Arch Enemy – Blood dynasty

Interview by Marcelo Vieira (metalbite.com), click HERE for the original English version.
Intervista a cura di Marcelo Vieira (metalbite.com), clicca QUI per la versione originale in inglese.

Sin dalla loro comparsa alla fine degli anni ’90, gli Arch Enemy sono stati una forza inarrestabile nella scena extreme metal, andando contro le aspettative e ridefinendo i confini a ogni nuova uscita. Con “Blood Dynasty”, il loro dodicesimo album in studio, la band svedese guidata dal chitarrista Michael Amott e spinta dalla voce feroce e sempre più versatile di Alissa White-Gluz, si avventura in territori diversi — a volte epici, a volte diretti e grezzi — senza mai rinnegare l’identità costruita in decenni di carriera. Anche se l’album non segue un concept lirico ben preciso, il titolo funge da specchio inquietante della condizione umana contemporanea, come spiega il bassista Sharlee D’Angelo in questa intervista esclusiva. Ho parlato con Sharlee del dietro le quinte del nuovo disco, delle sfide creative affrontate in studio, del ruolo sempre più forte di Alissa non solo come cantante ma anche come autrice di testi, e della scelta coraggiosa di inserire una ballad oscura cantata in francese. Ha anche ricordato alcune tappe importanti della carriera degli Arch Enemy e accennato al tanto atteso ritorno della band in Brasile — che dovrebbe avvenire molto presto. (Marcelo Vieira)

Qual è il significato dietro il titolo “Blood Dynasty”?
In generale, credo che possa essere visto come un simbolo dell’umanità com’è oggi. Se fai un passo indietro e guardi il mondo nel suo insieme, è più o meno questa l’idea centrale dietro al titolo. Ovviamente può avere diverse interpretazioni, ma essenzialmente è questo.

E come si collega questo titolo ai testi e al suono dell’album?
In realtà il disco non segue un concept lirico unitario: ogni brano funziona in modo indipendente. Quindi non c’è una storia generale che lega tutto insieme.

Quando l’album è stato annunciato, Michael Amott ha detto che “Blood Dynasty” avrebbe spinto oltre le aspettative dei fan degli Arch Enemy. Dal tuo punto di vista, quali elementi portano davvero la band a un nuovo livello e potrebbero sorprendere gli ascoltatori?
Secondo me sta tutto nei dettagli, disseminati nelle canzoni. In generale ci siamo messi alla prova per andare un po’ più in là in tanti aspetti. Alcuni brani hanno atmosfere più stratificate, altri puntano sull’epicità, altri ancora sono dritti e diretti al punto. Abbiamo esplorato direzioni diverse, ma siamo comunque riusciti a mantenere un’identità coerente lungo tutto il disco.

Com’è stato il processo di registrazione di “Blood Dynasty” rispetto ai precedenti album?
Abbastanza simile al solito. Il nostro modo di lavorare in studio non è cambiato più di tanto. La differenza principale sta nei brani stessi, che portano sempre nuove sfide. A volte ti devi spingere oltre come musicista, perché ti trovi davanti a parti che non avevi mai suonato così prima, quindi c’è questo sforzo in più. A parte questo, è stato business as usual: cercare di stipare più metal possibile in ogni traccia.

Avete provato qualcosa di nuovo durante la scrittura o la produzione che non avevate mai fatto prima?
Non proprio. Tendenzialmente restiamo fedeli al nostro metodo, ma il risultato cambia sempre in maniera naturale. Ogni album finisce per essere una sorta di reazione a quello precedente: ci sono cose che ci sono piaciute molto e altre che magari non ci entusiasmano più. Quindi cerchiamo sempre di fare un passo avanti. Ogni disco porta con sé sfide nuove per tutti.

Alissa White-Gluz ha portato nuova energia da quando è entrata come cantante. Come pensi che la sua voce e la sua presenza sul palco abbiano plasmato il sound degli Arch Enemy negli ultimi dischi, incluso “Blood Dynasty”?
Credo che l’impatto sia stato enorme. La voce oggi è un elemento centrale nella maggior parte dei pezzi. E Alissa è in continua evoluzione: si sente la crescita da un album all’altro. Un esempio chiaro è l’uso dei cori e delle backing vocals, che ha sviluppato sempre di più e che in “Blood Dynasty” sono molto più presenti rispetto a prima. Porta sempre nuove idee e sfumature, senza mai ripetersi. Questo è stato fondamentale per l’evoluzione del nostro sound.

Penso anche che il talento di Alissa come autrice di testi sia spesso sottovalutato. Puoi parlarci di questo aspetto?
Assolutamente. Penso che sia un’ottima lyricist. La cosa interessante è che Michael scrive in un certo stile e Alissa in un altro, e la combinazione crea qualcosa di davvero particolare. Porta varietà non solo nei testi ma anche nel modo di cantare e nei ritmi vocali. Quella diversità funziona molto bene per noi.

Perché avete deciso di pubblicare così tanti videoclip — ben cinque — per “Blood Dynasty”?
Questa è probabilmente una domanda da fare all’etichetta, perché era stato lo stesso anche con il disco precedente. [Ride.] Però oggi, con il modo in cui la musica viene promossa e consumata, è fondamentale avere una presenza costante. La gente vive su piattaforme come YouTube, quindi è essenziale farsi vedere. Penso che sia questo il motivo principale. Certo, richiede molto lavoro da parte nostra — negli ultimi due album abbiamo dovuto fare tanto già prima dell’uscita ufficiale. Per fortuna abbiamo lavorato con registi bravissimi, che ci hanno permesso di creare una bella varietà di stili visivi nei video. Personalmente non mi pesa, ma è molto diverso da com’era una volta. Allora si faceva un singolo con video prima dell’album e magari un altro dopo, e finiva lì. Oggi… è tutta un’altra realtà. Ma come ho detto, meglio chiedere al team marketing. [Ride.]

La traccia numero 9 di “Blood Dynasty” è una cover di “Vivre Libre” della band francese Blaspheme. Cosa vi ha ispirato a scegliere un pezzo così oscuro?
Di solito registriamo delle cover per le edizioni speciali, tipo i bonus track per il mercato giapponese. Questa è stata un’idea di Michael — lui adora scovare band europee poco conosciute. Ha una collezione enorme di dischi metal francesi, e anche se conoscevo già i Blaspheme dagli anni ’80, questa canzone l’ho sentita solo perché lui me la fece ascoltare anni fa. Da allora è diventata una delle nostre preferite. E ora, con una cantante che non solo ha una grande voce ma parla anche francese, ci siamo detti: perché non provarci? All’inizio doveva essere solo un bonus track. Ma il risultato finale — soprattutto con l’interpretazione di Alissa — è venuto talmente bene che ci siamo detti: “Perché non metterla nel disco?”. Non avevamo mai incluso una cover in un album ufficiale. Inoltre è una ballad, in francese, una cosa completamente nuova per noi. Magari a qualcuno non piacerà, e va bene così — è solo una canzone. Non è che l’album intero siano ballad francesi. [Ride.]

Negli anni gli Arch Enemy hanno inciso diverse cover, sia metal che non metal. Ce n’è una che consideri particolarmente significativa?
Ne adoro parecchie, ma una delle mie preferite è la nostra cover del 2014 di “Shadow on the Wall” di Mike Oldfield. Penso che siamo riusciti a trasformarla davvero in qualcosa di nostro. Più riusciamo a riarrangiare un brano e a marchiarlo con la nostra identità, più ci divertiamo. E in quel caso il risultato è stato ottimo.

Con 12 album in studio, gli Arch Enemy hanno costruito un’eredità potente nel metal. Quali sono secondo te i momenti più importanti di questo percorso?
Direi che i momenti cruciali sono i cambi che hanno trasformato davvero la band. Per esempio, abbiamo cambiato cantante due volte, che è sempre una questione delicata. Non sai mai come reagirà il pubblico, puoi solo dare il massimo. Per fortuna è andata bene entrambe le volte. Quando Johan [Liiva] lasciò nel 2000 e arrivò Angela [Gossow], fu una mossa coraggiosa — c’erano pochissime donne nell’extreme metal allora. Lei è diventata un’icona. E quando ha lasciato, trovare qualcuno all’altezza è stata una sfida enorme. Poi è arrivata Alissa, e siamo stati fortunati che volesse unirsi a noi. Questi cambiamenti hanno davvero plasmato quello che siamo oggi. Ci sono stati anche tour indimenticabili, come quando abbiamo aperto per band come Iron Maiden e Megadeth — i nostri eroi. Condividere la strada con quelle leggende è qualcosa che non dimentichi mai.

I fan possono aspettarsi un tour mondiale a supporto di “Blood Dynasty”?
Sì! Il tour parte dagli Stati Uniti, quello sarà il primo blocco. Poi passeremo in Europa e altre date verranno annunciate.

E per quanto riguarda i concerti in Brasile?
Sì, ne stiamo parlando. Non c’è ancora nulla di ufficiale, ma adoriamo suonare in Brasile e speriamo davvero di tornarci presto.

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