Più che una copertina, un manifesto di vita! Quella macchina che “veleggia” verso il sole, immortalata nella cover del nuovo disco, la dice lunga sull’attitudine dei Rainbow Bridge, che di chilometri in questi anni ne hanno macinati per raggiungere anche la più improbabile sala concerti. Una predilezione per le soluzioni live che è sempre apparsa palese nei dischi precedenti dei pugliesi e che, ovviamente, non manca neanche nel nuovo “Drive” (Autoprodotto / Metaversus PR). Però questo lavoro, più che i suoi predecessori, presenta un gran numero di novità e soluzioni innovative per il trio…
Benvenuti, conoscendoci da una vita so che di chilometri ne avete macinati tanti in questi anni, e credo che voi vogliate rimarcare questo aspetto sin dal titolo e dalla copertina del vostro nuovo album. Siamo tornati in termini di date ai giorni pre-pandemia, oppure quell’evento ha cambiato in modo definitivo l’apparato live nel nostro Paese?
Ciao Giuseppe, sicuramente la copertina rappresenta un po’ tutto questo, i chilometri che abbiamo percorso e che contiamo ancora di fare anche in senso metaforico. In termini di date non siamo ai livelli pre-pandemia ma crediamo che tutto ciò sarebbe accaduto a prescindere. In realtà, nel periodo delle prime riaperture noi abbiamo suonato tanto probabilmente per il tipo di proposta o per il formato trio, sai con le distanze e tutto il resto, adesso cerchiamo di scegliere bene i posti dove suonare anche se per un gruppo come il nostro è sempre più difficile spostarsi verso il nord e infilarsi nelle programmazioni dei locali. Buona parte dello Stato Borbonico però riusciamo a coprirla.
Restando in tema live, la vostra precedente uscita era proprio un disco dal vivo, pensate che sia riuscito in qualche modo a trasmettere in pieno all’ascoltatore l’energia, il sudore e l’entusiasmo che sprigionate sul palco?
Pensiamo di sì, siamo molto orgogliosi del disco live anche perché è venuto fuori in maniera quasi inaspettata. Un nostro caro amico (Beppe “Deckard” Massara) ci ha proposto questo concerto a Gennaio 2022, eravamo ancora in periodo di parziali chiusure, con l’intenzione di fare una registrazione ma non pensavamo in una resa simile sia in termini di suono che di performance. La Cittadella di Molfetta è un vero e proprio teatro, c’era una bella atmosfera e i concerti in giro scarseggiavano, noi eravamo concentratissimi (non avevamo nemmeno un goccio di alcol sul palco) e abbiamo suonato quasi tre ore. Alla fine abbiamo dovuto scegliere tra i tanti brani suonati ma è venuto fuori un disco di quasi ottanta minuti che ci rappresenta al 100%. E’ piaciuto anche a tanti altri oltre che a noi, va ancora alla grande su Bandcamp. Grazie a Beppe che ha fatto un lavoro pazzesco sul suono.
Tuffiamoci su “Drive”, un disco che paradossalmente nel suo essere atipico risulta una sorta di vostro compendio. E’ atipico perché è diviso in tre parti, però paradossalmente queste tre parti rappresentano al meglio i singoli aspetti della vostra musica. Questa peculiarità è il frutto di una scelta fatta a priori o solo lavori finiti vi siete resi conti di questa triplice anima di “Drive”?
In realtà è un disco molto pensato soprattutto rispetto ai precedenti che sono nati di getto. L’intento era di fare un qualcosa che racchiudesse tutte le anime della band. Abbiamo iniziato con delle canzoni, che poi sono diventati i primi tre singoli usciti nel corso del 2021 e 2022, e man mano si è sviluppata meglio questa idea di fare un disco a più facce. Il concept, se così vogliamo intenderlo, si è concretizzato dal momento in cui abbiamo deciso di comporre una sorta di lunga suite che non fosse la solita jam che non avremmo avuto difficoltà a far durare anche venti minuti. Infine abbiamo inserito i quattro strumentali che fanno da contraltare a tutta la parte cantata. E’ stato un lavoro più lungo del solito ma ci siamo riusciti.
Nella prima parte approfondite un aspetto che forse in passato avevate esplorato poco, quello della canzone e, secondo me, lo fate anche inserendo degli elementi nuovi nel vostro sound. Avendo una maggiore propensione all’improvvisazione in fase di scrittura, per voi comporre delle “canzoni” è più complicato?
Sì, è più impegnativo perché c’è molto più lavoro dietro soprattutto in sala ma anche a casa ognuno alla sua maniera. Siamo prevalentemente una live band e gli spunti non mancano mai anche nei soundcheck o nei ritagli di tempo. C’è sempre un riff nuovo, qualcosa che poi dimentichi e poi magari ritorna inconsapevolmente, ma per fortuna abbiamo acquisito un un nostro metodo senza andare a briglie sciolte tutto il tempo.
Accennavo prima come nelle canzoni, più che nei pezzi strumentali presenti sul disco, intravedo elementi nuovi, concordate con me?
Come dici tu, ci sono anche elementi nuovi soprattutto nella suite dove ci siamo divertiti ad inserire delle parti che ricordano a volte i Police o il primo heavy metal di fine anni ‘70. Le nostre influenze sono palesi ma ce ne sono tante che vorremmo far venire fuori e chissà magari nel prossimo disco ci sarà più funk se non reggae. Concordiamo con te e ci piace pensare che ce ne siano anche negli strumentali laddove in passato eravamo più sporchi e diretti adesso anche in quei momenti musicali c’è una consapevolezza diversa come se fossero delle canzoni anch’esse più strutturate come quando c’è la parte vocale.
I pezzi della prima parte dal vivo tendono a trasformarsi, diluirsi, oppure mantengono la semplicità che hanno da studio?
Lo stiamo capendo man mano. Ai tempi del nostro secondo disco, “Lama”, in cui inserimmo le prime parti cantate non eravamo soddisfatti della loro resa live, con il tempo i brani sono cresciuti e hanno assunto una forma diversa, sicuramente accadrà anche con queste song più recenti. La componente psichedelica è nella nostra natura ma a volte è bello restare nei paletti che alcune canzoni impongono.
I brani strumentali sono nati in contemporanea con le canzoni della prima parte oppure risalgono a sessioni di registrazione diverse?
La registrazione dei primi tre singoli risale al 2021 ed erano dei brani a cui stavamo lavorando già prima del covid, li abbiamo semplicemente remixati. Il resto risale a pochi mesi fa dove abbiamo registrato tutti gli strumentali e l’intera suite (a cui abbiamo comunque lavorato per circa un anno). In ogni caso anche se in tempi diversi la registrazione non è durata più di cinque, sei giorni totali.
Il disco si chiude con una mini-suite concettuale, come è nato questo pezzo? Può rappresentare il futuro della band o rimarrà un caso a sé stante?
“Tears Never Here” ha una sua storia abbastanza particolare. Volevamo fare un brano con diversi momenti quasi come fosse una storia un po’ alla Tommy (amiamo gli Who). C’erano questi tre testi di Paolo (il batterista) molto vecchi pensati per tre brani differenti che avevano comunque molti punti in comune e che Giuseppe (chitarra e voce) ha “unito” componendo allo stesso tempo la parte musicale. Un bel giorno ci ha inviato il brano completo con voce e chitarra acustica, ad un primo ascolto ci pareva impossibile realizzarlo, c’erano troppe parti da ricordare! In realtà non è stato poi così difficile una volta entrati è venuto fuori in maniera abbastanza naturale e ognuno ci ha messo del suo in fase di arrangiamento. Speriamo di suonarlo il più possibile nei prossimi concerti e magari ripeteremo l’esperienza aggiungendo elementi diversi, vedremo.
Dove vi condurrà nei prossimi mesi la vostra auto?
In giro il più possibile e sicuramente verso un nuovo disco a cui stiamo già pensando per il prossimo inverno.
