati sul Raglio! E’ finalmente uscito il vostro primo full lenght, in realtà dal vostro esordio del 2019 non vi siete mai fermati pubblicando ancora un Ep nel 2020 e adesso un disco di otto tracce. Come spiegate questa vostra prolificità? Siamo in due e questo rende più semplice la stesura dei brani, non c’è nessun chitarrista con relativo ego a rallentare i processi creativi.
Nella nuova release vi siete avvalsi di diverse collaborazioni che hanno allargato un pò lo spettro sonoro del duo, ce ne volete parlare? Nel nostro disco hanno collaborato Gianluca Luisi al vibrafono, Alessandro Vitale al sax, Pino di Lenne agli archi (l’unico presente anche nel nostro EP precedente “Sudditi”) ed Enrico Carella alle tastiere. L’intento è stato quello di ricreare in studio il nostro suono naturale avvalendoci della possibilità di arricchirlo con quelle voci nella testa che ci dicevano “metti questo, metti quello, vedi come suona bene?”. Abbiamo avuto entrambi la fortuna negli anni, di suonare con tanti musicisti di diverse estrazioni (dal metallaro al jazzista, all’accademico, al frikkettone puzzolente che non paga le birre ecc.). Quindi abbiamo colto l’occasione di toglierci degli sfizi sonori cercando di rimanere fedeli ad un approccio punk e viscerale.
Spesso suonare in duo non è affatto facile, anzi sicuramente non lo è, per voi è una cosa molto naturale. Come siete arrivati a questo approccio? Abbiamo suonato insieme nel primo periodo dei Banana Mayor e ci conosciamo da quasi vent’anni, questo ci permette di avere una confidenza tale da amalgamare le menti creative con molta facilità. Abbiamo gusti molto simili e complementari e pur essendo persone molte diverse, siamo praticamente cresciuti insieme.
Suonate insieme da tempo e anche in altri progetti come ad esempio i notevoli Turangalila, come riuscite a ritagliare lo spazio per entrambi questi due progetti così impegnativi? Giovanni: non ho tempo manco per cacare, bugia, cancella… sono sempre stressato, no dai cancella. Stefano: dai dì la verità. Giovanni: grazie per il complimento ai Turangalila. Non solo suono in questi due gruppi, aggiungici pure il lavoro e la gestione della propria vita privata e familiare. Dormo 10 ore a settimana e sono stressato. Però si fa, e non solo, mi piace moltissimo farlo, la musica è tuttora una cosa che ci distende, eccita e rilassa, ne abbiamo bisogno. Qualora questa cosa dovesse venir meno non avrei dubbi nello smettere. Stefano: non vado in palestra.
Math rock, noise, stoner ma c’è qualcuno a cui vi ispirate o una band che è vicina attitudinalmente ai Duocane? Non c’è una band in particolare che ci ispira, o magari sono così tante che sarebbe un casino elencarle tutte. Le nostre influenze vanno dagli anni 70 alla contemporaneità, con particolare predilezione per i ’90, dalla banda di paese di Acquaviva delle Fonti agli Yob.
Il vostro sound è alquanto rumoroso ma c’è sempre un notevole spazio per la melodia, in che maniera scrivete? Vi occupate entrambi dei testi? Sì, i brani partono sempre da una particolare idea di uno dei due, un riff o un ritmo, e poi ci si lavora sopra, insieme sia per i testi che per le musiche, buttando idee e dicendo stronzate fino a che la “cosa” non raggiunge una forma che soddisfi entrambi. Più o meno come stiamo rispondendo a turno a queste domande, mentre ora Stefano fuma una sigaretta.
Parlatemi un po’ del singolo “Neqroots” dedicato al mitico calciatore del Bari, come vi è venuta questa idea? Giovanni era andato in bagno e Stefano stava suonando da solo al locale col nostro amico Giulio. Eravamo in lockdown e provavamo di nascosto in saletta per soddisfare bisogni etilici e sociali. Di ritorno dal bagno, Giovanni sentì i primi due versi canticchiati da Stefano e il resto lo scrivemmo tutti e tre in quella stessa sera. Ci parve da subito una idea corretta e giusta dedicare un pezzo a un monumento della nostra infanzia. Neqrouz è stato un idolo nella nostra zona in quegli anni, e circolavano varie leggende su di lui. Successivamente abbiamo scoperto che alcune sono probabilmente vere, dato che davvero Neqrouz, a quanto pare, era solito frequentare madri di gente che conosciamo da vicino. Tra l’altro, con viva e vibrante soddisfazione, ci teniamo a dire che il vero Neqrouz ha ascoltato il pezzo e adesso ci segue su Instagram e ci mette i cuoricini. Neanche suonare al Lollapalooza potrebbe mai donarci cotanta infinita giuoia.
Vi lascio un po’ di spazio per dire quello che volete, fate un autopromozione il più sfacciata possibile al vostro disco. Siamo ben consci del fatto che nessuno ascolti più i dischi, soprattutto quando si tratta di un formato CD, ma vi assicuriamo che tali feticci sono sia belli da guardare che da toccare, diremmo addirittura annusare, concedendovi così di vivere una meravigliosa esperienza sinestetica. Essendo tra l’altro questo “Teppisti in azione nella notte” un disco concepito in maniera unitaria e omogenea, come opera unica, ci piacerebbe venisse ascoltato nella sua interezza e totalità, anche se sappiamo che questa cosa non è esattamente tipica dei nostri tempi votati alla distrazione perenne. Scusate per questa parentesi alla Mastrota con le pentole. Forza Roma sempre.
Ritorno sulle scene per i genovesi Antropofagus, storica band death/brutal attiva dal 1998, che con “Origin” (Agonia Records) giungono alla loro quarta fatica discografica. In occasione dell’uscita del nuovo videoclip intitolato “Hymns of Acrimony“ (tratto dall’omonimo singolo) abbiamo fatto una chiacchierata con il chitarrista Francesco Montesanti e il cantante Paolo Chiti per sapere quali siano le novità sul nuovo album… si parte!
Ciao ragazzi! Come prima cosa ci tengo a ringraziarvi per la vostra disponibilità a questa intervista! Iniziamo subito dal principio: come e quando nascono gli Antropofagus? Francesco: Ciao Luca, grazie a te, nascono nel lontano 1998 in un pub di Genova dall’unione tra me e Rigel e Void ed Argento, un amico comune ci presentò dicendo che per suonare insieme eravamo perfetti, forse aveva ragione.
Francesco, puoi parlarci un po’ di come si sviluppa un tipico brano degli Antropofagus? Quali sono i vari step che costituiscono l’intero processo compositivo? Francesco: Prevalentemente per “Architecture…” ho steso tutte le track da solo e poi il lavoro fu registrato già finito senza ulteriore arrangiamento dai nuovi componenti dell’epoca quali Davide e Jacopo, complice il fatto che ci trovammo alle strette con i tempi visto l’inaspettato cambio di line-up che trovò la forma definitiva appunto con loro. Per “M.O.R.T.E.” il discorso fu uguale ma con già una leggera fase di arrangiamento a a più teste. Per “Origin” – in uscita il 28 Ottobre 22 – il discorso è stato diverso, complice la pandemia che ha comunque fatto slittare l’album di almeno un anno, ha permesso di approfondire una fase di arrangiamento a quattro teste, ognuno ha messo del proprio, benché io e Davide abbiamo anche lavorato questa volta insieme su parti specifiche dell album, che alla fine risulta probabilmente essere più maturo dei precedenti, mantenendo il meglio delle nostre qualità e cercando sempre di smussare alcuni errori che inevitabilmente si fanno sempre.
Adesso una domanda specifica per te, Paolo: per ciò che concerne i testi cosa puoi dirmi? Quali sono gli argomenti trattati nelle vostre composizioni? Paolo: Tutto è partito da un’idea che avevamo in principio e cioè quella di fare un concept album più “tradizionale”, dove nel procedere dei testi si narrasse una storia con un inizio e una fine (“Origin” del titolo richiamava infatti “la nascita” di un fantomatico protagonista). Poi però questa idea col tempo si è trasformata, e ho preferito non narrare una vera e propria storia, ma piuttosto descrivere quello che avevamo in mente con l’uso di immagini, magari anche criptiche e a volte non immediate. Diciamo che la nostra “storia” è costruita su tre momenti. L’entità (che vedete in copertina) affronterà tre fasi: “Ascesa” alla sua nuova dimensione/incarnazione; “Discesa” tra i mortali, nel piano che noi conosciamo, e infine la “Trascesa” dove questo essere prende coscienza di esistere al di sopra di ogni piano sensibile della conoscenza e della realtà, e di essere comunque anche lui parte di un ciclo senza tempo destinato a ripetersi all’infinito. Dentro ai testi si possono trovare tantissime fonti di ispirazione, dai libri (Lovecraft su tutti) ai film, così come anche agli antichi testi sacri egiziani, indiani e tibetani. Ogni cosa che descriva cose oscure e affascinanti, diventa il mio pane quotidiano per scrivere.
Sempre per te, Paolo: sei entrato a far parte degli Antropofagus, ma hai sempre fatto parte dei Devangelic, quali sono state le principali differenze che hai riscontrato tra le due band in questione? Per lo stile proposto, per ciò che riguarda il processo compositivo e altro… cosa puoi dirmi a riguardo? Paolo: Le differenze erano prevalentemente nello stile. Quando sono entrato con gli Antropofagus, con i Devangelic suonavamo un brutal death molto più serrato e veloce, e di conseguenza anche con la mia voce cercavo di risultare il più “chiuso” e brutale possibile. Gli Antro suonano sempre brutali e veloci, ma con un approccio molto più death metal per quanto riguarda atmosfere e suoni e così ho cercato fin da subito di fare qualcosa di diverso, molto più death vecchia maniera, cercando di scandire ogni singola parola, e cercando di aprire molto più la voce . Non cercando più di risultare il più basso e sporco possibile, ma tentando di dare più varietà (cosa che poi ho iniziato ad fare anche nell’ultimo album Devangelic). Per quanto riguarda il metodo compositivo, non c’è molta differenza. Sistemiamo e rifiniamo ogni dettaglio dei pezzi tutti insieme, che sia un un singolo riff o una metrica di voce, c’è veramente un grande lavoro di squadra.
Come evidenzia la vostra discografia, dal vostro secondo album “Architecture Of Lust” avete dato alle stampe i vostri lavori con una certa “cadenza” quinquennale, ma dal vostro esordio “No Waste Of Flesh” al vostro già citato secondo full sono trascorsi ben 13 anni… Cosa è successo in tutto questo lasso di tempo, Francesco? Francesco: Non è mai stata decisa una scadenza, il tempo trascorso da “No Waste…” è stato molto lungo perché avevo momentaneamente abbandonato lo strumento. Dopo l’uscita di “Architecture”, la distanza con “M.O.R.T.E.” fu un po’ data dalla mancanza di tempo e dagli impegni miei familiari, tra quest’ultimo e “Origin” è stata sicuramente colpa della pandemia, non aveva senso uscire con l’album e non dargli l’attenzione e la promozione che serve.
Ho ascoltato il vostro nuovo videoclip “Hymns of Acrimony”, l’ho trovato molto bello e, se posso permettermi di dirlo, abbastanza insolito per una band come la vostra che ha sempre spinto (e molto) sull’acceleratore. Dal punto di vista della struttura ho trovato il brano in questione molto Morbid Angel “oriented”, è corretto? Francesco: Grazie, è un brano di cui andiamo molto orgogliosi, troviamo che sia uscito veramente bene, poi ci siamo divertiti molto nel registrare il videoclip, che con la mano meravigliosa di Andrea La Rosa, è uscito fantastico. Era da un po’ di tempo che covavo l’idea di non uscire con il solito brano a mille BPM, ma cercare di attirare l’attenzione su qualcosa che di solito inseriamo nel disco a metà CD e che non usiamo mai come singolo. Suona molto ispirato ai Morbid Angel come tutte le volte che rallento i BPM, se ci fai caso in “Architecture” e in “M.O.R.T.E.” puoi trovare brani come “Sadistic, Det helgeran”,” The Abyss” o “Prise to a Hecatomb”, tutti brani che puzzano in stile morboso, è una cosa che mi appartiene da molti anni ormai, ogni volta che rallento le mie influenze più morbose si fanno strada e prendono il sopravvento. in “Origin” come facciamo sempre ci sono due brani lenti che spezzano la furia che di solito travolge chi ascolta questo genere, da respiro e movimento al CD, trovo che sia sempre corretto alternare questi suoni.
Quali sono secondo voi le principali differenze tra il vostro nuovo “Origin” e le precedenti produzioni? Francesco: “Architecture” vede una grande produzione curata dal nostro amico Fabio Palombi nel suo vecchio studio, che ovviamente paragonato allo studio che ha oggi, i Blackwave, è primitivo, ma è una produzione che ancora ad oggi a distanza di dieci anni trovo limpida ed efficace. il Master fu affidato agli intoccabili Hertz studios. Ad oggi ci troviamo ad avere uno studio professionale tutto nostro, gli MK2 di Davide. Lui come produttore sta facendo passi da gigante e come in tutte le cose, essendo un ragazzo talentuoso, riesce con la sua impronta a migliorare tutto ciò che tocca. Quindi sarebbe stato assurdo andare altrove avendo a disposizione un produttore nella band che ormai lavora a tempo pieno nello studio.
Potete raccontarci in che modo è nato l’interesse dell’Agonia Records nei vostri confronti? Francesco: L’Agonia insieme ad altre tre etichette era nei nostri interessi, una volta registrato una pre-produzione volevamo mandarla a queste tre label, ma nel frattempo una mattina ci manda un messaggio vocale in chat Davide dicendo che a Filip (boss dell’Agonia) era piaciuta molto la copertina di “M.O.R.T.E.” e chiedendo quali progetti avessimo in futuro. Vien da se che ci siamo trovati subito benissimo con loro e senza che abbiamo dovuto mandare nulla a nessuno, inviato poi il lavoro a loro sono rimasti molto colpiti dai nuovi brani e il matrimonio è venuto da se.
In tutta sincerità anch’io sono rimasto davvero colpito dalla cover dell’album, molto accattivante e d’impatto! Da chi è stata creata? Francesco: Contattai Stefano Mattioni che produce bellissimi lavori per la sua Viron 2.0, gli abbiamo affidato l’intero artwork esterno ed interno, e siamo contenti, volendo tornare all’uso computer graphic, di ciò che ha tirato fuori da quello che avevamo richiesto.
Suppongo che, una volta uscito il disco, vi saranno delle date live per promuoverlo nella maniera più adeguata. Cosa potete dirmi a tal proposito? Avete già pianificato qualcosa? Francesco: Stiamo cominciando già da un po’ a cercare di pianificare delle date, siamo volutamente senza agency, ed è molto difficile andare avanti con le nostre sole forze, vediamo cosa si riuscirà a fare, e se mai troveremo qualcuno con cui possiamo lavorare bene onestamente e goderci ciò che più ci appartiene: il palco.
Time out ragazzi, vi ringrazio davvero molto per la vostra disponibilità a quest’intervista. Auguro alla band le migliori fortune e vi faccio i miei più sinceri complimenti, concludete pure come preferite! Francesco: Grazie a te Luca, sei un grande supporter e le persone come te sono ossigeno per i nostri polmoni, a presto.
“Metempsychosis” è il titolo del nuovo album degli Enforces uscito qualche settimana fa per la Punishment 18 Records. Un disco che pur rappresentando una nuova partenza, è ben lontano dall’essere un salto nel buio, perché la band di Viterbo durante la lunga pausa ha saputo trovare nuove forze e idee sul quale fondare il proprio futuro.
Ciao ragazzi, prima di lanciarci nella disamina del nuovo album, direi di fare un passo indietro, cosa è accaduto dopo la pubblicazione “The Dopamine Hypothesis of Schizophrenia”? Il vostro esordio come è stato accolto? Paolo: Il nostro esordio anche se autoprodotto e con la sola promozione nelle piattaforme digitali ha ottenuto in ambito underground giudizi abbastanza positivi anche nelle recensioni, dopo di che la band si scioglie a causa di problemi di instabilità dovuta a continui cambi di formazione risultati vani, prendendo poi la decisione di accantonare il progetto.
Sei anni di attesa non sono tantissimi, soprattutto se consideriamo che la pandemia ha fatto saltare i piani di tanti, ma non sono neanche pochi. credi che in qualche modo questa pausa possa aver mandato all’aria quanto costruito in termini di consensi e attenzioni con il precedente disco? Giacomo: Non sono tantissimi. Tutto questo tempo si è rivelato invece importante per la costruzione di una nuova formazione, scrittura di nuovi brani, più articolati rispetto ai precedenti ed una diversa progettualità e visione. Possiamo dire che si tratta di una nuova ripartenza anticipata da “Electromagnetic Annihilation” un anno fa, promo pubblicato come introduzione a “Metempsychosis”. Questo a nostro avviso è un passo in avanti per noi e quando il risultato è buono nessuno ha problema ad aspettarti
“Metempsychosis” vede una line-up diversa rispetto all’esordio, come hai trovato i nuovi musicisti e come hai capito che sarebbero stati perfetti per il nuovo album? Paolo: Conosco il talento di Emiliano da molti anni sia come bassista che come compositore e audio produzione, seguendolo da sempre nel suo percorso musicale con varie band della provincia di Viterbo, e con il quale insieme avevamo già un altro nostro precedente progetto metal, la stessa cosa vale anche per Giacomo, anche lui chitarrista che detiene un curriculum di tutto rispetto, dimostratosi subito disponibile appena gli ho fatto ascoltare le demo di alcuni brani che poi sono stati inseriti sull’album, quindi con loro sono riuscito ad ottenere la miglior formazione studio per poter realizzare al meglio tutto il lavoro
Quali sono i vantaggi di una formazione a tre rispetto a quella ben più numerosa dell’esordio? Giacomo: La formazione attuale nell’album è a tre per scelta estetica. In quel momento non avevamo ancora scelto il batterista e ci siamo dedicati alla programmazione di tutte le parti con molta attenzione. Ci sono molti album della tradizione concepiti e registrati in questo modo, peraltro. Siamo molto soddisfatti del risultato. Per il live la batteria sarà vera ovviamente. La vera novità è che abbiamo Paolo Nevi come frontman e questo è importante per noi. Io ed Emi lo abbiamo voluto fin dall’inizio. La vocalità è leggermente black e questo ci piace molto. Non ci sono vantaggi o svantaggi, solo scelte musicali.
Il titolo del disco ha in qualche modo un significato allegorico legato a questa nuova fase, o reincarnazione, della band? Emiliano: Il titolo ha un significato duplice! Simboleggia la rinascita della band sotto una nuova forma e un auspicio per chi vuole staccarsi dal materialismo sfrenato ed edonista dei nostri tempi e soprattutto dal controllo dei media e del potere. Il tema del controllo mediatico era già stato approfondito nel precedente album e poi successivamente nel promo.
Quando avete iniziato a lavorare sui nuovi brani? Paolo: Ho iniziato a lavorarci già nel 2019 prima della pandemia, poi anche durante il lockdown a distanza con gli altri abbiamo continuato la composizione delle tracce scambiandoci le idee online, usando vari programmi musicali per PC.
Quali sono i più rappresentativi del lavoro? Emiliano: Volete sapere quali sono i pezzi più rappresentativi del lavoro? L’album è abbastanza compatto senza canzoni riempitive. Se volete ne citerò alcune: “Midway To Decay”, oscura, articolata, un po’ alla Annihilator vecchi periodi e non solo. La veloce ma non troppo semplice “Global Incesticides”, da cui è stato tratto il primo lyrics video. L’incipit mi ricorda molto gli Slayer.
“And Hell Will Be For Us”, “Extinction”, “Point Of No Return”, sono solo alcuni dei titoli dei nuovi brani e tralasciano trasparire un certo pessimismo, come vi spieghiate questa vostra scarsa fiducia nel futuro? Emiliano: Solo uno stupido o un opportunista può provare una grande fiducia per il futuro prossimo! Prepariamoci innanzitutto per questo inverno! E che sia spiritualmente sotto il segno di un dio vecchio stile! Prepariamoci a pulirci di tante cose effimere e tornare a respirare piano piano aria diversa dopo lunghe battaglie ancora da affrontare! La vittoria sarà di chi se la saprà meritare.
Restando in ambito futuro, anche se meno remoto, avete date in programma nei prossimi mesi? Paolo: Una di sicuro ad Ottobre nella nostra città Viterbo per iniziare a presentare il nostro nuovo album, e per il resto stiamo in trattativa per altre date a Roma e nel resto della Penisola.
Tornano sulle colonne virtuali de Il Raglio del Mulo gli Ataraxia, che avevamo intervistato in occasione della pubblicazione di “Quasar”. “Pomegranate – The Chant of the Elementals” è l’ennesima riprova che, nonostante la band abbia alle proprie spalle una carriera più che trentennale, la vena creativa degli Ataraxia è ben lungi dall’esaurirsi.
Bentornati, ai tempi dell’uscita di “Quasar” nella nostra intervista definiste quel disco una “terapia in musica”: in parte o in toto descrivereste così anche il nuovo lavoro “Pomegranate”? Ogni album che realizziamo e lasciamo fluire attraverso di noi è un atto terapeutico, la musica stessa può essere un deliberato o inconscio atto terapeutico sia perché le frequenze portano energie di qualità sia perché i contenuti sensoriali e spirituali ci aiutano a fare esperienza e conoscere meglio se stessi. “Pomegranate” è un abbraccio appassionato di elementi naturali, figure mitologiche e floreali, mondi e parole magiche e sensuali. Un “viaggio-terapia” in musica.
E’ azzardato affermare che “Pomegranate” è forse uno dei vostri dischi più istintivi? E’ un album profondamento sentito e voluto, abbiamo vissuto i nove mesi della sua gestazione in profonda concentrazione e libertà espressiva. I brani sono nati come per magia uno dopo l’altro in studio e nel nostro rifugio alchemico, la sala prove. Tutto è fluito naturalmente, istintivamente. I nostri archetipi zodiacali e le nostre caratteristiche personali differenti ci hanno guidato a dipingere col suono, canalizzare o interpretare questo o quell’elemento e fra noi abbiamo vissuto una comunione creativa libera, profonda, condivisa. Insieme abbiamo potuto realizzare il tutto come tante gocce singole che si fondono in un solo mare. Purificati e nuovi, abbiamo avuto accesso a vari regni in un tripudio di prati fioriti, profumi, colori, sensuali sussurri, essenze, cori aurorali ed arie incantatorie. Ma poi l’entropia ed il chaos del mondo in cui stavamo vivendo ci ha spinto ad inanellare un nuovo ordine di purezza adamantina anche se per giungervi abbiamo dovuto attraversare la pelle di caverna del dio Dioniso, fino ad essere calamitati nel suo mondo minerale, animale, umano e divino. Certamente, è un disco istintivo ma un istinto filtrato da intuito, percezioni e sensazioni sottili.
Il disco ha un sottotitolo, “The Chant of the Elementals”, possiamo quindi definirlo un concept? Certamente. E’ una corsa poetica attraverso i quattro elementi aria, acqua, terra e fuoco (ognuno dei brani ne porta le frequenze in musica) per arrivare alla Quinta Essenza, il quinto elemento che li incorpora tutti e li trascende. Il fuoco bianco di cielo ci ha portato alla fusione con” Hlara Aralh” (primo brano), portatore del coraggio del cuore (coraggio= agire col cuore). Il dispiegarsi delle note ci infonde un senso di libertà e leggerezza onnicomprensivi e pervadenti. Le lingue di fiamma cristallo che purificano senza bruciare ci avvolgono e ci portano al sentire più puro, istintivo e vivificante. Il viaggio alchemico dell’eroe, il viaggio di tutti noi, prosegue e si inoltra nell’elemento terra rappresentato dal profondo del bosco e dalla danza cosmica del cervo. “Oruphal” (secondo brano) ci conduce nell’underworld al cospetto della nostra ombra che è necessario guardare, accogliere ed integrare. Quali bestie sanguinanti e sfinite, ci troviamo in bilico tra un portale mistico ed uno strapiombo. Intorno a noi crepacci sulfurei, montagne e segrete spiagge. Poi irrompe il vento e ci trasforma in quarzo di luna. Un nuovo movimento alchemico ci accompagna dalla nigredo all’albedo dove ci accoglie “Ozoonhas” (terzo brano), spirito elementale che ci attraversa come aria per un passaggio in alto. Siamo antenne? Raggiungiamo ogni volta il punto più alto per farci canali di frequenza, ci eleviamo in spirale attorno al caduceo di Mercurio per risettare il nostro DNA e muoverci tra gli astri. In alto, nelle lunghe notti d’estate, contempliamo le stelle. Le silfidi, spiriti elementali dell’aria, ci ispirano insufflando in noi l’intelligenza sottile. Dalle altezze agli abissi uterini, tra spirito e materia, avvolti dalle correnti liquide di “Nevenhir” (quarto brano), spirito elementale dell’acqua. Nei fondi abissali seminiamo doni e facciamo crescere piante sonore, appariamo e spariamo con ali leggerissime ricamando sogni. Quali cellule stellari rimaniamo espansi e sospesi prendendo forme magiche e sorridendo dentro. Poi si accede all’ultima fase del viaggio, la Rubedo. Siamo nel campo mentale superiore, “Aura Magi” (settimo brano) In questo spazio l’etere dipinge distanze siderali, ci dà potere di visione, la capacità di comunicare con ogni cosa e con le forze divine degli intramondi. E’ un passaggio iniziatico di rinnovamento e pace intensa, una mistica carezza. Contempliamo i misteri, forme che si manifestano, e siamo fuoco sottile avvolto da carni mortali. Il viaggio sonoro si conclude con una outro che ci catapulta di nuovo nella materia delle origini come creature rinnovate.
Cosa simboleggia il melograno in questo contesto? Il melograno è un simbolo potente, certi miti raccontano che sia nato dal sangue di Dioniso che feconda la terra (Dioniso è una delle due divinità a cui è dedicato un brano dell’album), inoltre è uno dei frutti sacri ad Afrodite insieme al melo (Afrodite è l’altra divinità a cui è dedicato un brano), Persephone, regina del mondo ctonio sotterraneo ed inconscio, il mondo dell’ombra ne mangia alcuni chicchi per diventare da fanciulla a donna consapevole grazie anche alla guida di Ade. Il melograno è un frutto afrodisiaco e le spose greche intrecciavano i capelli coi suoi rami. Il frutto è simbolo di prosperità e fortuna e rappresenta anche il micro ed il macrocosmo, dentro al globo del frutto tanti altri piccoli globi. Questa pianta era anche diffusa nei giardini dell’antico Egitto poiché resisteva alla siccità e quindi denotava forza. Era anche attributo della Grande Madre nel mondo mediterraneo, colei che da la vita, è fertile e colei che la toglie. Spesso si trova questo frutto nelle decorazioni pittoriche del rinascimento, anche nella Madonna con la Melagrana di Botticelli appartenente alla scuola neoplatonica fiorentina. Abbondanza, vita/morte, energia vitale, fecondità, la rappresentazione dell’universo stesso, del “così è in alto come in basso”. Abbiamo sentito forte questo richiamo.
Restando in termini di simboli, nella copertina risalta il rosso in un mare di luce: in qualche modo ha un significato recondito anche questa scelta? E’ sorprendete come tutto sia legato da un fil rouge senza che neppure ce ne accorgiamo o lo pianifichiamo. Tutto avviene in un flusso incredibile di intenti inconsci e magici senza essere preventivato. Abbiamo scelto di realizzare il servizio fotografico in un giorno qualsiasi e quel giorno c’era la luce dorata perfetta nelle nostre colline e Francesca ha scelto il rosso apparentemente per caso e si è trovata immersa in dettagli dello stesso colore che punteggiavano la natura e alberi di melograni attorno a noi offrivano i loro frutti maturi. Ci siamo accorti di essere in un quadro che ha ispirato i brani prima che fossero scritti, abbiamo iniziato a comporli a novembre e in quel giorno di settembre tutto era già racchiuso negli scatti fotografici che poi sono diventati copertina e parte dei booklet. Il rosso vivace e variegato del melograno porta la vita, il codice del nostro sangue, della passione, del coraggio, vitalità che fluisce nella luce dell’equinozio, una luce di balance, equilibrio in cui 12 sono le ore diurne e 12 quelle notturne e 12 è un numero magico poiché dodici sono i mesi, gli archetipi zodiacali, etc. Abbiamo scattato le foto durante l’equinozio d’autunno 2021 e l’album esce a celebrare l’equinozio d’autunno del 2022. Inoltre l’oro è un colore alchemicamente importante, è la pietra filosofale, estrarre oro dal piombo, estrarre la Quintessenza della nostra dimensione animica dalle scorie della materia pesante. L’etichetta poi ha scelto di realizzare i vinili in colore oro e oro marmorizzato nero. Abbiamo il ciclo del sole ed ogni elemento che si sposa a questa creazione.
Ritenete che tutti i vostri ascoltatori siano in grado di decodificare la vostra arte per goderne al meglio oppure credete che ci siano più livelli di percezione di un vostro disco, ognuno diverso ma ognuno comunque soddisfacente allo stesso modo? La tua domanda esprime intelligenza sottile e sensibilità. Esiste un inconscio collettivo, un mondo archetipale dove esistono elementi in comune a tutti gli esseri umani ma esiste anche l’individualità che riesce a volte a sganciarsi dalle norme culturali, dagli “stampi” emozionali e reattivi a cui siamo sottoposti e che ci hanno plasmato sin da pochi anni dopo la nostra nascita. L’arte e la musica in particolare riescono a bypassare tutto questo se ci si affida liberamente e consapevolmente a questo flusso. Credo i nostri ascoltatori siamo soliti abbandonare ratio e cultura dominante per accedere a quel mondo superconscio o spirituale in senso lato che porta ad un ascolto musicale che diviene un ascolto interiore, un viaggio alla scoperta di se, dei propri luoghi dell’interiorità a cui la musica e la natura da cui siamo ispirati fanno da specchio. Quindi, certo, chi entra in risonanza con la nostra arte trova e scopre sempre codici personali ed universali per assimilarla e viaggiare, ci sono più livelli di percezione e anche sensazioni differenti ma ognuna di queste è buona e giusta per la persona che la vive. Sono tanti i sentieri che portano ad un luogo speciale, alcuni più irti, altri delicati e plananti, altri scoscesi ed impervi, altri densi di dolcezza e colori anche se tutti arrivano alla stessa Sorgente.
Nel 2020 avete festeggiato il vostro trentennale in un momento storico molto particolare, in qualche modo gli avvenimenti legati alla pandemia hanno sancito un prima e un dopo oppure per voi le cose sono tornate più meno sui soliti binari dopo un periodo di assettamento? In tutta sincerità niente torna mai sugli stessi binari, diciamo pure che i binari ci stanno stretti e che abbiamo sempre preferito aprire nuovi varchi e sentieri nei boschi sonori che ci hanno accolto e che abbiamo scoperto strada facendo. Inoltre, per la legge dell’ottava, ogni cosa che si ripete avviene sempre ad un’ottava diversa a seconda di ciò che abbiamo appreso, delle debolezze, dei punti di forza, delle scoperte, delle paure e del coraggio che abbiamo dimostrato ed esperito la volta precedente. Per confrontarci con esperienze così forti, stimolanti e sfidanti, per non rimanere annichiliti o passarci in mezzo da ciechi, sordi ed evitanti col rischio di finire in altre esperienze simili come in un loop di un girone dantesco, abbiamo scelto la creatività. Ad un certo punto ci siamo concentrati, aperti alle infinite vie della creazione ed abbiamo deciso di realizzare questo album. Immersi in un universo di idee, sensazioni, percezioni e stimoli artistici abbiamo dato un senso a tutto ciò che accadeva “originando” un mondo nostro di Bellezza, Armonia e Grazia che potesse essere condiviso e potesse essere un dono per noi e tutti coloro che ci ascoltano e ci ascolteranno.
Avete delle date in programma a supporto del disco? Avevamo una serie di date in previsione (anche se non facciamo mai specifici tour legati ad un album, ogni nostro concerto è una “dimensione” a sé, preparato ad hoc a seconda del luogo che ci ospita, del nostro stato d’animo e di tanti altri fattori), purtroppo alcune sono saltate per problemi organizzativi dell’ultimo minuto, avremmo dovuto suonare in un grande festival in Romagna, un altro in Umbria e via dicendo. Saremo in Germania ad un festival legato al sole a fine novembre e faremo un concerto semiacustico nel giardino di una casa colonica in forma semi privata (ad invito) il 1 ottobre (per chi fosse interessato a prenotare un posto può scriverci via Facebook). E’ in preparazione un tour oltreoceano nel 2023 inoltrato dove spesso siamo richiesti e dove per questioni di forza maggiore abbiamo dovuto rimandare negli ultimi due anni. La dimensione dal vivo è un rituale, un atto magico profondamente condiviso tra noi ed il pubblico, un pubblico attivo con cui si scambiano correnti energetiche. Essendo stati molto impegnati nell’ultimo anno in studio di registrazione e con i vari artisti che hanno collaborato alla parte visiva di “Pomegranate”, abbiamo ora un po’ di tempo per preparare una performance ad hoc, provare i brani nella versione live e realizzare un video da proiettare ai concerti come supporto immaginativo.
Di solito siete molto prolifici, loro dimostra la vostra cospicua discografia. Mi incuriosisce sapere, in chiusura: nonostante abbiate rilasciato da poco un disco, state già lavorando a dei nuovi pezzi? In questi mesi siamo stati molto impegnati con la realizzazione di alcuni video ed un video documentario ispirati a “Pomegranate”. Giovanni, il nostro tastierista, ama molto il lato visivo oltre che musicale di un nuovo concept e quindi ci siamo immersi nella natura selvaggia dei nostri Appennini per evocare i 4 elementi alchemici presenti nell’album tra fiumi, pareti rocciose, laghi, cascate e boschi. Ogni elemento che vediamo “fuori di noi” è anche dentro di noi, quindi frequenze sonore e frequenze cromatiche si mescolano per portarci ad aprire “portali” che ci permettono di cominciare e proseguire il viaggio. Questi sono i link dei primi due video, “Nevenhir”
e “Hlara Aralh”
Inoltre questo album esce in numerosi formati (due formati in vinile, due formati in CD) ed ognuno ha un proprio ricco booklet di immagini e scritti ed il vinile include anche un vero e proprio artbook 30×30 realizzato in collaborazione con Insetti Xilografi (visita la pagina instagram di insetti_xilografi) e Nicolas Ramain (il nostro grafico) che contiene numerose opere pittoriche ognuna a tema con un brano e gli scritti poetici di Francesca che hanno ispirato poi i testi ed il concept. Questo book è una piccola opera d’arte. Quindi siamo ancora pienamente immersi in questa atmosfera ed è un po’ prematuro gettare il seme per un nuovo concept album poiché è necessario fare un po’ di spazio come tra un respiro ed un altro, una stagione ed un’altra, una nota e la seguente. Siamo inoltre impegnati nella realizzazione di un brano esclusivo per una serie di un amico americano, The Sorrow, e Francesca ha cantato due brani del prossimo album di Autumn Tears sempre in uscita per The Circle Music nella primavera 2023. Ad ogni modo qualche suggestione è già presente, vediamo come si modulerà nei mesi e nel tempo a venire. Come diciamo spesso, ogni cosa è già scritta dobbiamo solo portarla sul piano della materia “condensando” ciò che per ora è sul piano energetico e sottile.
Ospite di Mirella Catena su Overthewall, in occasione della pubblicazione del nuovo album “Koinè” (My Kingdom Music), Lord Agheros.
Ciao e benvenuto su Overthewall!Ci parli del tuo percorso musicale e come nasce il progetto Lord Agheros? Lord Agheros nasce nel 1999 dal desiderio di mettere in musica quelle emozioni e sensazioni celate nel profondo e che nei soliti cliché musicali vissuti fino ad allora non avevano modo di uscire fuori. Mettendomi in solo, ho personalizzato con dei concept alcune tematiche ed emozioni attraverso una firma musicale senza etichette.
La Grecia è stata geograficamente il ponte naturale tra la cultura orientale e occidentale e l’assimilazione della cultura ellenica da parte delle principali popolazioni esistenti nell’epoca precristiana ha permesso una rivoluzione non solo di Pensiero ma anche sociale e culturale! Che importanza riveste quel particolare periodo storico-culturale nel concept che è alla base di Lord Agheros? Soprattutto in “Koinè”, il passaggio all’età ellenistica ha un ruolo fondamentale. Una metafora della conquista dei popoli attraverso la bellezza, cultura e la fusione delle loro rispettive lingue in musica. Un blending di arte e tradizioni a formare un concept unico nel suo genere.
Mi piace definire la tua proposta musicale come “multi-etnica”, esprime sia il calore della musica etnica mediterranea che la freddezza delle grandi band del Nord-Europa. Come sei riuscito ad ottenere questo meraviglioso equilibrio? “Koinè”, il linguaggio comune, se trasposto alla musica, apre confini infiniti, abbatte muri, sgretola credi e governi, unisce una volta per tutte quello che in fondo si ha paura di urlare. Lo stile del mio metal unito a suoni tradizionali ha fatto si che un’alchimia di suoni venisse fuori, senza che una parte sovrasti l’altra.
La scena greca ha partorito ed esportato in tutto mondo metal, grandi band come Nightfall, Rotting Christ e Septic Flesh. Quanto ti ha influenzato quel particolare modo di proporre musica estrema e secondo te qual è la peculiarità della scena greca rispetto ad altre? Da buon greco sottolineo il meraviglioso rapporto che ho con Sakis, Themis e Vangelis dei Rotting Christ e più che influenza, ho visto che nel nostro DNA è impresso in maniera prepotente la voglia di fissare le radici ancora più a fondo, mantenendo uno stile che richiami subito l’ascoltatore a riconoscerne la firma.
Nel video-clip di “The Walls of Nowhere” è presente una fortissima energia femminile, ti senti di accostarla alla forza primitiva della Terra non ancora piegata ai voleri dell’uomo e quanto pensi possa giovare al pensiero odierno riportarla al ruolo privilegiato che le compete? Le figure usate nel video “The Walls Of Nowhere” tendono sin da subito ad evidenziare la differenza tra i tre soggetti. Le prime due di nero con un trucco riconoscibilissimo, dall’altra parte una figura in bianco candido, spaventata dalla presenza non conoscendone le intenzioni, ma alla fine ci ritroveremo con tutte e tre le attrici con addosso i segni, fino a crearne uno solo, ma mantenendo la propria personalità. La metafora della conquista attraverso quel particolare che riempie il vuoto di ognuna, senza intaccarne la natura.
“Koinè” è stato accolto entusiasticamente da pubblico e addetti ai lavori. Ti aspettavi questi consensi e cosa stai preparando per il futuro? Quando si produce qualcosa di “personale”, abbandonando ogni etichetta e cliché, genere e ruolo, si arriva al punto che prima o poi il tutto venga ripagato. Rimanere sé stessi, senza lasciarsi trasportare dai soliti suoni comuni, dare quel tocco di “tuo” che piaccia o meno, fa la differenza. Lord Agheros ha il suo suono, i suoi concept, lo riconosci, ti aspetti l’inaspettato [cit. Francesco Palumbo].
Diamo i contatti sul web per chi ci sta leggendo? Volentieri, mi trovate su Fb facebook.com/lordagheros Instagram: @lordagheros e tutte le piattaforme musicali
Ti ringrazio di essere stato con noi. Grazie a Voi, è stato un immenso piacere!
Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 7 febbraio 2022.