Flavio Adducci – Più Veloce!

Nel panorama della musica estrema, pochi generi riescono a incarnare l’essenza della velocità, della brutalità e dell’attitudine DIY come il grindcore e il power violence. Flavio Adducci, con il suo libro Più Veloce! Le origini del grindcore e del power violence 1982-1986″, edito da Arcana Edizioni, esplora a fondo le radici e l’evoluzione di queste sonorità al limite. In questa intervista, l’autore racconta la genesi del libro, le sue fonti d’ispirazione e il suo punto di vista sulle differenze tra questi due generi spesso colpevolmente confusi tra loro.

Bentornato su Il Raglio Flavio, direi di iniziare dando la tua definizione di grindcore e power violence…
Ciao Giuseppe, è bello tornare sulle pagine de Il Raglio del Mulo dopo tanto tempo! Allora, come prima cosa, bisogna dire che il grindcore e il power violence condividono radici abbastanza comuni essendo nati entrambi dall’hardcore punk più estremo dei vari Lärm, DRI, Septic Death, Siege, Deep Wound, Negative FX e gruppi simili. La differenza è che il grindcore è molto influenzato dal metal estremo, ed è quindi più metallico del power violence, che è invece più puramente punk anche per la mentalità decisamente più underground, visto che tale genere nacque praticamente alla fine degli anni ’80 come risposta alla deriva metal (e quindi commerciale) in seno all’hardcore, la quale partorì anche il grindcore. Ma il (primo) problema è che molti profani pensano che il grindcore sia un genere metal mentre è in realtà un genere crossover dato che rappresenta un mix perfetto fra l’accacì e il metal più brutali. E per questo può essere suonato indifferentemente sia dai punk, come testimoniato dai primi Napalm Death che venivano tutti dall’anarcopunk britannico di scuola Crass, che dai metallari, come testimoniato invece dai Repulsion, gli altri fondatori ufficiali del grindcore, più orientati al death metal anche per i temi sanguinari e zombeschi. Quindi, fra punk e metallari cambia sicuramente un po’ l’approccio al grindcore ma comunque un piede ben piantato nel più selvaggio hardcore punk c’è sempre. Un altro problema è che molti profani pensano anche che il grindcore e il power violence siano intercambiabili, che siano cioè la stessa cosa, arrivando così a identificare entrambi come grindcore perché dei due è il genere sicuramente più popolare. Ma il fatto è che il power violence (abbreviato anche in “pv”) è un genere completamente a sé stante con tratti molto distintivi. Fra questi va segnalata in primis la struttura costantemente mutevole delle canzoni che, anche nell’arco di 30 secondi, cambiano spesso passando da parti velocissime in blast beat ad altre più lente e melmose molto vicine allo sludge metal (cioè l’unica ingerenza metal nel genere), uno stile non a caso ospitato spesso in uno storico festival del pv come “La Fiesta Grande”, organizzato fra il 1992 e il 2000 dalla californiana Slap-a-Ham, l’etichetta di Chris Dodge degli Spazz, che negli anni ’90 sono stati fra i maestri assoluti del power violence. Poi c’è anche un grande uso della dissonanza, di chitarre quindi stridenti, sgradevoli da sentire, praticamente noisy. Chi più chi meno, suonavano così proprio i primi pionieri del pv come i No Comment e, soprattutto, gli Infest, considerati da più parti come i veri padrini del genere. Ma se si vuole una definizione, allora in estrema sintesi direi di base così: Il grindcore è un brutale crossover fra l’hardcore punk e il metal estremo con tematiche politicizzate oppure più splatter e gore; Il power violence è invece l’hardcore punk portato alle sue più estreme conseguenze ma con qualche influenza dall’esterno come lo sludge metal mentre le tematiche sono preferibilmente politicizzate.

Come nasce l’idea di scrivere “Più veloce!”? È stata una folgorazione improvvisa o un progetto che ti frullava in testa da tempo?
Allora, il progetto nasce nel novembre 2020, cioè un mese dopo aver pubblicato il mio primo libro, “Benvenuti all’Inferno!”, sostanzialmente quando ho buttato giù i primi appunti sui Beastie Boys. Ma si può dire che tutto sia nato grazie a una di quelle liste presenti sul sito Rate Your Music. Un bel giorno infatti digitai “proto-grindcore” su Google e trovai proprio su RYM una lista assemblata da un certo IsaacOvHeck con il titolo, per l’appunto, di “Proto-Grind”. Non so chi sia lui ma lo devo ringraziare qui per avermi ispirato a iniziare questo folle progetto, anche perché con la sua lista mi ha fatto conoscere gruppi a me totalmente sconosciuti come i tedeschi SM-70, i canadesi Damnation o i giapponesi Tranquilizer, tutta gente probabilmente mai apparsa prima su un libro e le cui gesta dovevano essere finalmente documentate su carta stampata. Quindi, metti questo, metti la mia vecchia fascinazione per il metalpunk più estremo e selvaggio degli anni ’80, e metti anche la delusione che ho sempre provato nei confronti di “Choosing Death” di Albert Mudrian, ho voluto imbarcarmi in questo progetto che è andato ben oltre i gruppi citati sia da Isaac che dallo stesso Mudrian. Il suo libro ha però avuto il grande merito di essere stato forse il primo sul grindcore pubblicato in Italia ma purtroppo nelle sue pagine questo genere viene fin troppo associato al death metal, gracchiando spesso più che altro la superficie a forza di parlare di gruppi relativamente mainstream come Napalm Death e Morbid Angel ma dimenticando del tutto nomi anche fondamentali come Cryptic Slaughter, Lärm e Septic Death, cosa per me inconcepibile. Ecco i motivi che mi hanno spinto a scrivere “Più Veloce!”. Ma a questi aggiungerei anche la mia ormai famosa passione per le origini profonde dei generi musicali che amo. Solo che più di passione parlerei proprio di ossessione.

A chi ti sei rivolto con “Più veloce!”? Pensi che sia un libro solo per i fan del genere o potrebbe incuriosire anche chi non è ancora entrato nel mondo del grindcore e del power violence?
Visti i generi spesso di nicchia di cui si parla, e vista anche l’enorme mole del libro, direi che “Più Veloce!” si rivolge soprattutto non solo ai fan del grindcore e del power violence ma anche a quelli dell’hardcore punk, considerando che questo occupa inevitabilmente, dati i temi trattati, la maggior parte dell’opera. Ma c’è anche qualcosa per gli amanti del metal estremo. Quindi credo che essa sia rivolta a una larga fetta di persone, anche perché il libro tratta tutta una serie di gruppi capaci di declinare sia il metal che il punk nelle maniere più disparate, dalle più melodiche alle più efferate. Si passa così dall’ultrafast crossover thrash metal dei Cryptic Slaughter al black metal dei Sarcófago, dallo short song noisecore degli australiani 7 Minutes of Nausea al d-beat supersonico degli svedesi Protes Bengt, dall’hardcore metallico dei Corrosion of Conformity a quello melodico e poliedrico degli Hüsker Dü, oppure ancora dal fastcore tinto di oi! dei primi Agnostic Front alla brutale positività straight edge degli Youth of Today. Insomma, per gli appassionati c’è veramente l’imbarazzo della scelta. Poi certo, ben vengano i curiosi, e spero vivamente che si appassionino a tutte queste sonorità. Sempre che non gli esplodano le orecchie dopo aver provato ad ascoltare tutti i gruppi noisecore giapponesi!

Perché hai deciso di concentrarti proprio sugli anni dal 1982 al 1986? Cosa rende questo periodo così cruciale per la nascita del grindcore e del power violence?
Dal 1982 perché proprio in quell’anno sono apparsi i primi gruppi capaci di sperimentare coi blast beat anche soltanto in una singola canzone. Un esempio su tutti? I Beastie Boys (sì, quei Beastie Boys!) nei 27 schizofrenici secondi della sorprendente “Riot Fight”. Ma poi c’erano anche gli originalissimi e velocissimi Youth Korps, fautori di un dissonante e isterico power violence ante litteram che andavano invece a mille all’ora in (quasi) ogni loro canzone. I grandi Spazz fra l’altro li citano in un curioso pezzo intitolato “Hardcore Before Mark McCoy Was Emo Semen”, dove affermano espressamente che il fastcore è nato anche secondo loro nel 1982 grazie pure ad altri gruppi insolitamente veloci per l’epoca come i canadesi Neos. E fino al 1986 perché in quell’anno nacque praticamente il vero grindcore, anche se ancora non ufficialmente. Infatti, da una parte, i Repulsion pubblicarono il devastante “Slaughter of the Innocent”, demotape che in verità doveva uscire come album in vinile ma il piano purtroppo saltò. E, dall’altra, i Napalm Death registrarono la prima parte di quello che poi sarebbe stato “Scum”. E questo senza dimenticare che stavano uscendo allo scoperto gruppi importanti per il genere come i britannici Extreme Noise Terror, gli statunitensi Spazztic Blur (con membri dei Wehrmacht), i croati Patareni, gli spagnoli Ruido de Rabia e i giapponesi Sabotage Organized Barbarian, per tutti SOB, che avrebbero poi condiviso un po’ di tour con gli stessi Napalm Death. Ma pure gli Infest, i padri fondatori del power violence, nati nel settembre 1986 mentre altri futuri pionieri di questo stile si stavano facendo le ossa in band notevoli come i simpatici Stikky e i Pillsbury Hardcore. E tutto questo quando gli olandesi Lärm, fondamentali per tutto il grindviolence, sbancarono addirittura negli Stati Uniti grazie a un disco come il massacrante “Straight on View”, pubblicato dalla californiana One Step Ahead Records, che li incluse pure in una compilation come “End the Warzone”, comparendo insieme a tre gruppi americani quali gli stessi Pillsbury Hardcore, gli Straight Ahead e gli Attitude Adjustment, uno più brutale dell’altro. Insomma, se negli Stati Uniti stavano facendo un certo successo formazioni come i Lärm, allora il momento era davvero giunto per una definitiva estremizzazione dell’hardcore. E pure del metal.

Nel libro esplori realtà da ogni angolo del pianeta, dagli Stati Uniti al Giappone, passando anche per l’Italia. Ci sono state delle scene che ti hanno sorpreso per la loro originalità o il loro impatto?
Per impatto almeno sulla gioventù del posto, per prolificità e per la particolare situazione socio-politica locale, direi alcune scene dell’Est Europa, oggigiorno un noto focolaio mondiale soprattutto del grindcore. Per esempio, la scena hardcore punk della Polonia era enorme, e in un certo senso era paradossalmente allevata dallo Stato per via dello Jarocin Festival, allora la maggiore manifestazione nei territori del Blocco Sovietico dedicata alla musica alternativa giovanile. Si dice però che il festival fosse stato messo su perfino dai servizi segreti nazionali per dare una valvola di sfogo ai tanti giovani ribelli presenti nel Paese, governato allora da una dittatura comunista particolarmente repressiva soprattutto a cavallo fra il 1981 e il 1983 quando fu in vigore una dura legge marziale voluta dal generale Wojciech Jaruzelski dopo aver attuato un colpo di Stato. Sia comunque vera o no quella cosa riguardo al festival, la sua edizione del 1984 venne letteralmente dominata dall’hardcore punk anche grazie a gruppi belli incazzosi come Moskwa e Siekiera. A loro si sarebbero presto aggiunti i Paranoya, fra i primi gruppi polacchi molto vicini al grind, e pure gli Imperator, thrash metallari ultraestremi tendenti a un black metal primordiale. Ancor più incazzosa era però la scena jugoslava, molto forte specialmente in Slovenia, piuttosto rispettata per formazioni decisamente spietate come Odpadki Civilizacije, Stres DA e le rumorose Tožibabe, e senza trascurare il fatto che in Croazia ci fossero i Patareni. L’anno d’oro della scena locale fu il 1986 quando impazzò nel Novi Rock, una specie di Jarocin Festival in piccolo che si teneva a Lubiana dove in quell’occasione si esibirono come headliner nientemeno che gli Amebix. Ma la Jugoslavia era sorprendentemente una meta abbastanza frequentata dai gruppi stranieri in tour. Per dire, i Discharge ci suonarono nel 1981, i bolognesi RAF Punk nel 1983, i losangelini Youth Brigade e i finlandesi Rattus nel 1984, gli Anti-Nowhere League e gli Angelic Upstarts nel 1985, e altri ancora li avrebbero seguiti. Poi mi ha stupito la scena della Germania dell’Est, controllata da una dittatura talmente in stile Grande Fratello orwelliano che tutto era praticamente predeterminato dallo Stato, così ogni piccola deviazione dall’ordinario era motivo di sospetto per la Stasi, il servizio segreto nazionale. Eppure riuscì a crescere e a svilupparsi un piccolo movimento punk totalmente clandestino che organizzava i propri concerti all’interno delle chiese, gli unici posti esistenti relativamente inviolabili dallo Stato. E dico “relativamente” perché nella scena c’erano comunque tante piccole spie purtroppo al soldo della Stasi in cambio di favori. Proprio in questa drammatica situazione socio-politica riuscirono a barcamenarsi band particolarmente estreme come gli Antitrott, in sostanza la versione DDR dei Siege. E per originalità, direi assolutamente la miniscena noisecore dell’isola giapponese di Kyushu. Proprio lì infatti nacquero gruppi come Confuse, Gai/The Swankys o Sieg Heil (nessuna affiliazione col nazismo, nonostante il moniker discutibile), che praticamente presero l’hardcore rumoroso di Bristol (Chaos UK, Disorder, Chaotic Dischord), lo mischiarono con l’emergente industrial giapponese (Hanatarash, Merzbow, The Gerorigerigegege…) e crearono così un accacì veramente folle e assordante. E anche incredibilmente influente.

Qual è stato il contributo della scena italiana nello sviluppo di questi generi? Qualche band o figura storica nostrana merita una menzione particolare?
Prima di tutto, c’è da dire, e senza nessuna traccia di campanilismo, che la scena hardcore punk italica è stata negli anni ’80 una delle più forti a livello mondiale, molto rispettata perfino negli Stati Uniti dove i Raw Power fecero un lungo ed estenuante tour già nel 1984. In effetti, i Raw Power, i Wretched, i Negazione e i Cheetah Chrome Motherfuckers (meglio conosciuti come CCM) sono stati la vera punta di diamante dell’Italian Hardcore, e ciò ovviamente senza nulla togliere ai vari Crash Box, Indigesti, Kina e tanti altri. Ma quei primi quattro gruppi citati furono per i tempi anche particolarmente veloci e brutali, e per questo amati fin da subito da parecchi degli intervistati, inclusi addirittura Paul Van den Berg dei Lärm e Chris Dodge. Però di band belle violente ne avevamo un sacco, e così non posso non citare gente meno conosciuta come i napoletani Underage, i lucchesi Wardogs o gli udinesi Eu’s Arse. Molto a sé stanti ma estremi come nessuno in Italia erano poi i veronesi Agonia, fautori di un catastrofico noisecore spaccatimpani prossimo al grind molto vicino a quanto stavano facendo contemporaneamente i brasiliani Brigada do Odio, i francesi Rapt e gli olandesi Second Auschwitz. E mettete pure in conto che gli Agonia proponevano perfino tematiche straight edge, allora rarissime qui da noi, ma in verità erano mega-particolari in tutto, anche nella loro rocambolesca storia. Però meritano di certo una menzione anche i più metallari Schizo, che già nel 1986 erano di una brutalità grind immensa, perciò per me se la giocavano ampiamente alla pari sia coi Napalm Death che coi Repulsion. Quindi direi che il contributo è stato di un certo peso.

Hai raccolto molte testimonianze dirette attraverso interviste, e ti ringrazio di avermi inserito nella bibliografia. Ti sei mai trovato in difficoltà durante la fase di ricerca o scrittura? C’è qualche aneddoto che ti ha colpito particolarmente o che non ti aspettavi?
Allora, in fase di ricerca mi è stato impossibile contattare certi personaggi fondamentali per la storia ma purtroppo irrintracciabili da qualsiasi parte. Peccato perché il loro contributo secondo me sarebbe stato parecchio interessante. Parlo soprattutto di Olivier Dignac e di Brian “Pushead” Schroeder. Il primo era il cantante/chitarrista dei Rapt nonché il titolare della Deflagration Tapes, con la quale produsse molte seminali compilation internazionali dedite all’hardcore più violento. Il secondo invece cantava nei Septic Death e gestiva la Pusmort Records ma di fatto era un vero tuttofare nella scena americana, fra l’altro pure lui un bel cultore dell’ultraviolenza in musica come già dimostra la sua band. Ma ho avuto difficoltà anche in fase di scrittura. Infatti, prima di arrivare alla forma attuale del libro, ho dovuto praticamente stravolgerlo dandogli così tutta un’altra struttura, tutta un’altra fisionomia, in modo da renderlo più presentabile e pubblicabile. Per dire, all’inizio il libro era un insieme di schede biografiche fin troppo approfondite dei gruppi tanto da superare a un certo punto le 700 pagine. E se non mi fossi fermato sarebbero state ancora di più! Ma lì finalmente capii che forse stavo esagerando un tantinello… Detto ciò, mi sono rimasti particolarmente in testa due aneddoti, anche perché mi sono sorpreso a citarli spesso in qualche conversazione con amici e conoscenti vari. Il primo mi è stato raccontato da Dario Adamic (prima responsabile della fanzine croata Zips & Chains, e poi negli anni ’90 voce dei romani This Side Up) che una volta, siccome nella sua Zagabria c’era penuria di concerti punk, nel 1985 andò con i suoi amici a un grosso festival, seppur questo di punk non avesse niente. Alla fine l’importante, più che la musica stessa, era fare gruppo e fare aggregazione anche con creature simili (darkettoni, metallari…), e questa è una cosa molto simile al desolante periodo post-lockdown dove io stesso sono andato a concerti che non mi facevano esattamente impazzire ma non mi importava granché. Il secondo invece viene da Chris Coppola dei francesi Cock Roachs. Un giorno lui e i suoi compari si imbatterono in un supermercato che vietava espressamente l’ingresso sia ai cani che addirittura ai punk. Provocati al punto giusto, ci entrarono lo stesso e seminarono il panico! E questo per far capire quanto fossero odiati i punk ma proprio a qualsiasi latitudine. Non importava se venivi da un regime dittatoriale o da una democrazia dove teoricamente vigeva la libertà di espressione, eri comunque un diverso che deviava da quanto accettato e tollerato da qualsiasi società “normale”, e quindi ogni giorno era per te una lotta continua. Anche perché a volte eri praticamente perseguitato perfino dalla legge. Prendiamo per esempio la tristemente famosa SUS (Search Under Suspection) Law, in vigore nel Regno Unito fra gli anni ’70 e ’80, la quale lasciava liberi i poliziotti di perquisirti soltanto per l’aspetto. Insomma, in generale non doveva essere una situazione facile essere punk in quel periodo.

Le foto che hai inserito nel libro aggiungono un tocco personale e visivo importante. Ci racconti come hai deciso di selezionarle e se ce n’è una che per te ha un valore speciale?
Le foto le ho selezionate di comune accordo con l’editore, scegliendo le più interessanti fra quelle scattate da me e quelle mandatemi invece dai diversi intervistati. Però quella che per me ha effettivamente un valore speciale non rientra in nessuna di queste due categorie e ha pure una storia particolare. Nel settembre 2022 andai infatti a trovare a Verona un mio caro amico, Iacopo. Arrivato lì, mi fece conoscere i suoi amici, ovviamente dei punk. Parlando con loro, si meravigliarono del fatto che conoscessi un loro prodotto locale, gli Agonia, che in città hanno una nomea leggendaria. Così una sera mi portarono all’Arco dei Gavi, praticamente il simbolo della VeronaHC e per questo immortalato nella copertina dell’unico disco fatto dagli Agonia. Finì che Margherita, una del gruppo punk, ci fece una foto con l’Arco dei Gavi sullo sfondo. Veramente grazie mille a lei, Francesco, Simone e Iacopo per questo stupendo ricordo!

Come vedi oggi il grindcore e il power violence rispetto alle origini che hai raccontato? Pensando ai nuovi artisti, credi che abbiano mantenuto lo spirito di quei primi anni o che ci siano state evoluzioni significative?
In 40 anni di rumore iperveloce ne sono successe sicuramente di cose, anche se alcune di queste se le potevano pure risparmiare tranquillamente. Per esempio, quella buffonata sessista del pornogrind è andata un pochino troppo oltre il significato originario del grindcore, e quindi è stata un’idea veramente di merda… e scusa per il francesismo. Però, a parte questi piccoli incidenti di percorso, direi che il vero spirito del grindcore e del power violence è vivo e vegeto, e di recente tanti giovani e giovanissimi lo stanno rinnovando come non succedeva da tempo, declinandolo in vari modi. In questo senso, mi vengono in mente, soprattutto in materia grindcore, i lercissimi Piscio e Merda (gran nome!) di Pordenone o i più tecnici Floema, promettente terzetto di Roma dal sound parecchio avventuroso. Ma, in generale, fra i nuovi gruppi da consigliare citerei assolutamente i trentini Ekbom, che fanno un violentissimo, onnivoro e isterico mathgrind; i romani Plague Bomb, quartetto di veterani molto in stile primi Napalm Death; e i bolognesi Insulsi, in fissa con un power violence un po’ malato. Interessante poi il fatto che quest’ultimo genere venga oggigiorno sempre più mischiato col grindcore, e quindi adesso è facile sentir parlare di grindviolence, cioè un approccio scelto da band come gli statunitensi Escuela Grind (visti due annetti fa a Roma, e sono veramente intensi e divertenti!), i francesi Chiens (visti invece durante il Go! Fest del 2018) e un po’ gli Estinzione, anche loro da Bologna. Ancora grandissima è poi la partecipazione a uno storico festival internazionale dedicato a questo tipo di sonorità come l’Obscene Extreme, che si tiene ogni anno in Repubblica Ceca (o Cechia come va di moda adesso). Una manifestazione simile è il sopraccitato Go! Fest, altro festival annuale, stavolta romano, che purtroppo l’anno scorso non c’è stato ma che fino al 2023 ha fatto suonare band anche storiche quali gli svedesi Asocial o i tedeschi Yacøpsae, quindi spero che venga ripreso. Fra l’altro, da poco è uscito, esattamente un mese dopo il mio, anche un libro sul grindcore italiano chiamato “Killed by Noise”, scritto da un mio amico, Andrea “Capò” Corsetti dei Neid, notevolissima band viterbese sempre in giro per il mondo a far concerti. Insomma, il grindviolence è in buonissima salute, e con tutte queste iniziative non possiamo proprio lamentarci.

Terminiamo con l’elenco dei dischi indispensabili…
Abbastanza difficile farlo perché l’elenco in realtà sarebbe sterminato. Per dire, nel libro trovate un capitolo di ben 16 pagine interamente dedicato a stilare tutti i dischi, demotape e compilation trattati anche diffusamente nel corso del racconto. Ma, provando a fare una sintesi, direi che per la nascita del grindviolence sono stati estremamente importanti le seguenti produzioni, ordinate in senso cronologico ma alcune di esse uscite in cassetta:

Youth Korps – “The Quick and the Dead” (1982)
Deep Wound – “Deep Wound” (1983)
DRI – “Dirty Rotten” (1983)
Asocial/The Bedrövlerz – “How Could Hardcore Be Any Worse?” (1984)
Lärm/Stanx – “Campaign for Musical Destruction”/”No Secrets” (1984)
Siege – “Drop Dead” (1984)
Septic Death – “Need So Much Attention… Acceptance of Whom?” (1984)
V/A – “Welcome to 1984” (1984)
Brigada do Odio/Olho Seco – “Brigada do Odio/Botas, Fuzis, Capacetes” (1985)
Negative FX – “Negative FX” (1985)
V/A – “Cleanse the Bacteria” (1985)
Napalm Death – “Scum demotape” (1986)
Repulsion – “Slaughter of the Innocent” (1986)
V/A – “End the Warzone” (1986)

Detto questo, ti ringrazio veramente un botto per quest’intervista molto interessante. Quindi, non mi rimane altro che salutarti e lascio qui di seguito un po’ di link per i curiosi che vogliano seguire le mie altre attività. Perché, oltre a scrivere libri, ho sia una fanzine che una band. Sì, sono “leggermente” iperattivo ahah! Ciao!

Timpani allo Spiedo (la mia fanza): http://www.instagram.com/timpaniallospiedofanzine

Quattro Lire Vigliacche (la mia band): http://www.instagram.com/quattrolirevigliacche

Più Veloce!: http://www.instagram.com/piu_veloce_grindviolence

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