Guineapig – I parassiti del goregrind

I Guineapig sono tornati per riprendere l’attacco batteriologico iniziato con il precedente album in studio, “Bacteria”, uscito nel 2014. “Parasite” (Spikerot Records) è un portatore (mal)sano di germi goregrind, una vera è propria bomba virulenta dalla quale è impossibile difendersi…

Ciao ragazzi, “Parasite” è il vostro secondo album è finalmente uscito: quanto il risultato finale si avvicina all’idea che avevate del vostro ritorno discografico prima che iniziaste a scriverlo?Fra: Dopo otto anni dal nostro primo disco l’idea era quella di scrivere un album che avesse sicuramente alcune delle caratteristiche del suo predecessore ma che contenesse anche degli elementi nuovi, freschi per il genere di appartenenza, sia per quanto concerne il songwriting che la produzione. Sono passati diversi anni e noi siamo persone diverse, con una vita diversa e con ascolti diversi quindi non potevamo riproporre la stessa cosa del passato, non avrebbe rispecchiato chi siamo adesso. Secondo me ogni disco di una band deve sempre un po’ raccontare lo stato attuale dei componenti. I cloni hanno poco senso di esistere.

Allargando la visuale, invece, quanto i Guineapig di oggi si avvicinano all’ideale di band che avevate al momento della vostra creazione?
Fra: Guineapig nasce come un mio progetto solista, al tempo non avevo nessun obiettivo preciso ma soltanto quello di divertirmi e cercare di fare qualcosa di diverso da quello che già facevo. Poi però mi sono detto, perché non coinvolgere anche altre persone e portarlo dal vivo? E da lì a poco è nato il gruppo vero e proprio. Abbiamo sin da subito cercato di dare un’importa professionale al progetto, nonostante il goregrind sia un genere caratterizzato da band dall’approccio comico e spensierato. La nostra idea era quella di differenziarci dalle altre band del genere, cercando di avere un orientamento più serio sia per quanto concerne la musica che le tematiche. Ma questo soltanto sul palco perché poi sostanzialmente siamo tre cazzoni e ci divertiamo a dire e fare stronzate!

Rimanendo in ambito di creazione, come mai per creare questo album ci sono voluti ben otto anni?
Fra: Perché siamo una band di pigroni! E anche perché abbiamo avuto la fortuna di suonare molto dal vivo dopo l’uscita del nostro primo disco.

Il vostro modo di comporre è mutato in questo lungo lasso di tempo?
Fra: Assolutamente sì. All’inizio l’attenzione al dettaglio non era maniacale come ora. Buttavamo giù un pezzo e se funzionava era buono così. Per quanto riguarda questo disco invece i pezzi sono cambiati e ricambiati nel tempo, nella struttura e con l’aggiunta di diversi elementi. Abbiamo cercato di rendere sia il riffing che il lavoro di batteria più vario e dinamico. Ad un ascolto superficiale questa cosa forse non emerge tanto ma con un ascolto più attento si possono apprezzare le diverse sfumature che abbiamo voluto inserire. E’ stato sicuramente un disco “faticoso” da questo punto di vista ma siamo assolutamente soddisfatti del risultato.

Il disco è stato registrato ai Kick Recording Studio di Roma, in qualche modo Marco Mastrobuono, dall’alto della sua esperienza, vi ha indirizzato su scelte che da soli non avreste fatto?
Fra: Senza dubbio. Marco ci ha spinto a sperimentare ancora di più di quello che avevamo in progetto di fare. Eravamo un po’ timorosi all’inizio, i fan del Grindcore e del metal estremo in generale sono solitamente restii alle sperimentazioni. Abbiamo voluto inserire degli elementi che non sono tipici del genere ma che hanno contribuito a rendere il tutto ancora più originale e personale.

Introducendo il primo singolo, “Taxidermia”, avete dichiarato: “E’ un brano veloce e diretto con i tipici elementi dei Guineapig, come breakdown e mid-tempo, ma anche con parti più fresche, presenti in tutto il nuovo album”. Cosa sono queste “parti più fresche” di cui parlate?
Alessio: Il primo singolo in realtà è stato “Mermaid In A Manhole”. Scegliemmo questo pezzo proprio perché diverso dal resto delle tracce e aveva diverse parti “nuove” che abbiamo inserito in “Parasite”. “Taxidermia” è stato scelto come secondo singolo proprio perché diretto è più canonico, se vogliamo, ma che alla fine, pur essendo un tipico brano “Guineapig”, possiede anch’esso novità introdotte su questo disco quali cambi di riff e tempo repentini, controtempi di batteria e via dicendo. Anche se le vere novità potrete trovarle su pezzi più articolati quali “Zatypota” e “Deformed Doppelgänger”, dove gli ascoltatori più attenti potranno trovare addirittura influenze Djent, oltre al Death/Grind.

A livello concettuale, invece, avete introdotto delle novità nei testi?
Alessio: Il filo conduttore di tutto il disco è la trasformazione. Diciamo che tutto ruota intorno a quello, oltre ai tipici testi su malattie genetiche, deformazioni e parassiti simpatici (come il Candiru – correte a leggere il testo di “Urethra Candiru Terror” –, che pur essendo un invertebrato, si comporta come tale). Chiaramente da cinefili quali siamo, non mancano i vari riferimenti alle pellicole più becere dell’underground horror ed estremo in generale.

Il disco è uscito in più edizioni, vi andrebbe di presentarle ai nostri lettori?
Gina: Intanto ringraziamo i ragazzi di Spikerot Records che hanno fatto un ottimo lavoro, gliene siamo davvero grati. Ci hanno permesso di dare totale sfogo alle nostre idee per la produzione di questo album. Il disco si presenta in formato LP disponibile in due versioni (Black e Ultra Clear) ed in versione cd digipak, oltre a vari bundle. All’interno dell’album troverete un ampio booklet di 16 pagine, contenente i testi e le fantastiche illustrazioni del Maestro Timpanaro che ha fatto davvero un ottimo lavoro.

Prossime mosse dal vivo?
Gina: Dopo questi due interminabili anni di pandemia, finalmente qualche spiraglio di luce comincia ad illuminare i tanto attesi palchi che ci sono mancati da morire. Saremo impegnati come prima data al nostrano Frantic Fest a Francavilla al Mare il 19 agosto, poi un’altra chicca da annunciare a settembre, sempre in Italia, mentre a novembre partiremo per il tanto atteso tour in Europa con i fratelli Gutalax e Spasm, toccando anche Milano come penultima data. Per le altre date, ovviamente seguiteci sulle nostre pagine social!

Rabid Dogs – Grind ‘n’ roll a mano armata

I Rabid Dogs da quasi tre lustri violentano i nostri padiglioni auricolari, figuriamoci se una pandemia può fermare questa loro attività criminosa. Anzi il recente “Black Cowslip” rilancia le ambizioni del terzetto, forte di un nuovo contratto discografico (con la Time To Kill Records) e nuovi stimoli creativi.

Ciao Doc (chitarra e voce), lo scorso 28 gennaio è uscito il vostro album “Black Cowslip”, è sicuramente presto per fare un bilancio, però ti chiedo: quali aspettative accompagnano questa pubblicazione?
Ciao Giuseppe. Sì, non è nemmeno un mese che l’album è fuori ma abbiamo delle buone sensazioni a riguardo. Il disco piano piano si sta diffondendo, grazie alla promozione continua della Time To Kill, ai due videoclip pubblicati in queste settimane ed alla musica stessa. Crediamo molto in questo disco e vogliamo che arrivi a più pubblico possibile perché lo merita.

“Black Cowslip” è il primo album che pubblicate durante la pandemia, temete che l’attuale blocco dei concerti possa in qualche modo compromettere la promozione del disco?
E’ la nostra paura ma purtroppo non possiamo farci molto. Causa pandemia abbiamo dovuto rallentare un po’ con la registrazione e pubblicazione ma forse è stato un bene dato che finora l’attività live è stata quasi del tutto azzerata. Adesso però siamo in attesa che le restrizioni scompaiano e di poter finalmente suonare dal vivo: è davvero tanto tempo che non calchiamo un palco e la cosa ci ha iniziato davvero a stufare.

Quanto è importante per voi poter suonare dal vivo? Avete già delle date in programma per le prossime settimane?
Per noi è importantissimo. Siamo una band che adora andare in tour e fare festa con il pubblico e con le altre band. E’ bello comporre musica e registrarla ma se non puoi condividerla con altre persone non ha molto senso. Inoltre è un genere  molto “fisico” che può esprimersi al meglio solo dal vivo. Riguardo le date, ci stiamo lavorando proprio in questi giorni. Finora le poche serate trovate sono state tutte annullate o posticipate ma non disperiamo: siamo ottimisti e contiamo di riuscire a portare il nuovo disco dal vivo per primavera/estate.

Quando sono nati i brani di “Black Cowslip”?
I brani hanno avuto una gestazione molto lunga. I pezzi sono stati composti già da tre anni ma con il tempo si sono arricchiti e modificati. Molto ha influito anche il lavoro di Cinghio dei Kick Recording Studio: la sua esperienza è stata preziosa per trovare soluzioni che non avevamo considerato in sala prove. Inoltre, come detto prima, la pandemia ci ha costretto a dei lunghi stop e questo ci ha permesso di ripensare i pezzi e modificarli dove funzionavano meno.

Avete lavorato in modo diverso in studio rispetto al passato?
E’ stata la prima volta per noi  ai Kick Recording Studio e ci siamo trovati subito a nostro agio, in un ambiente sempre costruttivo ed aperto a tante idee. Dopo anni di registrazioni al nostro solito studio qui in Abruzzo, uscire dalla nostra “comfort zone” e passare ad uno studio nuovo, in un’altra città, è stata un po’ una scommessa e non sapevamo come sarebbe andata. Registrare con Cinghio invece è andata benissimo, ci ha dato un punto di vista diverso sui pezzi ed ha arricchito il disco con ottime intuizioni.

Ciò che mi colpisce della musica contenuta in  “Black Cowslip” è che al primo ascolto pare quasi semplice, in realtà è stratificata, complessa e multiforme: come avete fatto a rendere semplici le cose difficili?
In effetti è un disco di facile ascolto, con pezzi che filano via con leggerezza e che non annoiano.  In principio seguiamo solo le nostre intuizioni in sala prove, partendo da riff semplici ma coinvolgenti, per poi arricchirli tutti insieme mano a mano. E’ sempre stato così per noi, siamo tutti coinvolti nella composizione, e non è la prima volta che inseriamo soli di armonica o pezzi meno tirati, ma questa volta è stato determinante anche tagliare alcune soluzioni per rendere tutto più snello. Ad esempio in origine le linee vocali erano differenti, molto più corali, ma come abbiamo provato a ridurle ed ad affidarci ad una voce principale, ci è subito parsa la soluzione migliore, il disco filava via meglio. E così via anche per quanto riguarda strutture dei pezzi ecc…

Niente male neanche la copertina, chi è l’autore?
Se per studio ed etichetta ci sono stati cambiamenti, per l’artwork no: ci siamo affidati ancora a Davide “Dartwork” Mancini e non abbiamo sbagliato. Adoriamo i suoi lavori e volevamo ancora il suo contributo per questo disco, perfetto per il suo stile molto stoner/doom.

Per “Fucking Spaced Out” avete realizzato un grande video, avete degli aneddoti particolari da raccontare sulle riprese?
“Fucking Spaced Out” è il primo di quattro video previsti per questo disco. La forzata mancanza di attività live ci ha permesso di dedicarci di più alla promozione tramite videoclip e, grazie all’aiuto di Enrico della Time To Kill, siamo entranti in contatto con i ragazzi della Thunderslap Productions con cui abbiamo filmato. E’ stato divertentissimo lavorare con loro, sono persone molto professionali ed allo stesso tempo molto alla mano. C’è stato sempre un clima di festa nel registrare il video, aiutato dal fatto che tutte le bottiglie che vedete ce le siamo scolate per davvero (l’unica finzione sono le pilloline… niente roba eccitante, della semplice vitamina C). Il video in questione è collegato al seguente “The Law Of The Strongest”, uscito con la pubblicazione del disco, per cui se ti è piaciuto ti consiglio vivamente di guardare anche quello.

Visto che si parla di riprese: “Cani arrabbiati” è il più grande film della storia?
Il più grande film della storia? Ahhaha forse no, ma è sicuramente il più importante per la nostra storia. Senza quel film non so come ci saremmo chiamati e non so se avremmo avuto la stessa passione per i poliziotteschi anni 70. Dobbiamo molto a quel film.

Rejekts – La stirpe di Adamo

I Rejekts sono nuovamente tra noi con un disco che chiude alla grande questo nefasto 2021. “Adamo” (Slaughterhouse Records / Anubi Press) ha tutte le carte in tavola per diventare un piccolo classico, poiché la band è riuscita, con qualche ritocco e qualche sforbiciata, nell’impresa di rendere più efficace e meno dispersivo il proprio sound, senza perdere però quell’indole DIY che ne ha contraddistinto la produzione precedente.

Ciao Black, ben otto anni fa usciva “UNO-“, il vostro primo full-length. Oggi tornate con “Adamo”, un titolo che riporta alla mente il primo uomo. Dobbiamo vedere in questo nome una sorta i volontà di iniziare di nuovo? Una sorta di altro numero uno, quasi a cancellare la lunga pausa?
Ciao a te e grazie per lo spazio concessoci! “UNO-” e “Adamo” sono senza dubbio due dischi sicuramente molto diversi tra loro, dal punto di vista concettuale il primo parlava della coscienza che un individuo ha di sé (così da essere “l’uno”), “Adamo” invece parla del racconto, del ricordo e di come tale narrazione possa cambiare l’idea che l’uomo ha di sé e di ciò che lo circonda. Se concettualmente quindi potremmo vederli uno conseguente all’altro, dal punto di vista di come suona sicuramente in questo secondo lavoro abbiamo affinato la proposta e smorzato un po’ quella sensazione di “minestrone” di generi che secondo noi si percepiva in “UNO-“.

Durante questa pausa quanto sono cambiati i Rejekts?
Non la definirei una vera e propria pausa, nel 2016 abbiamo fatto uscire un EP di 3 tracce, “Triratna”, e abbiamo suonato parecchio dal vivo. Ad ogni modo durante questi 8 anni abbiamo cambiato batterista, il quale ha portato un po’ di velocità e un po’ di coesione tra di noi in più, quindi dal punto di vista della formazione si può dire che un bel cambiamento ci sia stato. Oltre a questo credo che questi 8 anni ci abbiano resi più arrabbiati e tristi.

Mentre dal punto di vista lirico avete cercato nuovi temi da trattare?
Sì e no, mi spiego peggio: i temi che trattiamo alla fine sono sempre quelli: alienazione, nichilismo, misantropia, incapacità di comunicare ed esistenzialismo; questa volta parliamo di tutto questo servendoci di miti e racconti di varie culture. In questi miti l’uomo cerca di spiegare la propria esistenza infelice secondo quelli che sono i propri valori (spesso aberranti). Si parla dunque di: rapporti di potere, sopraffazione, colpa, espiazione, sacrificio…. E molte altre tematiche allegre.

Devo essere sincero, la news del vostro primo singolo ha generato un traffico notevole, almeno per un sito piccolo come il mio. Però questo mi dà l’idea che la gente vi stesse aspettando: avete anche voi questa sensazione e questa cosa vi crea pressioni?
Considerando che viviamo tutti e cinque abbastanza nel nostro mondo, non avevamo percepito questa attesa da parte della gente ma ne siamo stati piacevolmente sorpresi! Appena ci renderemo davvero conto di questa cosa forse percepiremo anche qualche pressione (ahahaha).

Al di là di questo aspetto, comunque avete deciso ancora di optare per una produzione DIY, come mai continuate a preferire questo approccio?
In realtà, i motivi, anche qui, sono molteplici: la produzione DIY ti permette di avere un controllo pressoché totale su quello che stai facendo, a livello resa sonora, composizione, testi, grafiche… ecc. Oltre a questo il DIY rappresenta per noi un’etica alla quale siamo molto attaccati che potrebbe essere applicata a molti altri aspetti della vita; un modo per tagliare fuori gli intermediari e prenderti cura in prima persona di ciò che ti interessa.

In questa ottica, come mai avete scelto proprio Carlo Altobelli e  i Toxic Basement Studios?
Già il nostro precedente EP era stato curato interamente da Carlo al Toxic Basement, ci eravamo trovati molto bene per il semplice fatto che Carlo ha una competenza e una professionalità davvero rare, ha capito perfettamente cosa volevamo e ci ha aiutati a esprimere il tutto al meglio delle nostre possibilità, alla luce di questo ci è venuto spontaneo rivolgerci a lui per registrare il nostro secondo album, a mio parere con questo lavoro Carlo si è davvero superato, siamo tutti molto contenti del risultato superiore alle nostre aspettative.

Avevo accennato al vostro primo singolo, come mai avete scelto di ripresentarvi sulle scene proprio con “L’Astro del Mattino”?
Principalmente perché è stato uno dei primi brani composti per questo disco, ne consegue che come stile ricorda molto il nostro materiale precedente se pur con qualcosa in più; abbiamo scelto questo pezzo perché ci sembrava adeguato per introdurre questo lavoro (infatti è la seconda traccia del disco) e forse anche perché parla di qualcuno che si oppone e pur sconfitto non smette di lottare, ci sembrava un bel “manifesto”.

Tirerete fuori un video o un altro singolo a breve?
A breve uscirà sicuramente un secondo singolo, abbastanza diverso da “L’Astro del Mattino” che darà un’idea leggermente più accurata dei vari generi da noi esplorati in questo disco, un pezzo sicuramente più veloce e frenetico. Per quanto riguarda i videoclip, non credo ne faremo a breve ma non escludiamo di usare ancora questo mezzo in futuro anche se con approcci meno diretti del classico videoclip promozionale con i membri della band che fanno finta di suonare facendo le facce truci, se lo rifaremo sarà perché ne vale la pena da un punto di vista delle idee messe in campo, se no penso che se ne possa fare tranquillamente a meno.

Chiudiamo con la più canonica delle domande, avete delle date in programma?
Per ora abbiamo in programma una data a metà dicembre per il lancio del disco a Milano, pubblicheremo news in merito nel prossimi giorni quindi vi invito a dare un occhiata ai nostri canali social per rimanere aggiornati sulle nostre attività, in ogni caso ci farebbe molto piacere portare in giro questo disco il più possibile quindi stiamo un po’ a vedere cosa salterà fuori.

Napoli Violenta – Piombo napoletano

I quattro misteriosi figuri che si celano dietro un passamontagna nero, noti alle cronache come i Napoli Violenta, sono tornati alla ribalta con l’ennesima cruenta mattanza a mano armata, “Neapolitan Power Violence” (Time To Kill Records) per gli inquirenti. Dopo che l’Anubi Press ha garantito per noi, siamo riusciti ad incontrarli in una località campana segreta….

Benvenuti, “Neapolitan Power Violence” da qualche giorno è fuori per la Time To Kill Records, la mala come ha accolto il vostro ritorno?
Se rispondessimo a questa domanda, per un giudice sarebbe la prova che sappiamo ciò di cui stai parlando. Quale mala? La malasanità? Forse intendeva la mela?

Il Commissario Betti come avrebbe reagito ascoltando i vostri pezzi?
Teneva il solito sguardo di ghiaccio ma col piede portava il tempo.

Il primo brano estratto dal disco è stato “Extreme Noise Terron”, lo possiamo intendere come un inno auto-celebrativo?
In Italia c’è una moltitudine di gente che suona merda estrema come noi. Tantissimi sono terroni, anche se sono distribuiti ovunque e hanno iniziato a parlare con accenti strani. Vengono anche dalla periferia e provincia più brutale dove non c’è mai campo e il divertimento più sano e trasgressivo è bere Peroni 1846 e suonare, appunto, merda. Se questo pezzo è un inno a qualcuno, è per questi eroi.

Al di là dell’evidente ironia che permea i vostri titoli, tra citazioni più o meno colte, le tematiche che trattate nelle liriche quanto le dobbiamo prendere sul serio?
Non conosciamo un modo diverso per parlare di quello che ci circonda. Se per voi è ironia allora sarà un modo ironico, ma si può essere ironici essendo serissimi. Detto questo, non dovete mai prendere sul serio quello che diciamo: noi suoniamo e basta.

Avete deciso di rendere tributo a un filone del cinema italiano che in passato è stato al centro di discussioni sul suo orientamento politico. Accuse fondate, a mio parere, su un approccio molte volte superficiale. Vi siete posti mai il problema di poter essere a vostra volta ricondotti a una certa ideologia?
Da dove veniamo noi, e sin da piccolo, impari che nel nostro tempo le ideologie sono funzionali ai soldi. Non sui libri magari, ma per la strada è così. Ai pezzi da novanta della politica e della Chiesa piace sbandierare idee sofisticate, impegno sociale e una buona fetta di popolazione non solo gli va dietro ma è disposta pure a farsi guerre tra poveri per difendere queste idee indotte con la propaganda. La realtà sottostante è marcia, basta guardarsi attorno con realismo per capirlo. Il Poliziottesco, se ebbe un pregio, fu quello di rappresentare e parlare senza fronzoli o compromessi di una realtà cruda, ingiusta e violenta. In un Paese dove la giustizia si comprava e il controllo non ce l’aveva nessuno, ma c’era una guerra tra Stato, apparati deviati, bande armate, organizzazioni criminali, Chiesa. E si fece tanti nemici per questo. Oggi le cose sono cambiate, ma non di tanto. Riguardo a noi, non ci siamo mai posti il problema di dove la gente potesse ricondurci perché sappiamo chi siamo e da dove veniamo: siamo cresciuti in posti come il Tien’A’Ment, Officina99 e Slovenly. Però vi invitiamo a riflettere sul fatto che siamo in un Paese in cui i massimi organi dello Stato, per prendere una decisione ritenuta scomoda, devono rifugiarsi dietro un voto segreto. Per cui chi volesse cercare la puzza di certe ideologie deprecabili dovrebbe guardare altrove, piuttosto che a una band che per divertimento si mette il balaclava. Un suggerimento: guardate in alto.

Avete deciso di puntare su una produzione diretta e lo-fi per ricreare in studio il vostro sound dal vivo, pensate di esserci riusciti o in fin dei conti è impossibile raggiungere un risultato del genere per svariati motivi?
Abbiamo registrato questo disco in condizioni oggettivamente difficili. Vigeva il lockdown e la zona rossa: rischiavamo multe salate solo per stare andando a registrare o per una delazione dei vicini dello studio. Non c’era né tempo né voglia per fare fiocchetti così, assieme a Butch, il nostro producer esecutivo, abbiamo deciso di farlo come si sarebbe fatto a fine anni ‘80. Unica take, tanti microfoni, no editing. Doveva rappresentare noi in questo presente, non solo come suoni e impatto, ma soprattutto nell’attitudine. Questo è quello che abbiamo ottenuto, alla fine. E un disco così si può fare, solo che spesso si preferisce seguire un approccio diverso: i suoni delle band si sono uniformati, ascolti dieci dischi e la batteria suona uguale in tutti e dieci perché magari hanno usato la stessa libreria di campioni. E se non suonano uguali non vendono. Ecco, questo è l’opposto di quello che intendiamo noi: merda sì, ma fatta bene. Merda deluxe.

Restando in tema live, si sta muovendo qualcosa?
Se qualcosa si muove è perché, anche nell’ambito degli show, c’è gente (non riconosciuta e mal pagata) che si fa il mazzo. Di certo non per un francobollo verde.

Un annetto fa ho letto una vostra intervista rilasciata al sito ufficiale di Soundreef, in cui spiegavate le ragioni della vostra scelta di non usufruire dei servigi della SIAE. Il vostro intervento terminava con un minaccioso “non so se vi conviene deluderci”. Ora che è passato un po’ di tempo dalla vostra iscrizione a Soundreef, siete soddisfatti? Lo consigliereste? Ma soprattutto, ci siete voi dietro la richiesta di riscatto per lo sblocco dei server SIAE?
Pensiamo che sia giusto che chi fa musica o si dedica a qualsiasi arte venga riconosciuto e tutelato. Quanti più organi e soggetti si occupano di questo, tanto meglio. Soundreef è un’ottima alternativa a SIAE e auspichiamo che nel mercato entrino sempre più soggetti a tutela degli artisti. Oggi ci sono tecnologie come la Blockchain che possono incidere tanto in questo ambito e rivoluzionare il sistema a cominciare dalla riduzione dei costi per gli autori. Ciò detto, questa è una domanda che dovreste rivolgere a chi fa musica o arte: noi facciamo grindcore. Riscatto? Server? Non conosciamo.

Per chiudere l’intervista, butto là un’idea: avete mai pensato a un split album da condividere con Bologna Violenta?
Abbiamo più o meno le stesse influenze di immaginario con loro, ma facciamo generi troppo diversi. Giriamo la domanda ai vostri lettori: ve lo accattereste un siffatto split? Il nostro sogno, veramente, sarebbe farne uno con Raw Power o Cripple Bastards, perché sono i nostri miti sin da ragazzini. Sognare è un po’ rapinare.

E’ tutto, grazie…
Grazie a te Peppì… e fà ‘o brav!

Infection Code – Rinascere attraverso il rumore

“In.R.I.” (Argonauta Records) degli Infection Code è uscito verso la fine del 2019, un bel po’ di tempo, anche se il tempo ultimamente sembra essersi fermato nel mondo della musica. Per questo la chiacchierata con Gabriele Oltracqua è diventata l’occasione giusta per fare alcune considerazioni su quel disco e sulla storia recente della sua band.

Ciao Gabriele, proprio non ce la fate a fare due album uguali?
Ciao Giuseppe, grazie prima di tutto per averci dato la possibilità di essere presenti sulle pagine de “Il Raglio del Mulo”. Effettivamente non riusciamo. E probabilmente in questi vent’anni è diventata un po’ la nostra prerogativa. Se guardi la nostra discografia non abbiamo mai fatto un disco uguale all’altro e questo fa parte del nostro modo di intendere un certo tipo di metal. Fin dagli inizi ci è sempre piaciuto sperimentare con vari stili musicali cercando di formare una nostra personalità musicale pur evolvendo il suono fino a “ Dissenso” e poi facendo un passo indietro a livello stilistico su “In.R.I”.

Prima della pubblicazione del vostro disco più recente, “IN.R.I.”, avete passato dei momenti non facili che hanno portato allo stravolgimento della formazione. Dato che ormai è passato un po’ di tempo, credo che si possa guardare indietro con un certo distacco, per questo vorrei chiederti: col senno di poi, lo stravolgimento della line up vi ha fatto più bene che male?
Dopo “Dissenso” abbiamo avuto un periodo piuttosto intenso. Alcuni di noi avevano altri progetti musicali che portavano via molto impegno e tempo alla band. Enrico con Petrolio e Paolo con altre situazioni. Tra le altre cose loro sono stati i maggiori artefici dell’evoluzione noise intrapresa con “La Dittatura del Rumore” e “Dissenso”. Mentre io e Ricky avremmo voluto tornare a scrivere canzoni più orientate verso l’ industrial thrash metal, quel suono con cui siamo cresciuti sia come ascoltatori sia come musicisti. Insomma avremmo voluto tornare all’inizi della nostra carriera musicale. Già in “Dissenso” ci sono alcune canzoni che hanno influenze più thrash metal, addirittura sfiorando il grind core. Segno chiaro che avremmo voluto iniziare a scrivere canzoni dove la sperimentazione venisse meno. Tutto questo ha portato alla fuori uscita di Paolo ed Enrico subito dopo la pubblicazione di “Dissenso”. Abbiamo trovato subito la forza di organizzare le idee e trovare nuovi musicisti con Davide al basso e Rust alla chitarra. Con questa line- up nell’arco di quattro mesi dopo l’uscita di “Dissenso” abbiamo scritto, suonato e registrato “In.R.I” presso i The Cat’s Cage Studio di Francesco Salvadeo. Dopo le registrazioni abbiamo subito un ‘ulteriore perdita, in quanto Rust ha lasciato la band, ma senza piangerci addosso abbiamo trovato in Max un valido sostituto. Tanto che in un anno , tra interruzioni, lock down ed altro, siamo riusciti a fare alcuni live e, cosa più importante siamo quasi giunti alla fine nella composizione del nuovo disco. Come avrebbe potuto farci del male lo stravolgimento della line-up dopo tutto quello che abbiamo passato in un anno, senza tralasciare le nostre situazioni private? Questo scossone ci ha fatto solo che bene. E’ una nuova rinascita. Con una situazione stilistica più consona, senza troppe sperimentazioni fini a stesse che non hanno portato da nessuna parte.

Con “La Dittatura del Rumore” e “Dissenso” stavate però portando avanti un discorso stilistico, non fosse altro per l’uso della lingua italiana, che probabilmente con “IN.R.I.” avete interrotto in modo brusco: hai dei rimpianti al riguardo?
Assolutamente no. Nessun rimpianto. Questi due dischi fotografavano la band in una determinata situazione storico musicale che è terminata. Anche l’uso della lingua italiana è stata una necessità, un esperimento che ho provato a sviluppare senza troppi risultati che mi potessero soddisfare. E poi con un approccio più metal, l’inglese, per metrica, è più funzionale.

Magari un ripianto riesco a fartelo venire io, avevi raggiunto uno stile canoro ed interpretativo di altissimo livello, oggi forse è più appiattito su registri più rabbiosi, no?
A me sembra il contrario. Con l’italiano ci ho provato ma non ho raggiunto ciò che mi ero prefissato. E’ stato un mio limite. E poi parliamoci chiaro, non sono un cantante né un interprete. Ciò che riesco a fare è quello che mi soddisfa. Urlare. Usare il growl e lo scream. Anche musicalmente la “Dittattura del Rumore” e “Dissernso” li sento molto distanti. Non riesco più ad ascoltarli. Troppa sperimentazione, a tratti forzata. Non rimpiango nulla. Sono passi necessari per capire i propri limiti. Come band non eravamo in grado di scrivere determinata musica. Non era nelle nostre corde. Siamo nati e cresciuti con determinati generi musicali e la curiosità ce ne ha fatto conoscere altri con cui abbiamo voluto provare a fare qualcosa di diverso. Ma arrivati ad un certo punto abbiamo detto basta. Non faceva più per noi. Nel mio caso, preferisco urlare in growl o scream, metriche non troppo articolate, andare dritto come un treno senza stare troppo pensare a cose astruse, pensando di fare ricerca ed invece sortire l’effetto contrario. Con “La Dittatura del Rumore” e “Dissenso” ma soprattutto con il primo citato, ascoltandolo ci sono alcune situazioni dove davvero non sappiamo cosa stiamo facendo.

Il ritorno all’inglese da cosa è dipeso?
E’ dipeso principalmente dal fatto che con l’inglese riesco a scrivere metriche più dirette che si adattano molto bene con la musica. Non saranno frasi intelettualoidi, ma sono efficaci quanto basta per renderle funzionali alla musica. Sono sempre stato un po’ scettico sull’uso della lingua italiana con il metal, a parte i grandi Distruzione.

Ciò che è rimasto immutato è lo spirito critico nei confronti della società. Quanto sono importanti per te i testi?
Sono molto importanti. Scrivo un sacco di stronzate. Che siano, frasi, piccole riflessioni, racconti brevi, testi. Anche quando non componiamo un disco. Scrivo in italiano e per quel che riesco anche in inglese. Poi quello che mi ispira di più lo cerco di trasformare in testo. Anche in funzione della canzone che gli altri della band mi passano. Sono per lo più riflessioni sullo stato attuale della società ma anche pensieri più personali.

Siete riusciti a portare dal vivo i brani di “In.R.I.” prima del blocco dei concerti?
“In.R.I” è uscito a novembre del 2019 per Argonauta Records ed in quel periodo siamo riusciti ad organizzare una manciata di date fino a metà Gennaio del 2020. Abbiamo fatto una decina di concerti poi purtroppo non siamo riusciti a fare più nulla. Solo qualche prova sporadica lavorando molto a casa dove scambiandoci tonnellate di file ed avendo la fortuna di registrare e suonare nei nostro home studio, abbiamo composto quasi tutte le canzoni del nuovo disco. Per non rimanere totalmente fermi, poche settimane fa, è uscito l’edizione in cassetta ultralimitata di “In.R.I” grazie ai ragazzi della Reborn Through Tapes records. Abbiamo stipulato anche un accordo per la stampa del nuovo album sempre in cassetta.

Con un repertorio così stilisticamente vario, quanto è complicato metter su una scaletta prima di un concerto e quanto lo è armonizzare i brani?
Non ci abbiamo mai pensato molto. Le scalette dal vivo riguardano sempre l’ultimo disco. Cerchiamo di presentare e promuovere sempre l’ultimo disco in uscita. Anche perché il più delle volte il tempo a disposizione è sempre limitato all’ora massima. Il problema non si è mai posto, ma se dovesse succedere è certo che escluderemo, per ovvie ragioni stilistiche, il materiale proveniente da “La Dittatura del Rumore” e “ Dissenso”.

In chiusura, mi puoi già anticipare qualcosa sul prossimo disco?
Il prossimo disco è praticamente finito. Nel senso abbiamo terminato la scrittura di undici canzoni. Nonostante il lockdown abbiamo avuto anche la fortuna di provarle. Dobbiamo solo arrangiare e sistemare qualche particolare e poi i programmi sono quelli di entrare ai The Cat’s Cage Studios a fine primavera per iniziare le registrazioni. Uscirà sempre per Argonauta Records nei supporti classici quali Cd e digitali e cassetta per Reborn Through Tapes Records. Dal punto di vista live, quando tutto riprenderà dovremmo stipulare un accordo con un’ importante agenzia di booking per l’organizzazione dei nostri concerti futuri. Siamo molto entusiasti per quello che sta uscendo. Sarà un album ancor di più orientato sul thrash metal ed il death metal con una buona dose di elettronica disturbante.

Camera Obscura Two (CO2) – My ways are not your ways

Del progetto Camera Obscura Two (CO2) – capitanato dall’ex Schizo Alberto Penzin – se ne parlava da tanto. Nonostante una line up di tutto rilievo (Alberto Penzin, Andrea Ragusa, Marco Mastrobuono, Giuseppe Orlando e Giulio The Bastard) e alcune tracce pubblicate, il disco d’esordio s’è fatto attendere, alimentando le fantasie dei fan. Ora che “D.Ö.D.” (Selfmadegod Records) è finalmente qui, possiamo scoprire la bontà della proposta di questo dream team del metal estremo italiano.

Ciao Alberto, avresti mai immaginato a metà anni ’80 che un giorno ti saresti ritrovato a promuovere un disco nel pieno di una pandemia?
Ciao Giuseppe, francamente no! Mi vengono in mente gli Agent Steel con la loro “Mad Locust Rising” per trovare una similitudine temporale. Cavallette a parte, dopo oltre tre decenni caratterizzati, musicalmente parlando, dai vari Napster, Youtube, Spotify e via discorrendo forse una bella pandemia era il minimo che potesse capitarci in fondo, no? Ennesimo oscuro segno dei tempi, ahimè. Ironia a parte (Spotify lo uso anch’io peraltro ma confesso, essenzialmente per ascoltare i vecchi classici che avevo già in LP) è veramente una situazione tragico-surreale, da cui speriamo di uscirne più o meno integri, anche e soprattutto nello spirito.

Un periodo particolare per un’uscita altrettanto particolare, lo sticker sulla copertina di “D.Ö.D” recita: “A mean compendium of songs arranged, rehearsed and experienced during the early days of the band. And a farewell mémoire to friend and vocalist Giulio The Bastard, no longer involved with CO2. All tracks freshly revamped and committed to tape with no holds barred, mostly fueled by a glorious array of HM-2/5150 set to explode.” Possiamo dire che in un certo qual modo questo disco rappresenta in un colpo solo l’inizio ufficiale della band ma anche la fine di un’epoca?
Sì, sostanzialmente. Siamo contenti che GTB sia stato dei nostri fin qui. Adesso sappiamo su quali coordinate musicali muoverci, avendo maturato una certa esperienza come “nuovo” gruppo, ed anche come farlo sotto il profilo suoni e produzione dei brani. Poi, come sempre, il naturale corso delle cose e l’ispirazione del momento detteranno gran parte delle nostre scelte. Semplificando il concetto, quando si suona solo per il piacere di farlo è tutto molto più genuino ed appagante, anche senza uscire dalla sala prove, volendo. Detto questo, e roboante descrizione dello sticker di copertina a parte, abbiamo appena iniziato quindi, esattamente, dopo aver concluso questo processo iniziale. Abbiamo già in canna diversi altri progetti che intendiamo finalizzare nei prossimi mesi / anni.

I brani, come detto, hanno avuto una genesi differente, è stato complicato amalgamarli per rendere omogeneo il disco?
Non particolarmente. Ho immaginato una specie di storia – se noti i primi sei brani portanti del disco rimano anche nei titoli – a cui ho poi aggiunto in coda i due vecchi brani cover Schizo, introdotti / traghettati dalla traccia nascosta numero sette, una sorta di minimalista stacco temporale-musicale. Poi abbiamo lavorato tutti assieme sugli arrangiamenti dei brani per dargli una sfumatura diversa, più in linea a livello sonoro con quello che suoniamo adesso, mantenendo intatte invece tutte le parti vocali di Giulio già presenti sulle precedenti versioni demo incise negli anni trascorsi assieme. È stato interessante lavorare in questo modo poco ortodosso. Laborioso ma non complicato.

In chiusura ci sono appunto un paio di brani degli Schizo: “Deathstress” e “Swamp Angel”. Queste due tracce rappresentano due momenti differenti della carriera della tua ex band, il primo lo troviamo originariamente sul demo “Total Schizophrenia” del 1987, mentre il secondo su “Nero”, il singolo che per anni, prima del ritorno sulle scene, ha rappresentato il canto del cigno degli Schizo. La scelta immagino che non sia casuale…
Esattamente ma non necessariamente. “Deathstress” è sempre stato uno dei miei brani preferiti pre “Main Frame Collapse”, assieme forse a “Just Before I Die”. Quando mi sono ritrovato di nuovo in sala prove assieme ad altri amici per iniziare questa nuovo progetto musicale CO2 (il solo Andrea era presente della attuale formazione) il pezzo mi tornò in mente ed iniziammo a suonarlo, anche perché mi ricordavo bene tutti i suoi riff, soprattutto l’insistito mid-tempo finale, a differenza di altri vecchi brani, presumo. L’abbiamo poi riproposta sempre anche dal vivo. “Swamp Angel” invece (nella sua versione originale aveva un “The” ad inizio titolo) era un qualcosa di molto differente dal contesto ma rappresentava un altro momento piuttosto depresso ma egualmente ricco di avventure della mia precedente band. A riguardo Dario (attuale batterista Schizo) te ne potrebbe raccontare qualcuna ad esempio. Mi piaceva molto il testo ed allora decidemmo egualmente di riarrangiarla e provarla idem. Come contraltare all’andamento vagamente “grunge” gli buttammo sopra delle crudissime vocals alla Chris Barnes ed il gioco fu fatto. Da li in poi è sempre rimasta in scaletta. Non so però se continueremo ancora a suonarla live. Atipica.

Sono un fan degli Schizo un po’ particolare: per ragioni di età, io ho avuto il mio primo contatto con la tua ex band con “Sounds of Coming Darkness” e “Tones of the Absolute”, per un sacco di tempo, prima che uscisse una ristampa di “Main Frame Collapse”, per me gli Schizo erano quelli. Nei CO2 io ritrovo i “miei” Schizo, più di quanto non sia accaduto quando ho acquistato “Cicatriz Black”. E’ solo una mia impressione o realmente i Camera Obscura Two hanno ripreso il discorso interrotto all’epoca?
Si, me ne avevi parlato infatti. Non sei l’unico devo anche dirti. Guarda, non credo sia un qualcosa di voluto ma probabilmente una certa similitudine può anche starci. Il nostro piglio è più diciamo Terrorizer piuttosto che (primi) Machine Head chitarristicamente parlando, ma gli inserti simil-elettronici, alcune parti vocali e l’accordatura bassa possono anche rimandare a quel periodo. Più promo due pezzi “Tones / Deify Me” che “Sounds” probabilmente, così a naso. Andrò a risentirmelo.

La formazione accredita sull’album è una sorta di dream team del metal estremo italiano, come si riesce a raggiungere la coesione, anche in considerazione del fatto che vivete sparpagliati in giro per l’Europa, quando tutti i soggetti coinvolti nella band hanno un nome e una storia importante nella scena metal?
All star lineup infatti, ahah! Beh, diciamo che dopo molti anni di esperienze musicali varie, avendo in comune una certa affinità stilistica (anche Peppe in fondo è una batterista alla Dave Lombardo, pur suonando roba più “elegante” per così dire) una certa spontanea alchimia di fondo non è una missione impossibile. Cinghio e Giuseppe hanno anche un altro progetto assieme, gli Inno, quindi sono extra affiatati di loro. Ed io e Andrea comunichiamo musicalmente su base quotidiana, anche a distanza. Qui la tecnologia moderna aiuta.

• Finora ci siamo concertati su “D.Ö.D” , ma il futuro è già alle porte, è in dirittura di arrivo, se non erro, un lavoro “T.Ö.D” con un nuovo cantante. Puoi già anticiparmi di chi si tratta?
Si, corretto. No, non posso. Però sarà una bella sorpresa, una sorta di ritorno a casa potremmo anche dire. L’idea sarebbe quella di registrare un 7” fra qualche mese, prima di “T.Ö.D.” appunto, per introdurlo. Magari uno split EP come già fatto in occasione del precedente “Total Insanity”. Il pezzo l’abbiamo già pronto per essere inciso, ti lascio anche il titolo: “Head of Pain [Endgame]”. Faceva già parte della nostra scaletta, ma mai registrato finora. Qualora non trovassimo una band interessante con cui condividere un lato di questo 7”, una bella cover potrebbe essere una soluzione, e lì c’è solo l’imbarazzo della scelta. A me è sempre piaciuta – giusto per citarne una – “Seekers of the Truth” dei Cro-Mags, da rivisitare.

Data la particolare genesi di “D.Ö.D”, “T.Ö.D” ci presenterà dei CO2 diversi oppure ascolteremo dei suoni in linea con la vostra vecchia produzione?
I brani del prossimo “T.Ö.D.” non si discosteranno più di tanto da quelli di “D.Ö.D.”, anche se saranno presenti delle sfumature diverse e delle variazioni in più. Come recita lo sticker di copertina su “D.Ö.D.”, citato prima, il pedale Boss HM-2 di cui sia io che Cinghio siamo collezionisti sarà sempre il protagonista, quindi quel tocco “swedish death metal” non mancherà comunque. Qualche rallentamento sulfureo in più magari, qualche inserto noise/drone (ho recentemente acquistato alcuni nuovi pedali/effetti misconosciuti ma veramente malefici). Oppure anche riprendere tipo il riff principale rallentandolo di brutto è una cosa che personalmente mi è sempre piaciuta, ma ho/abbiamo fatto poche volte, ad esempio. Insomma, vedremo cosa uscirà fuori.

Alla fine di questa chiacchierata, vorrei farti una domanda personale: alla luce di quello che rappresenta “Main Frame Collapse” nella storia del metal estremo e, in considerazione della produzione discontinua che hai avuto con gli Schizo prima e con i CO2 dopo, non ha mai avvertito la sensazione di non aver mai capitalizzato al massimo il tuo talento?
Talento è una parola grossa, in primis. Diciamo che sono uno a cui piace fare rumore in un certo modo. Mi piace però quello che affermi, e il fatto che “MFC” possa aver lasciato un piccolo ma tangibile segno nell’underground musicale estremo non può che rallegrarmi. Sul discorso capitalizzazione et dintorni, nessun rimpianto in ogni caso. Va bene così.

The Bastard Within – Better grinders than friends!

I grinder nostrani The Bastard Within fanno il loro debutto sulle scene con “Better Dead Than Friends” (Immortal Souls Productions), un concentrato di violenza sonora che non mancherà di annichilire il “malcapitato” ascoltatore. Abbiamo fatto una chiacchierata con il bassista Davide Stura, davvero molto cordiale e disponibile!

Ciao Davide, e grazie per la tua diponibilità a quest’intervista, che ne diresti di iniziare a parlare di quando e come è nata la band?
Ciao Luca. Grazie a te per il tuo interessamento verso i The Bastard Within. Dunque, i The Bastard Within sono: Sid alla voce; Gianluca Sulpizio alle chitarre; il sottoscritto al basso e Kevin Talley alla batteria. La band ha preso vita nel febbraio 2015. A quei tempi ero ancora molto impegnato con gli Any Face, gruppo di metal estremo che ho fondato nel 2000. Le mie influenze in quel gruppo sono sempre state le più estreme e in quel momento non avevano più molto spazio. Inoltre era nell’aria la nostra imminente fine e quindi ho deciso di creare un side project grindcore, visto che da quando ho scoperto la musica estrema, ormai più di 30 anni fa, è il mio genere preferito e non avevo mai avuto modo di suonarlo. Sarebbe dovuto essere soltanto uno sfogo. Un divertimento. Suonare grind, incidere qualcosa senza troppe pretese e fine. Dopo un mese circa ho contattato Gianluca: lo conoscevo da molti anni e ho sempre ammirato il suo lavoro con i Conviction: band da cui tra l’altro, oltre che dai Node, arriva anche Sid. Pensavo che a livello musicale per quello che avevo in mente di fare fosse la persona giusta, e non ho sbagliato. Il suo arrivo ha decretato la fine del funny side project e ha fatto nascere la band vera e propria, nome incluso. Le intenzioni sono diventate serie: abbiamo composto e provato tanto; abbiamo avuto qualche significativo cambio di formazione e alla fine tutto questo ci ha portati a “Better Dead Than Friends”.

Vorrei chiederti innanzitutto quali siano i motivi riguardanti la scelta del nome della band e il titolo (direi abbastanza esplicito e provocatorio) dell’album…
Come ogni gruppo appena formato cercavamo un nome da dare alla band. Sono uscite mille idee: alcune interessanti ed altre orrende. Gianluca è saltato fuori con The Bastard Within e lo abbiamo trovato appropriato. Tutti, chi più e chi meno, abbiamo un “bastardo dentro”: noi diamo voce al nostro. Anche il titolo dell’album ha una genesi molto semplice. Una sera durante una pausa dalle prove Gianluca ed io ci stavamo raccontando reciproche esperienze passate, in ambito musicale e non, con personaggi che ancora oggi preferiremmo dimenticare. Meglio morire piuttosto che essere loro amici. Gianluca si è reso conto che l’argomento era perfetto per una canzone e per il titolo del nostro album. Tutto qui: tutto molto casuale ma perfetto per noi.

Come mai avete deciso di “partire” subito in quarta con la pubblicazione del full, piuttosto che esordire prima con un EP ad esempio? E’ stata una scelta spontanea oppure una soluzione ponderata?
Se la memoria non mi inganna, la verità è che non abbiamo mai preso in considerazione l’idea di incidere demo o EP: non ci abbiamo mai neanche pensato. Si componeva, si provava e si sceglievano le canzoni migliori per l’album: si è sempre parlato solo di album e mai di qualcosa di diverso.

Come band, posso chiedervi quali sono le vostre “muse ispiratrici” a livello di composizione?
La risposta più semplice e più vera è che tutti noi adoriamo il grindcore. Dai grandi nomi come, ad esempio, Napalm Death, Brutal Truth e Nasum a band decisamente underground. Mentre componevamo “Better Dead Than Friends” si è palesato il fatto che oltre al grind, Gianluca fosse quello con le influenze derivate dall’ HC e dal thrash più marcate, mentre io quello più influenzato dal death metal. Nei nuovi brani questa distinzione tra noi si è diluita parecchio: probabilmente ci siamo influenzati a vicenda. Sid… Sid è estremo. Punto. Noi cerchiamo di dare la nostra interpretazione del genere in maniera onesta e personale. Se un riff  può lontanamente ricordare una delle band che amiamo per noi non è un problema: se la cosa è stata inconscia la viviamo come un giusto tributo a un gruppo che ammiriamo. Sicuramente non vogliamo copiare e non copiamo nessuno.

Come nasce un vostro brano, chi di voi contribuisce al songwriting?
Gianluca ed io ci occupiamo della musica in egual misura. Io scrivo i miei brani e lui registra i suoi. Poi ci confrontiamo, scegliamo le cose migliori e le proviamo fino alla nausea. Sid si occupa dei testi. In “Better Dead Than Friends”: a parte uno o due testi di Gianluca; parti di alcune cose che io avevo scritto in precedenza; qualche nostro input su alcune tematiche da trattare e su qualche titolo e, in “Worthless Existence”, un piccolo contributo nel testo di Juri Bianchi, che è ospite in quel brano, è tutto lavoro suo. Tornando alla musica, Gianluca è stato responsabile dell’80% degli arrangiamenti. Il resto è stata opera mia e, in piccola parte, di Kevin Talley. Gli arrangiamenti vocali e tutto ciò che riguarda il cantato sono opera di Sid.

Per ciò che invece concerne i testi, quali sono gli argomenti trattati?
Ah, se c’è da dispensare odio, disprezzo e furore Sid è la persona giusta… ahahah! Scherzi a parte, le tematiche sono varie. E’ l’ottica piuttosto scura che accomuna i testi che scrive Sid. Parla di come le persone possano diventare schiave delle proprie manie. In un paio di brani il tema è il maltrattamento da parte del genere umano nei confronti della natura, tematica a me molto cara. Come detto prima, nella title track esprime il concetto che è meglio essere morti piuttosto che avere a che fare con personaggi di un certo tipo. In un altro brano Sid parla di quelle miserabili persone che per mettersi in luce hanno come unico mezzo quello di gettare merda sugli altri, modificando a proprio piacimento la realtà dei fatti per raggiungere il proprio scopo. In una canzone fa riferimento a quelle persone che passano la vita a lamentarsi. In un altra parla del fatto che spesso si paga qualsiasi cosa per vivere, che vivere non è, per poi morire senza aver veramente vissuto. Canta/urla del condizionamento dei mass media sulle persone in un pezzo. In un altro sottolinea quanto sia futile e vuoto il mondo dei social media, o almeno l’uso che generalmente se ne fa. Insomma, gli argomenti che tratta, quelli elencati ed altri, sono davvero tanti.

Una cosa che spicca immediatamente all’ascolto è la produzione, davvero molto potente! Dalle informazioni in mio possesso si evince che vi siete rivolti ad un nome di “spicco” del panorama estremo, puoi dirmi qualcosa a riguardo?
Dan Swanö è tra le persone più simpatiche, divertenti e disponibili che io abbia mai incontrato in questo ambiente. E’ andata in maniera molto semplice: stavamo valutando a chi mandare l’album per il mastering e ci siamo rivolti anche a lui. Il brano di prova che ci ha rimandato ci ha immediatamente convinti. Ci ha tenuti aggiornati sul suo lavoro ad ogni passo, dispensando anche ottimi consigli. Siamo molto soddisfatti di questa collaborazione. Così come siamo estremamente soddisfatti del lavoro svolto agli Ironape Studio di Vigevano da Federico Lino. Con lui abbiamo registrato voci, basso e chitarra e lui si è occupato del mixaggio. Kevin ha registrato le sue parti al  Brochacho Studios con  Orlando Villaseñor a San Antonio, in Texas. Sono tutte esperienze che mi piacerebbe ripetere in futuro.

Per ciò che concerne invece la collaborazione con altri musicisti cosa mi dici a riguardo?
Inizialmente quello fissato con le collaborazioni ero io: in seguito sono riuscito a contagiare i miei compagni. Collaborare con musicisti che si ammirano è qualcosa che secondo me da un tocco di freschezza al lavoro che si svolge. In particolar modo con i cantanti, perché voci diverse all’interno di un brano saltano subito all’orecchio e, almeno nel mio caso, attirano immediatamente l’attenzione. I nostri ospiti sono tutti nostri amici. La mia amicizia con Trevor e Juri è ventennale. Juri è anche stato il cantante dei miei Any Face nel periodo e per l’album migliore di quella band, almeno secondo me, ed è stato il primo cantante dei The Bastard Within prima dell’arrivo di Sid. Io e Jason Netherton ci siamo conosciuti circa quattro anni fa e da allora ci sentiamo frequentemente. Chiedere loro di dare il loro contributo al nostro album per me è stato molto naturale. Stefania Minervino e Mara Lisenko non le conoscevo. Sono state una sorpresa incredibile per me. Stefania è amica di lunga data di Gianluca e Sid. L’ho incontrata quando è venuta in studio a registrare le sue parti per “Varosha” ed è stato bello conoscerla. Mara è amica di Sid: molto gentile, disponibile, professionale ed estremamente brutale. Sono felice del contributo di tutti loro, oltre ad essere onorato della loro presenza sul nostro album.

Quali sono le vostre aspettative, in considerazione del periodo che stiamo attualmente vivendo? Avete in programma dei live per promuovere la vostra release? Cosa bolle in pentola?
Personalmente sono già contento così. Reputo “Better Dead Than Friends” e i The Bastard Within le cose migliori fatte e vissute fino ad ora nella mia “carriera musicale”. Suono quello che mi piace con persone che condividono la mia stessa passione per questa musica e per me, che in tutte le band in cui ho suonato in precedenza sono sempre dovuto scendere a compromessi enormi perché tutti si fosse più o meno soddisfatti, è stupendo. Poi, banalmente, a me la nostre canzoni piacciono davvero. Quindi la mia aspettativa e la mia speranza è che si vada avanti così. Tutto qui. Se poi arriverà altro, ben venga. Live: al di là della pandemia è un tematica complessa. Da questo punto di vista su Kevin, ovviamente e giustamente, non possiamo contare. Dovremmo trovare un batterista disposto a farlo. Ma se devo essere onesto in questo momento la sola idea di mettermi a cercarne uno, conoscerlo ed eventualmente provinarlo mi fa sentire esausto. Tra il 2015 e il 2018 ho passato due anni su tre a cercare quotidianamente un batterista e l’esperienza mi ha sfiancato. Certo, una parte di me desidera portare i The Bastard Within live: penso sarebbe divertente e gratificante sia per noi che per gli appassionati del genere che suoniamo. Ma gli ultimi due anni di concerti con la mia band precedente sono stati generalmente orribili; l’esperienza mi ha segnato e a distanza di tanto tempo non ho ancora smaltito le tossine. Per cui in questo momento rimango piuttosto combattuto sull’argomento. Ma questa è solo la mia posizione e le decisioni non spettano solo a me ma all’intera band. In ogni caso per ora vedo questa possibilità di difficile realizzazione. Il 2020 è stato un anno strano per chiunque. Noi, al di là delle situazioni note, abbiamo avuto a che fare anche con impegni e/o impedimenti personali che ci hanno assorbiti parecchio. Tutto questo non ci ha permesso di lavorare con le nostre solite modalità, ma non significa che la band si sia fermata. Io e Gianluca siamo stati molto prolifici in ambito compositivo e ancora non ci siamo fermati, anche se ognuno a casa propria. Abbiamo già parecchie nuove canzoni da scegliere e su cui lavorare. Lo scorso Giugno ne abbiamo registrata in studio qualcuna con Kevin, giusto per capire se la direzione presa fosse quella giusta per noi, e devo dire che siamo molto soddisfatti. Appena la situazione mondiale lo permetterà, ci prepareremo per quello che decideremo saranno i nostri passi futuri.

Siamo giunti alle battute finali, grazie ancora per questa bella chiacchierata, concludi pure come vuoi!
Questa è la domanda più difficile, ahahah! Oltre a ringraziarti di nuovo per la tua disponibilità, Luca, cosa posso dire? Abbiate cura di voi e del prossimo: rispettate il distanziamento sociale; non create assembramenti e usate quelle cazzo di mascherine o non ne usciremo più. Quando vi vedo in giro in branco senza protezione a parlarvi addosso mi fate solo incazzare e mi viene voglia di darvi fuoco. E magari prima o poi lo farò; e che cazzo! Se poi avete voglia di passare una mezz’oretta ad ascoltare un album grind, “Better Dead Than Friends” immagino possa fare per voi.

Eraser – Grindcore fino al midollo

A quattro anni di distanza dal 7″ split “Erasing the Society”, gli Eraser hanno pubblicato il loro primo full-lenght album dal titolo “Mutual Overkill Deterrence” (Barbarie Autoproduzioni ed altre etichette DIY, 2020). Abbiamo parlato del nuovo disco e della situazione attuale dei generi musicali “estremi” insieme ad Anselmo “Krosty”, uno dei fondatori del gruppo.  

Come è nato “Mutual Overkill Deterrence”?
Questo disco è il risultato finale di un continuo “trial and error” (con molti più “error” però), nonché di anni caratterizzati, innanzitutto, dall’instabilità della line up (che tra l’altro già ora non è più la stessa del disco): lunghe pause forzate, fughe improvvise di batteristi, confusioni adolescenziali, nichilismo giovanile e chi più ne ha più ne metta. In qualche modo la nostra eterna sfiga ci ha temprati ben bene ed abituati a non arrenderci. “Mutual Overkill Deterrence” consiste nel meglio (almeno credo, forse sta ad altri dirlo) dei nostri pezzi scritti tra il 2015 e il 2018, il sedimento finale della nostra produzione di quegli anni potremmo dire.

Che significa questo titolo?
Traducendolo letteralmente significa “Deterrenza della Distruzione Nucleare Reciproca”. Essenzialmente si riferisce alla situazione geopolitica tipica degli anni della guerra fredda, allo stallo alla messicana globale e agli spauracchi escatologici della cosiddetta “era atomica”. Oltre al fatto che suona piuttosto bene come titolo di un disco (e che l’acronimo richiamerebbe i mitici thrasher M.O.D. eheh), l’abbiamo scelto perché le radici del grindcore sono legate proprio ad anni in cui il nucleare era un tema piuttosto caldo, agli anni del disastro di Chernobyl, per intenderci, degli ultimi sprazzi estremisti di un mondo diviso in due blocchi opposti: tutte tematiche ricorrenti nei nostri testi, nell’aspetto grafico e ricollegabili al nostro sound.

Come è stato realizzare l’album, dalla fase iniziale alla produzione finale?
I pezzi sono stati scritti, riscritti, mutilati e anatomicamente riassemblati nel corso di alcuni anni. Originariamente erano anche di più, ma abbiamo optato per un disco breve tralasciando brani che non ci convincevano pienamente. Registrazione, mix e master si sono svolti interamente al Tone Deaf Studio, da anni una certezza per molti che suonano nella scena underground di Palermo. Personalmente, registrare e poter ascoltare lo sviluppo finale di questi pezzi è stata la cosa più soddisfacente in assoluto da quando è nato il gruppo e, in generale, registrare e seguire il mix è la cosa che preferisco di tutta l’attività nei gruppi.

Quali sono state le vostre maggiori influenze, musicali e non, nella scrittura e nella produzione di “Mutual Overkill Deterrence”?
Se c’è una cosa che è rimasta invariata attraverso i cambi di line up e i continui stop and go del percorso degli Eraser, è la totale devozione per la prima ondata di grindcore, death-grind e affini di fine anni ’80/inizio ’90. Sia per quanto riguarda la musica, che per attitudine, aspetto grafico e immaginifico. In particolare dobbiamo molto ai Napalm Death dell’era di Mick Harris, Unseen Terror, Terrorizer, Repulsion, Defecation, S.O.B, Blood e ai Carcass degli inizi. Su “Mutual Overkill Deterrence” credo anche che emerga il nostro amore per il thrash e il death metal più veloce e primordiale degli anni ’80, da Slayer e S.O.D. a Slaughter canadesi e Autopsy, soprattutto per quanto concerne la batteria. Inoltre, anche altri gruppi più o meno recenti, attivi tra i primi anni 2000 ed oggi, ci piacciono ed influenzano parecchio, in particolare Insect Warfare, Realized, Modorra, Death Toll 80K e Machetazo.

Quali sono i temi trattati nei testi?
Oltre ai terrori della guerra atomica di cui sopra, direi che abbiamo scritto di un po’ tutto quello che ci passasse per l’anticamera del cervello. Nei testi c’è sicuramente un filo rosso che consiste in buone dosi di black humor, pulp, critica all’attuale status quo e sana brutalità. Essendo stati sviluppati nel corso di un lungo periodo di tempo, per i testi non si può parlare di un concept generale, forse potrebbero risultare più “impegnati” rispetto al materiale precedente (e anche ai testi dei nostri pezzi nuovi, garantisco io).

C’è un brano, fra i 18 dell’album, che rappresenta meglio “Mutual Overkill Deterrence”?
“Mutual Overkill Deterrence” è pensato per essere ascoltato tutto d’un fiato, d’altronde, come quasi tutte le uscite che ci influenzano più o meno direttamente, è un disco abbastanza monolitico/compatto, in cui ogni canzone è compartecipe dell’impatto finale. Io stesso non saprei al momento se c’è un pezzo che preferisco particolarmente, ma forse questo è normale.

Tante piccole etichette a cooprodurre. Come vi siete conosciuti e com’è stato lavorare insieme?
La cooproduzione tra più etichette è una prassi molto comune nel genere e consente di produrre dischi in una buona tiratura, senza avere per forza un budget enorme. In questo modo i dischi viaggiano in più direzioni sin da subito, la distribuzione ne è agevolata ed è più capillare. I rapporti con alcune di queste etichette vanno avanti da anni, ad esempio con Zas, che ha prodotto anche il nostro primo 7″ split con i Rats Of Society di Milano. “Mutual Overkill Deterrence” è stato anche la prima uscita della mia etichetta, Barbarie Autoproduzioni, nata proprio con l’intento di produrre questo disco.

Copertina apocalittica, fra suore scheletriche e funghi atomici. Come è stata realizzata? Perché questa idea?
La copertina è stata realizzata con la tecnica del collage, è stata ideata da me e Dario “Ramses”, il chitarrista del gruppo, ed effettivamente realizzata da Huere Giulio (Huere Artworks, Insomnia Isterica, L’Urlo Di Chen e così via). Da un lato riprende il discorso dietro al titolo del disco, dall’altro ci sono anche una serie di citazioni a noi care, ad esempio i soldati in maschera antigas vengono dal film “La città verrà distrutta all’alba” di George Romero, ma ci sono anche altri riferimenti più o meno velati a dischi e gruppi, magari chi comprerà il disco si divertirà a scovarli eheh.

Il cambio di formazione nel gruppo dopo l’uscita dell’album ha portato anche ad un diverso approccio musicale?
Sì, Fulvio “Thrasher” (batteria) e “Tom” G. Prophet (voce) si sono separati dal gruppo nei mesi successivi alla registrazione, ma col reclutamento di Vinz (Daemonokrat, Religio Mortis e altri) siamo passati in pratica da un four-piece ad un classico power-trio. Già in passato, come dicevo, io e Dario ci siamo abituati ad adattare il nostro suonato a diverse formazioni con batteristi diversissimi tra loro e posso solo dire che non siamo mai stati così a nostro agio come adesso, a brevissimo comunque potrete sentire i primi risultati di questo nuovo corso del gruppo. Proprio in questi giorni stiamo curando i dettagli di una nuova uscita, dico solo che sarà uno split e che sarà un bel bagno di sangue per le orecchie.

Qual è il vostro punto di vista sull’underground nel grindcore ed in generale nel metal e punk estremo? Ci sono gruppi che ammirate?
Non so se al riguardo la pensiamo tutti allo stesso modo nel gruppo, ma io ritengo che, globalmente, la scena grindcore e death metal sia sempre più satura di gruppi e uscite basati interamente su trends di vario tipo. Ad esempio molti gruppi grind moderni mi sembra abbiano poco interesse per le radici del genere, finendo spesso per snaturarlo sul fronte della produzione e dell’arrangiamento. Certi gruppi usano fin troppo spesso triggers digitali per i suoni della batteria, voci e riff standardizzati e testi fin troppo demenziali o fatti di vuoti slogan a sfondo sociale (che non accompagnano quasi mai un vero interesse/impegno in queste tematiche). Inoltre, mi sembra che sempre più gente si discosti dall’etica DIY e dall’attitudine alla base di questo mondo musicale; in poche parole circolano molti “fighetti” e menti influenzabili nella scena. A mio avviso, a lungo andare tutto ciò sarà sempre più dannoso per il percorso dei gruppi e delle etichette. Per fortuna ci sono anche molti gruppi validi che, quando riescono ad emergere nella mediocrità dilagante, provano che questa forma di musica estrema abbia ancora molto da dire. Segnalo qualche band di recente formazione e altre già “rodate”: Terror Firmer, Insomnia Isterica, Bone Sickness, Voyeur, Your Kid’s On Fire, Burnt Decay, Bitch Meat, Convulsions, Necrotized Mass, Infected Religion.

Come vivete la passione verso questi generi musicali estremi nella Palermo del 2020?
Riguardo Palermo e la sua scena, posso dire che chi segue questa musica a Palermo è parecchio appassionato e supporta noi poveri scemi. A chi non piace non piace e basta, ed è comunque la maggior parte della gente, é giusto, sono gusti. D’altronde credo che Palermo in sé abbia un’aura unica e “grottesca”, che non può che influenzare positivamente chi riesce a coglierla. Certo, se ci fossero più spazi per un vero underground palermitano, della tipologia di cui mi parlano amici e conoscenti più grandi, che hanno vissuto una certa fase dell’attività musicale in questa città, magari torneremmo sulla “mappa”,  sia per gli altri gruppi che vanno in tour, sia per possibili nuovi sbocchi per la nostra produzione locale. Quest’ultima comunque non è mai mancata di realtà interessanti, i miei (e non solo) gruppi preferiti, dai primi 00’s a oggi sono: F.U.G., Shock Troopers, Haemophagus, Balatonizer, ANF, Soviet Nuns, Burst-Up, Il Tempo Del Cane, Close To Collapse, You Are The Problem, BiggMen e Cavernicular.

Undertakers – Trent’anni di rappresaglia

Trent’anni passati in prima linea, magari alternando al consueto “rumore” lunghi momenti di silenzio, ma senza mollare mai! Chiamatela resilienza o, più semplicemente, caparbietà, ma gli Undertakers sono ancora qui tra noi per festeggiare ben tre decadi di musica estrema. Nessuno meglio di Enrico Giannone può presentarci il nuovo, e celebrativo, album “Dictatorial Democracy” (Time to Kill Records / Anubi Press), contenente alcuni classici, una paio di cover e ben tre inediti!

Benvenuto Enrico, trent’anni di Undertakers! In queste tre decadi è cambiata più la tua creatura o sei cambiato più tu?
Forse siamo cambiati entrambi allo stesso modo, anche se musicalmente non mi sono “evoluto” ahahhahah (i veri musicisti dicono così, mi pare): l’approccio verace, aggressivo, adrenalinico e con un pizzico di non prendersi sempre troppo sul serio ha sempre contraddistinto me stesso e i miei progetti.

Ricordi ancora quale è stato il primo pezzo scritto per gli Undertakers?
“Human Decline”, che poi è contenuto anche sul primo album “Suffering Within”; mi ricordo l’emozione di scrivere un testo in una lingua non mia e di provare a far passare dei concetti come li volevo io. Alla fine, ripeto, ho solo un gran vocione ma non mi reputo un musicista…

Quali sono i momenti di questa lunga carriera che ricordi più piacevolmente?
Guarda, ho avuto la fortuna di essere giovane quando “questo genere” andava bene sia in Italia che all’estero. Con Undertakers la media era sempre 300/400 persone, siamo arrivati anche a 1000 verso la fine degli anni 1990. Il primo tour europeo con Vital Remains e Vader, furgone che andava al max a 100 kmh, emozioni senza fine, mi sentivo un re… anche se non avevamo soldi, abbiamo persino rubato in autogrill per mangiare: forse il miglior momento della mia vita!

I momenti brutti immagino che non siano mancati, c’è stato un giorno in cui hai pensato mollo tutto?
I momenti brutti ci sono stati, ma ti dirò: la cosa bella della musica che non ti “incula” mai. Un progetto, una band, una zine posso avere dei momenti di calo, di stanca ma se è qualcosa che hai dentro… non ti lascia mai. Io ci vivo di musica, ne ho fatto una professione, però mantengo il mio legame con l’underground all’alba dei miei 50 anni.

Colgo la palla al balzo per allargare l’ambito di questa nostra intervista, tu non sei solo un membro degli Udertakers, ma porti avanti altre attività legate alla musica: sei un label manager e un promoter. La situazione generale è in ripresa oppure è difficile ad oggi pensare in positivo?
Stiamo messi malissimo! Il carrozzone rischia una debacle clamorosa, spero vivamente che per metà 2021 si ricominci, altrimenti c’è da preoccuparsi a livello mondiale. Se posso però dire una cosa, spero che una volta che si riprenda la gente veramente vada ai concerti, specie quelli di “nicchia”, dal momento che vedo solo “chiacchiere e distintivo”. Ad ogni, l’unica soluzione è un vaccino, tutte le altre sono rimedi, anche onorevoli, ma economicamente perdenti. L’etichetta – la Time to Kill Records – devo dire invece che grazie ad un team validissimo che abbiamo messo su sta andando super bene, anche se parliamo sempre di underground e quindi di passione, ma sta andando alla grande.

Ritorniamo alle cose belle, in particolare all’album celebrativo “Dictatorial Democracy”, un lavoro che raccoglie brani vecchi e nuovi. Per il momento mi soffermerei sui classici, come hai scelto quali canzoni includere?
Sono quelle che hanno rappresentato un po’ la nostra carriera, quella che riteniamo più valide e che abbiamo suonato da sempre. In una sola parola, quelle che hanno più “attitudine”.

Fascist Pig” dei Suicidal Tendencies e “Ripetutamente” dei 99 Posse le due cover presenti su questo lavoro, come si armonizzano questi pezzi con quelli scritti da voi? Credi che ci sia un filo conduttore tra la vostra opera e quella delle band di Muir e di ‘O Zulù?
I Suicidal per me sono un riferimento sia musicale che “sociale”, mi sono sempre ritenuto una mistura strana tra punk metal e hardcore, quindi Muir è sempre stato il frontman, diciamo, che meglio mi rappresenta anche visivamente sul palco. Per quanto riguarda ‘O Zulù, ci conosciamo da anni. Ci proposero di rifare una loro canzone in formato grind, la sfida ci piacque, e l’abbiamo realizzata. E devo dire la verità, lo reputo davvero un pezzo grind fichissimo!

All’epoca del vostro inserimento nella compilation di tributo ai 99 Posse come reagirono i fan più “metallicamente” ortodossi?
Mah, ricordo che ne furono colpiti positivamente, alla fine Undertakers è una band “schierata”, quindi passiamo dai locali dei capelloni ai centri sociali più assurdi. Quello che non ho mai amato è la musica vissuta come ghetto, come tribù recluse nei recinti. Io so solo di andare veloce e fare male, musicalmente parlando, del resto me ne fotto…

Passiamo ora ai tre brani inediti: “Best Hate”, “Dictatorial Democracy” e “Religion is a Crime”, come e quando sono nate queste tracce?
Stefano – unico superstite insieme a me – ha materiale per farne cento di dischi. Copertina e titolo erano pronti da 10 anni, penso. Il momento storico ha fatto anche da acceleratore e abbiamo detto ora o mai più. Quindi ci siamo messi sotto, siamo andati ai Kick Recording Studio e il resto lo sentirete….

Come ti vedi tra 30 anni?
Se campo ancora, provando ancora a sperimentare e portare avanti qualche progetto fallimentare, ehheheheh. Ma tanto è così, il piacere di provare di innovare, di mettermi in gioco è il leit motiv della mia esistenza: la vita non la subisco ma l’aggredisco!

Anaal Nathrakh – L’arrivo dell’oscurità

Ho provato sempre un sentimento di soggezione nei confronti degli Anaal Nathrakh, invece Dave Hunt, in arte V.I.T.R.I.O.L., si è dimostrata una persona cortese e loquace. “Endarkenment” (Metal Blade) è l’ennesimo tassello di una discografia ricchissima e, stranamente, regolare negli ultimi anni. Proprio da questa peculiarità è partita la nostra chiacchierata…

“Vanitas” (2012), “Desideratum” (2014), The Whole of the Law (2016), “A New Kind of Horror” (2018) ed “Endarkenment” (2020): il vostro ciclo creativo ha bisogno di due anni per la realizzazione di un album?
Effettivamente è strano che siamo stati così regolari con le nostre ultime uscite, perché non è stato pianificato. Registriamo solo quando abbiamo le giuste sensazioni e quando abbiamo abbastanza tempo per stare insieme. So che non suon molto bene quest’ultima cosa, ma con uno di noi nel Regno Unito e l’altro negli Stati Uniti, ovviamente dobbiamo programmare ogni dettaglio con attenzione, cose tipo i biglietti aerei e così via. Non dipende poi solo da noi, ma anche dalle etichette che decidono quando tirare fuori quello che consegniamo loro. così, tra una cosa e l’altra, sono passati circa due anni ogni volta.

Fin dall’inizio siete sempre le stesse due persone, come rinnovate la vostra ispirazione?
Non credo che l’spirazione abbia molto a che fare con il fatto che siamo in due: non abbiamo bisogno di lavorare insieme ad altre persone, e nemmeno tra di noi, per trovare la giusta ispirazione. È sempre lì, una parte della nostra natura mentre viviamo le nostre vite. Questo non vuol dire che potremmo fare un album e poi subito un altro il giorno successivo, ovviamente. Ma non è che iniziamo da zero dopo che ogni disco è fuori, non ci sentiamo svuotati alla fine del processo creativo: l’accrescimento dell’ispirazione è costante. E ci sono sempre idee e pezzi che non si adattano a un album, ma potrebbero essere qualcosa di buono su cui lavorare per un altro disco. Quindi la nostra ispirazione è sempre lì, e registrare un album è un po’ come scattare un’istantanea della nostra creatività in quel momento.

“Endarkenment” è nato prima dell’emergenza Covid 19, pensi sarebbe potuto essere diverso se fosse stato realizzato durante o dopo il blocco per la pandemia?
Beh, visto come ci esprimiamo al meglio, non saremmo stati in grado di registrare nulla durante il blocco. Quindi sì, sarebbe diverso, nel senso che non sarebbe esisto! Anche se in un modo strano, la pandemia ha fatto apparire questo album più adatto al momento contingente di quanto lo sarebbe stato senza emergenza. Molte delle idee e dei temi di che abbiamo trattato sono stati amplificati e resi più chiari dal modo in cui il mondo è cambiato da quando è arrivato il virus. Non dico che dovremmo ringraziare la pandemia per questo, ma in un certo senso, suppongo che dobbiamo sentirci fortunati per l’effetto finale!

Hai già suonato alcuni di questi brani dal vivo prima del blocco?
No, niente dell’album è mai stato suonato dal vivo. Questa è un’esperienza che non vediamo l’ora di fare quando il mondo finalmente diventerà un po’ meno folle. Almeno meno folle in termini di pandemia: il mondo è piuttosto pazzo anche sotto altri aspetti, ed è improbabile che cambierà, anche se il virus dovesse andare a farsi fottere domani. Ma quando sarà sicuro farlo – e non prima – speriamo di essere in grado di sviscerare queste canzoni come meritano dal vivo.

“Endarkenment” è l’album più epico degli Anaal Nathrakh?
Non lo so, dimmelo tu. In realtà, non analizziamo o classifichiamo le nostre cose in questo modo. Facciamo ciò che ci sembra giusto e seguiamo le nostre idee fin dove ci portano. Perciò, dovresti chiedere a qualcun altro un confronto. Posso dire che di certo non abbiamo deciso di creare consapevolmente un album epico. Non abbiamo mai veramente in mente la parola “epico” quando facciamo musica. Ma se pensi che sia una buona descrizione del disco, non è un problema dal nostro punto di vista.

La musica è stata registrata interamente nello studio di Kenney nel sud della California, mentre la voce è stata incisa nella zona industriale di Birmingham, in un edificio che ospitava lungo il vostro stesso corridoio il set di un porno sadomaso! Quanto è stato difficile lavorare in questa strana situazione?
Non è stato affatto difficile. Strano, certo, ma siamo un po’ strani e lavoriamo meglio in una situazione ambientale molto minimale. Dacci un po’ di privacy, preferibilmente una luce naturale limitata e alcune attrezzature piuttosto semplici e il gioco è fatto. A livello personale, è stato sicuramente un po’ meno glamour che andare a registrare la voce per l’ultimo album ad Huntington Beach, haha! Ma in termini di musica reale, la zona industriale a Birmingham ci s’addice altrettanto bene. E sì, abbiamo sentito dei rumori provenire da un’altra delle sale nelle vicinanze, e inizialmente pensavamo ci fosse una donna che veniva picchiata lì dentro, quindi eravamo preoccupati. Ma mentre stavamo nel corridoio cercando di capire cosa stesse succedendo e considerando di chiamare la polizia, una voce ha urlato: “Vi vedo che state ascoltando, pervertiti!”. Poi abbiamo capito cosa stava succedendo. Dopo di che è stato un po’ strano camminare per andare in bagno e sentire un forte accento locale dire cose come “Sì, ficcami quel dildo su per il culo, piccola” mentre passavamo. Ma i gusti son gusti.

Torniamo a cose più terrene, di solito un adolescente abbraccia la musica estrema per un atto di ribellione. Ora che sei un musicista professionista, qual è il tuo fine?
Non credo che il nostro obiettivo sia mai stato davvero la ribellione. Sì, certo hai ragione sul fatto che gli adolescenti si ribellano, ma non credo che sia solo per quello che si comportino in una determinata maniera, almeno in modo cosciente. Nel nostro caso, non ci vedevamo come dei ribelli, perché non pensavamo davvero che ci fosse qualcosa che avremmo voluto distruggere, quindi non c’era nulla contro cui ribellarsi. Stavamo solo andando verso ciò che ci sembrava giusto, inventando qualcosa che sentivamo mancasse nella musica che trovavamo in giro. E quindi in realtà i nostri obiettivi non sono cambiati: siamo ancora principalmente interessati a fare ciò che sembra la cosa giusta da fare. I traguardi lunga strada, che potresti considerare come dei normali obiettivi, li abbiamo per lo più raggiunti: cose come vedere il nostro CD in un negozio o suonare in questo posto o in quell’altro e così via. Abbiamo fatto praticamente tutto ciò che ci poteva essere su quel tipo di lista, soprattutto perché non c’era praticamente nulla sulla nostra lista! Quindi ora ci preoccupiamo, come sempre, di fare musica che sia per noi soddisfacente e piacevole.

Dopo tutti questi anni, pensi che Anaal Nathrakh sia ancora un buon nome per una band come la vostra?
Questa è una domanda strana. Sì, naturalmente. Potremmo facilmente usare un nome diverso se volessimo. Forse lo chiedi perché non ti è mai piaciuto il nostro nome?

No, mi piace molto. Foneticamente ha un suono molto duro, però se prendiamo in considerazione il significato, mi sembra atipico per un gruppo estremo come il vostro, tutto qui. In conclusione, quali sono le vostre prossime mosse?
Al momento non ci sono mosse successive, davvero. Il virus ostacola praticamente tutto ciò che potremmo fare: non possiamo suonare dal vivo e non possiamo viaggiare per stare insieme per suonare per un brodcast online o fare nuova musica. Almeno le operazioni necessarie per il lanico dell’album non sono compromesse, quindi abbiamo pubblicato un video per la title track e un lyric video – cosa molto insolita per noi – per un’altra canzone. Il 25 settembre sarò ospite su Gimme Radio e proporrò un paio di brani del nuovo album e alcuni nostri classici. L’uscita del disco è prevista per l’inizio di ottobre, nonostante il virus ci impedisca di fare un mucchio di cose, riusciamo a essere sufficientemente attivi grazie al fottutissimo Internet!