Tony Tears – Pains

Antonio Polidori, in arte Tony Tears, è un personaggio che ha contribuito in modo importante alla creazione del mito della scena doom italica, sia con la creatura che porta il suo nome, sia con realtà quali Zess, Abysmal Grief, Soul Of Enoch ed Helden Rune. Il suo sound oscuro, pur rifacendosi alla lezione impartita decenni fa da Paul Chain, è sicuramente tra i più riconoscibili del darksound. In occasione della ormai imminente pubblicazione per la BloodRock Records del nuovo album “Pains”, abbiamo fatto con Antonio un lungo excursus sulla sua carriera, non tralasciando, ovviamente, neanche la prossima uscita…

Ciao Antonio, o preferisci che ti chiami Tony?
Ciao Giuseppe, è lo stesso, sono due nomi di un’anima.

C’è un momento preciso in cui Antonio Polidori diventa Tony Tears?
Sì, all’ età di 12 anni. Quando sentii il bisogno di esternare le mie sensazioni, se pur “acerbe”, sensazioni legate anche ad una bisnonna guaritrice di campagna (Strega).

Facciamo un balzo indietro nel tempo, qual è il tuo primo ricordo legato alla musica e quando, invece, hai imbracciato il tuo primo strumento?
Ricordo che da bambino mi spaventava l’ album “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd, ma era una droga. Lo mettevo sempre e ricordo che sono nato da un padre musicista e con vinili dei Pink Floyd, Iron Batterfly, Led Zeppelin ecc. La musica, e soprattutto il rock, hanno suonato in me fin dalla tenera età. Lo strumento me lo ricordo benissimo: fu la chitarra acustica a sei anni, se pur non sono mai stato un chitarrista acustico, passai all’ elettrica dopo qualche anno e poi alla tastiera.

A quando risale il tuo esordio in una vera e propria band?
Risale agli stessi Tony Tears, poiché la prima timida formazione, composta da amichetti dell’epoca, risale al 1989 (un anno dopo la fondazione degli Anthony Tears).

Prima di addentrarci nella tua discografia, mi soffermerei un attimo sul genere che hai proposto principalmente in questi anni, una musica oscura che si muove tra doom e darksound di scuola italiana: come mai hai scelto questa precisa, e ben definita, linea stilistica per le tue uscite?
In realtà le band che mi/ci piacevano (e mi/ci piacciono) e a cui ci ispiriamo, anche se erano orgogliosamente italiane (Death SS, Paul Chain, The Black, Goblin, ecc.), secondo noi proponevano heavy metal oscuro a 360°. Quindi, non ci accostammo al darksound italiano, e tanto meno al doom, con l’intenzione di esserne fossilizzati. La realtà è che in quel genere sentiamo esserci una totalità musicale che riscontriamo nel nostro modo di comporre. Ovviamente, però, abbiamo anche guardato all’estero, non solo in Italia, anche se il dark metal italiano non ha rivali. Nei Tony Tears Band prevale il dark metal (preferisco chiamarlo così), mentre nel “solista” prevale l’aspetto un po’ più tipicamente italiano vecchio stile, ma che poi in realtà sono sempre i Tony Tears (i due aspetti non sono divisi). La lieve differenza sta che mentre per la band c’è più un aspetto musicale anthem da presentare sul palco, il “solista” da libero sfogo realizzando gli album totalmente da solo o al massimo con il cantante storico David Krieg (o con sporadiche ospitate). Le canzoni del “solista” volendo possono essere suonate live anche dalla band. Sono la faccia della stessa medaglia. Anche se è la band ha ed avrà sempre la priorità.

La musica è l’aspetto principale e più evidente delle tua proposta, ma quanto conta la componente filosofica e religiosa?
Tanto! Non riesco a concepire un album dei Tony Tears se non vivo le mie esperienze. Non riuscirei mai ad essere ispirato solo nella musica, se prima non lo sono passando attraverso vicissitudini spirituali/esoteriche. Ogni uscita dei Tony Tears rappresenta delle vicissitudini sentite e le uscite seguono un filo logico.

La carriera discografica dei tuoi Tony Tears parte ufficialmente con “Fears And Sensations In The Claustophobic Mirror” e “The Reality Before All”, che ricordi hai di quelle uscite pionieristiche e di quel periodo della tua vita?
In realtà, la prima demo ufficiale risale all’ anno di fondazione 1988, si intitolava “Strane sensazioni”, seguita da “Luna nera” del 1989 ed altre demo degli anni ’90. Però, sì, il primo album con un po’ più di “pubblicità” e che incorona il tragitto Tony Tears è “Fears and Sensations …”. Ad oggi “Fears…” non lo rifarei, o meglio, curerei di più l’ aspetto sonoro. Ammetto che fu registrato maluccio, anche se è l’ unico album dei Tony Tears ad essere registrato così. Ciò nonostante è un disco che ha il suo perché sia sul lato compositivo che creativo, dove vi sono tantissime astuzie musicali (riscontrate anche dalla maggior parte dei nostri fan). D’altronde molte band hanno esordito con album non proprio perfetti nelle registrazioni, eppure , sono ritenuti dei capolavori. Mi viene in mente “Into the Macabre” dei Necrodeath (che adoro) secondo me registrato anche peggio di “Fears and Sensations…” eppure è il loro album d’esordio a cui siamo tutti affezionati. “The Reality Before All”, invece, suona dark/doom ma con atmosfere elettronic/rock. Strumentale e allucinato, fu un viaggio interiore dimostratosi poi profetico sulle brutture del mondo e di ciò che sarebbe diventato di li a poco. “The Reality…” fu uno degli album “solisti” che battezzò la linea/stile profetica dell’aspetto più solista, non è facile etichettarlo, ne sono molto orgoglioso.

Poi si passa alla coppia di album con la “V”, “Voci dal Passato” e “Vortice”, due dischi che probabilmente definiscono ulteriormente il tuo sound, rendendolo più maturo, ma che tra di loro poi non sono proprio così simili. Concordi con me?
Sì, assolutamente. “Voci dal passato” è un ottimo album a mio avviso, sia a livello musicale/compositivo che come qualità audio, anche se un po’ vecchio stile. Fu anche l’ ultimo dove utilizzai la mia voce, già in quegli anni non l’allenavo più e iniziava a non piacermi (nonostante i fan ne andassero matti). Forse l’ unica cosa che rifarei di “Voci del passato” è la mia voce, ma questo non vuol dire che sono insoddisfatto, tra l’ altro “Voci…” è l’ album più ristampato dei Tony Tears, è il nostro “Life and Death” anche per tematiche. “Vortice” è il “proseguo” di “The Reality…” però con più riff dark/doom e con il cantato del mio amico, e cantante storico dei Tony Tears, David Krieg. “Vortice” è un dark metal elettronico prog oscurissimo, forse uno dei più oscuri per certi versi. Quindi, sì, due album diversi ma c’è sempre una coerenza tra i due stili proposti negli anni dai Tony Tears, da un lato il metal da palco con la band, e dall’altro il metal contaminato dall’ elettronica oscura di Goblin, Antonius Rex e qualcosa di Klaus Schulze con assoli da guitar hero oscuro.

E’ arrivato il turno delle due uscite targate Minotauro Records – “Follow The Signs Of The Times” e “Demons Crawl At Your Side” – etichetta che ha ospitato le opere di uno dei tuoi miti, Paul Chain. Che mi dici di questi due dischi?
Da qui decisi che bisognava fare il salto definitivo; ovvero avere un sound ancora migliore e iniziare ad avere oltre un cantante vero anche musicisti stabili per tornare live non solo con le band in contesti diversi ma anche (e finalmente) con i Tony Tears. Per “Follow…” andammo in studio dal nostro amico Regen Graves che, oltre realizzare il master, si prestò a suonare batteria e basso. “Follow…” è molto roboante come produzione ma è fottutamente heavy dark e le composizioni sono sublimi così come le parti più da colonna sonora stile Goblin. “Demons…” è più misterioso e pieno di finezze tecniche, più “precisino” rispetto a “Follow”, anche se comunque ne ricalca alcuni aspetti. “Follow” è il viaggio di un medium che sente la diversità tra lui ed un mondo che non gli appartiene. “Demons…” è la percezione reale delle possessioni moderne, dei veri demoni e non dei demoni narrati dalla chiesa. Con Minotauro questi due album ci aiutarono a diffondere in maniera stabile la creatura Tony Tears, ne saremo sempre riconoscenti. La rottura con la stessa fu per situazioni un po’ ambigue ma non per colpa nostra, peccato perché era un bel sodalizio, anche se oggi siamo altrettanto soddisfatti. Comunque massimo rispetto per la Minotauro.

Possiamo definire “The Wail of the Elements” l’album più atipico dei Tony Tears?
Non saprei, il giudizio è sempre individuale. Effettivamente è quello più rock “normale”, quando lo riascolto ci sento assoli molto eleganti, forse anche troppo. Però è allo stesso tempo molto darksound. Non saprei definirlo, ma poi perché definirlo? Comunque è il primo album solista, registrato, mixato e prodotto da me nel mio studio personale ad avere un’ottima produzione (non inferiore a quelli della band negli studi).

Per il momento, ci fermiamo a “The Atlantean Afterlife (…Living Beyond)”, ultima uscita ufficiale: lo consideri il tuo disco migliore, o quantomeno, quello più maturo?
Assolutamente sì! E’ l’album consacrazione dei Tony Tears. Sia a livello filosofico testuale, sia a livello musicale (compositivo e audio): è il miglior album dei Tony Tears Band in assoluto!

Prima di proiettarci sul futuro, ti andrebbe di fare una carrellata veloce sulle tue altre pubblicazioni con Zess, Abysmal Grief, Soul Of Enoch, ecc ecc?
Zess è stata una bellissima esperienza che mi fece conoscere maggiormente e a cui devo molto, così come a Renato “Mercy” e a Diego Banchero. Abysmal Grief: oltre ad aver inciso “Black Mummy” nel primo tributo dei mitici Death SS, esiste una cassetta ufficiale dove ci sono altre track con me al basso. Con gli Abysmal oltre esserci da sempre una bella amicizia, c’è da sempre una grande empatia musicale, gli uni con gli altri. Soul Of Enoch è stato (con l’ album “Neo Locus”) un coronamento della vecchia amicizia tra me ed il cantante storico dei Tony Tears Band, ovvero David Krieg. Infatti, anche se “Neo Locus” è del 2013 la maggior parte delle canzoni sono nostre vecchie song degli anni ’90 risuonate e riarranggiante meglio per l’ occasione. Tra l’altro non sono le uniche cose incise negli anni ’90 da me e Krieg che, come coppia chitarra/voce, penso di poter dire che siamo stati secondi in Italia solo alla coppia Sylvester/Chain. Comunque “Neo Locus” è un album di cui andiamo entrambi fieri. Vorrei citare anche l’ album con gli Helden Rune, che è stato il primo disco di gothic rock Italiano nel vero senso della parola. Un’esperienza che è rimasta nel mio cuore e nel cuore di molti fan.

Eccoci arrivati a “Pains”, disco che ho avuto modo di ascoltare in anteprima e che ho trovato grandioso. Non vedo l’ora di avere tra le mani la versione definitiva. Ti va di anticipare qualcosa ai nostri lettori?
“Pains”, come si intuisce dal titolo, è stato realizzato in un periodo della mia vita molto doloroso. Appena dopo l’ondata peggiore del covid, persi il lavoro, caddi in una specie di depressione (fortunatamente in forma lieve e presa in tempo), dimagrii anche abbastanza. Ero avvilito, non so nemmeno io per che cosa precisamente, piangevo fisso (non mi vergogno a dirlo. Oltre queste cose, la causa del mio “Pains” furono altre questioni non di minore importanza. Fortunatamente, l’amore per la musica, l’arte e i pochi amici mi aiutarono a superare questa fase. Ma il fatto “strano” fu che mentre “uscivo” piano piano da quella situazione, intuivo che le Entità/Energie, che mi circolavano attorno, stavano trasmettendomi qualcosa (tanto per cambiare). Sentivo che una guerra sarebbe iniziata e che avrebbe fatto diversi morti, ovviamente mi riferisco al conflitto in Ucraina. Non è un caso che la maschera da me utilizzata per le grafiche di “Pains” sia simile a quella per coprirsi le vie respiratorie (covid), però fatta di filo spinato, simbolo dei confini territoriali nelle guerre. Questi sono solo alcuni aspetti dei tanti segni arrivatemi. Questi dialoghi, segni, e altro tra me e certe Entità sono una costante nella mia vita e non ci posso fare niente. Per quello che riguarda la musica, “Pains” è un “ritorno” al darksound più tradizionale italiano, fortemente influenzato da Antonius Rex e Goblin, ma con una serie di riff più tirati che a tratti sfiorano il simil thrash dei Requiem e/o dei Death SS più duri. Infatti, è l’ ennesimo disco “diverso”, qui più incazzato. Non ce la faccio più a vedere le cose nel mondo che vanno come stanno andando e ho voluto tirare fuori tutta la “rabbia” che avevo. Forse non l’ho tirata fuori nemmeno tutta. Ho cercato di unire il darksound tradizionale ad un heavy più tirato comunque sempre oscuro. In “Pains” sono tornato dopo anni alla voce, cercando di curarla e di migliorarla il più possibile, sia nel recitato, infatti ho più recitato/declamato che cantato, sia nel cantato. Credo (spero) di esserci riuscito. L’ unica pecca (ma non è colpa mia) è che purtroppo questo album deve ancora uscire ed è fortemente in ritardo, peccato.

Al di là del nuovo disco, altri progetti all’orizzonte?
Stiamo lavorando e siamo già entrati in studio per alcune parti del nuovo dei Tony Tears Band (“Pains” fa parte più del “solista”), e posso dire che sarà un ulteriore passo avanti a “The Atlantean Afterlife”, anche grazie all’ ingresso in band del nuovo batterista Gianni “Coroner” Queirolo (batterista degli amici Damnation Gallery) , un vero mostro di bravura, tecnica e gusto. Sarà molto particolare a livello esoterico, poiché realizzato con un potente Mago/Esoterista, con il quale stiamo facendo combinare musica ed altro per la sua uscita. Sarà una “Pietra Filosofale”. Oltre questo, c’è il ritorno dei Soul Of Enoch che sarà un po’ più gothic metal \ new wave abbinato al darksound (io e Krieg vorremmo orientare più verso questo stile i Soul Of Enoch). Infine, sto cercando di portare a termine il nostro, mio e di David, “The Story Of…”, con varie cose inedite che vanno dai primissimi anni ’90 fino alla fine dei suddetti (unico periodo rimasto un po’ scoperto discograficamente eccezion fatta per “Neo Locus”). Ci sarebbe anche il disco solista di Sandra Silver, storica vocalist ex Paul Chain e seconda voce ufficiale dei Tony Tears, però l’album in questione dipende molto da lei (la musica è pronta). Ovviamente, a partire dal 10 giugno all’ Angelo Azzurro (Genova) si torna a suonare dal vivo, sperando di dare un seguito a questa data.

A Giant Echo – Resine

Sergio Todisco torna con il suo progetto A Giant Echo, non più un semplice alter ego musicale, ma una vera e propria band capace in “Resins 2” di eseguire sonorità ricche di sfaccettature e influenze che si “appiccicano” sin dal primo ascolto e non ti lasciano più…

Ciao Sergio, nel 2018 usciva “Songs By Ghosts And Machines”, cosa è accaduto da quel momento?
Ciao, piacere di conoscersi e scambiare due chiacchiere. Mi verrebbe da dire che nulla di straordinario è accaduto, rispetto al tempo che nella mia vita dedico a scrivere, comporre ed esercitarmi nella musica. Rispetto al progetto A Giant Echo, invece, è cambiato che finalmente ora c’è una band che può suonare i brani dal vivo, ci sono amici cari con cui condividere certe sensazioni suonando e, infine, le composizioni possono esulare dalla dimensione studio e prendere forma, con arrangiamenti diversi, su un palco, di fronte ad un pubblico.

Il presente si chiama “Resins 2”, un titolo che non è un semplice nome per l’album, ma quasi una dichiarazione d’intenti. Ti andrebbe di spiegare il concept che sta dietro questa seconda opera?
Sì, intendo l’album come un concept. Intanto il titolo, “Resins” (resine), è stato scelto come richiamo a qualcosa che si attacca, che ha la capacità di rimanere, che anche quando sembra essere andato via, ha lasciato traccia di sé, che si incolla quasi e non se ne va più, o non se ne va mai del tutto. Sono delle impressioni, dei sentimenti, dei sorrisi, o delle lacrime versate, legati a degli eventi, accaduti una volta, ma che in qualche modo rimangono incollati per sempre all’esistenza di chi li vive, legando in una forma particolare passato, presente e futuro dei cicli esistenziali. Così, diversi brani cominciano, hanno un’evoluzione, sembrano finire, ma poi ricominciano (un’evoluzione che si manifesta particolarmente in “Part Three”, che inizia con un’introduzione, poi si sviluppa in un altro modo, sembra finire, ma poi riprende suoni, impressioni e melodie dell’introduzione). Così anche l’arpeggio finale di “Part One”, che riemerge durante la coda di “Last Part”, a manifestare la ricomparsa di quanto è stato vissuto, ma dentro un altro contesto, sebbene quello generale (l’insieme, il contesto complessivo) sia il medesimo. Quello che si cerca di richiamare è una rievocazione di accadimenti, di sensazioni che hanno marcato la persona in dei momenti, modificandola nella sua costituzione nel tempo. I brani, allora, diventano le parti di un processo di costituzione in cui si forgia l’essenza di chi racconta, scrive e canta di questi pezzi di esistenza, dalla prima all’ultima, non necessariamente in ordine cronologico. Infatti, “Part Four” sembra non esserci, sul supporto fisico compare come sesta traccia, ma non è annoverata in copertina (qualcosa che sembra scomparsa, ma che in realtà ricompare dopo). Ecco perché le strutture hanno un ciclo che parte, cresce, muore, rinasce, finisce; o perché le melodie ritornano.

Quel “2” che appare nel disco come lo dobbiamo intendere: parte integrante del titolo oppure una semplice appendice a rappresentare che si tratta della seconda opera dei A Giant Echo?
Sicuramente è parte integrante del titolo dell’album, ed ha un significato: c’è stato un precedente di quest’album, si chiamava “Resins”, dove c’erano i prototipi di questi brani, fu la prima autoproduzione di A Giant Echo, nata da tanta ispirazione ma accompagnata da pochissime capacità e abilità e ancora meno esperienza. Nel tempo quei brani sono cresciuti, sono stati cambiati, riarrangiati, fino ad arrivare alla versione confluita in “Resins 2”.

A proposito, dobbiamo parla dei A Giant Echo oppure di A Giant Echo? Di un progetto tuo personale o vera e propria band?
Una definizione non per forza esclude l’altra, soprattutto se si guarda all’evoluzione nel tempo e ai modi di scrivere e poi di suonare live. I brani di “Songs by Ghosts and Machines”, come quelli di “Resins 2”, sono nati dalle idee di un singolo, ma poi quel singolo ha cercato persone con cui condividere e portare davanti a un pubblico le idee. Fortunatamente ho trovato delle persone e degli amici, musicisti bravissimi che hanno voluto partecipare al progetto A Giant Echo, dapprima Riccardo Bianchi alla batteria e Davide Pascarella al basso, e infine, ultimo ad unirsi, Marco Nardone alla chitarra e synth. Ora c’è una band che si chiama A Giant Echo e che può suonare i brani live; ma il songwriter singolo non è scomparso, e risponde sempre al nome A Giant Echo. Tutto quello che c’è stato e c’è, è sempre in evoluzione, e ciò che si potrà creare insieme, fra quattro musicisti, è sempre da considerarsi in evoluzione.

Torniamo al disco, pur essendo legati tra loro, i brani appaiono molto vari. Questa scelta di spaziare tra i generi e le influenze è stata una scelta nata a tavolino oppure un processo spontaneo?
Non ho studiato musica né, allargando il senso della domanda, mi sono mai posto obiettivi commerciali, quindi, tenderei a dire che le strutture dei brani non sono nate a tavolino; per altro, dal momento del concepimento a quello della sintesi finale, i brani sono cambiati. In sostanza direi che la base di partenza è assolutamente spontanea, lo sviluppo è frutto di un’esperienza di studio, ma inteso come studio ricco di istinti e influenze, e povero di nozioni. Credo che lo spaziare fra generi e influenze dipenda dalle variegate esperienze di ascolto.

I brani sono nati nell’ordine in cui appaiono in scaletta oppure hai assemblato la tracklist in un secondo momento?
All’interno del processo di creazione, credo di aver pensato in itinere all’ordine della scaletta.

“Part Four” perché hai deciso di utilizzarla come bonus e non come parte integrante del disco?
“Part Four” è decisamente diversa dalle altre, c’è molta più influenza di musica elettronica, più uso del computer e dei synth ed è nata da sensazioni più tetre rispetto ai vissuti che hanno ispirato le altre. Intendevo separarla dalle altre, e con essa ho voluto segnare la fine triste di un disegno, ma in qualche modo quella fine era prevista, immaginata in anticipo e solo dopo confermatasi come chiusura (ecco perché è segnata da un numero che la presupporrebbe in una posizione antecedente). Così come, invertendo la prospettiva, le parti del ciclo che nell’ascolto arrivano prima della fine prevista, possono rivivere ed essere immaginate anche dopo di essa.”Last Part” sarebbe la chiusura, reca con sé tracce di “Part One”, si pone in scaletta prima di “Part Four”, ma è marcata da un aggettivo che la presupporrebbe alla fine del ciclo. In sostanza, se non si capisce quale sia la fine tra “Part Four” e” Last Part”, il concetto è passato.

Proporrai le canzoni di “Resins 2” dal vivo?
Sì, e le abbiamo già proposte in due concerti, ma solo quelle cantate; per le strumentali si pone qualche difficoltà nel riadattarle in maniera soddisfacente con l’attuale formazione a quattro membri.

Le tue prossime mosse?
Scrivere, comporre, registrare, riarrangiare, suonare.

Crom – Riding into the Sun

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

Walter “Crom” Grosse (Dark Fortress) è tornato con “The Era Of Darkness” (From the Vaults), il miglior album dal debutto “Vengeance” (2008) del suo progetto epic metal Crom.

Benvenuto Walter, come è nasto il tuo nuovo album “The Era of Darkness”?
Ciao, l’intero album è stato scritto da me come già fatto in passato. Ma questa volta ho avuto l’opportunità di arrangiare le canzoni insieme al nostro batterista Tom. Questo è stato un nuovo approccio per me perché non l’avevo mai fatto prima per i Crom. Matthias Landes è un grande batterista e ha fatto un ottimo lavoro in studio. Ma con Heber abbiamo avuto il tempo di lavorare insieme alle canzoni. E penso che questo sia stato un miglioramento importante in “The Era of Darkness”.

Quanto sei soddisfatto del risultato?
Sono totalmente soddisfatto di “The Era of Darkness”! Penso che sia il miglior album dal debutto “Vengeance” e le reazioni dei fan e delle fanzine dimostrano che ho ragione. Ho riascoltato le canzoni molto spesso e non c’è niente che farei diversamente. Questo è sempre stato molto importante per me. Voglio ascoltare le mie canzoni anni dopo ed essere soddisfatto come lo ero dopo l’uscita.

Questa formazione ha debuttato nel precedente EP “Into the Glory Land”, avete sentito una maggiore affinità tra di voi durante la registrazione di “The Era Of Darkness” rispetto alla precedente release?
Ovviamente come band si cresce con ogni nota suonata insieme e ovviamente sapevo di più su come lavorare con i miei compagni di band durante i preparativi di “The era of Darkness”. Ma non abbiamo registrato insieme. Tom e io abbiamo fatto le registrazioni di batteria insieme, ma il resto delle registrazioni è stato fatto separatamente. Ho inciso tutta la musica e la voce da solo nel mio studio di casa e così ha fatto Steve con le sue parti da solista. Ma non credo che questo abbia avuto una cattiva influenza sull’album.

Quali sono le novità che avete introdotto in questo album?
Non credo ci siano molte novità in questo album. Ho solo cercato di scrivere canzoni buone e versatili come ho fatto in passato. Volevo migliorare l’interazione tra batteria, basso e chitarra e, grazie a Tom, questo è stato possibile per la prima volta nella storia dei Crom.

Come è cambiato il tuo approccio alla musica in questi anni?
È lo stesso. Secondo me non ho cambiato approccio neanche interagendo con Tom. In termini di songwriting e approccio alle canzoni, sono rimasto molto old-school. Non credo che potrei fare in altro modo.

Siete stati etichettato in un “genere” come l’epic metal, ma ti vedi come parte di questa scena in particolare?
A causa di questioni private ho perso i contatti con tutte le scene in cui sono mai stato (se mai ho fatto davvero parte di una scena). Sono stato un artista solitario per tanti anni e non ho mai avuto molti contatti con altre band, promotor o persone importanti. Ora che suoniamo live, riesco a connettermi con le persone come mai prima d’ora. Forse in futuro faremo parte di una scena. Ma sinceramente non mi interessa. Per me è importante essere soddisfatto del nostro lavoro e spero che lo siano anche i fan.

Ci sono differenze tra la versione di “Into the Glory Land” dell’EP e quella del nuovo album?
Ovviamente! È stata registrata completamente di nuovo, solo poche linee vocali sono state riutilizzate. La versione dell’EP è stata mixata dal nostro chitarrista Steve. Ma non è un tecnico del suono professionista. Ha fatto un ottimo lavoro ma ovviamente Victor dei Woodshed Studio ha saputo dare più potenza a questa canzone.

L’era delle tenebre è quella in cui viviamo?
È divertente perché mi viene fatta questa domanda molto spesso. “L’era delle tenebre” non ha alcun riferimento alla nostra attuale situazione mondiale, alla politica o all’ambiente. Non è mai stato intesa in quel modo e non ci ho nemmeno pensato nemmeno. È solo una classica creazione dei Crom legata a un mondo fantastico, al suo declino e alla sua resurrezione.

Suonerete sul palco le nuove canzoni?
Sì, in realtà già lo facciamo e continueremo a suonare altre nuove canzoni. Al nostro releas show abbiamo suonato “Into the Glory Land”, “Higher Ground”, “The Era of Darkness”, “Together We Ride”, “Riding into the Sun” e “When Will the Wounds Ever Heal”. Forse suoneremo “Heart of the Lion” e “Bridge to Paradise” anche in futuro. Ma è molto difficile trovare una buona scelta di canzoni per un concerto di 60 minuti quando hai pubblicato quattro album. E le canzoni dei Crom non durano solo tre minuti…

Walter “Crom” Grosse (Dark Fortress) is back with “The Era Of Darkness” (From the Vaults), the best album since the debut “Vengeance” (2008) by his epic metal project Crom.

Welcome Walter, how is born your new album “The Era of Darkness”?
Hi, the whole album was written by myself like I did it in the past. But this time I had the opportunity to arrange the songs together with our drummer Tom. This was a new way for me because I’ve never done this with Crom before. With Matthias Landes I had a great drummer who did a great job in the studio. But we Heber had the time to work on the songs together. And I think that this was an important improvement on “The Era of darkness”.

How satisfied are you with the result?
I am totally satisfied with the era of darkness!!! I think it’s the best album since my debut album Vengeance and the reactions of fans and zines show that I am right. I’ve listened to the songs very very often and there is nothing I would do in another way. This was always very important for me. I will listen to my songs years later and be as satisfied as I was after the release.

This line-up debuted on the previous EP “Into the Glory Land”, did you feel a greater affinity between you during the recording of “The Era Of Darkness” compared to the previous release?
Of course as a band you grow with every note you play together and of course I knew more about how to work with my band mates during the preparations of “The era of darkness”. But we didn’t record the music together. Tom and me did the drum recordings together but the rest of the recordings was done separately. I recorded the whole music and vocals all alone at my home studio and so did Steve with his solo parts. But I don’t think that this had a bad influence on the album.

What are the novelties you introduced in this album?
I don’t think there are really much novelties on this album. I just tried to write good and versatile songs like I did in the past. I wanted to improve the interaction between drums, bass and guitar and due to Tom this was possible for the first time in Crom history.

How did you change your approach to the music in these years?
It’s the same here. In my opinion I didn’t change the approach instead of interacting with Tom. In terms of songwriting and the approach to the songs, I have remained very old-school. I don’t think I could do it any other way.

You’ve been tagged into ‘genre’ such as epic metal, but do you see yourselves as part of any particular scene?
Due to private things I have lost the reference to all the scenes I’ve ever been in (if I ever really was part of a scene). I was a solo artist for so much years and I never had a lot of contact with other bands, promoters or important people. Now that we are playing gigs I get connections to people as much as never before. Maybe in the future we will be a part of a scene. But honestly I don’t care about that. It’s important for me that I am satisfied with our work and hopefully the fans also will be.

Are there differences between the version of “Into the Glory Land” on the EP and the one on the new album?
Of course!! It’s completely new recorded, only a few vocal lines were used again. The version of the EP was mixed by our guitar player Steve. But he is not a professional sound engineer. He did a great job but of course Victor from Woodshed studio knew how to give this song more power.

Is the era of darkness the one we are living in?
It’s funny because I get asked this question very often. The “Era of Darkness” should never actually have any reference to our current world situation, politics or environment. It was never meant that way and I never had this in mind either. It’s only a classic Crom fiction about a fantasy world, its decline and resurrection.

Will you play on stage the new songs?
Yes, we actually do and we will continue to play more new songs. At our release concert we played “Into the glory land”, “Higher Ground”, “The Era of Darkness”, “Together We Ride”, “Riding into the Sun”, and “When Will the Wounds Ever Heal”. Maybe We Will Play “Heart of the Lion” and “Bridge to Paradise” also in the future. But it’s very hard to find a good choice of songs for a 60 minutes gig when you have released four albums. And Crom songs don’t last only three minutes…

Bosco Sacro – Fountain of wealth

Il prossimo 10 febbraio uscirà per Avantgarde MusicGem“, il disco che sancisse l’esordio dei Bosco Sacro, band che vanta nelle proprie fila Paolo Monti (The Star Pillow, Daimon), Giulia Parin Zecchin (Julinko), Luca Scotti (Tristan da Cunha) e Francesco Vara (Tristan da Cunha, Altaj). Tutti e quattro membri della band hanno accettato di rispondere alle nostre domande…

Benvenuti ragazzi, direi di iniziare ripercorrendo i momenti che hanno portato alla costituzione dei Bosco Sacro…
Paolo: Quando Francesco, con cui ci conosciamo da molto tempo, mi ha proposto di contribuire a qualche traccia nata da lui e Luca, a cui si era già unita Giulia, ho accettato con la mia solita curiosità, ma ben deciso a non volermi coinvolgere in una band. Mi è bastato ascoltare i primi risultati per accettare di incontrarci in saletta in un giorno di estate 2021. Dopo questa giornata trascorsa a suonare è scattata una scintilla che ci ha portati pochi mesi dopo a chiuderci un weekend intero con Lorenzo Stecconi nello stesso studio in Versilia. Questo era il secondo nostro appuntamento e nasceva “Gem”.
Francesco: Io e Luca, il batterista, abbiamo un duo ambient/drone/post rock di nome Tristan da Cunha. Durante il lockdown abbiamo avuto modo di collaborare con Julinko, aggiungendo il suo cantato ad un nostro pezzo strumentale per una compilation di Electric Duo Project; il risultato ci ha entusiasmato a tal punto da voler iniziare un nuovo progetto che includesse Giulia e un quarto elemento che abbiamo individuato in Paolo, nostro amico con il quale abbiamo condiviso molte date e tour con il suo progetto solista The Star Pillow, e che ha prodotto il primo disco dei Tristan da Cunha, “Soçobrar”. Provenendo da posti diversi (io e Luca da Pavia, Giulia da Treviso e Paolo da Carrara) abbiamo iniziato mandandoci registrazioni e bozze a distanza. Nel Giugno del 2021 abbiamo finalmente avuto modo di trovarci a provare insieme ed il risultato è stato umanamente e artisticamente enorme, perché oltre ad una band è nata anche una fratellanza fra di noi.

La scelta del nome ha in qualche modo a che fare con quel posto ricco di fascino e mistero che è il Bosco Sacro di Bomarzo?
Paolo: Cercavamo un nome che richiamasse immediatamente tutti i connotati del progetto, la sacralità, circolarità, profondità, essere selvaggio, misticismo ed in generale la forte connessione con la Natura a cui, su diversi piani, ogni specie appartiene e ritorna, in un ciclo eterno. Il nome Bosco racchiudeva tutto questo e dopo diverse proposte ho suggerito un “Sacro”. Bosco Sacro descrive perfettamente la nostra essenza e la profondità del nostro suono.
Francesco: Inizialmente il Bosco Sacro era semplicemente il concetto attorno al quale fondare la nostra poetica, ma lo abbiamo mantenuto come nome definitivo dato che incarna in maniera precisa i connotati di circolarità, di scambio dei nostri linguaggi espressivi, di stupore e meraviglia, di una sacralità liquida e indefinita come un miraggio.

La band nasce nel 2020, il disco viene inciso nel 2021: come mai abbiamo dovuto attendere il 2023 per la sua pubblicazione?
Paolo: Nel 2021 nasce il nostro sodalizio scambiandoci tracce e molte molte suggestioni. Nella stessa estate ci incontriamo una prima volta per suonare tutto il giorno in uno studio. Poco dopo una seconda volta, per registrare l’album nello stesso studio. Quindi ad inizio 2022 con i mix dell’album in mano abbiamo iniziato la parte difficile, la ricerca di una label. Incontriamo ben due proposte e accettiamo quella di Avantgarde Music intorno a giugno 2022. Aggiungi i tempi tecnici e della label con le sue release già pianificate ed ecco che si arriva alla data di release il 10 Febbraio 2023.

Provenite tutti da band attive e con una certa storia alle spalle, ritenete che i Bosco Sacro siano un’entità che è la somma delle vostre esperienze musicali o che sia, invece, qualcosa che se ne distacca completamente per dar vita a un sound indipendente da ciò che avete fatto in passato?
Luca: Credo che il sound di Bosco Sacro si porti indiscutibilmente appresso qualcosa di Tristan da Cunha, Julinko e The Star Pillow perché sono ormai da anni i nostri progetti musicali individuali. Per Paolo e Giulia i loro alter ego, per me e Francesco “la nostra isola” in cui tutto sfogare e affidare a suon di drone: fanno parte di noi. Quindi per questo motivo penso che Bosco Sacro sia la somma di tutte queste esperienze vissute da noi, di tutte le nostre influenze che messe assieme danno vita a un qualcosa di nuovo mai sentito prima. Penso, infine, che la nostra musica non sia una naturale evoluzione da abbinare ai nostri singoli generi musicali ma una musica nata dalla semplice voglia di sperimentare all’interno di questo nuovo progetto/percorso che noi quattro abbiamo deciso di creare insieme, proprio per poter dar vita al “nuovo”.
Paolo: In Bosco Sacro sto esplorando e lavorando esclusivamente in un preciso range di frequenze (quelle più gravi) ed in una modalità / approccio compositiva ed esecutiva diametralmente opposta rispetto a quella degli altri miei progetti. Questo, sommato al lavoro di tutti gli altri, crea inevitabilmente un nuovo composto sonoro, pur portando in esso le nostre esperienze pregresse.
Francesco: Personalmente, come chitarrista, ho cercato di lavorare diversamente rispetto al solito, concentrandomi principalmente sull’arrangiamento melodico, dialogando e intrecciandomi con la voce di Giulia, cercando una fusione armonica. E’ un esercizio per me del tutto nuovo, provenendo da esperienze quasi esclusivamente strumentali. Il risultato generale di Bosco Sacro per me è un divenire.

Non ho i testi, ma mi par di capire che il disco sia permeato da un spirito panteista ed ecologista, è così?
Giulia: La nostra musica è contemplazione unita ad espressione, riflesso di qualcosa che sentiamo e vediamo. Non c’è una presa di posizione sul piano spirituale, sociale o politico che unisca i nostri intenti. L’istinto a cui rispondiamo è quello di liberare qualche scintilla della vastità che ci abita e ci percorre in ogni momento, legando il nostro spazio più intimo all’ ”altro”, all’ ”esterno”, agli altri corpi organici ed elementari che abitano questo mondo in cui viviamo, anche all’immateriale che non si può vedere. L’osservazione della natura e l’amore non sofisticato per quest’ultima, sono la base per questo movimento: i testi che ho scritto fanno riferimento ad esperienze vissute a stretto contatto con essa ed hanno origine dalla convinzione che l’uomo non sia una creatura qualitativamente e cognitivamente superiore a piante, pietre, acque. Dunque più che uno spirito panteista lo definirei pan-psichico, e più che uno spirito ecologista lo chiamerei semplicemente, naturalista.

Mi soffermerei sull’uso della lingua, per esempio la tracklist contiene titoli in inglese, italiano e francese, a cosa è dovuta questa scelta?
Giulia: Da tempo m’interrogo sulla possibilità di liberare il mio canto dal vincolo della parola, dalla logica del significato, per far fiorire il suo afflato più essenziale, quello di essere aria, suono e nient’altro: puro innalzamento, puro abbandono. Inizialmente per Bosco Sacro avevo pensato che potesse essere questa la via da percorrere, poi nella pratica mi sono ritrovata a muovere le labbra e i muscoli del diaframma anche per descrivere qualcosa, veicolare dei nuclei di immagini che potessero essere comprensibili ai molti. Tutti i testi sono scritti in inglese, tranne uno, “Les Arbres Rampants”, un brano nato e composto quasi ad impromptu che esigeva la musicalità del francese e non un’altra, un fattore che ha anche trasformato, per quell’episodio, il mio modo di cantare. Queste presenze linguistiche sommate al nome del gruppo ed omonima title-track “Bosco Sacro”, mi hanno riportata – seppur per via opposta – verso l’istinto iniziale che avevo avvertito, quello di sconfinare rispetto ad un codice linguistico fisso, andando verso la creazione di uno spazio che potesse ospitare una piccola fusione di impressioni e risonanze, provenienti da realtà metafisiche diverse.

Il titolo, “Gem”, a cosa fa riferimento?
Giulia: Avendo creato un ambiente linguistico misto (pur sempre umilmente restando nella nostra micro-area di ascendenza latino-greca), “Gem” è una parola che irradia due significati e due immagini diverse in lingue distinte. In inglese, il termine derivante dall’antico francese indica solamente la pietra preziosa, mentre sappiamo che in latino, come anche in italiano corrente, con “gemma” si indica il primo germoglio di una pianta, oltre che un prezioso oggetto minerale. Questa ambivalenza di allusione viene rappresentata dall’immagine di copertina creata da Carlo Veneziano, dove viene suggerito anche un legame simbolico ed alchemico tra i due: scavando ancora più a fondo, l’etimologia greca della radice della parola ci rimanda a significati come “essere pieno/a”, “generare”, “ produrre”… (ecc). Per noi, “Gem” è una pietra preziosa che si è materializzata nella nostra strada a partire da un piccolo germoglio, un’intuizione semplice e proliferante, che ci porta a viaggiare insieme in un percorso fatto di scie, gallerie, reticoli e riflessi… una dimensione sonora che equivale a quella dell’anima.

Porterete dal vivo “Gem”? E secondo voi quale sarebbe la location migliore per ospitare i vostri show?
Paolo: Quella del live è una dimensione sacra. Bosco Sacro trova in essa il suo habitat naturale e si sviluppa, anche su disco, proprio grazie all’intesa come live band. Sebbene di fatto non avessimo mai suonato insieme, è come se lo avessimo sempre fatto, e magari è proprio così. Anche se ognuno di noi proviene da rispettivi progetti ed esperienze, Bosco Sacro è di fatto una nuova band e come tale si è scontrata con la solita indifferenza degli “addetti ai lavori”, mentre ha ricevuto fin da subito grande supporto ed interesse dalla gente della nostra scena e questo non può che renderci veramente felici e motivati. Curo da sempre la gestione dei miei tour e concerti, e devo riconoscere che ho visto un imborghesimento ingiustificabile di molti booking: prima erano parte di uno stesso giro sopra, sotto, dietro il palco alimentandone curiosità, facendosi promotori di stimoli e contaminazioni, adesso hanno creato un divario, cedendo alla tentazione di lavorare con artisti di fama o di certi giri esclusivi. Stesso discorso vale anche per Festival e, peggio ancora, per molti promoter. Vorrei chiedere a questa gente cosa farebbe adesso se gli spazi di 10, 15 anni fa avessero ragionato allo stesso loro modo di adesso. Detto ciò, con non poca fatica, abbiamo chiuso in totale autonomia un primo tour italiano e, a seguire, un primo tour europeo. La location migliore è quella in cui riuscire ad esprimere pienamente il nostro suono insieme ad un pubblico disposto a lasciarsi andare completamente insieme a noi.

Cosa vi aspettate da questo 2023 segnato dal vostro esordio discografico?
Paolo: Ci auguriamo di poter suonare “Gem” ovunque sia possibile farlo. Ringraziamo la nostra label, Avantgarde Music, composta da grandi professionisti e persone coraggiose che amano quello che fanno e creano nuovi stimoli: esattamente l’opposto delle persone di cui parlavo prima.

Necrodeath – Gang fight

Gli stralci di violenza nati dalla mente di Anthony Burgess, e magistralmente riportati su celluloide da Stanley Kubrick, da più sessant’anni alimentano i nostri incubi metropolitani. I Necrodeath, che negli incubi ci sguazzano da sempre, non potevano esimersi dal rileggere a proprio modo “Arancia meccanica”, così hanno dato alle stampe un disco ruvido, violento e senza compromessi dall’emblematico titolo “Singin’ in the Pain” (Time to Kill Records \ Anubi Press). Peso e Flegias ci hanno raccontato l’ultima scorribanda della propria gang…

Bentrovati ragazzi, la nostra ultima chiacchierata risale ai tempi dell’EP “Neraka” nel 2020. Dopodiché avete pubblicato nel marzo del 2022 il primo singolo da “Singin’ in the Pain”, “Transformer Treatment / Come to the Sabbath”. Come mai è passato quasi un anno tra quell’uscita e l’album definitivo?
Peso: In effetti forse neanche noi ce ne siamo resi conto che è passato così tanto tempo, un po’ perché siamo una band libera e insieme alla nostra etichetta avevamo comunque deciso di far passare l’estate e un po’ perché ci sono stati dei problemi di copyright che abbiamo dovuto gestire e alla fine l’uscita è stata ridefinita per il 13 gennaio del 2023. Ora finalmente è on line e disponibile nelle versioni fisiche cd, vinile e cassetta.

Come è nata l’idea di scrivere un concept album dedicato a quel capolavoro che è “Arancia meccanica”?
Flegias: L’idea è nata da Peso, dopo un periodo in cui è andato in fissa con il film per parecchio tempo. Se l’è assimilato in tutte le sue sfumature e aveva chiaramente in testa la struttura dell’album. Quando ce l’ha proposto ne siamo rimasti tutti entusiasti. Come si fa a non amare quel film? Ovviamente l’argomento principale è la violenza che ben si sposa con il genere che suoniamo… tutto filava perfettamente.

Siete partiti dal libro o dal film per creare il canovaccio su cui si regge il disco?
Flegias: Dal film sicuramente.

Il dover seguire una linea tracciata da un altro autore, cambia il modo di lavorare in studio oppure alla fine la fase compositiva in sé trascenda da quella che è la trama?
Flegias: A parte alcuni spunti dettati dalla forma puramente lirica, ci siamo mossi liberamente come facciamo di solito. Il fatto che le tematiche riguardino questo o quell’altro argomento non influenza il nostro stile e la nostra musica.

Vi crea un po’ di ansia il sapere che là fuori ci sono fan sfegatati di “Arancia meccanica” pronti a vivisezionare il vostro album per certificarne l’adeguatezza all’opera originale?
Flegias: No. Ben vengano le critiche ma se riguardano l’argomento trattato soprassediamo. Come ti dicevo prima il concept è solo un pretesto per fare la nostra musica. L’ansia, se così vogliamo chiamarla, piuttosto può riguardare l’aspetto puramente musicale dell’intero album.

A proposito di tributi, anni fa siete stati voi oggetto di un tribute album, come avete trovato quelle reinterpretazioni dei vostri brani?
Flegias: Tutto è stato molto gratificante. Ci ha fatto sentire più importanti di quello che siamo e saremo eternamente grati a chi ci ha voluto omaggiare. Quando tu conosci alla perfezione i tuoi pezzi, pensi che possano esistere solo così, invece grazie a questo tributo ho aperto gli occhi a nuove chiavi di lettura dei Necrodeath.

Come è stato lavorare con con Tony Dolan dei Venom Inc. e con Eric Forrest degli E-Force\Voivod?
Flegias: Grandioso! Hanno fatto un egregio lavoro che è andato oltre qualsiasi aspettativa. Tony lo avevamo già collaudato con il nostro singolo “Headhunting”, insieme a Mantas ma qui avevamo bisogno delle sue doti di attore ed è stato veramente formidabile. Con Eric invece avevamo già avuto modo di sentirlo sia in sede live che sul CD tributo poc’anzi menzionato; ha una voce formidabile che mi fa provare non poca invidia ah ah ah…

Copertina censurata: vostra scelta per evitare guai oppure vi è stata imposta?
Peso: La copertina censurata è stata una nostra scelta più che altro per rendere omaggio a Kubrick che ha dovuto subire la censura forzata in Inghilterra per oltre 20 anni del film. Da un altro punto di vista quando abbiamo proposto l’idea alla Time to Kill, hanno accettato volentieri, anche perché forse la cover vera è un po’ forte… anche se a mio avviso è molto ironica in realtà, ma qualche distributore avrebbe potuto storcere il naso.

Siete pronti a portare il disco dal vivo? Lo proporrete nella sua interezza o solo dei brani?
Peso: Non lo so, ci stiamo pensando. Devo dire che non possiamo tralasciare certi pezzi di “Into the Macabre” o di “Fragments of Insanity”, senza contare anche l’importanza che ha per noi “Mater of All Evil”, l’album della reunion con l’ingresso di Flegias nella band. Con oltre 100 canzoni scritte in questi quasi 40 anni la scaletta è sempre dura da decidere, ma alla fine sappiamo che non potremmo mai rinunciare a pezzi come “Mater Tenebrarum”, per farti un esempio…

Godwatt – Il terzo rintocco

I Godwatt ci hanno messo un po’ – a causa di fattori interni, cambio di line-up, ed esterni, restrizioni covid in primis – per tornare tra noi. Ma quando l’hanno, l’hanno fatto a modo loro, con una vagonata di riff pensanti e oscuri. E’ toccato a Moris Fosco il compito di presentarci il nuovo album “Vol III” (Time to Kill Records \ Anubi Press).

Benvenuto Moris, ai tempi della pubblicazione di “Necropolis”, vi chiesi da quale lavoro dovessimo iniziare a contare i vostri dischi, dato che in precedenza vi chiamavate Godwatt Redemption e avevate testi inglese, e tu mi rispondesti: “I nostri album dobbiamo contarli dal demo precedente a “The Hard Ride…””. Come mi spieghi, allora, quel “Vol. III” che dà il nome alla vostra ultima fatica?
Intanto grazie per averci di nuovo cercato per questa intervista! “Vol. III” indica semplicemente il terzo lavoro ufficiale della band uscito per una label, poiché tutti i dischi precedenti a “L’ultimo sole” del 2015 sono autoprodotti.

Mi pare che in generale “Vol. III” riprenda una certa oscurità che in parte avevate “diluito” in “Necropolis”, è così?
Sinceramente io trovo molto oscuri, anche se in maniera diversa, tutti i nostri ultimi tre dischi soprattutto se paragonati ai nostri primi lavori autoprodotti dove forse l’impronta stoner era un po’ più marcata. Devo ammettere inoltre, che ogni nostro disco, anche se può essere considerato stoner doom come genere, abbia caratteristiche diverse l’uno dall’altro, sia per la composizione che per la produzione in generale. Ogni disco ha un suono, una sua caratteristica, un suo groove, anche se l’impronta Godwatt si riconosce comunque.

Il vostro terzetto non è mai cambiato, almeno sino ai giorni successivi alla pubblicazione di “Necropolis”. Come sono andate le cose?
Purtroppo è proprio così poiché nel 2018, dopo pochi mesi dall’uscita di “Necropolis”, il nostro batterista storico Andrea Vozza per motivi diversi decise di lasciare la band. All’inizio non fu facile, dopo circa 12 anni di convivenza, cercare un altro batterista, sia perché eravamo e siamo ancora grandi amici e sia perché avevamo ormai un’intesa collaudatissima da anni sul palco. Questa cosa non ci permise di promuovere nella maniera idonea il disco poiché dovemmo fermarci e cercare un nuovo batterista. Dopo qualche avvicendamento, comunque, nel settembre del 2019, quindi circa un anno dopo, abbiamo ritrovato la quadratura del cerchio con l’ingresso in pianta stabile di Jacopo Granieri. Anche se proveniente da ascolti e esperienze diverse, nel giro di poco tempo è riuscito ad entrare nei meccanismi della band, tanto che pochi mesi dopo, ci siamo catapultati in studio per iniziare le registrazioni di “Vol. III”.

Il disco si apre con “Signora morte”, che se non erro è stato anche il primo singolo estratto da “Vol. III”, credi che sia il brano che oggi vi rappresenti al meglio?
Sicuramente è uno dei brani del nuovo album che noi preferiamo suonare dal vivo e comunque credo ci rappresenti anche bene, dato che ha una parte heavy iniziale e una parte stoner-doom finale che in definitiva sono un po’ le nostre caratteristiche principali.

Tra le vostre due ultime pubblicazioni sono scoppiate una pandemia e una guerra sul territorio Europeo. Nei vostri testi avete sempre trattato temi come la morte e la disperazione, ma questi anni particolarmente ricchi di eventi nefasti hanno in qualche modo cambiato la vostra percezione della morte?
Di sicuro non hanno portato gioia e solarità nei nostri testi… Anche se devo ammettere che non mi hanno influenzato più di tanto, dato che avrei comunque parlato di certe tematiche perché penso che si adattino alla perfezione alla nostra musica, che di base è negativa e oscura.

Restando in tema pandemia e guerra in Ucraina, i costi dei tour sono notevolmente aumentati in questi anni: quanto è dura per un gruppo come il vostro organizzare oggi delle date?
Sicuramente questi eventi catastrofici non ci aiutano affatto e organizzare date è diventato veramente difficile dato che le spese per i gestori/organizzatori sono aumentate a dismisura e quindi di conseguenza chiamare una band, specialmente se proveniente da lontano, diventa una spesa non sempre sostenibile. Speriamo comunque di poter riuscire a suonare il più possibile, come spiegavo precedentemente abbiamo avuto periodi di stop forzato per cercare un batterista prima e, come tutti, le restrizioni per covid successivamente.

Nonostante questi fattori critici, avete dei concerti in programma?
A Marzo suoneremo al Roma Caput Doom Fest, abbiamo una data a Latina ad Aprile e una in Puglia da confermare. Stiamo comunque lavorando per organizzarne altre.

Avete già proposto i nuovi brani dal vivo e quali sono stati i riscontri?
Si abbiamo realizzato un release party suonando tutto “Vol. III “ed è stato accolto alla grande dal pubblico anche, se un paio di brani venivano eseguiti dal vivo già da un po’ di tempo. In generale, dalle recensioni, come anche dai social, sembra che il disco stia piacendo molto e non vediamo l’ora di farlo ascoltare il più possibile.

In chiusura vorrei tornare nuovamente alla nostra intervista del 2018: in quell’occasione mi parlaste di un brano escluso da “Necropolis” per la sua lunghezza e che nelle vostre intenzioni sarebbe dovuto poi andare a finire in un futuro EP. Che fine ha fatto quel pezzo? Avete ancora intenzione di fare un EP?
Che memoria! Quel pezzo è rimasto purtroppo nel cassetto… almeno per ora! È stato registrato con il vecchio batterista e aveva una produzione diversa da quella di “Vol. III”, quindi sarebbe da registrare nuovamente magari per una prossima uscita.

Cancervo – La montagna sacra

Un paio d’anni fa ha fatto la propria comparsa nella scena doom nostrana una nuova e interessante creatura. I lombardi Cancervo, nel giro di due dischi, sono stati capaci non solo di attirare le attenzioni degli amanti delle sonorità più fumose e lisergiche, ma anche di variare il proprio sound da un doom\stoner strumentale dal taglio psichedelico a un doom più tradizionale con voce e rimandi alla scuola italica . “II” (Electric Valley Records \ Qabar Pr) è fuori da qualche giorno, ne abbiamo discusso con il bassista\cantante Luca.

Benvenuto Luca, anche se potete contare già due album nella vostra discografia, la band è di recente formazione, per questo ti chiederei di ripercorre velocemente la vostra storia a vantaggio di chi ancora non vi conoscesse…
Ciao, nasciamo come Cancervo ad inizio 2020, dopo qualche cover per trovare il giusto feeling, proviamo ad inviare il nostro primo brano (“Darco”) ad Electric Valley Records. Sorprendentemente il pezzo piace e ci accordiamo per l’uscita di “I” che vede la luce a febbraio 2021. Persuasi dal buon feedback ricevuto per il nostro LP d’esordio, concordiamo, sempre con Electric Valley Records, l’uscita del nostro secondo album “II” per Gennaio 2023.

Un elemento che colpisce immediatamente è il vostro nome, ti andrebbe si piegarne il significato?
Il nome proviene dalla montagna che domina la nostra valle. In passato i suoi boschi venivano incendiati per rigenerare i pascoli per gli anni a venire. Questo ci ha dato l’ispirazione per “prendere in prestito” il nome e scrivere il nostro primo singolo.

Alla luce di ciò, quanto la natura che vi circonda vi influenza al momento della composizione dei vostri brani?
Tanto. Conosciamo i nostri territori e le loro leggende, esploriamo e cerchiamo inspirazione in tutto questo. Una volta immersi in una di queste storie cerchiamo di metterla in musica preservando quelle emozioni.

Tra la pubblicazione di “I” e “II” è passato relativamente poco tempo, c’è qualcosa che non è stato utilizzato nel primo disco che poi è andato a finire nel secondo?
Assolutamente no. Anzi “I” è stato completato con la nostra versione di una delle cover che all’epoca proponevamo live (“Swlabr”). Forse proprio questa canzone ha segnato lo spartiacque per giungere poi al secondo album.

Come dicevo, tra i due dischi non è che ci passi molto tempo, eppure “I” mi sembra più orientato sullo stoner\doom, mentre “II” in molti frangenti mi pare più vicino alla tradizione doom italiana: sei d’accordo con me?
Pienamente d’accordo, il primo album è fortemente influenzato dal prog-rock inglese degli anni ‘60/’70, Cream e King Crimson in testa. Nel secondo invece non sappiamo bene quale sia stata la nostra fonte d’ispirazione, diciamo che forse siamo stati meno influenzati e abbiamo trovato il nostro sound e la nostra via..

Altra novità importante in “II” è il ruolo della voce, del tutto assente sull’esordio e invece presente su questo disco: a cosa è dovuto questo cambio stilistico?
Un caro amico ci disse “se non avete nulla da dire (cantare) meglio non dire nulla”. Sacrosanta verità! Non abbiamo mai voluto autoimporci la presenza o no della voce. Nel primo album siam riusciti ad esprimere tutto con la sola musica, mentre in ”II” è stata essenziale per dar forma a certe sfumature.

Ho fatto un giro su Bandcamp e ho scoperto che l’edizione in vinile del vostro esordio è esaurita in tutte le sue varianti fisiche. Sono previste delle ristampe, magari per la prima volta in CD, dato che in precedenza lo avete pubblicato solo in digitale e vinile?
A grande sorpresa è andato completamente sold-out ed il secondo lavoro è arrivato subito senza farci pensare ad un’eventuale ristampa. Ad oggi la escludiamo, ma mai dire mai…

Invece, “II” in quali formati uscirà?
Anche “II” è previsto in digital e vinile, ma con una tiratura di 500 pezzi.

Dalla vostra pagina FaceBook ho appreso che nel mese di marzo farete alcuni concerti all’estero e in Italia, possiamo aspettarci altre date?
Stiamo lavorando ad altre date della tournee europea che ci occuperà metà mese di Marzo. In parallelo stiamo finalizzando un evento per il mese di Febbraio, in compagnia degli amici Humulus e di una nota band tedesca, ed uno per il mese di Aprile ancora tutta da imbastire. Per l’estate c’è ancora tanta indecisione, “III” sta prendendo forma e la voglia di pubblicarlo ad inizio 2023 è forte…

Ahab – 20000 leagues under the sea

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

Forse era scritto nelle stelle che prima o poi gli Ahab e il capolavoro di Jules Verne “20000 leghe sotto i mari” si sarebbero incontrati. “The Coral Tombs” (Napalm Records \ All Noir) è l’ennesimo grandioso incubo marino partorito dalla band tedesca, ne abbiamo discusso con il batterista Cornelius.

Ciao Cornelius, dopo il vostro precedente acclamatissimo album “The Boats Of The Glenn Carrig”, avete impiegato otto anni per pubblicare un nuovo disco. Avete sentito il peso della responsabilità di garantire un grande successore al vostro quarto album?
Assolutamente! All’inizio sembra sempre un peso. Registriamo e pubblichiamo solo musica di cui siamo convinti al 100%. I nostri album sono sempre il meglio che siamo in grado di offrire in quel preciso momento. Quindi quando pubblichiamo qualcosa, mi capita sempre di pensare “come mai faremo a incidere di nuovo un album che sia figo come questo?”. Avverto una responsabilità nei nostri confronti, in primis. Avere una band perde ogni significato non appena smetti di sfidare te stesso. E sfidarci significa scrivere canzoni che ci piacciono, in primo luogo. Che siano passati otto anni questa volta non ha cambiato tutto questo, almeno fino alla data in cui abbiamo seriamente iniziato a scrivere le nuove canzoni di “The Coral Tombs”.


“The Coral Tombs” è ispirato al capolavoro di Jules Verne “20000 leghe sotto i mari”, era scritto nelle stelle che prima o poi la vostra musica e questo capolavoro letterario si sarebbero incontrati, sei d’accordo con me?
Beh, sì, haha… Anche seo libro è in circolazione da un bel po’ di tempo, tutti noi siamo stati affascinati dal film Disney nella nostra infanzia. Ma la storia non sembrava dare spazio a riff distorti e a grugniti death metal. Questa opinione è cambia quando abbiamo letto il libro. Quindi, ancora una volta, abbiamo avuto la la prova che la lettura aiuta.

Durante i tuoi tour passati, hai mai visitato Les Machines de l’île a Nantes, l’isola dove alcuni artisti hanno costruito le fantastiche macchine di Verne?
Hmmmm, aspetta…. Nel nostro tour con Mammoth Storm e High Fighter siamomstati a Nantes. Ho dovuto mandare un messaggio agli altri membri della band per scoprirlo. Secondo loro, Chris e Stephan ci sono andati. Daniel ed io eravamo ovviamente ubriachi… Ma non ho prove certe, posso solo fare affidamento su quello che mi è stato detto, haha!

Un giochetto veloce veloce: Melville o Verne?
Melville!

Cosa è arrivato prima, il tuo amore per la letteratura o per la musica?
Questa è in realtà un’ottima domanda. Ricordo che nella mia infanzia ho letteralmente divorato libri. Ma la musica è sempre esistita, quindi davvero non posso dirlo. Ma entrambe sono state con me sin dalla prima infanzia, questo è certo!

Dal punto di vista musicale questo è forse il tuo album più vario ma anche il più estremo…
Penso di sì, sì. È un po’ presto per parlare dell’album nella sua interezza, perché non ne ho ancora una visione personale. Ma pensando a quello che abbiamo fatto musicalmente, immagino che sia, in effetti, il più vero.

Come sono nate le collaborazioni con Chris Noir di Ultha e Greg Chandler di Esoteric?
Stavamo cercando una voce che offrisse un netto contrasto con quella profonda di Daniel per l’intro. Poiché ci piacciono le urla assolutamente disperate di Chris, gli abbiamo semplicemente chiesto se gli sarebbe piaciuto contribuire al nostro album. Greg Chandler è un amico di lunga data degli Achab. Gli Esoteric hanno avuto una grande influenza sugli Achab, specialmente durante il periodo della fondazione. Quindi era solo una questione di tempo prima che accadesse un qualcosa di simile a questa collaborazione.

Durante il tour di quattro date di novembre, avete suonato le nuove canzoni? Come hanno reagito i vostri fan?
Sì, abbiamo suonato “Colossus of the Liquid Graves” e “Mobilis in Mobili”. Alla gente pare che siano piaciute molto. In generale posso dire che ci sono alcune canzoni nel nuovo disco che sembrano funzionare molto bene sul palco.

Quali sono i vostri prossimi appuntamenti dal vivo?
Il 14 gennaio terremo il release party di “The Coral Tombs” in una chiesa a Braunschweig, in Germania. Abbiamo alcune date confermate e altre che sono in contrattazione, proprio ora. Ad essere onesti, ho dimenticato quali sono confermate e quali no. Quindi immagino che sia più facile per voi controllare sulla nostra homepage ahab-doom.de, haha…

Perhaps it was written in the stars that sooner or later Ahab and Jules Verne’s masterpiece “20,000 Leagues Under the Sea” would meet. “The Coral Tombs” (Napalm Records \ All Noir) is yet another great marine nightmare born from the German band, we discussed about it with the drummer Cornelius.

Hi Cornelius, after your much acclaimed album “The Boats Of The Glenn Carrig”, you needed eight years, to release a new record. Did you feel the weight of responsibility to grant a great follow up to your fourth album?
Absolutely! It always feels like a weight at first. We only record and release music we are 100% convinced by. Our albums always are the best what we are able to deliver at this very point in time. So when we release something it´s always the same that I think “how are we ever gonna make an album again that is as cool as this one?”. I feel a responsibility for ourselves, in the first place. Having a band loses its point as soon, as you stop challenging yourselves. And challenging means writing songs we like ourselves, in the first place. That it has been eight years this time didn’t change, until the date when we seriously started writing new songs for “the Coral Tombs”.

“The Coral Tombs” is inspired by Jules Verne’s masterpiece “20000 Leagues Under The Sea”, It was written in the stars that sooner or later your music and this literary masterpiece would meet, do you agree with me?
Well, yes, haha… This book has been around for quite some time, actually. All of us have been fascinated by the Disney movie in our childhoods. But the story never seemed to give room for heavily distorted riffs and death metal grunts. This changed, when we read the book. So, again, there is proof that reading helps, in fact.

During your past tours, have you ever visited Les Machines de l’île in Nantes, the island where some artists built Verne’s fantastic machines?
Hmmmm, wait… On our tour with Mammoth Storm and High Fighter we were in Nantes. …I just had to text my bandmember to find out. According to them, Chris and Stephan were there. Daniel and me were drunk obviously… But I have no proof here, I have to rely on what I was told, haha!

Just a little game: Melville or Verne?
Melville!

Did your love for literature or music come first?
This is actually a very good question. I remember that I literally swallowed books in my childhood. But music always had been around, so I really can´t tell. But both of them have been with me since early childhood, that´s for sure!

From a musical point of view this is perhaps your most varied album but also the most extreme…
I think so, yes. It is a little bit early to talk about the album in its entireness, because I don´t have the personal distance to it, yet. But thinking of what we did here musically, I guess it is, in fact, the most veried one.

How did the collaborations with Chris Noir of Ultha and Greg Chandler of Esoteric come about?
We were looking for voice that delivers a harsh contrast to Daniel deep voice for the intro. For we like Chris´ utterly desperate screams we just asked him if he´d like to contribute to our album. Greg Chandler has been a long term friend of Ahab. Esoteric have been a major influence on Ahab, especially during the founding time. So it was just a matter of time until something like this collaboration would happen.

During the November four dates tour, did you play the new songs? How did your fans react?
Yes, we played “Colossus of the Liquid Graves” and “Mobilis in Mobili”. People seemed to like them very much. Generally I can say that there are quite some songs on the new record wich seem to work very well on stage.

What’s about your next live dates?
On January, 14th will play a release show for “the Coral Tombs” in a church in Braunschweig, Germany.We have a few confirmed dates and some more that are being discussed, right now. To be honest, I somehow lost, wich ones are confirmed and wich arent´. So I guess, it´s easiest to check our homepage ahab-doom.de, haha…

Mater A Clivis Imperat – Memorie dal luogo atroce

Italiani popolo di santi, poeti e navigatori… ma non solo. Se c’è un qualcosa che sappiamo fare meglio degli altri, anzi direi meglio di tutti, è quel sound che unisce magistralmente progressive rock e sonorità oscure. Lo abbiamo fatto in passato con Jacula, Goblin, Devid Doll, lo facciamo ancora, senza paura di confronti con i nomi citati, con Il Segno del Comando, L’Impero delle Ombre e i più recenti Mater A Clivis Imperat. Capeggiata da Samael von Martin (Evol\Death Dies), questa misteriosa orchestra ha tirato fuori una delle cose più belle del 2022, quel “Atrox Locus” (Black Widow Records) che ha attirato da subito le attenzioni degli amanti di certe sonorità…

Benvenuto Samael, i Mater A Clivis Imperat, pur essendo nati non molti anni fa, hanno alle spalle una storia iniziata molto prima, quasi che una forza misteriosa, attraverso vari progetti, ti abbia poi portato a comporre “Atrox Locus”. Ti va di ripercorre le tappe principali di questa epopea?
I Mater a Clivis Imperat si formano grazie alla mia passione per la musica progressive italiana anni 70 di band quali Goblin, Jacula, Biglietto per L’Inferno e dei compositori Ennio Morricone e Fabio Frizzi. I Mater a Clivis Imperat sentono anche una forte influenza dei loro conterranei veneti Devil Doll, dei quali sono grandi estimatori. Il concetto dell’opera è stata abbozzata più di 10 anni fa, nel lontano 2008, ma poi accantonata a causa degli impegni con le band che tra incisioni e concerti, mi hanno lasciato poco tempo per la lavorazione conclusiva. Proprio mentre sostituivo temporaneamente il chitarrista dei Deusdiva, una hard rock band padovana, nel 2011, vengo a contatto con la cantante Isabella che decide di prestare la voce per portare a termine il progetto, che si intitolerà “Atrox Locus”. In origine ispirata a temi dell’orrore ma nel corso degli anni, sviluppata in maniera esoterica. Nel periodo di marzo – aprile 2020 ho lavorato a capofitto per terminare le composizioni e per farlo mi sono avvalso, oltre che della voce di Isabella, anche della Soprano Elisa Di Marte, dell’organista Milanese Alessio Saglia e di una sua collega Natalia Brankovic al pianoforte, con la quale lavora in ambiente sanitario. Dopo l’estate 2020, con tutto il materiale musicale mi recato agli Giane Studio di Padova per registrare la voce principale, i canti gregoriani e per mixare. Le musiche assumono un connotato sempre più occulto, nonostante le composizioni non siano per forza sempre oscure, rivelando un qualcosa di macabro, costantemente. Le influenze musicali oltre a provenire dall’ambito italiano, sono frutto della passione per la musica dei Black Sabbath, dei Coven, dei Black Widow e molti altri. Le liriche trattano di antichi racconti popolari detti anche “Racconti del filò” e narrano di leggende e superstizioni ancorate nelle magiche terre dei colli Euganei il tutto visto attraverso gli occhi della band.

Ti andrebbe di presentare, in maniera più approfondita, la formazione che ha inciso il disco?
Il disco è stato da me composto, pensato e mi sono occupato delle parti di chitarra, basso alcune tastiere e vari effetti, Hanno collaborato alla sua realizzazione Tomas Contarato, Isabella, Natalija Brankovic e Alessio Saglia. Tomas è un batterista preparato versatile nei vari generi musicali. Isabella, oltre ad essere una cantante strepitosa, ha una sensualità nel parlato che fa venire i brividi. E’ stata la cantante dei Deusdiva e dei Kolossal. Natalija Brankovic si è occupata del pianoforte ed è un personaggio particolarmente oscuro e stravagante. Alessio un ottimo tastierista, attualmente suona con Maurizio Vandelli. Come special guest si è occupata del cantato lirico Elisa Di Marte, noto soprano delle mia terre e molto dotata.

E’ pure vero che tu sei la mente principale, ma quale contributo hanno dato i diversi membri alla composizione dell’opera?
Inutile dire che anche involontariamente, ognuno dei membri ha contribuito alla realizzazione del lavoro mettendoci del proprio. In “Atrox Locus” ho richiesto le esecuzioni o scritto le partiture in maniera dettagliata ma nel prossimo lavoro ho lasciato loro un maggior campo di espressione tanto da aver fatto crescere ed arricchire l’opera che vedrà la luce il 31 ottobre 2023. Il lavoro di Alessio è notevole come lo sarà per il nuovo chitarrista piemontese che ha collaborato al disco. Tutto è al proprio posto e il nuovo lavoro vedrà la presenza di ospiti famosi nel campo del progressive italiano.

Possiamo considerare “Atrox Locus” un canonico concept album oppure si tratta di brani a se stanti ma legati da un filo comune?
“Atrox Locus” è entrambe le cose: ovvero un concept album ma non in modo convenzionale. Quindi, come dici tu, si parla di brani a se stanti ma legati da un filo conduttore. Le liriche narrano delle leggende popolari dei colli Euganei viste attraverso gli occhi di tre streghe (allegorie della natura) mentre di collina in collina viaggiano attraverso ville storiche in rovina fino ad approdare al monastero del monte Venda per adorare l’oscura Madre che domina dalle colline, il tutto tra leggende e folklore padovano. Per quest’opera mi sono ispirato si alle fole esoteriche delle mie campagne ma anche ai racconti del filò che si svolgevano nelle stalle fino ai primi anni 80, periodo nel quale mi trasferii dalla città alla periferia.

Musicalmente avevi già un’idea del disco? Sapevi che avrebbe giocato con le influenze di Jacula, Requiem, Goblin e dei maestri della tradizione cinematografica italiana?
Musicalmente come ho detto prima, il progetto nasce nel 2008 e naturalmente le influenze sono sempre le stesse che mi accompagnano dai tempi degli Evol… Diciamo che con questi ultimi masticavo pane, Celtic Frost e Goblin, mentre per quanto riguarda i Mater a Clivis Imperat ho dato sfogo alla mia passione musicale che tanto amo ovvero il progressivo italiano horror anni 70. Sono cresciuto con colonne sonore come “Profondo rosso”, “L’uccello dalle piume di cristallo”, “Quattro mosche di velluto grigio” dal quale ho assimilato lo stile di batteria oltre ad ispirarmi al lavoro di Agostino Marangolo, “L’aldilà” di Fabio Frizzi”, di non poca importanza “Lucifer’s rising” di Bobby Beausoleil, senza tralasciare tutta l’opera di Antonio Bartoccetti. Il mio lavoro è abbastanza contaminato dalle influenze degli artisti appena nominati anche se in verità ho creato un sound piuttosto personale che verrà sviluppato maggiormente nel prossimo lavoro. Per quanto riguarda i registi che hanno ispirato almeno in parte “Atrox Locus” posso citare senza ombra di dubbio Dario Argento, Lucio Fulci, Alberto De Martino, Sergio Martino e molti altri…

I Mater A Clivis Imperat appaino molto distanti da quanto fatto da te con alcune tue band procedenti (Evol e Death Dies), ma secondo te c’è qualcosa che accomuna questa creatura alle altre ben più estreme?
No non direi… Qualcuno ancora accomuna i Mater con gli Evol ma nulla di più sbagliato. Se l’opera l’avessi stampata con un altro nome invece che Samael Von Martin, nessuno avrebbe accostato le due band. I Mater a Clivis Imperat sono totalmente distanti dal mondo metal o black metal, non c’entrano in nessun modo. Se devo trovare per forza una similitudine che non sia nel prog italiano, li vedrei più simili ai Nox Arcana, nonostante la differenza di stile o di strumenti musicali. Non so se mi spiego. Se invece intendi la passione per l’occulto, l’esoterismo nonché le tradizioni popolari e folcloristiche posso dire che, essendo un mio interesse costante, tutti i miei progetti sono accomunati da questo. Ma musicalmente non ci troverai nessuna somiglianza, ho stravolto il mio stile musicale e abbandonato certi gusti per l’estremo nel realizzare “Atrox Locus”.

Credo che un approfondimento lo meriti anche la stupenda copertina…
Avevo bisogno di dare un vestito al progetto. Non ho voluto puerili inneggi a varie divinità o espliciti riguardi nei confronti di chissà chi, ho solo sempre avuto stima per i lavori di Enzo Sciotti con il quale sono cresciuto (da amante dei film in generale, horror o meno…) fin da piccolo e mi sono chiesto: chissà se risponderà alle mie mail o se sarà interessato alla cosa… Per me è uno dei migliori illustratori di sempre, tanto che all’inizio lo ricordo anche come l’esecutore di alcune copertine magnifiche dei fumetti horror erotici anni 70. L’opera che Enzo ha creato per noi si discosta dal solito pandemonio di immagini, “Atrox Locus” sembra la locandina di una colonna sonora di un film mai realizzato. Ed è quello che è, come opera nella sua interezza. Enzo ha ascoltato attentamente le mie spiegazioni e con il suo magico colpo di Maestro, ha riassunto tutte le mie visioni in maniera semplice ed esaustiva. Mi è dispiaciuto moltissimo per la sua dipartita, era una cara persona abile e umile come pochi. Ricordo ancora un sacco le lunghe conversazioni sul mondo del cinema e sulla musica attuale. Il suo strumento preferito era il violino così ho scelto di rappresentarlo assieme all’ idea del Maestro come metafora e per quanto riguarda le tre streghe, come accennato prima, sono allegorie delle terre venete.

Porterete dal vivo il disco?
Ho già avuto richieste per la cosa ma per ora non ci penso minimamente. Sto lavorando al seguito di “Atrox Locus” e pure ad una piccola operetta che verrà inclusa nella versione limitata, ho appena realizzato il video clip del singolo, edito per Black Window Records, “Chori Tragici”, Quindi il tempo non è abbastanza per fare questo passo. Non nego che in futuro qualcosa possa accadere, ma per il momento preferisco concentrarmi sul lavoro in studio.

In chiusura, come dobbiamo considerare i Mater A Clivis Imperat un progetto estemporanea oppure una vera e propria band che pubblicherà album con una certa costanza?
I Mater A Clivsi Imperat sono un’orchestra a tutti gli effetti, e mi darò da fare per realizzare e mettere in musica le visioni che mi ossessionano quanto possibile. Oltre ad “Atrox Locus” esiste un sette pollici picture inedito ed estremamente limitato, oltre al nuovo lavoro che è già praticamente pronto e vedrà la collaborazione di Elisa Montaldo, Flavio “Nequam” Porrati, Domenico Lotito, Simon Ferètro oltre che alla formazione citata in precedenza. Il lavoro sarà molto più personale, anche se influenzato dai maestri di cui ho parlato. La copertina verrà affidata ad un altro famoso illustratore italiano. Detto questo, vi ringrazio, per acquistare il disco scrivete a blackwidow@blackwidow.it.

Demonio – La musica del demonio

La musica dei Demonio, dopo gli ottimi riscontri ricevuti su Bandcamp in versione digitale, sta per essere pubblicata da Helter Skelter Productions / Regain Records in formato CD e cassetta. Un’occasione ghiotta per chi ha avuto modo di apprezzare “Electric Voodoo” e “Black Dawn” di accaparrarsi in un colpo solo entrambe le uscite, grazie alla compilation “Electric Voodoo of the Black Dawn”.

Benvenuto Matteo, direi di iniziare dalla fine: dal 24 dicembre sarà disponibile “Electric Voodoo of the Black Dawn” per la Helter Skelter Productions / Regain Records in formato CD e cassetta. Questa compilation, se possiamo definirla così, raccoglie “Electric Voodoo” e “Black Dawn”, rispettivamente il vostro album del 2021 e l’Ep del 2022, inizialmente usciti solo in formato digitale. La vostra musica quanto ha bisogno di un supporto fisico per essere goduta al meglio?
Ciao e grazie per questa intervista, ci fa molto piacere. Direi che non solo la nostra musica ma tutta la musica avrebbe sempre bisogno di un supporto fisico per essere goduta appieno! L’esperienza di ascoltare musica in vinile resta difficilmente superabile nella mia umile opinione. Parlando di vinili, abbiamo da poco ricevuto il vinile test press da parte della DHU Records, l’etichetta olandese che sta per rilasciare a breve sia l’album “Electric Voodoo” che il mini album “Black Dawn” proprio in vinile e per noi è stato davvero super figo poter alla fine ascoltare la nostra musica per la prima volta con il giradischi!

Da amanti del vintage siete più eccitati dell’idea di avere fuori un CD o una Cassetta a vostro nome?
In realtà non mi sento di sminuire nessun supporto fisico, anche il CD ha la sua dignità e personalmente ne ho collezionati tanti quando ero più giovane, anche se poi mi sono dedicato molto di più alle cassette oltre che ai vinili, dal momento che a un certo punto è iniziato un revival, più che giusto a mio parere, dell’analogico. Il fatto che il CD non abbia alcun problema di spazio per i brani resta di sicuro il suo punto forte e questo ci permette di avere una versione veramente bella del nostro materiale rilasciato in un pezzo unico dalla Regain Records – Helter Skelter Productions. Insomma tutti i formati sono validi fintantoché si supportano le band che più ci piacciono!

Dimmi aualcosa in più della versione in vinile…
Sì, come detto sopra verso fine dicembre dalla DHU Records dovrebbero partire i preordini dei vinili, quindi occhio che con le edizioni limitate non si sa mai quanto durino, eheh. Tra l’altro sarà in una fighissima edizione “sawblade” cioè con i bordi stile lama circolare.. e ho detto tutto!!

Come erano andati entrambi i lavori in digitale e cosa vi aspettate da queste pubblicazioni in formato fisico?
Erano stati pubblicati solo sul nostro Bandcamp per farli girare un po’ a name your price e a qualcuno sembrano essere piaciuti, qualcuno probabilmente è stato colpito dalle copertine eccessive innanzitutto ma poi la musica pure ha ricevuto degli apprezzamenti! Dalla pubblicazione in fisico non sappiamo cosa aspettarci ma abbiamo avuto dei messaggi da persone che già non vedono l’ora di ricevere il disco. Yeah!

Come è nata la collaborazione con la Helter Skelter Productions / Regain Records?
Amici in comune ci hanno messo in contatto e Per ha detto subito di essere interessato a rilasciare la musica del Demonio in CD e cassetta il che ci ha fatto un estremo piacere.

Tra le due uscite ci sono pochi mesi di differenza, “Electric Voodoo” e “Black Dawn” sono il frutto della stessa sessione di registrazione?
No, “Electric Voodoo’’ era stato registrato tra ottobre e novembre 2021, mentre i tre brani di “Black Dawn’’ soni stati registrati tra aprile e maggio 2022 quindi svariati mesi dopo!

Siete già a lavoro sui nuovi brani e, se sì, in che direzione vanno?
Al momento siamo fermi nello scrivere nuovi pezzi ma vorremmo continuare sulla linea delle tracce di “Black Dawn’’ e andare in territori sempre più psychedelic rock, questa in linea di massima sarebbe l’idea.. difficile dire quando succederà.

Al di là dell’attività da studio, come siete messi con quella live?
Per il momento non abbiamo attività live in programma, anche perché abbiamo avuto un po’ di modifiche nella vita personale di alcuni di noi che ci hanno portato a essere più distanti per motivi vari di lavori e famiglia ecc. quindi già fare prove adesso è diventato ben più incasinato.. ma mai dire mai!

A te la chiusura…
Grazie per l’intervista e ascoltate “Electric Voodoo Of The Black Dawn’’ sulla pagina
https://regainrecords.bandcamp.com/album/electric-voodoo-of-the-black-dawn !!!