Su Overthewall tornano gli Extinction. Con Mirella Catena, per parlare del nuovo album “Cryogenesis” (Punishment 18 Records), il chitarrista e fondatore della band Danilo Bonuso e il cantante Filippo Collaro…
Parliamo della genesi della band, Danilo, gli Extintion si formano nel 1995 in Puglia. Qual era l’idea iniziale? Danilo: La band è nata per puro caso, tra amici dell’ I.T.I.S. di Lecce. L’idea venne al chitarrista Daniele Greco che, conoscendomi, mi chiese se volessi formare con lui una band. Daniele tra l’altro conosceva un bassista, sempre dello stesso istituto superiore, nonché un batterista ed un cantante, all’epoca, sedicenne. Così, dopo alcune prove insieme, trovai il nome ed il logo e nacquero gli Extinction. E’ sorto tutto per divertimento e non ci furono progetti futuri in quanto le cose proseguirono in modo naturale facendo concerti nel Salento e componendo i brani che poi sarebbero finiti sul demo “Progress Regress” del 1996. Eravamo molto inesperti e con strumentazioni basilari, ma c’era tanta passione ed entusiasmo. Purtroppo, con il mio trasferimento a Torino nel novembre del 1997, la band si sciolse.
Pensi che il tuo trasferimento a Torino abbia influenzato la scelta di portare avanti un certo tipo di musica? Danilo: Allora, premetto che la mia cultura musicale risiede nel metal e hard rock degli anni ottanta. Poi nei novanta rimasi affascinato dalle evoluzioni sonore del thrash metal di band come Pantera e Sepultura. Fu una cosa naturale per noi cinque iniziare un percorso musicale che avesse queste influenze. A Torino ho avuto diverse esperienze musicali in band metal e, dopo che con queste non riuscissi a varcare una certa soglia, decisi nel 2014 di ridar vita agli Extinction, cercando di fare a modo mio, trovando innanzitutto le persone adatte, anche su consiglio di qualche amico. Ed eccoci qua a promuovere il nostro terzo album.
Il vostro nome mi ha sempre affascinato perché semplice ma di fortissimo impatto: a quale tipo di estinzione fate riferimento? Danilo: Presi il nome dall’album “Countdown To Extinction” dei Megadeth. Mi piacque molto perché era assonante a nomi di gruppi death come Suffocation, Immolation, Incantation ecc. Poi ai tempi, in base alle nostre conoscenze, non ci risultava nessuna band con tale nome, a differenza di oggi, purtroppo. Ma la storicità ci dà ragione, ha ha ha. Tra l’altro, il nome era azzeccato per le tematiche di alcuni testi a sfondo di attualità e deriva del genere umano a causa di manipolazioni da parte di poteri occulti.
Filippo, tu arrivi nella band nel 2019, subentrando ad una cantante, Alice, che ha riscosso tantissimo successo partecipando nel 2016 ad Italia’s Got Talent proprio in veste di frontwoman della band.Come hai gestito questo passaggio di testimone? Filippo: Secondo me il cambiamento del cantante in una band è sempre una questione molto delicata. Non sempre il cantante è il leader della band ma da un punto di vista di immagine è sempre il frontman. Basti pensare, opinione assolutamente personale, a come venne massacrato dai più Blaze Bailey quando entrò negli Iron Maiden al posto di Bruce Dickinson. Lui secondo me era un bravo cantante e, per esempio, i brani scritti per lui, a me piacciono come li faceva lui e non come li riprese Dickinson successivamente. Nel caso degli Extinction poi, anche se non siamo di certo famosi come gli Iron Maiden, io prendevo il posto di una Alice che era una frontwoman e questo sarebbe stato, soprattutto in un contesto più simile al death metal un ulteriore perdita di un valore aggiunto che aveva la band. Inoltre, dovendo registrare in tempi strettissimi un nuovo album, non ho potuto sfruttare al pieno tutti gli aspetti differenti delle mie linee vocali facendo un lavoro, secondo me, quasi “scolastico”. Infatti sento più mio “Cryogenesis”, nonostante sia soddisfatto anche di “The Apocalypse Mark”. Fortunatamente gran parte delle mie paranoie di come sarei stato accolto sono state smentite sia dai fan che dalle recensioni del disco uscito ormai quattro anni fa. Adesso invece sono in paranoia per le recensioni di “Cryogenesis”, perché ho avuto tutto il tempo per poter sperimentare (quasi) tutto quello che avrei voluto fare.
Citiamo la line up al completo? Danilo: Qui bisogna aprire una parentesi. Dal 2014 ad oggi, nella band si sono avvicendati parecchi musicisti. Pertanto attualmente, della line up che ha registrato l’ultimo album, abbiamo in pianta stabile me, sempre come chitarrista, Filippo “Howling Star” Collaro alla voce e Lorenzo Catolla al basso; tra l’altro già presenti sul precedente “The Apocalypse Mark”. Per i live ci stiamo avvalendo di due batteristi turnisti, ma ti preannuncio che abbiamo già un secondo chitarrista che annunceremo a breve ed un batterista ancora in fase di valutazione. Seguite le nostre mosse sui social.
Il 28 aprile è stato pubblicato il vostro nuovo album “Cryogenesis”, ci parlate di questa nuova uscita discografica? Danilo: L’album per buona parte è nato durante il periodo buio del Covid, dove poco prima era entrato in formazione il secondo chitarrista Jean Edifizi. Quest’ultimo aveva già quattro pezzi pronti, sia testi che musica; e lo stesso valeva per il sottoscritto. Così, mandandoci vicendevolmente le tab di chitarra durante il lockdown, ognuno di noi, da casa, ha studiato i pezzi, perfezionandoli poi successivamente in sala prove. L’album, rispetto ai due predecessori, è un ulteriore passo in avanti, sia a livello tecnico, compositivo e di produzione. Tra l’altro la batteria è stata suonata ed incisa dallo stesso produttore dello studio di registrazione, ovvero Davide Billia, noto per essere un batterista di fama internazionale in ambito brutal death metal. Per quanto riguarda la copertina, disegnata dalla bravissima Sheila Franco, rappresenta il tema della criogenesi, ovvero la possibilità in un futuro, dopo una lunga ibernazione, di riportare in vita corpi umani o parti di essi, come teste e cervelli, con l’ausilio di corpi bionici. Il tema, molto attuale e già in fase di studio, verrà poi approfondito nel brano “Eternal Life” che affronta in senso più ampio il Transumanesimo.
Quali sono le vostre aspettative riguardo il disco e ci sono delle date che vi vedranno sul palco? Danilo: Le aspettative sono quelle di far arrivare il nostro album in ogni angolo del mondo e, su questo, siamo fiduciosi nelle potenzialità della Punishment 18 Records. Riguardo le date live, attualmente ne abbiamo due: una a Vicenza il 17 giugno con i Cadaveric Crematorium e una in Germania il primo luglio. Ne seguiranno altre da ottobre di quest’anno.
State già pensando ad un nuovo album? Danilo: In attesa che la nuova formazione si assesti, inizieremo a comporre i nuovi pezzi, alcuni dei quali ho già nel cassetto.
“Escape from Illusion” è il terzo full della technical/brutal death metal band nostrana Cerebral Extinction, prodotto per la sempre attiva nel settore Amputated Vein Records. Oggi ci faremo una chiacchierata con il chitarrista Michele Leali per far meglio conoscere la band ai lettori de Il Raglio Del Mulo…
Allora Michele, innanzitutto i proverbiali ringraziamenti per esser quì, per la tua disponibilità a prender parte a questa intervista, ci puoi raccontare come la storia “Cerebral Extinction” ebbe inizio? Ciao a tutti, la nostra storia musicale è iniziata dieci anni fa nel lontano 2013 dall’incontro tra il sottoscritto e il cantante Nicola Rizzotti con l’idea di provare a iniziare a scrivere musica insieme prendendo come punto di partenza il nostro amore per il brutal death, influenza che release dopo release ha preso forma e si è plasmata evolvendo il nostro primo stile. Il gruppo, come consuetudine, ha subito vari cambi di formazione, lasciando inalterato lo zoccolo duro composto da noi due.
Ci puoi presentare i componenti dell’attuale lineup? Come già accennato pocanzi, oltre a me e Nicola alla voce, da circa tre anni si è aggiunto a noi Nicola De Micheli alla batteria e dall’anno scorso è entrato in formazione Wally Ache al basso fretless. Con questa formazione abbiamo registrato il nostro ultimo lavoro che si chiama “Escape from Illusion”, uscito nel luglio del 2022 per la casa discografica giapponese Amputated Vein che già aveva avuto modo in passato di supportarci e di cui siamo ampiamente fieri.
Qualcuno di voi è attivo in altri progetti musicali a parte i Cerebral Extinction? Io ho un progetto da studio chiamato Arcana Imperii orientato sul black metal più sinfonico, ma ormai in standby da un po’ visto i crescenti impegni con i Cerebral Extinction, i quali portano via buona parte maggior parte del tempo e delle energie. Wally suona in una band grind bolognese chiamata Crisis Benoit e collabora come guest in vari gruppi.
Come definiresti così su due piedi la vostra proposta musicale? La nostra musica, e in particolare quella dell’ultimo album, è indirizzata verso un technical death metal a tratti molto brutale e diretto, ma anche denso di parte melodiche e fughe che conferiscono una maggiore versatilità ai brani.
Quali sono secondo te le principali differenze tra l’ultimo “Escape from Illusion” e le vostre precedenti release? Le differenze con le due precedenti release sono davvero enormi, con questo non voglio minimamente dire che i due primi album siano inferiori, sono solo diversi, ma sono molto felice che siano stati registrati così e a volte quando li risento rimango ancora basito dalla brutalità di alcuni brani davvero imponenti. Il terzo album è molto più personale, introspettivo e meno derivativo in primis. A livello di songwriting abbiamo epurato tutte quelle parti slam e classiche brutal death che erano evidenti e volute nei primi due album e di cui, ripeto, sono ampiamente soddisfatto. Sono presenti poche parti in blast beat, ma al contempo una varietà maggiore di pattern di batteria e delle linee vocali davvero molto fantasiose e variegate. Queste parti vocali sono dal mio umile punto di vista la miglior prova sostenuta finora da Nicola Rizzotti che ha saputo gestire sapientemente growl e scream. Per quanto riguarda invece le parti di basso fretless usato da Wally, la sua tecnica ha dato al disco una freschezza (nonostante la sua tenera età!) e un gusto che mai avevamo avuto in passato. Mi sento anche di citare il sapiente lavoro svolto dalla produzione che risulta molto meno caotica rispetto al passato, più fresca e aperta.
Quali sono le band più rappresentative e quelle che vi hanno ispirato musicalmente? Tra le band che ci hanno ispirato di più citerei gli Archspire, Shadow of Intent, Inferi, Beneath The Massacre, Obscura, Death, Origin, giusto per citare qualche nome.
Chi sono i principali fautori del songwriting? Da cosa e come nasce un tipico brano targato Cerebral Extinction? Per quanto concerne il lato compositivo dei brani, mi occupo di scriverne la struttura e lo scheletro sulla mia sette corde e questa è la prima parte del processo. Utilizzo poi Guitar Pro per fissare il progetto che poi trasmetto agli altri ragazzi per avere da loro un primo riscontro. Il tutto poi viene arrangiato tutti insieme in sala prove aggiungendo modifiche e cambiamenti con le linee di basso e batteria e infine aggiunte tutte le linee vocali. Questa è la parte più bella del processo creativo in quanto ci si unisce a dare quanto più colore alla canzone.
Quali sono i temi che trattate nei vostri testi? I testi scritti dal nostro vocalist rappresentano stati d’animo e condizioni psicologiche del periodo che viviamo e in cui siamo nati. Lui è un amante dell’horror lovecraftiano e nei testi c’è molta base gothic noir.
Ecco una domanda che faccio tante volte perché vorrei sapere l’opinione delle band che intervisto a tal proposito. Qual è la tua opinione circa l’attuale scena undergroud della quale fate parte? Credo che la scena in Italia sia più che viva che mai. Sempre un numero attivo di band si cimentano in tour all’estero, sempre un numero maggiore di band fanno uscire album con una certa costanza. Nello specifico ci sono band davvero valide e degne di attenzione e band che purtroppo per ragioni che davvero non capiamo rimangono relegate nel pantano dell’Underground per mancanza di originalità.
I Soul Rape diedero alle stampe nel 2015 una sorprendente release intitolata “Endless Reign” (Punishment 18 Records), a sette anni di distanza dalla pubblicazione provo a “tastare il polso” alla band facendo un bella chiacchierata con un simpatico e loquace Lauro di Marzio, chitarrista/cantante del quartetto nostrano…
Allora Lauro, in tanto grazie e benvenuto! Dicci un po’ come e in quali circostanze nacquero i Soul Rape… Con piacere Luca! Tutto nacque da una mia idea nel 2004 quando ero studente alla facoltà di architettura; all’inizio io non cantavo, suonavo solo la chitarra; poi si aggiunse Maurizio detto “Maui” alla batteria che lavorava sempre in facoltà come tecnico informatico. I Soul Rape di fatto erano in uno stato più che embrionale: praticamente un progetto tra due amici con la passione in comune per il prog e soprattutto il death metal però dai nostri incontri musicali sono nate le strutture di molte song, alcune delle quali sono presenti sul debut album. Pensa che inizialmente ci chiamammo con lo pseudonimo All Life Ends perché entrambi, oltre che degli Atheist, dei Nocturnus e dei “Death”, eravamo fan sfegatati (praticamente invasati) degli At the Gates. In pratica ti posso dire che i Soul Rap” vennero alla luce dopo la laurea quando conobbi Franz detto “Moloch”, una persona molto colta, con profonde conoscenze linguistiche, esoteriche e storiche che oggi è un professore universitario e che stimo ancora tantissimo. Franz sarà la prima voce della band e che propose il nome attuale del gruppo, dopo poche prove si aggiunse con lo pseudonimo di “Storm” il bassista Giulio. Con questa formazione pubblicammo nel 2008 il nostro primo Demo “Primordial Paradox” facendoci conoscere nella scena underground delle province di Varese e di Como e, sempre nel 2008, durante una vacanza al mare tra amici metallari (la miglior vacanza della mia vita) l’amico Daniele detto “Tambo”, dopo aver ascoltato la demo, ci disse che avrebbe voluto far parte della band perché il nostro sound gli ricordava i Death e gli In Flames, due gruppi che amava. Il consolidamento della nuova formazione a cinque avvenne dopo una “battle of the band” che si tenne a Tradate quando alla fine della nostra performance “Tambo” che era presente ci disse “da quei fottuti ampli (degli organizzatori del live) finalmente è uscito il male così come doveva essere”: furono le parole che ci spinsero a chiedere a “Tambo” di entrare nella formazione inizialmente in prova ma dopo pochissimo tempo divenne effettivo della band. Dopo la decisione di Franz di lasciarci per seguire strade diverse, decisi di reinventarmi voce solista ma senza abbandonare la chitarra. All’inizio non fu facile coordinare la voce e la chitarra ma ci riuscì dopo poco tempo. In seguito, per problemi di famiglia, anche Maui lasciò il gruppo. In quegli anni avevo anche un progetto di cover hard n heavy anni 70. Il mio batterista di quel progetto, Pietro “Peterbat” Battanta era un grande appassionato di death metal e gli proposi di suonare con noi. Pietro accettò subito la proposta: eravamo nel mese di gennaio 2010. Dopo qualche mese Pietro venne ingaggiato anche da Gary D’Eramo per suonare nei Node che è una delle band più importanti band thrash death metal in Italia.
Puoi presentare i membri della band? Qual è il vostro background musicale? La formazione attuale della band e composta da Pietro “Peterbat” alla batteria, Daniele “Tambo” alle chitarre, da Giulio “Guglio” Cazzani al basso e al violoncello e da me “Larry” alle chitarre e alla voce. Ma partiamo con ordine: Pietro ha incominciato a suonare la batteria prendendo lezioni dal batterista dei Longobard Death Giorgio Annoni (con il quale avevo già suonato nel mio primo progetto thrash death) e successivamente continuò a studiare con l’ex batterista dei Node, Marco Di Salvia. Le sue influenze batteristiche spaziano da Mike Terrana, Henry Ranta, Gavin Harrison, Gene Hoglan, Dave Lombardo, Mike Portnoy e molti altri ancora. I suoi ascolti spaziano dal metal estremo, principalmente thrash death melodico di stampo svedese ed heavy metal in generale, dal rock/metal progressivo al jazz senza disdegnare la musica leggera (Elton John, Eumir Deodato e altri). Daniele ed io fummo allievi entrambi di Richie Newport al liceo musicale Bellini di Tradate; Richie è un chitarrista inglese formatosi al celeberrimo GIT di Los Angeles sotto la guida di Paul Gilbert e fu, per un breve periodo, chitarrista turnista dei Guns ‘n Roses e chitarrista di Blaze Baley. Ricordo quando Daniele andava a lezione prima o dopo di me e mai avrei immaginato che avremmo in futuro suonato insieme. In quel periodo Daniele suonava e ascoltava heavy metal classico. Le sue influenze chitarristiche maggiori sono James Schafer, Glen Tipton, Dave Murray, Dino Cazares, Dave Mustane, Joe Duplantier e Chuck Schuldiner. Riguardo Giulio invece posso dirti che viene dalla “musica colta” essendo diplomato in violoncello; con il violoncello ha incominciato a suonare metal un po’ come hanno fatto gli Apocaliptica. Solo successivamente acquistò il basso elettrico imparando la tecnica da solo. Tra le sue influenze principali ci sono bassisti del calibro di Steve Harris, Steve Di Giorgio, Cliff Burton, Chris Wolstenholme, ma soprattutto Tony Choy. Attualmente Giulio suona in numerose orchestre sinfoniche Italiane ed è spesso in tournée. Io sono cresciuto con l’hard rock e l’heavy metal classico ma anche con la “musica classica”, il jazz e il blues: tutti generi che ho imparato ad amare e conoscere anche grazie a mio fratello maggiore che fin dalla mia tenera età mi comprava dischi e mi portava a vedere i concerti anche di band famose come i Pink Floyd, i Guns ‘n Roses, i Metallica e i Judas Priest. Il mio primo strumento musicale oltre al “flautino” della scuola media fu il clarinetto che mi permise di rapportarmi alla “musica colta”; purtroppo smisi di suonarlo quando cominciai ad andare al liceo soprattutto per mancanza di tempo. L’approccio al Metal estremo avvenne al liceo grazie al mio compagno di classe metallaro Patrick. Iniziai a suonare la chitarra elettrica intorno ai 18 anni prendendo lezioni, come dicevo prima, da Richard Newport ma a differenza di Daniele decisi di approfondire anche il jazz perché era un genere che mi incuriosiva particolarmente. Le mie prime band furono un mix tra il black metal e il grind core, altre invece death melodico, ma furono progetti fallimentari per diverse cause; per un anno feci parte come cantante di un gruppo thrash black della provincia di Como gli Obscured coi quali realizzai anche un demo. Li lasciai per gli impegni dovuti alla tesi di laurea; la cosa non fu presa bene dagli membri del gruppo che cancellarono anche i take con la mia voce per sostituirli con quelli del nuovo cantante ovvero il chitarrista. Nel frattempo, studiai molto perfezionando la tecnica e ascoltando tanto in particolar modo il death metal tecnico e quello melodico, tanto prog come gli Opeth, i Porcupine Tree e Emerson Lake and Palmer, ma anche altri generi musicali spaziando dal jazz al flamenco e strizzando l’occhio alla musica colta. Sono stato influenzato da Chuck Schuldiner, Kelly Schafer, Kerry King, Jesper Stromblad, Anders Bjorler, Mike Ammot, Euronymous, Tony Iommi, Pat Metheny, Antonio Carlos Jobim, Al Di Meola e Paul Gilbert. Come cantante invece mi sento molto influenzato nelle tecniche del Growl e dello scream da Jeff Walker, Dan Swano, Tompa Lindberg, Shagrat e T.G. Fischer, mentre nelle voci pulite da Layne Staley, Matt Barlow, Gene Simons e Rob Halford.
Dalle informazioni in mio possesso Jeff Loomis ha partecipato come solo special guest. Com’è nata questa collaborazione? Premetto che il merito di questa collaborazione è dovuto a Pietro Battanta; era risaputo che Jeff Loomis facesse molte guest a band underground a livello internazionale; cosi approfittando del fatto che fosse in tour per il suo secondo album solista “Maze of Oblivion” e che il 14 novembre 2012 avrebbe suonato al Land of Live di Legnano, dopo il concerto Pietro andò direttamente al banchetto del merchandise chiedendogli semplicemente se avremmo potuto avere il privilegio di avere un suo guest solo sul disco. Loomis rispose, per nostra fortuna, che dopo il tour se ne poteva parlare. Pietro allora prese contatti con la sua manager. Alla fine del tour Pietro le scrisse e dopo poco tempo lei diede l’indirizzo mail personale di Jeff. A Loomis piacque parecchio la nostra song “Like the Serpent Tongue” un pezzo scritto da me e da Daniele e così il guitar hero decise di registrarci il guest solo: Pietro gli spiegò dove dovesse suonare il solo dicendogli anche che avrebbe avuto carta bianca. Loomis non solo registrò l’assolo di chitarra ma aggiunse anche chitarre synth sul riff d’attacco. Il risultato fu sensazionale e si può sentire nell’album. A noi tutti del gruppo quanto successo non sembrava vero eppure è realtà. Mi emoziono ancora adesso quando ci penso.
Dando un’occhiata alla cover del disco si capisce chiaramente chi è il fautore della stessa, dico bene? Dici benissimo, si tratta del celeberrimo Dan Seagrave già copertinista dei Morbid Angel, degli Entombed, degli Edge of Sanity, dei Malevolent Creation e dei Suffocation. L’aspirazione di avere una sua copertina fu sempre un nostro desiderio anche perché tutti e quattro eravamo suoi fans accaniti. Alla fine, provammo tentando dopo il solo di Loomis il secondo colpaccio. Andammo sul suo sito e gli scrivemmo. Di certo non ci aspettavamo che ci rispondesse vista la sua grandezza e la sua fama. E invece ci rispose e si dimostrò molto umile, davvero molto gentile e disponibile. Gli spiegammo come volevamo l’artwork con sfumature di arancio, di rosso e di porpora dalle tonalità molto sgargianti. Seagrave ci inviò una prima bozza e ci disse che se fosse stata di nostro gradimento ci avrebbe lavorato in maniera precisa. Già vedere una bozza fatta da lui fu per noi un incanto di emozioni che non ti posso descrivere. Il lavoro si può vedere con l’album; pensammo di usare le bozze come sfondo per le pagine della brochure dei testi. Anche in questo caso bisogna ringraziare il buon Pietro che grazie alla sua dimestichezza con l’inglese ci ha permesso di trattare con questo artista di fama internazionale. Prova ad immaginarti da death metaller che sono, cosa significa quella copertina per me. Il giorno che usci il disco che lo vidi incellofanato pensai dentro di me “Ci sono stati i Carnage e ora ci siamo noi”. Scusami: un piccolo momento di autoesaltazione.
Una cosa che salta subito all’orecchio di chi ascolta è che il vostro sound è molto poliedrico, come lo definiresti se qualcuno ti chiedesse cosa suonate? Innanzitutto, grazie per la tua affermazione! Per noi questo è davvero un complimento perché è la conferma che stiamo andando nella direzione giusta. Di solito quando qualcuno me lo chiede rispondo con la definizione di progressive melodic death metal. Per essere più chiaro, in linea di massima il nostro sound è un incrocio tra la triade aurea del death metal tecnico floridiano, ovvero Death, Atheist e Nocturnus, il death melodico svedese e il death metal svedese in generale come At the Gates, Arch Enemy, In Flames, Dissection, primi Opeth, Edge of Sanity e Dismember e il death metal inglese degli ultimi Carcass e dei Bolth Thrower. Se però ascolti bene, come hai detto giustamente, traspaiono un sacco di altre influenze stilistiche come ad esempio dall’heavy metal classico, di King Diamond e dei Judas Priest al doom metal dei Cathedral, dal black metal degli Immortal e dei Satyricon, all’hard rock dei Guns n Roses e dei Mötley Crüe, dal progressive rock/metal dei Gentle Giant, dei Pink Floyd, dei Primus e dei Porcupine Tree, al jazz di Frank Chic Korea per non parlare della “musica da film” di cui siamo tutti appassionati. In pratica se dovessi definire la nostra musica la definirei come “art metal” perché in fondo a modo nostro ricalchiamo i dettami del concetto di sperimentazione dell’art rock, solo che lo facciamo usando la chiave del metal estremo, senza porci alcun limite di genere. Ti informo pertanto che, finché ci saremo, continueremo a farlo.
Qual è la tua opinione riguardo la scena estrema italiana? Ci sono band nel sottobosco underground che in qualche modo ti hanno colpito positivamente? Aspettavo che me lo chiedessi. In realtà ce ne sono tantissime, l’Italia è, e sarà sempre, il Paese della bella musica anche in campo estremo e penso che ogni band italiana di questo panorama non abbia davvero nulla da invidiare rispetto quelle del nord Europa o degli States. Quello che secondo me manca, è il rispetto e il supporto reciproco tra band che suonano all’interno di questo contesto. Penso inoltre che ci sia troppa rivalità, troppo egoismo e troppi pregiudizi per partito preso senza nemmeno provare ad ascoltare le song proposte di un qualsiasi gruppo. Penso che se si risolvessero questi piccoli, ma fondamentali problemi, tutto acquisterebbe un altro peso. Un altro problema è che a differenza della Scandinavia o della Florida, ad esempio, in Italia pochi investono nel campo della musica e tantomeno nel panorama del metal estremo. All’estero spesso essere musicista metal è visto come un vero e proprio lavoro; addirittura in Svezia lo stato fornisce un bonus di 750 € al mese a tutte le band emergenti o già navigate a patto che si scelga di intraprendere quella come attività lavorativa. Qui in Italia devi essere tenace non arrenderti mai, devi pagarti le sale prova, le registrazioni, sudando sangue per poter suonare nei locali, sottopagato o addirittura gratis. Peggio ancora se tenti di creare eventi promozionali o festival di musica estrema. Ci sarà sempre il perbenista di turno che tenterà di farti lo sgambetto per non farti fare nulla, motivo per cui affermo che le band italiane meritano almeno il doppio del rispetto di quelle all’estero. Un mio carissimo amico diplomato in oboe e compositore è convinto che “questa società contemporanea sta procedendo molto male” e, come lui ebbe modo di sperimentare in un arco di 35 anni, “in certi circoli e circoletti si entra solo per l’ingaggio o per altri inciuci che non sono sempre facili da nascondere”. Mi disse anche “non esiste (forse esisteva una volta) l’obiettiva considerazione del talento puro e si sceglie piuttosto, di distruggere qualcuno in grado di diventare una minaccia” e questo fu quello che successe a lui in ambito classico. Quante band metal hai conosciuto nella sua stessa situazione? Non so a te ma se io dovessi descrivere quelle che ho conosciuto io perderei il conto. Detto ciò, tra le band dell’underground italiano quelle che ascolto maggiormente sono ad esempio i Disarmonia Mundi, i Novembre, gli Ignotum, i Sadist, i Flash God Apocalypse, gli Extrema e per finire i Node. Siamo molto amici dei Node, abbiamo condiviso il palco molte volte e persino il batterista.
Come nasce un vostro brano? Quali sono le varie fasi nelle quali esso si sviluppa? Diciamo pure che la cosa parte da me, sono io il riffmaster del gruppo. In primis parto col tradurre con la mia chitarra le onde sonore che mi sento in testa cercando di stendere una struttura più o meno intricata e mi registro per poi importare su Cubase a metronomo. Una volta stesa la track, sistemo la chitarra guida e scrivo sopra le altre chitarre e il basso improvvisando tutto ad orecchio, fino ad avere una registrazione totale degli strumenti a corde pizzicate della Song. Una volta fatto ciò esporto la traccia in Mp3 e mando tutto a Pietro che scrive le sue linee di batteria e arrangia il ritmo in generale della song. Fatto ciò, ci ritroviamo in due e la suoniamo fino a renderla nostra e poi la registriamo in presa diretta, chitarra guida e batteria. Quindi spiego la parte a Daniele che armonizza le sue chitarre e che eventualmente reinterpreta i riff, a volte rimpostando i miei, altre volte aggiungendo parti nuove scritte da lui, ma senza distruggere o stravolgere il lavoro. In questo caso ci troviamo in tre e riregistriamo la song dall’inizio. Per ultimo arriva Giulio che svolge un lavoro di sgrossamento delle parti, andando a correggere millimetricamente quasi “alla nota”, laddove la song non suona e, in seguito, va a correggere le linee di basso scritte da me precedentemente. Laddove non ci sono obbligati va scrivere la sua parte di basso. Da lì si ri-registra ancora una volta in presa diretta, fino a ottenere la song definitiva. Con quella parto a scrivere le linee di voce e con Daniele scriviamo insieme gli assoli.
Per ciò che concerne invece l’ambito dei testi cosa puoi dirmi? Per quanto riguarda i testi, in quanto a voce del gruppo, sono interamente scritti da me. Generalmente inizio già a canticchiarli nel momento in cui scrivo il riff, e poi, quando abbiamo la song al completo, li metto su carta. Vedo come funziona il testo, la voce e la chitarra si correggono le ultime cose e per ultimo si registra tutto. Le tematiche affrontate toccano fatti di attualità, di psicologia, di esoterismo, di mitologia, e hanno sempre un messaggio positivo, un po’ come avviene nell’hardcore punk. Se ad esempio prendiamo “Whit My Fingers I’ve Touched Death”, in quella song viene affrontato il tema del l’alienazione dell’individuo dai problemi della vita attraverso la droga (in quel caso l’eroina). Lo stato di assuefazione da overdose da eroina sospende il consumatore tra la vita e la morte, in un mondo a volte silenzioso e oscuro, altre volte in una sorta di campi elisi dal cielo azzurro, lontano da dispiaceri, crisi, stress. Messaggio? La droga ti rende schiavo, ti consuma fino ad ucciderti. Evitala e vivi sereno.
Il vostro full d’esordio, “Endless Reign”, è stato dato alle stampe nel lontano 2015. State per caso lavorando sul nuovo materiale? Cosa bolle in pentola? Certamente! Stiamo lavorando su materiale nuovo da parecchio tempo. Non nego che non ci siano stati problemi di stacco dal song writing, causato in parte dalle date dal vivo (se suoni in giro non puoi scrivere nuovo materiale a meno che non faccia il musicista professionista) e in gran parte al cambio di vita di ognuno di noi. Dalla mia partenza per la Svizzera tedesca per lavoro al cambio di attività lavorativa dei miei fratelli di band, dalle volte in cui non riuscivamo a trovarci insieme se non per preparare un live, alle incongruenze di disponibilità da parte nostra per provare. Ci sarà tempo per parlare di questo nella prossima intervista. Per il momento ti dico che sono riuscito ad impugnare la situazione e di proseguire da solo nel song writing, soprattutto anche per merito di un amico che ha vissuto una situazione molto simile e che mi ha stimolato in positivo a continuare. Ha funzionato. Questo amico è un chitarrista eccezionale e un compositore talentuoso che ha contribuito a darmi consigli sugli arrangiamenti delle song, ed è anche molto ma molto di più, ma ora non svelo nulla. Tempo al tempo. Posso dirti solo che se tutto procede come sta procedendo ora, l’anno prossimo entreremo in studio per incidere l’album nuovo, un album sperimentale, più sperimentale del primo, magari con strutture delle song più semplici, ma più difficili per l’espressività artistica che esse racchiudono. Ci saranno più parti “black”, compariranno stacchi crust punk che rimanderanno ai Nausea e ai The Crown di “Death Race King” e ci saranno parti sperimentali di prog rock nella sua forma più pura, e molto altro ancora, ma tranquillo: saremo sempre noi col nostro progressive melodic death metal di sempre, solo un tantino più sperimentale del solito!
Tempo scaduto Larry, ti ringrazio davvero tanto per la tua disponibilità a quest’intervista, concludi pure come vuoi! Ringraziamenti: grazie a te per l’intervista e per il tempo che ci hai dedicato. Alla prossima e death ‘n roll, fratello!
Su Overthewall, ospiti di Mirella Catena, i francesi Deos, del fondatore e portavoce Fabio Battistella.
Ciao Fabio, ci parli di te e del percorso musicale che ti ha portato ai Deos? Ho iniziato da adolescente ascoltando rock e grunge a metà degli anni ’90. Poi ho continuato a suonare hard rock e heavy metal e infine metal estremo. Nel 2012 ho incontrato Loic, il batterista, e durante un concerto dei Megadeth ho parlato a Jack (voce e basso) del progetto e, dato che la sua band si era appena sciolta, ha accettato. Poi abbiamo assunto un secondo chitarrista e abbiamo registrato il nostro primo album “Ghosts Of The Empire” nel dicembre 2015. Nel maggio 2016 abbiamo iniziato a scrivere il secondo album “In Nomine Romae” che è stato registrato tra novembre 2016 e maggio 2017. Durante le registrazioni ci siamo resi conto che le canzoni erano buone ma che ci mancavano le orchestrazioni. Così abbiamo assunto un tastierista. Abbiamo inviato l’album al mastering presso il JFD Studio con il nostro amico J-F Dagenais (Kataklysm e Ex Deos). E abbiamo firmato per la Buil2Kill Records. In “Nomine Romae” è uscito il 6 ottobre 2017. Poi abbiamo fatto molti concerti e tour per promuovere l’album e iniziato a scrivere il nostro terzo album all’inizio del 2020, poi è arrivata la pandemia e abbiamo dovuto separarci del secondo chitarrista e del tastierista. Cedric è arrivato come secondo chitarrista nell’agosto 2020, abbiamo finito di comporre e poi abbiamo registrato. Il mastering è di nuovo affidato al nostro amico J-F Dagenais. Abbiamo cambiato la nostra etichetta per firmare con WormHole Death Records. L’uscita del nostro terzo album “Furor Belli” è prevista per maggio 2022. Abbiamo fatto un tour alla fine di aprile tra il nord della Francia e il Belgio per presentare l’album ai nostri fan in anteprima. Continuiamo a promuovere “Furor Belli” e iniziamo a pensare al quarto album.
I Deos si formano nel 2014 e il vostro genere è definito roman extreme metal. La passione per l’antica Roma era presente già dall’inizio in tutti i componenti della band? A tutti noi piace la storia in generale. Gli altri membri sono stati sedotti dalla storia di Roma, è stato un progetto folle perché pochissime band trattano questo argomento ed è per questo che tutti hanno scelto di farlo! Gli scandinavi (e tanti altri) parlano dei vichinghi, le band black metal parlano del diavolo e della religione ecc… Noi abbiamo preso un’altra direzione!
Cosa ti affascina in particolare di quel periodo storico? L’epoca romana è così ricca di aspetti culturali, storici, umani, politici, militari e di altro tipo. È perfetto per avere soggetti per le canzoni e, a seconda del tema, la musica viene spontanea.
Nel 2022 pubblicate il vostro terzo album, “Furor Belli“, ci parli di questa nuova uscita discografica che vede, oltretutto un cambio di etichetta? La musica e i testi di questo album riflettono le prove e le tribolazioni degli ultimi due anni a causa della pandemia e del cambio di formazione. Rabbia, frustrazione, collera, ma anche speranza e amicizia hanno forgiato “Furor Belli”. E per la prima volta abbiamo due ospiti in due canzoni diverse, il che dà ancora più diversità alla nostra musica. Come sempre con Deos, i temi sono basati sulla storia di Roma, ma questi stessi temi sono ancora attuali. Riflettono la vita della band e il contesto mondiale attuale. I testi sono più riflessivi e personali, anche se possono sembrare più brutali, crudeli e bellicosi rispetto agli altri due album. Tutti i nostri testi sono il risultato di letture e ricerche approfondite. Non lasciamo nulla al caso! “In Primus Pilus” e “Germanicus” parliamo di leadership eroico. Il tipo di leadership che manca nel mondo di oggi. Affrontiamo il tema della decimazione nel brano “Decimatio” perché il nostro gruppo è stato decimato durante l’anno 2020, un male per un bene. Gladiatori che si uccidono a vicenda per intrattenere la folla in “Morituri Te Salutant”. Pane e giochi, una formula più che mai attuale! La condizione femminile in “Virgo Vestalis”, l’ossessione e la paranoia in “Venenum Rex”. Lo spirito di sacrificio e l’altruismo in “Cocles e Scaevola”. La caduta agli inferi con “Cerberus”, il funerale romano con “Cinis Ad Cinerem”. Tutti questi temi dell’antichità sono perfettamente trasponibili al nostro tempo! Per “Furor Belli” volevamo un’etichetta più grande, con una distribuzione migliore e che ci promuovesse più intensamente! Ecco perché siamo passati alla WormHole Death! E le cose stanno andando alla grande! Fanno un ottimo lavoro e noi lo sentiamo! Abbiamo opportunità che non abbiamo avuto in passato!
I Deos sono francesi ma vi siete esibiti in vari Paesi. Dove vi siete trovati meglio ? Dove avete trovato il pubblico più caloroso e partecipe? Abbiamo suonato in Francia, Svizzera e Belgio. Abbiamo avuto concerti molto belli e caotici in tutti e tre i Paesi! In ogni nazione il pubblico reagisce in modo diverso. In Belgio hanno invaso il palco alla fine dello spettacolo per portarci birre e fare foto, in Svizzera il pubblico era scatenatissimo. In Francia c’erano fan che dopo lo show hanno assaltato il nostro stand di merchandising!
Cosa ci parli del futuro della band? State lavorando a qualcosa di nuovo? Come annunciato in precedenza, stiamo iniziando a pensare al quarto album. Stiamo anche lavorando con Ocularis Infernum per suonare finalmente in Italia e in altri paesi europei. Non esitate a contattarli per farci suonare!
I Continuum Of Xul, quartetto dedito ad un death metal efferato, si riaffacciano sulle scene con la pubblicazione di “Falling into Damnation” (distribuito dall’attivissima Lavadome Productions) ad un anno di distanza dallo split “Rites of Morbid Death” in collaborazione con gli Abyss of Perdition.
Ciao Tya, grazie per essere qui e per la tua disponibilità a questa intervista, che ne dici di iniziare facendo conoscereai lettori de Il Raglio del Mulo la band? Quando e in quali circostanze nacquero i Continuum Of Xul? Ciao Luca, grazie a te per lo spazio concessoci. Continuum Of Xul nascono come una prosecuzione, un’evoluzione di Hellish God nel 2019. Inizialmente, i brani del promo sarebbero dovuti uscire come HG ma Matteo, io e Stefano ai tempi decidemmo di intraprendere una strada separata per una serie di ragioni logistiche ed artistiche. E dopo tre anni, dalla nostra nascita, siamo rimasti io e Matteo Gresele come unici membri stabili e fondatori. Ti posso assicurare che abbiamo fatto grandi sacrifici per portare a compimento le nostre opere musicali.
Ti va di presentarci i singoli componenti della band ed il loro background musicale? Mi aggancio alla domanda precedente: gli unici membri ufficiali della band siamo Matteo Gresele (Ad Nauseam, ex Hellish God) ed io con le mie esperienze con Antropofagus, M.O.P. ed appunto Hellish God. Il nostro background musicale è molto variegato ma con una solida base legata al death metal, al thrash metal e al black metal. Molti ci considerano un gruppo death metal, altri una band che miscela black e death… A noi piace fare ciò che vogliamo, senza barriere.
Il vostro EP “Falling Into Damnation” è stato distribuito dalla ceca Lavadome Productions, label molto attiva per ciò che concerne il panorama underground: puoi dirci come è nata questa collaborazione? È stato molto semplice, anche in virtù del fatto che Matteo collaborò con Ad Nauseam per il loro primo lavoro. Jan è davvero un fan di questa musica, è molto brillante e propositivo. Credo che sia un’ottima label e forse leggermente sottovalutata, nonostante abbia delle band di tutto rispetto come gli Heaving Earth, ad esempio.
Quali sono le vostre band di riferimento? Quali sono le vostre influenze in fase di songwriting? Cerchiamo di non averne in fase di composizione, nonostante il background sia abbastanza chiaro a tutti. Componiamo in maniera molto istintiva e cerchiamo di apportare alla nostra musica la giusta creatività senza porre in secondo piano la struttura del brano.
Adesso una piccola curiosità riguardante i testi: quali sono gli argomenti trattati? Si tratta di testi slegati tra loro oppure c’è dietro una sorta di “concept”? La concentrazione di odio, di abbandono e di disperazione che sto riversando nelle lyrics dei Continuum è senza precedenti nella mia vita. Ho sempre tratto ispirazione dai sogni e da tutto ciò che il mondo onirico mi propone quotidianamente. Rimango legato anche alla letteratura, traggo ispirazione da luminari del calibro di Jung, Kenneth Grant o lo stesso Crowley e trovo i loro insegnamenti molto illuminanti.
Nel mio “piccolo” mi diletto un po’ di grafica e devo dire sinceramente che sono rimasto molto colpito dal vostro logo, da chi è stato creato? Il logo è stato creato da Raoul Mazzero (View From The Coffin), amico di vecchia data e grande artista della penisola. “100% made in Italy”. Così si dice nell’era del consumismo compulsivo…
Dal 2019 ad oggi avete pubblicato (in ordine cronologico) un promo, uno split ed infine un EP. State pensando di pubblicare anche un full in futuro? Sarà il nostro prossimo passo. Penso sia uno step sensato e logico. Stiamo lavorando su molto materiale e buona parte dei brani possiamo considerarli completati. Sicuramente il prossimo anno verrà pubblicato, sempre per Ladavome Productions.
A chi vi siete affidati per le registrazioni e la produzione di “Falling Into Damnation”? Premessa: quando ti accennavo ai sacrifici compiuti sinora, sono relativi a questo. La Zona Rossa non ha aiutato per niente e ci siamo dovuti arrangiare come potevamo tra Saul di Roma per le batterie, Carlo Altobelli di Milano per le mie voci, Void direttamente da Londra ed infine Matteo direttamente dal nostro producer definivito Andrea Petucco, il quale si è occupato anche del mix e del master di “Falling..”. È stato un vero casino, in parallelo agli eventi contemporanei. Ciò nonostante siamo molto soddisfatti.
Per ciò che invece riguarda i live cosa mi dici, state organizzando delle date? Che tutti ascoltano e suonano death metal ma non siamo riusciti mai a suonare live, non per offerte che non sono mancate, ma per disponibilità terzi. Ma forse qualcosa sta cambiando… In cantiere!
Sebbene i Continuum Of Xul siano piuttosto recenti come formazione, come detto prima tutti voi avete una certa esperienza per quanto riguarda la scena estrema underground italiana. Che idea ti sei fatto a tal proposito, pensi che nel corso degli anni questa sia cresciuta qualitativamente? ? Ci sono band che, in un certo senso, ti hanno sorpreso favorevolmente? Quantitativamente è cresciuta nel numero delle band, sulla qualità non direi ad essere onesto. Mi piacciono molte realtà contemporanee come i Deathfucker (il loro “Firespawn” è un superalbum per me ed i ragazzi nella band sono eccezionali), i Putridity, gli Hurorian, i Black Flame, gli Assumption… abbiamo un sacco di ragazzi di talento che andrebbero supportati con strutture e risorse economiche nel nome della cultura, ma questa è utopia ed è come gridare nel culo di Karmen Karma…
A dieci anni dal precedente album “Anarchy in Italy” gli Airfish, band di culto attiva fin dai primi anni ‘90, chiudono un cerchio lungo tre decadi con la pubblicazione del doppio LP “The Crowleyan Hypothesis” (Qanat Records, 2022). Abbiamo parlato del disco, di underground musicale, di tarocchi, di metal, della vita oltre la musica insieme a Rodan, membro cofondatore della band.
Ciao, sulla vostra pagina Bandcamp ho contato ben 20 release tra il 1992 e il 2011. Come mai, poi, 10 anni di silenzio? Ciao, e grazie intanto per l’opportunità di fare quattro chiacchiere sul nostro lavoro. Dopo l’uscita di “Anarchy In Italy” abbiamo effettivamente rarefatto il nostro lavoro per svariati motivi, legati tanto alla sfera creativa quanto a quella personale. Pietro iniziò a lavorare sul suo album solista, coinvolgendosi in una serie lunghissima di prove e registrazioni, coadiuvato peraltro da un personale tecnico e musicale in costante cambiamento. Daniele Di Giovanni, all’epoca batterista Airfish e membro effettivo, iniziò a essere coinvolto nel progetto Homunculus Res, rivelatosi da subito impegno di grande spessore. Marco ed io siamo stati, tra le altre cose, reclutati dall’amico Gioele Valenti, suonando nella live band di JuJu per diversi anni. Federico e Domenico hanno dato vita al duo elettronico Fratelli Kolosimo. Come potrai immaginare, col passare degli anni, gli spazi temporali per gestire progetti musicali diversificati si restringe inesorabilmente. Ad ogni modo, nel 2016 ci siamo concentrati sul progetto “No Palermo”, un doppio album antologico sulla scena musicale palermitana a noi affine, e abbiamo messo su una nuova line-up assieme a Claudio, grande amico e batterista. Tra il 2016 e il 2019 abbiamo completato le registrazioni di “The Crowleyan Hypothesis”, de “I Morti” (album ancora inedito, con Giampiero alla batteria), di alcune musiche per i documentari di Salvo Cuccia, e abbiamo fatto una sporadica attività live. Abbiamo collaborato parecchio con gli amici Giorgio Trombino e Simone Sfameli, che hanno contribuito con idee e personalità alle registrazioni di questo periodo. Purtroppo la notizia della malattia di Pietro ci ha frenato, e il suo rapido e drammatico decorso ci ha impedito di sviluppare alcuni propositi già chiari, gettandoci in un lutto impenetrabile dal Febbraio 2020.
Non siete stati affatto fermi! Concentriamoci su “The Crowleyan Hypothesis” allora… Sarà il fascino del vinile ma credo che questo doppio LP (rilasciato in tiratura limitata di 300 copie) sia il vostro miglior disco, una summa della vostra discografia. Sono l’unico a pensarla così? Che impressioni avete ricevuto da chi, come me, vi segue da tanti anni? Sono molto lusingato dal tuo giudizio. Devo dirti che anch’io penso sia il nostro disco più maturo e complesso, e la valutazione di tanti amici mi conforta in questo senso. Siamo anche assai soddisfatti dei riscontri critici. Aldo Chimenti, Claudio Sorge e Stefano Cerati hanno recensito il disco in termini lusinghieri, e stiamo parlando di firme tra le più credibili e prestigiose, per chi segue con attenzione il panorama critico musicale italiano. Purtroppo gli spazi di dibattito sulla semantica musicale sono sempre più rari, spesso confinati alla saggistica, e quello che sembra contare, quello che appare importante, anche in ambiti presuntamente underground, sono i numeri che indicizzano il consumo del tuo prodotto: i like su insta, le visualizzazioni su YT eccetera. La discussione vitale sulla popular music è essenzialmente morta, sommersa da fiumi di retorica sul “professionismo” e la musica come “lavoro”, dal dominio assoluto dell’estetica visiva, dalla dissoluzione di qualsiasi relazione tra immagine, anche lirica, e vita reale. Credo che il bivio, per la comunità underground, sia stato oltrepassato in direzione sbagliata tanto tempo fa, e una bella esemplificazione può essere il film “Lords Of Chaos” di Jonas Akerlund, che mi è piaciuto molto.
Grazie per la dritta, cercherò il film di Akerlund. C’è una parola chiave per questo album: postumo. La morte nel 2020 di Pietro Palazzo, anima carismatica della band, ha lasciato Palermo orfana di un vero Artista. Questo evento ha portato a delle revisioni oppure l’album è così come lo avevate costruito tutti insieme? In linea di massima l’album è uscito in coerenza con i progetti originari. Solo la traccia di apertura, “Sanpietro” è stata aggiunta immediatamente dopo la morte di Pietro. Considera che il disco è stato mandato ad Andrea Merlini per il mastering il 5 febbraio 2020, e il 7 Pietro veniva a mancare. Abbiamo passato un bel po’ di tempo, prima a comporre i tasselli del mosaico-album, e quindi a cercare la giusta quadratura del cerchio in termini di coerenza e sviluppo del flusso sonoro. Costruire un album oggi è un’operazione tendenzialmente desueta, perché ogni epoca sviluppa un modus operandi della composizione e della produzione musicale in genere coerente con i trend di fruizione del prodotto musicale, oggi massimamente rappresentato dai video in bassa qualità su youtube ascoltati con smartphone dozzinali, quando va bene connessi a piccoli altoparlanti bluetooth. Abbiamo cercato invece di costruire un disco che fosse apprezzabile in quanto tale, nella sua completa e coerente complessità, articolata sulle quattro facciate di un doppio album in vinile. Del resto, si tratta del supporto musicale più naturale per musicisti della nostra generazione.
Il disco, come lo stile del vostro gruppo, è multiforme. Negli Airfish coesistono metal, elettronica, folk e tante altre diramazioni. C’è un brano che rappresenta meglio “The Crowleyan Hypothesis”? Penso che “The Pentagram” sia il brano più rappresentativo, un ritorno alle atmosfere di “Around The Fish” e “MIAO I”, con una consapevolezza nuova data da trent’anni di attività. Il tema crowleyano, il sax in primo piano, i loop industriali, il piglio metal delle chitarre e del basso distorto sono tutti elementi che contraddistinguono il periodo 1992-1994 della band. Con l’insostituibile aiuto dell’amico Vincenzo Lo Piccolo (alias Volgo Productions) abbiamo anche realizzato un videoclip, cosa che per noi, nel 2022, rappresenta una novità assoluta.
In che misura la figura di Aleister Crowley è presente in quest’album? La figura di Aleister Crowley è centrale nell’album, anche al di là della sintassi dei titoli. Ripropongo qua dei concetti già espressi in una precedente intervista, che mi pare siano particolarmente adatti a descrivere la nostra relazione con lui. Va specificato che Aleister Crowley è una di quelle figure in cui si imbatte per forza un giovane metallaro degli Anni 80 non appena inizia a seguire questo genere di musica. Una cosa per tutte, basti citare il brano di Ozzy Osbourne “Mr Crowley” presente nel suo primo album, con quel magnifico assolo di Randy Rhoads, che resta uno dei vertici della musica estrema e di un certo tipo di immaginare la musica in senso occulto. Quando a sedici anni scoprii che Crowley, il quale non era più solo il personaggio della canzone di Ozzy Osbourne per me, ma era diventato una figura di un qualche interesse, quando scoprii, dicevo, che aveva dimorato ed elevato il suo tempio a Cefalù a pochi chilometri da Palermo, m’interessai definitivamente. Iniziai, con una serie di amici, a fare delle regolari visite all’Abbazia di Thelema. Mi comprai il “Magick” nell’edizione Astrolabio. Villa Santa Barbara, l’Abbazia, era un luogo ancora poco violentato dai nugoli di esponenti della fandom crowleyana, ed era fonte di suggestioni irripetibili.
Effettivamente ho sempre associato gli Airfish ad un occulto rituale… L’impronta ritualistica nella nostra proposta c’è sempre stata. Inizialmente componevamo dei rudimentali per quanto sentiti omaggi al Mago, intitolandoli in maniera thelemicamente esplicita. Campionavamo la sua voce, recitavamo suoi versi, cose così. Crescendo, la prospettiva è mutata. Abbiamo progressivamente sviluppato un approccio ritualistico alla composizione e all’assemblaggio delle nostre proposte sonore. Nel 2008 abbiamo registrato un lavoro dedicato ai ventidue arcani maggiori del mazzo dei tarocchi di Marsiglia, che si intitola “La Scala Dorata” e che è stato integralmente progettato e poi edificato dal punto di vista sonoro e creativo su base ritualistica. Abbiamo cercato di realizzare un’impalcatura concettuale e atmosferica particolare, riunendoci solo a lume di candela, pungendoci con gli spilli per unire il nostro sangue e distribuendoci su base interattiva e cabalistica i compiti tanto creativi quanto tecnici da svolgere per l’edificazione di quest’opera musicale. Nell’ultimo disco, che è bene ripetere, esce postumo, nel senso che non è più previsto che noi ci si esibisca dal vivo, siamo tornati in parte a questi temi e a queste pratiche a noi care. È una sorta di citazionismo riflessivo. L’ipotesi crowleyana del titolo è l’ipotesi di un mondo nuovo, che gli stolti cercano nello spazio profondo, i volenterosi nella sacra unione tra maschile e femminile. Il conflitto tra tecnica e arte.
Dopo una serie di ascolti, il secondo dei due LP non è più uscito dal mio giradischi. Considero i lati A e B una preparazione ai (più coesi per me) lati C e D, mi sono creato questo filo logico. Si tratta invece di una raccolta di canzoni avulse da questo mio ragionamento? Come puoi leggere dalle note di copertina, abbiamo selezionato una serie di brani registrati in un periodo di tempo abbastanza lungo, e abbiamo passato molto tempo a immaginare la tracklist più adatta a esprimere il tema centrale del disco, l’ipotesi crowleyana di un mondo nuovo, dato dal conflitto tra arte e tecnica, e che può realizzarsi solo a patto di riconoscere la propria comunione col mondo e la natura ed esaltando il potere differenziale del dualismo maschile/femminile. Penso che il primo disco sia più carnale, e il secondo più orientato all’immaginazione. Trovo molto bello, o ancora meglio, gratificante che una persona come te abbia dedicato un ragionamento, peraltro calzante, a questo nostro lavoro.
Arrossisco! Il testo della traccia “452B” parla di un lontano pianeta abitabile, di vita sconosciuta oltre la vita conosciuta. L’avete messa a fine scaletta per un motivo specifico? Beh si, l’idea era che il contesto lirico del brano fosse adatto a guardare in avanti, alla prossima reincarnazione della nostra identità artistica, musicale e sociale. Il testo vuole anche suggerire che, se non si risolvono le contraddizioni che hanno fatto concludere la tua parabola esperienziale e creativa, è impossibile ricominciare. Bisogna guardare all’Arcano Maggiore XIII del Tarocco di Marsiglia, lo studio di quella carta permette di comprendere meglio il senso del trapasso e della trasformazione artistica ed esistenziale che noi volevamo rappresentare con la storia del pianeta abitabile e della sua connotazione valoriale. Il brano, tra l’altro, è cantato da Domenico (con me alle seconde voci), quasi una premonizione di un futuro senza Pietro.
Da cosa trae ispirazione l’immagine di copertina dell’album? Innanzitutto dai Queensryche, la copertina di “Empire”, e anche dal Prince della svolta “TMFKAP”, e dagli Einsturzende Neubauten di “Kollaps” e, in realtà, da innumerevoli altri album. Amiamo l’impatto che hanno i simboli a tutta copertina, e l’identificazione che nasce tra un prodotto musicale che ami fino a farne un tassello identitario ed il simbolo grafico che lo rappresenta. Nel caso del nostro album, il simbolo utilizzato si riferisce a Lilith sotto forma di drago. Penetrare questo simbolo e accoglierlo in sé senza paure è il sentiero che permetterà di superare l’incubo che l’umanità sta vivendo da tempo immemorabile, che ha la forma dell’assurda, autolesionista aggressione sterminatrice del maschile verso il femminile.
Per me gli Airfish sono un monumento monolitico, la feroce traduzione in musica delle innumerevoli sfumature della città di Palermo. Dalla prima volta che vi vidi in concerto, diciassettenne nel 1997, mi avete coinvolto ed accompagnato dall’adolescenza alla maturità. Avete presentato “The Crowleyan Hypothesis” con un dj set, nessun concerto, chiaro segno che qualcosa è andato perduto per sempre. La dipartita di Pietro non sarà mai facile da accettare, però… quali sono i progetti futuri degli Airfish? Chiaramente comprenderai come le cose siano cambiate per sempre. La nostra band ha in genere privilegiato l’aspetto relazionale rispetto a quello strettamente strumental-performativo. L’amico è sempre venuto prima del musicista. È sempre stato un progetto tanto di cuore quanto di cervello, intenso nell’elaborazione e maledettamente lento nella reificazione. Nel Novembre 2019, esattamente tre anni fa, abbiamo registrato in formazione classica (Pietro, Marco, io, Federico, Domenico, Giampiero) un’ultima sessione di sette tracce, che abbiamo chiamato “I Morti”, con interventi anche di Giorgio Trombino, Roberto Leto e di Manfredi. Prima di pubblicarlo, però, ci occuperemo di stampare l’album solista di Pietro, capolavoro che lo aveva totalmente assorbito negli ultimi anni. Nel frattempo stiamo valutando le possibili forme di una nostra futura produzione musicale assieme. Ho una volontà feroce di tornare a comporre, arrangiare, registrare ed eseguire nuova musica, ma prima bisogna concludere i rituali in corso.
Esordio discografico per gli Spiral Wounds che si affacciano sulle scene con “Shadows“, full distribuito dalla francese Great Dane Records, che mette in luce una realtà dedita ad un death metal davvero interessante, di questo ed altro ne parliamo con i ragazzi della band!
Allora ragazzi, come prima cosa vi ringrazio per la gentilezza e la disponibilità a sottoporvi a quest’intervista, cosa potete dirci riguardo a questo nuovo progetto? Com’è nato? Patrizio: Con Sandro ci conosciamo da più di trent’anni. Quando eravamo meno che ventenni, abbiamo suonato il basso nello stesso gruppo; gli Why?, anche se in periodi diversi. Per oltre trent’anni ci siamo persi seguendo ognuno i propri progetti e in definitiva la propria vita. Negli ultimi anni però ci siamo ritrovati su un noto social e abbiamo cominciato a parlare con entusiasmo dei vecchi tempi. Abbiamo cominciato facendo un paio di cover degli Why? e ci è piaciuto il risultato. Dopodiché Sandro a quel punto mi ha fatto sentire delle tracce di chitarra e batteria che aveva chiuse nel cassetto. In poco tempo si è unito Tato, con il quale avevamo preso contatto più o meno nello stesso periodo e in pochissimo tempo ne è venuto fuori il nostro primo EP omonimo.
Per saperne un po’ più di voi, per farvi conoscere meglio dai lettori del Raglio del Mulo, vorrei chiedervi se siete impegnati anche in altri progetti musicali… Patrizio: Ogni tanto registro qualcosa e la sottopongo all’ascolto di qualche amico semplicemente per torturare il loro udito. Sandro ne sa qualcosa. A parte gli Spiral Wounds non ho altri gruppi in cui suono il basso, oppure contribuisco in altro modo. Sandro: Anche io ogni tanto registro qualcosa, ho una cartella piena di riff e mezzi brani in attesa di collocazione. Per il momento però, Spiral Wounds è l’unico progetto attivo che ho. Tato: io, oltre a Spiral Wounds, ho altri progetti all’attivo, che vertono comunque tutti sull’extreme metal, in particolare death metal, nello specifico le altre band in cui suono sono Zora, Glacial Fear, Antipathic, Defechate, Throne Of Flesh e Unscriptural, e qualche collaborazione esterna con altre band di amici.
Dalle informazioni in mio possesso il “quartier generale” degli Spiral Wounds si divide tra Sardegna e Calabria, com’è nata questa collaborazione? Patrizio: Riallacciandomi a quanto detto prima, con Sandro ci conosciamo già da parecchi anni, ma viviamo da sempre in città diverse e distanti, pur abitando nella stessa isola. Walter Garau che è un nostro caro amico comune, (ci conosciamo da quando eravamo ragazzini in pratica), ed è inoltre un eccellente bassista che suona in un gran numero di band; per pura bontà ci ha introdotto e fatto conoscere Tato. E’ stato un connubio di gusti e feeling praticamente immediato e velocissimo. Quando abbiamo sentito finiti i primi quattro pezzi abbiamo capito subito che la voce di Tato era perfetta per rappresentare appieno la liricità musicale ed il dramma descritto dai testi.
Come nasce un vostro brano? Quali sono i vari steps che costituiscono la fase di songwriting? Sandro: Di norma si parte con un riff o una sequenza di accordi che consideriamo valida. Pian piano si assembla intorno ad esso tutto il resto, cominciando dal beat di batteria e proseguendo con la linea di basso: il lavoro compositivo è enormemente facilitato dall’utilizzo dei moderni sistemi di registrazione casalinga. Come con un puzzle, scegliamo i pezzi giusti che si incastrano bene gli uni con gli altri. Una volta completata la song (chitarre, basso e batteria), si lavora sul testo che poi Tato si occupa di adattare. A quel punto il brano è completo, e si procede all’arrangiamento e all’affinamento delle parti. Patrizio: Sandro ha scritto la maggior parte dei brani alla chitarra, ri-arrangiato tutto e ha programmato la batteria elettronica affinché sembrasse il più “umana” possibile. I testi nascono quasi all’unisono, prevalentemente in base alla prima sensazione emotiva che mi suscita la musicalità del brano.
Quali sono le vostre band di riferimento? Sandro: I miei ascolti spaziano davvero tanto e sarebbero fuorvianti per definire cosa suonano gli Spiral Wounds. Diciamo che il progetto nasce come una sorta di tributo verso la prima era del Death Metal, quella a cavallo tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90 (primi Death, Entombed, Carnage, Necrophobic etc., giusto per dare un riferimento). In qualche brano sono stati inseriti anche elementi un po’ più moderni (qualcosa di più doom, qualche influenza d-beat), ma l’ossatura è quella old school death metal. Patrizio: Ho un amore sviscerato per quasi tutto ciò che è stato suonato e pubblicato nella seconda metà degli anni ’80, in campo thrash e black/death metal, in particolare, perché lì sono le mie radici. Mi piacciono moltissimo gruppi come Celtic Frost, Coroner, Voivod, Napalm Death, Nuclear Assault, Death Angel, Slayer e Venom.
Ed ora una menzione per ciò che concerne i testi, quali sono le tematiche che vengono trattate? Patrizio: Ci sono diverse tematiche che hanno ispirato la scrittura dei testi. Grandi temi come la guerra, la morte omicida, il suicidio, le malattie mentali nelle sue varie manifestazioni, la disperazione e la solitudine. Nella maggior parte dei nostri testi c’è sempre in qualche modo la trascrizione di episodi realmente accaduti e vissuti di persona. Non c’è nulla di finto o inventato. Fin dall’inizio, inoltre, c’è stato il ripudio completo alle tematiche delle scienze occulte o della politica in generale. Non ci occupiamo di questo negli Spiral Wounds. Ci sono temi per noi più importanti da affrontare e sviscerare. Abbiamo preso una direzione un po’ diversa da quelle che sono le tematiche che si ritrovano nel black e nel death metal in generale e ci va bene così.
Cosa si cela dietro il nome Spiral Wounds? Patrizio: Avevamo già quasi completato i quattro brani del primo EP omonimo e inizialmente non sapevamo cosa scegliere, poi è venuto fuori questo nome che letteralmente significa “ferite a spirale”. Il nome della band non nasconde poi chissà cosa, ma solo la descrizione del dolore continuo, vorticoso e discendente, della più miserabile condizione umana alla quale moltissime persone devono ancora sottostare.
A chi vi siete affidati per le fasi di registrazione e produzione? Patrizio: Prendendo in considerazione la distanza che ci separa l’uno dall’altro e i vari lockdown, che si sono succeduti a causa dell’ultima pandemia. Com’è facile intuire, per le registrazioni ci siamo affidati a noi stessi. Non abbiamo mai provato in sala un singolo brano. Ho registrato le mie parti di basso a casa, collegando lo strumento a una scheda audio USB interfacciata a una DAW installata nel mio portatile. Credo che in tantissimi stiano già facendo così. E’ molto probabile che questo sia anche il futuro, per coloro che hanno difficoltà logistiche legate alle distanze da percorrere per incontrarsi e suonare, come le abbiamo noi degli Spiral Wounds. Sarebbe davvero molto bello tornare a suonare nelle salette come si faceva un tempo, guardarsi in faccia e tirar giù i brani, ma è da accettare/apprezzare anche il fatto che le tecnologie moderne permettono di produrre ottimi risultati, senza spendere un cent di base. Tato: il lavoro di mixaggio e mastering è affidato, sia per l’EP che per “Shadows”, al nostro buon Sandro, e così sarà anche per i successivi lavori, dal momento che ad ora siamo molto soddisfatti del risultato, ed avendo ancora molto tempo per affinare ciò che man mano ci accorgiamo si possa migliorare. Per quanto riguarda le riprese, come diceva Patrizio, ognuno ha fatto da sé a casa propria, più che altro anche per motivi logistici, vivendo tutti e tre distanti gli uni dagli altri.
Il full “Shadows” esce a solo un anno di distanza dall’omonimo EP “Spiral Wounds”, secondo voi ci sono differenze tra le due release? Sandro: Un po’ più acerbo il primo mini (che contiene un po’ di materiale registrato ben prima che il gruppo nascesse), un po’ più “a fuoco” il full. Siamo contenti di entrambe le release, ma chiaramente il nuovo disco è quello che preferiamo. Patrizio: Le tematiche delle due release sono quelle che abbiamo già descritto. Il primo EP le introduce. Il full le sviluppa. Musicalmente l’approccio invece è un po’ diverso.
Ok ragazzi, siamo giunti ai titoli di coda, vi ringrazio davvero tantissimo per la vostra disponibilità e vi auguro le migliori fortune, concludete pure come volete! Patrizio: Voglio ringraziare Raph, della Great Dane Records che ha creduto in noi e ci ha permesso di pubblicare questo album d’esordio. Sandro: Mi associo a Patrizio. Tato: Grazie mille per questo spazio offertoci, e grazie a chi ha avuto la curiosità di leggere un pò di noi ed, allineandomi a Sandro e Patrizio, non posso che ringraziare e salutare anche io Raph della Great Dane Records, che ha subito creduto in noi rivelandosi una persona davvero seria e professionale. Per ascoltare qualcosa di nostro potete farlo alla pagina SpiralWounds.bandcamp.com, augurandovi un buon divertimento e tanto headbanging!
Ritorno sulle scene per i genovesi Antropofagus, storica band death/brutal attiva dal 1998, che con “Origin” (Agonia Records) giungono alla loro quarta fatica discografica. In occasione dell’uscita del nuovo videoclip intitolato “Hymns of Acrimony“ (tratto dall’omonimo singolo) abbiamo fatto una chiacchierata con il chitarrista Francesco Montesanti e il cantante Paolo Chiti per sapere quali siano le novità sul nuovo album… si parte!
Ciao ragazzi! Come prima cosa ci tengo a ringraziarvi per la vostra disponibilità a questa intervista! Iniziamo subito dal principio: come e quando nascono gli Antropofagus? Francesco: Ciao Luca, grazie a te, nascono nel lontano 1998 in un pub di Genova dall’unione tra me e Rigel e Void ed Argento, un amico comune ci presentò dicendo che per suonare insieme eravamo perfetti, forse aveva ragione.
Francesco, puoi parlarci un po’ di come si sviluppa un tipico brano degli Antropofagus? Quali sono i vari step che costituiscono l’intero processo compositivo? Francesco: Prevalentemente per “Architecture…” ho steso tutte le track da solo e poi il lavoro fu registrato già finito senza ulteriore arrangiamento dai nuovi componenti dell’epoca quali Davide e Jacopo, complice il fatto che ci trovammo alle strette con i tempi visto l’inaspettato cambio di line-up che trovò la forma definitiva appunto con loro. Per “M.O.R.T.E.” il discorso fu uguale ma con già una leggera fase di arrangiamento a a più teste. Per “Origin” – in uscita il 28 Ottobre 22 – il discorso è stato diverso, complice la pandemia che ha comunque fatto slittare l’album di almeno un anno, ha permesso di approfondire una fase di arrangiamento a quattro teste, ognuno ha messo del proprio, benché io e Davide abbiamo anche lavorato questa volta insieme su parti specifiche dell album, che alla fine risulta probabilmente essere più maturo dei precedenti, mantenendo il meglio delle nostre qualità e cercando sempre di smussare alcuni errori che inevitabilmente si fanno sempre.
Adesso una domanda specifica per te, Paolo: per ciò che concerne i testi cosa puoi dirmi? Quali sono gli argomenti trattati nelle vostre composizioni? Paolo: Tutto è partito da un’idea che avevamo in principio e cioè quella di fare un concept album più “tradizionale”, dove nel procedere dei testi si narrasse una storia con un inizio e una fine (“Origin” del titolo richiamava infatti “la nascita” di un fantomatico protagonista). Poi però questa idea col tempo si è trasformata, e ho preferito non narrare una vera e propria storia, ma piuttosto descrivere quello che avevamo in mente con l’uso di immagini, magari anche criptiche e a volte non immediate. Diciamo che la nostra “storia” è costruita su tre momenti. L’entità (che vedete in copertina) affronterà tre fasi: “Ascesa” alla sua nuova dimensione/incarnazione; “Discesa” tra i mortali, nel piano che noi conosciamo, e infine la “Trascesa” dove questo essere prende coscienza di esistere al di sopra di ogni piano sensibile della conoscenza e della realtà, e di essere comunque anche lui parte di un ciclo senza tempo destinato a ripetersi all’infinito. Dentro ai testi si possono trovare tantissime fonti di ispirazione, dai libri (Lovecraft su tutti) ai film, così come anche agli antichi testi sacri egiziani, indiani e tibetani. Ogni cosa che descriva cose oscure e affascinanti, diventa il mio pane quotidiano per scrivere.
Sempre per te, Paolo: sei entrato a far parte degli Antropofagus, ma hai sempre fatto parte dei Devangelic, quali sono state le principali differenze che hai riscontrato tra le due band in questione? Per lo stile proposto, per ciò che riguarda il processo compositivo e altro… cosa puoi dirmi a riguardo? Paolo: Le differenze erano prevalentemente nello stile. Quando sono entrato con gli Antropofagus, con i Devangelic suonavamo un brutal death molto più serrato e veloce, e di conseguenza anche con la mia voce cercavo di risultare il più “chiuso” e brutale possibile. Gli Antro suonano sempre brutali e veloci, ma con un approccio molto più death metal per quanto riguarda atmosfere e suoni e così ho cercato fin da subito di fare qualcosa di diverso, molto più death vecchia maniera, cercando di scandire ogni singola parola, e cercando di aprire molto più la voce . Non cercando più di risultare il più basso e sporco possibile, ma tentando di dare più varietà (cosa che poi ho iniziato ad fare anche nell’ultimo album Devangelic). Per quanto riguarda il metodo compositivo, non c’è molta differenza. Sistemiamo e rifiniamo ogni dettaglio dei pezzi tutti insieme, che sia un un singolo riff o una metrica di voce, c’è veramente un grande lavoro di squadra.
Come evidenzia la vostra discografia, dal vostro secondo album “Architecture Of Lust” avete dato alle stampe i vostri lavori con una certa “cadenza” quinquennale, ma dal vostro esordio “No Waste Of Flesh” al vostro già citato secondo full sono trascorsi ben 13 anni… Cosa è successo in tutto questo lasso di tempo, Francesco? Francesco: Non è mai stata decisa una scadenza, il tempo trascorso da “No Waste…” è stato molto lungo perché avevo momentaneamente abbandonato lo strumento. Dopo l’uscita di “Architecture”, la distanza con “M.O.R.T.E.” fu un po’ data dalla mancanza di tempo e dagli impegni miei familiari, tra quest’ultimo e “Origin” è stata sicuramente colpa della pandemia, non aveva senso uscire con l’album e non dargli l’attenzione e la promozione che serve.
Ho ascoltato il vostro nuovo videoclip “Hymns of Acrimony”, l’ho trovato molto bello e, se posso permettermi di dirlo, abbastanza insolito per una band come la vostra che ha sempre spinto (e molto) sull’acceleratore. Dal punto di vista della struttura ho trovato il brano in questione molto Morbid Angel “oriented”, è corretto? Francesco: Grazie, è un brano di cui andiamo molto orgogliosi, troviamo che sia uscito veramente bene, poi ci siamo divertiti molto nel registrare il videoclip, che con la mano meravigliosa di Andrea La Rosa, è uscito fantastico. Era da un po’ di tempo che covavo l’idea di non uscire con il solito brano a mille BPM, ma cercare di attirare l’attenzione su qualcosa che di solito inseriamo nel disco a metà CD e che non usiamo mai come singolo. Suona molto ispirato ai Morbid Angel come tutte le volte che rallento i BPM, se ci fai caso in “Architecture” e in “M.O.R.T.E.” puoi trovare brani come “Sadistic, Det helgeran”,” The Abyss” o “Prise to a Hecatomb”, tutti brani che puzzano in stile morboso, è una cosa che mi appartiene da molti anni ormai, ogni volta che rallento le mie influenze più morbose si fanno strada e prendono il sopravvento. in “Origin” come facciamo sempre ci sono due brani lenti che spezzano la furia che di solito travolge chi ascolta questo genere, da respiro e movimento al CD, trovo che sia sempre corretto alternare questi suoni.
Quali sono secondo voi le principali differenze tra il vostro nuovo “Origin” e le precedenti produzioni? Francesco: “Architecture” vede una grande produzione curata dal nostro amico Fabio Palombi nel suo vecchio studio, che ovviamente paragonato allo studio che ha oggi, i Blackwave, è primitivo, ma è una produzione che ancora ad oggi a distanza di dieci anni trovo limpida ed efficace. il Master fu affidato agli intoccabili Hertz studios. Ad oggi ci troviamo ad avere uno studio professionale tutto nostro, gli MK2 di Davide. Lui come produttore sta facendo passi da gigante e come in tutte le cose, essendo un ragazzo talentuoso, riesce con la sua impronta a migliorare tutto ciò che tocca. Quindi sarebbe stato assurdo andare altrove avendo a disposizione un produttore nella band che ormai lavora a tempo pieno nello studio.
Potete raccontarci in che modo è nato l’interesse dell’Agonia Records nei vostri confronti? Francesco: L’Agonia insieme ad altre tre etichette era nei nostri interessi, una volta registrato una pre-produzione volevamo mandarla a queste tre label, ma nel frattempo una mattina ci manda un messaggio vocale in chat Davide dicendo che a Filip (boss dell’Agonia) era piaciuta molto la copertina di “M.O.R.T.E.” e chiedendo quali progetti avessimo in futuro. Vien da se che ci siamo trovati subito benissimo con loro e senza che abbiamo dovuto mandare nulla a nessuno, inviato poi il lavoro a loro sono rimasti molto colpiti dai nuovi brani e il matrimonio è venuto da se.
In tutta sincerità anch’io sono rimasto davvero colpito dalla cover dell’album, molto accattivante e d’impatto! Da chi è stata creata? Francesco: Contattai Stefano Mattioni che produce bellissimi lavori per la sua Viron 2.0, gli abbiamo affidato l’intero artwork esterno ed interno, e siamo contenti, volendo tornare all’uso computer graphic, di ciò che ha tirato fuori da quello che avevamo richiesto.
Suppongo che, una volta uscito il disco, vi saranno delle date live per promuoverlo nella maniera più adeguata. Cosa potete dirmi a tal proposito? Avete già pianificato qualcosa? Francesco: Stiamo cominciando già da un po’ a cercare di pianificare delle date, siamo volutamente senza agency, ed è molto difficile andare avanti con le nostre sole forze, vediamo cosa si riuscirà a fare, e se mai troveremo qualcuno con cui possiamo lavorare bene onestamente e goderci ciò che più ci appartiene: il palco.
Time out ragazzi, vi ringrazio davvero molto per la vostra disponibilità a quest’intervista. Auguro alla band le migliori fortune e vi faccio i miei più sinceri complimenti, concludete pure come preferite! Francesco: Grazie a te Luca, sei un grande supporter e le persone come te sono ossigeno per i nostri polmoni, a presto.
Dopo l’ottimo album di debutto “Recursive Definitions of Suppuration”, che ha ricevuto buoni riscontri, i Consumption sono tornati con una missione: pubblicare – con l’aiuto del mitico Jeff Walker – l’album mai realizzato dai Carcass dopo “Necroticism – Descanting the Insalubrious”. Ora che “Necrotic Lust” (Hammerheart Records) è stato pubblicato, sta a voi decidere se i Consumption hanno raggiunto l’obiettivo…
Benvenuto Håkan, la Hammerheart Records ha presentato il vostro nuovo album in questo modo: “I “Necrotic Lust” si sono fatti avanti per realizzare l’album mai realizzato dai Carcass dopo “Necroticism – Descanting the Insalubrious”. Sei d’accordo? Lascio decidere agli altri, per così dire, ma sì, più o meno. Posso dire che sono stato molto ispirato da quell’album, alcuni riff possono suonare molto come quelli contenuti in quel disco e altri no. L’ispirazione può prendere molte direzioni diverse. Non importa quali, sono molto soddisfatto di questo album!
Come è nata la tua collaborazione con Jeff Walker? Com’è avvenuta la nostra collaborazione? Quando ho scritto il primo album, ho pensato che sarebbe stato fantastico avere Jeff che cantava qualcosa in una nostra canzone. L’idea non si è realizzata, ma per “Necrotic Lust” ero fortemente determinato a rintracciarlo e chiederglielo. Ha offerto la sua disponibilità per un’intera canzone ed è andata alla grande. Uno dei miei pezzi preferiti dell’album!
Ti piace lavorare con ospiti o altri compagni di band e perché hai deciso di creare una one-man band? Sì assolutamente, lo trovo piuttosto eccitante e iodico sempre: “Bisogna fare ciò che si sa fare!”. Che sia voce, batteria, assoli di chitarra ecc… in qualsiasi modo possibile. Questo è il modo in cui diventa tutto più interessante e migliore.
Quali sono le sfide più grandi nell’essere soli in una band? In realtà non trovo una grande sfida essere solo, anche se poi non sono proprio solo, c’è Jon con me. Naturalmente ci possono essere difficoltà nell’essere soli o in pochi. Se non riesci a gestire tutti gli strumenti necessari, devi trovare musicisti per quelle parti. Fortunatamente non ho avuto molti problemi da questo punto di vista.
Qual è stato il contributo di Jon Skäre al disco? Il suo contributo sono state le eccellenti parti di batteria!
Qual è il tuo brano preferito di “Necrotic Lust” e perché? Ovviamente, “Ground Into Ash And Coal”, quella canzone parla da sé dato che Jeff ci canta e credo che più in generale la canzone abbia una bella atmosfera. Oltre a quella, “Offspring Inhuman Conceived” è una delle mie preferite. Contiene praticamente tutti gli elementi dell’album, almeno per le mie orecchie.
Che mi dici, invece, delle tre bonustrack incluse nell’edizione digipak? Abbiamo deciso di fare un album di nove tracce, ma ne sono state registrate 12, quindi la Hammerheard ha proposto di pubblicare un CD in edizione limitata con tre bonus. È stato difficile scegliere le canzoni, ma penso che non sarebbero potuto essere migliori.
Hai intenzione di coinvolgere altri membri per andare in tour? Forse non per un vero tour, ma i festival sarebbero carini. Sto lavorando su questo aspetto. Jon e Ludvig sono già della partita. Ludvig che ha avuto il compito di suonare gli assoli di chitarra. È anche un compagno di band di Jon nella thrash band Defiatory. Chi ci sarà dietro il microfono? Io o qualcun altro che troveremo. Finora non ho maturato proprimente il talento di cantare e suonare la chitarra contemporaneamente. Vedremo come andrà a finire e non importa come, ma sarà sicuramente tutto buono!
In chiusura hai un sessaggio per i nostri lettori? Se non ti sei ancora imbattuto in “Necrotic Lust”, ti suggerisco di farlo subito! E tieni le orecchie aperte per futuri aggiornamenti!
After the excellent debut album “Recursive Definitions of Suppuration”, that received good feedback, Consumption are back with a mission: to make – with the help from the legendary Jeff Walker – the album Carcass never made after “Necroticism – Descanting the Insalubrious”. Now that “Necrotic Lust” (Hammerheart Records) has been released, it’s up to you to decide if Consumption has achieved the goal…
Welcome Håkan, Hammerheart Records introduce your newalbum in this way: ““Necrotic Lust” have stepped up to make the album Carcass never made after “Necroticism – Descanting the Insalubrious”. Are you agree? It’s in the eye of the beholder so to speak but yeah, more or less. I’d can say I’m very inspired by that album, some riffs may sound a lot like it and som doesn’t. Inspiration can take many different turns. No matter what I am very satisfied with this album!
How is born your collaboration with Jeff Walker? How the collaboration happened? I had a little thought when I had written the first album that it’d be awesome to have Jeff sing a few words on some song. The idea didn’t come further than that but on “Necrotic Lust” I was fully determined to find him and ask him. He was down for doing a whole song and it turned out great. A favourite on the album!
Do you like to work with guests or other bandmates and why did you decide to create a one-man band? Yeah absolutely, I find it quite exciting and I always say: “Do your thing!”. Vocals, drums, guitar solos etc… on whatever the material might be. That’s when it gets most interesting and best.
What are the biggest challenges in being alone in a band? Actually I don’t see much of a challenge being alone though I am not alone. Jon is with me. OF course there can be challenges being alone or very few. If you cant handle all the necessary instruments you have to find musicians for those parts. Luckily I haven’t had much problem with that.
What was Jon Skäre’s contribution to the record? His contribution is the super excellent drumming!
What is your favourite track from “Necrotic Lust” and why? Of course “Ground Into Ash And Coal”, that song speaks for itself since Jeff is singing on it and I think the song in general has a nice atmosphere. Beside that song “Offspring Inhuman Conceived” is a favorite. It has basically all elements heard on the album, at least in my ears.
What’s about the three bonustracks included int the digipak edition? We decided to do a nine track album but 12 songs were recorded so Hammerheard proposed we’d do a limited CD with three bonus songs. It was hard to pick the songs for each release but I think couldn’t have been better.
Are you planning to bring in other members to go on tour? Maybe not tour specifically but festivals would be nice. I am working on the matter. Jon and Ludvig is already doen for it. Ludvig who got the mission to play guitar solos. He’s as well a band mate to Jon in their thrash band Defiatory. Who’ll be behind the mic, me or someone else we will see. This far I haven’t discovered the talant to sing and play guitar simultaneously. We will see how it turns out and no matter what it will be good!
Any last word for our readers? If you out there haven’t stumbled over “Necrotic Lust” I suggest that you check it out Now! And keep yer eyes open for future updates!
Probabilmente il Giappone non è stato mai così protagonista in un album dei Sigh come nel nuovo “Shiki” (Peaceville Records). La volontà di parlare di un tema quale la morte, ha rafforzato paradossalmente il legame tra Mirai Kawashima e il suo Paese natio.
Benvenuto Mirai, è appena uscito il tuo vostro nuovo album “Shiki”. Non ti nascondo che il primo approccio, quello visivo, mi ha riportato alla mente “Infedel Art”. Questa somiglianza tra le copertine è intenzionale? C’è qualche collegamento tra il vostro secondo full lenght e il nuovo album? L’artwork di “Shiki” si basa su un poema tradizionale giapponese di 800-900 anni fa. Descrive la scena in cui un vecchio osserva i fiori di ciliegio spazzati via dal forte vento primaverile. Il fiore di ciliegio è davvero bello ma allo stesso tempo è il simbolo della fragilità poiché scompare in una settimana circa. Il vecchio identifica i petali nel vento con se stesso, che devrà morire abbastanza presto. Ho pensato che fosse molto intrigante che qualcuno 800-900 anni fa si sentisse esattamente come noi adesso. Tante cose si sono evolute in questi 800-900 anni, ma dobbiamo ancora avere paura della morte. Questo è uno dei temi dell’album. Quindi la somiglianza tra questo artwork e quello per “Infedel Art” non è intenzionale. Ovviamente l’ho notato quando l’artista mi ha inviato lo schizzo e ho pensato che potesse essere un buon riferimento a “Infedel Art”, ma non era qualcosa di pianificato in anticipo.
La parola “Shiki” ha vari significati in giapponese come quattro stagioni, tempo di morire. Perché hai voluto affrontare questi argomenti in questo momento della tua vita? Sì, ha molti significati come tempo di morire, quattro stagioni, colori, cerimonia, direzione di un’orchestra, morale ecc., e i primi due sono i temi principali dell’album. Il motivo per cui ho scelto la morte come tema è che semplicemente ero letteralmente spaventato dalla morte quando ho scritto questo album. È stata la sensazione più grande che ho provato e volevo esprimerla nel modo più onesto e diretto possibile.
Pensi che ci sia un disco nella tua discografia che è particolarmente vicino nei contenuti a “Shiki”? Se si, quale? In realtà il mio primo piano per “Shiki” era di fare un album sulla scia di “Scorn Defeat”. Avevo intenzione di renderlo più o meno primitivo. Tuttavia, con il passare del tempo, si stava rivelando abbastanza diverso come al solito, ma immagino che tu possa ancora sentirne alcuni rimandi. “Kuroi Kage” è la prima traccia che ho scritto per questo album, quindi probabilmente ha un sacco di riferimenti a “Scorn Defeat”.
Eri più libero al tuo debutto, quando non avevi fan da tenere in considerazione o oggi che hai guadagnato una tua credibilità artistica e una storia decennale alle spalle? Sì, credo di sì. La maggior parte delle canzoni sono state scritte senza sapere che saremmo stati in grado di pubblicare un album. Una volta uscito un disco, diventa il tuo standard. Di solito pensi di dover superare i tuoi album precedenti e, a volte, questo ti lega. Alcune persone dicono che “Scorn Defeat” è il nostro miglior album e lo capisco. Ovviamente è l’album più primitivo da noi composto, ma ha un’atmosfera magica. Se lo registrassimo nuovamente con tecnica e tecnologie odierne, perderebbe sicuramente la sua magia.
Frédéric Leclercq (Kreator) e Mike Heller (Fear Factory \ Raven) compaiono nell’album. Quando lavori con musicisti occidentali, noti delle differenze rispetto a quando registri con degli orientali? Pensi che ci sia un approccio culturale diverso o la musica è un linguaggio universale? No, non ho sentito alcuna differenza culturale. La differenza più grande è ovviamente che entrambi sono musicisti di gran lunga superiori. Ad essere onesto, ero abbastanza frustrato dai musicisti con limitazioni tecniche, ma questa volta non ho dovuto pensarci. Inoltre siamo stati in grado di parlare “musicalmente” se capisci cosa intendo. Ero completamente stufo di sentirmi dire che non potevano suonarlo, non capivano le scale ecc. a dire il vero… Questa volta è andato tutto molto bene. Apprezzo che Mike e Fred abbiano fatto parte dell’album.
Nel disco vengono utilizzati alcuni strumenti della tradizione musicale giapponese come Shakuhachi, Hichiriki, Shinobue, Shamisen, Taishōgoto, Shruti box. Quando hai imparato a suonarli? A scuola o dopo? Ho iniziato con il Shakuhachi solo qualche anno fa. Suono il flauto e fondamentalmente se suoni il flauto, puoi suonare lo Shakuhachi. Lo stesso per lo Shinobue. E se suoni il piano / le tastiere, puoi suonare il Taishogoto.
Ai tempi di “Scorn Defeat” avresti mai pensato di utilizzare questi strumenti tradizionali nei tuoi dischi? Per nulla. Anche se abbiamo usato alcune immagini giapponesi nei testi e nell’artwork, non volevo riferimenti alla musica giapponese nei Sigh perché non ne sapevo nulla. Ma quando sono cresciuto, ho iniziato ad ascoltare molta musica tradizionale, non quella ad alto volume però. Poi ho iniziato a suonare quegli strumenti tradizionali. Per “Shiki” volevo esprimere il mio più intimo sentimento di paura della morte, dovevo usare la mia lingua. E come ho detto, la copertina si basa su una poesia tradizionale giapponese. Tutto sommato, volevo renderlo un album molto giapponese con uno spirito giapponese. Questa è la ragione per cui ho usato molti strumenti tradizionali.
Lo scorso agosto vi siete esibiti al Brutal Assault, come hanno accolto le nuove canzoni i vostri fan? Abbiamo suonato a “Mayonaka No Kaii” e “Shoujahitsumetsu” al Brutal Assault, e le reazioni sono state davvero buone. Ma sai quando suoni ai festival, la maggior parte del pubblico non ha molta familiarità con le tue canzoni, il che significa che non c’è differenza tra le nuove canzoni e quelle vecchie per loro.
Ci saranno altre date a supporto dell’album? Suoneremo con gli Anaal Nathrakh a Londra il 14 dicembre. E a febbraio andremo in Australia e probabilmente a Singapore. Ci dovrebbero, poi, essere altre date.
Japan has probably never been so featured on a Sigh album as in the new “Shiki” (Peaceville Records). The desire to talk about a theme such as death paradoxically strengthened the bond between Mirai Kawashima and his native Country.
Welcome Mirai, your new album “Shiki” has just been released. I do not hide from you that the first approach, the visual one, brought to my mind “Infidel Art”. Is this similarity between the covers intentional? Is there any connection between your second full length and the new album? The artwork for “Shiki” is based on a Japanese traditional poem from 800 – 900 years ago. It describes the scene where an old man watches the cherry blossoms being blown off by the strong Spring wind. The cherry blossom is really beautiful but at the same time it is the symbol of fragility as it goes away in a week or so. The old man identifies the petals in the wind with himself, who has to die quite soon. I thought it was very intriguing that somebody from 800 – 900 years ago felt exactly the same as we do now. So many things evolved over these 800 – 900 years but we still have to have a fear of death. That’s one of the themes of the album. So the similarity between this and that for “Infidel Art” is not intentional. Of course I noticed it when the artist sent me the sketch and I thought it could be a good reference to “Infidel Art”, but it wasn’t something planned beforehand.
The word “Shiki” itself has various meanings in Japanese such as four seasons, time to die. Why did you want to deal with these topics at this time in your life? Yes, it has a lot of meanings such as time to die, four seasons, colors, ceremony, conducting an orchestra, morale etc., and the first 2 are the main themes for the album. The reason I chose death as a theme was simply I was full of a fear of death when I wrote this album. It was the biggest feeling I had, and I wanted to express it as honestly and straightforwardly as possible.
Do you think there is a record in your discography that is particularly close in content to “Shiki”? If so, which one? Actually my first plan for “Shiki” was to make an album in the vein of “Scorn Defeat”. I was planning to make it pretty much a primitive one. However, as the time went by, it was turning out to be quite different as usual, but I guess you can still hear its remnants. “Kuroi Kage” is the first track I wrote for this album, so it must have a lot of “Scorn Defeat” feel in it.
Were you freer at your debut, when you didn’t have fans to account for or today you have gained your artistic credibility and a decade-long history behind you? Yes, I guess so. The most of the songs on it were written without knowing we’d be able to release an album. Once you have an album out, it becomes your standard. You usually think you have to top you previous albums, and sometimes it binds you. Some people say “Scorn Defeat” is our best album and I understand that. Obviously it’s the most primitive album by us, but it’s got some magic atmosphere. Even if we re-recorded it with today’s technique and technology, it’d just lose the magic.
Frédéric Leclercq (Kreator) and Mike Heller (Fear Factory \ Raven) appear on the album. When you work with Western musicians, do you notice any differences compared to when you record with Easterners? Do you think there is a different cultural approach or is music a universal language? No, I didn’t feel any cultural difference. The biggest difference is obviously they both are by far superior musicians. To be honest I was pretty much frustrated with musicians with technical limitations, but this time I didn’t have to think about it. Also we were able to ‘musically’ talk if you know what I mean. I was totally sick of being told that they couldn’t play this, they didn’t understand scales etc. to be honest… This time everything went really smoothly. I do appreciate that Mike and Fred were a part of the album.
In the album you use some instruments of the Japanese musical tradition such as Shakuhachi, Hichiriki, Shinobue, Shamisen, Taishōgoto, Shruti box. When did you learn to play them? At school or after? I just started playing Shakuhachi about a few years ago. I play flute and basically if you play flute, you can play Shakuhachi. The same for Shinobue. And if you play piano / keyboards, you can play Taishogoto.
At the time of “Scorn Defeat” would you have ever thought that you would use these traditional instruments in your records? Not at all. Though we used some Japanese images in the lyrics and the artwork, I didn’t want to take in Japanese music in Sigh as I knew nothing about it. But as I got older, I started listening to lots of Japanese traditional music, not the high-blow one though. Then I started playing those traditional instruments. For “Shiki”, I wanted to express my naked feeling about a fear of death, I had to use my own language. And as I said, the artwork is based on a Japanese traditional poem. All in all, I wanted to make it a very Japanese album with a Japanese spirit. There is a good reason that I used a lot of traditional instruments for this one.
Last August you performed at Brutal Assault, how did your fans welcome the new songs? We played ‘Mayonaka No Kaii’ and ‘Shoujahitsumetsu’ at Brutal Assault, and the reactions were really good. But you know when you play at festivals, most of the audience are not too familiar with your songs, which means there’s no difference between the new songs and the old ones for them.
Will there be other dates to support the album? We will play with Anaal Nathrakh in London on December 14th. And we’ll go to Australia and probably Singapore in February. There should be more dates for sure.