Con oltre trent’anni di carriera alle spalle, i Labÿrinth tornano con un nuovo album, “The Right Side Of This World”, pubblicato da Frontiers Music. Un disco che molti hanno definito il loro lavoro più pesante, veloce e rabbioso fino ad oggi, ma che mantiene intatto il tocco melodico e malinconico che da sempre li contraddistingue. Per approfondire la genesi di questo album e il percorso della band, abbiamo avuto il piacere di intervistare tre pilastri storici: Roberto Tiranti, Olaf Thorsen e Andrea Cantarelli. Con loro abbiamo parlato del processo compositivo, dell’attuale line-up e delle tematiche affrontate nei brani, senza tralasciare qualche riflessione sul futuro dei Labÿrinth.
Benvenuti su Il Raglio del Mulo. Da poco è uscito il vostro nuovo album “The Right Side Of This World”, che da alcuni è stato descritto come il vostro lavoro più pesante, veloce e arrabbiato fino ad oggi, pur mantenendo il tocco melodico e malinconico tipico dei Labÿrinth. Vi ritrovate in questa descrizione e, se sì, quali sono state le principali influenze che vi hanno portato a questa scelta sonora?
Roberto: Per quel che mi riguarda è la musica stessa, scritta dalla band, che influenza la mia direzione nel comporre melodie e scrivere testi. Ovviamente spesso e volentieri molte eventuali influenze musicali sono fisiologiche e figlie del proprio background musicale, nel mio caso resto mediamente ancorato ad un periodo che va dai ’70 ad inizio 2000.
Andrea: Mi ritrovo nella tua descrizione. Da sempre ci piace spaziare tra diverse sonorità cercando però di mantenere intatto il suono che ci caratterizza da sempre. Le influenze all’interno della band sono tante e disparate. Quando ci vediamo per scrivere lasciamo libero spazio alla creatività senza porci limiti o pensando al risultato finale in anticipo.
Olaf: Concordo, questa volta abbiamo spinto ancora di più su certi aspetti del nostro sound, senza snaturare quello che siamo. Lavorare in sala prove come ai vecchi tempi ha permesso di esplorare nuove dinamiche e di creare un album che ci rappresenta in pieno. Siamo molto soddisfatti del risultato e anche dell’accoglienza che sta ricevendo dai fan e dalla critica.
Dopo oltre trent’anni di carriera e numerosi cambi di formazione, come siete riusciti a mantenere la coesione del gruppo e a continuare a innovare nel vostro sound? Per esempio, la line-up attuale include membri storici come voi tre, insieme a nuovi arrivati come Oleg Smirnoff, Nik Mazzucconi e Mattia Peruzzi. Come si è sviluppata la dinamica all’interno della band con questa formazione?
Roberto: Iintanto sono felice che si senta una coesione e poi credo sia molto semplice ottenerla quando è chiaro a tutti all’interno della band, come e cosa si debba fare per la band stessa. Matt, Oleg e Nik hanno portato la loro personalità e grande professionalità a servizio dei Labyrinth e mai come oggi, credo che questa sia la formazione ideale sotto ogni aspetto.
Andrea: Saper convivere, non solo in una band, significa mettersi a disposizione l’uno dell’altro, saper superare il proprio ego, saper comprendere le posizioni degli altri. Non è stato sempre semplice farlo, negli anni, ma l’età ci ha reso più saggi, consapevoli e aperti. Oggi è solo un piacere passare del tempo insieme, soprattutto facendo musica.
Olaf: Siamo amici da tanti anni, e questo ha sempre reso tutto più semplice. Anche con i nuovi membri si è creata subito un’ottima sintonia, sia umana che musicale. Questo si riflette nel disco e nel nostro modo di lavorare, che è sempre molto naturale e spontaneo.
Leggendo il comunicato stampa che accompagna il promo, ho trovato la vostra affermazione di sentirvi sempre più liberi da formule e confini stilistici. In che modo questa libertà si è manifestata nel processo di composizione e registrazione dell’album?
Roberto: Ci siamo chiusi in sala prove come accadeva tanto tempo fa ed abbiamo suonato quello che ci passava per la testa, senza imporci come avrebbe dovuto suonare il disco.
Andrea: In realtà ci siamo sempre sentiti liberi da questo punto di vista. Anche se fare i conti con il passato ci ha in qualche modo orientati cercando di mantenere in parte viva la composizione stilistica dei brani. Su questo ultimo album ci siamo semplicemente lasciati andare più che in passato, anche se, avendo la pazienza di ascoltare la nostra intera produzione, la libertà stilistica a cui ci stiamo riferendo non è mai mancata.
Olaf: Abbiamo voluto realizzare qualcosa che ci facesse sentire davvero liberi, sia nella scrittura che nella registrazione. Abbiamo ripreso il metodo old school di lavorare insieme in sala prove, senza limitarci o imporci paletti. Questo ci ha permesso di creare un album sincero, spontaneo e ricco di sfumature.
Il brano “The Right Side Of This World” affronta temi legati alla difficoltà di trovare il proprio posto in un mondo in continua evoluzione. Qual è il messaggio principale che volete trasmettere con questa canzone?
Roberto: Credo sia sempre più difficile capire quali valori servano oggi poiché quelli di ieri risultano sorpassati e spesso molto poco etici. Personalmente faccio fatica a capire quale sia il “posto giusto” nel mondo di oggi. Abbiamo ancora bisogno di religioni, confini e razze per determinare chi siamo o basterebbe applicare buon senso e rispetto?
Andrea: Né l’uno, né l’altro. Noi “usiamo” la musica per comunicare emozioni. Non dobbiamo né vogliamo dare consigli e non mi piace l’idea di essere un semplice intrattenitore. Spero, durante tutti questi anni, di essere riuscito a creare ricordi indelebili in chi ci ascolta e che appunto abbia provato emozioni grazie alla nostra musica.
Roberto: Do consigli se richiesti, altrimenti evito. Non è il musicista che decide di diventare tale, spesso accade il contrario, ossia è la musica che viene a prenderti e tu non puoi fare altro che seguire un impulso del tutto naturale. Soldi e fama sono effetti collaterali che nulla hanno a che vedere coi redai motivi per cui suoniamo e cantiamo. È altrettanto vero che col tempo ci si rende conto l’importanza nel portare a casa la pagnotta e ti assicuro che la musica può offrire un ventaglio ampio di opzioni che però costano impegno e fatica. Non credo al fattore “fortuna” credo ci siano momenti in cui si è musicisti e intrattenitori per se stessi, altri in cui si sta dietro le quinte mettendosi al servizio di musica altrui.
Olaf: La musica per me è un linguaggio universale che trasmette emozioni e riflessioni, senza bisogno di imporsi come guida. Se qualcuno trova nei nostri testi o nelle nostre melodie qualcosa che lo aiuta o lo ispira, ne sono felice, ma non mi considero né un predicatore né un semplice intrattenitore. La musica ha il potere di evocare pensieri e sensazioni, e sta a chi ascolta decidere cosa farne.
La traccia di apertura, “Welcome Twilight”, presenta cori epici in latino. Qual è il significato dietro questa scelta e come si inserisce nel contesto dell’album?
Roberto: il brano a mio avviso aveva semplicemente bisogno di quel momento di solennità data da due fattori, la lingua latina ed il suono lirico. Il testo parla di come il covid abbia lasciato strascichi molto evidenti a livello sociopolitico e di come purtroppo il detto “si vis pace para bellum” sia tragicamente ancora attuale.
Se non erro, al momento l’unico singolo estratto dal disco è “Out of Place”, come mai avete scelto proprio questo brano e quanto ritenete che sia rappresentativo dell’intera opera?
Roberto: Il primo singolo è stato “Welcome Twilight” uscito il 5 Novembre scorso, il secondo “Out of Place” il 9 Dicembre, ed il terzo “The Right Side Of This World” uscito il 24 Gennaio insieme all’album. Questi tre brani non solo rappresentano l’album ma anche ciò che siamo oggi.
Avete già pianificato un tour a supporto del disco? Potete anticipare qualche date?
Roberto: stiamo pianificando un po’ di date che via via comunicheremo, di certo il 23 e 24 maggio partiremo da Reggio Emilia e Milano. L’intenzione è quella di affrontare un po’ di date all’estero per riprendere da dove forzosamente ci eravamo fermati nel 2020.
Questa domanda me la sono lasciata volutamente alla fine: la copertina di “In The Vanishing Echoes Of Goodbye” mostra un labirinto che si sta disintegrando, mentre il titolo stesso contiene un goodbye. C’è un significato simbolico dietro questa scelta? Dobbiamo preoccuparci per il futuro dei Labÿrinth?
Roberto: In tutta onestà non lo sappiamo neppure noi, potrebbe essere l’ultimo disco come invece la chiusura di un periodo storico che potrebbe portare ad ulteriori sviluppi. Siamo sempre molto bravi nel fare le scelte sbagliate al momento giusto o vice versa e non ce ne lamentiamo minimamente, sappiamo prenderci le nostre responsabilità anche se negli anni “qualcuno” che ci ha pesantemente remato contro c’è stato ma preferiamo pensare che la colpa sia stata nostra che lo abbiamo permesso.
Andrea: Il titolo rappresenta una visione di carattere generale. Non è un segreto che molte cose stanno svanendo in un addio. La nostra musica, la nostra storia personale trova le sue radici in un mondo che sta piano piano scomparendo dando origine ad uno nuovo che non ci rappresenta. Se questo si trasformerà anche in un nostro addio alle scene, relativamente alla produzione di nuova musica lo vedremo.
Olaf: La cover e il titolo sono sicuramente evocativi e lasciano spazio a diverse interpretazioni. Non confermiamo né neghiamo nulla, ma è vero che il futuro è sempre un’incognita. Per ora siamo concentrati sul presente, godendoci questo album e tutto quello che ne verrà.
