Veil of Conspiracy – Ai margini del buio

I Veil of Conspiracy tornano alla carica dopo un paio d’anni dall’esordio, “Me, Us and Them”, con una line-up parzialmente modificata e uno spirito oscuro e malinconico che ha le proprie fondamenta nel doom anni 90. Luca ed Emanuela ci hanno parlato di “Echoes Of Winter”, disco pubblicato dalla BadMoodMan Music \ Grand Sounds Promotion lo scorso fine agosto.

Benvenuti su Il Raglio, vi avevamo lasciato con “Me, Us and Them”, disco d’esordio uscito nel 2019. Sono passati solo due anni, ma di cose ne sono accadute sia a livello globale, basti pensare alla pandemia, che in seno alla band, dove ci sono stati alcuni cambiamenti di line-up. Vi andrebbe di ricostruire il periodo a cavallo far i due album?
Il periodo a cavallo fra i due album non è stato proprio dei migliori, sia – come hai giustamente sottolineato – a causa della pandemia che si è purtroppo scatenata a livello mondiale, che per via di alcune vicissitudini interne alla band che ne hanno modificato la line-up. Nonostante ciò, questa pausa forzata dettata dalla pandemia ci ha permesso di dar vita ad un lavoro profondamente sentito, quale è “Echoes of Winter”, e di accogliere all’interno del gruppo un musicista che stimiamo moltissimo, cioè Alessandro Sforza.

Credete che questi cambi di formazione abbiano inciso sui contenuti del nuovo album o tutto sommato il nucleo compositivo della band è rimasto immutato e con esso anche il vostro sound?
Il nucleo compositivo della band è rimasto invariato, ma ovviamente l’entrata di Alex in formazione ha permesso di sviluppare al meglio molte delle idee che non riuscivamo ad esprimere totalmente e al meglio in precedenza, con quelli che sono stati gli ex membri della band. Alex è stata per i Veil of Conspiracy una vera e propria ventata d’aria fresca.

Oggi più che mai avete i piedi ben piantati nella scena doom anni 90, cosa vi affascina di quel movimento?
Innanzitutto, le atmosfere che il doom riesce a creare e le sensazioni che evoca nell’ascoltatore. È uno stile musicale che permette di attuare una molteplicità di soluzioni musicali e melodiche quasi infinite.

Mentre quali sono le variazioni personali che avete apportato rispetto alla lezioni di quei maestri dei 90?
Più che variare, ci riesce naturale collegare alcuni momenti delle nostre composizioni a generi che esulano un po’ dal doom vero e proprio, come ad esempio il black metal di stampo norvegese.

Tra i nuovi membri mi avete citato Alex, già attivo con gli Invernoir, band con la quale condividerete il palco in occasione del release party di “Echoes of Winter”. Mi dareste più dettagli dell’evento?
Per noi sarà una grande emozione tornare a suonare dal vivo dopo tutto questo tempo dovuto allo stop causa pandemia, d’altronde manchiamo dal palco ormai dal dicembre 2019, data dello show di spalla ai Dark Funeral all’Orion di Roma. Siamo quindi eccitatissimi solo al pensiero di poter suonare dal vivo tutto “Echoes of Winter” e di condividere il palco con l’altro progetto di cui Alex fa parte, gli Invernoir.

Prima del blocco di concerti siete riusciti a presentare dal vivo ance l’esordio o approfitterete di questa serata per farlo per la prima volta?
“Me, Us and Them” ha avuto il suo release party subito dopo l’uscita, nell’aprile 2019, seguito da diversi live con i Fallcie, gli …In The Woods, gli Shores of Null e quello già citato con i Dark Funeral. Dedicheremo quindi l’intera serata del 24 settembre ad “Echoes of Winter”.

Cosa rappresenta metaforicamente quell’inverno citato nel titolo?
L’album è scaturito da un forte desiderio di rendere omaggio all’inverno, la stagione che più ci rappresenta, musicalmente parlando, e che abbiamo tentato di evocare nei brani di “Echoes of Winter”. È un chiaro rimando alla solitudine del genere umano, che nulla può al cospetto della natura, che insieme all’inverno è l’altro tema principale di tutto l’album.

La canzone che dà il titolo all’album la troviamo all’inizio della tracklist, credete che sia il brano più rappresentativo del disco?
Ci teniamo a chiarire che la prima traccia del disco si intitola “Woods of Nevermore”, non ha quindi lo stesso titolo dell’album. Questo errore è scaturito da alcune recensioni e notizie relative (la tracklist riportata nel promokit è errata Nda) all’album che sono state pubblicate sul web da più siti, ai quali abbiamo segnalato l’errore.

Mi è parso di capire che il disco sia sta ben accolto dalla stampa internazionale, queste soddisfazioni leniscono o accrescano il dispiacere di non poter fare un vero e proprio tour di supporto a “Echoes of Winter”?
Sicuramente non può che farci tantissimo piacere ricevere così tanti pareri e recensioni positive da parte della stampa internazionale, ma anche dalle persone che hanno ascoltato o acquistato il disco. Speriamo che la situazione dovuta alla pandemia migliori, così da poter riuscire ad organizzare qualche altra data per promuovere il disco.

Silvered – L’ora delle streghe

Ancora un album d’altissima qualità proveniente dall’Italia. I Silvered con “Six Hours” (BadMoonMan Music / Solitude Productions) ci dimostrano che il Salento non è solo la terra de “lu sule, lu mare, lu ientu”.

Ciao Daniele, avevamo lasciato i tuoi Silvered alle prese con l’album di debutto “Grave of Deception”, li ritroviamo oggi, dopo ben nove anni di attesa, con il secondo disco, “Six Hours”: cosa è successo in questo lungo lasso di tempo?
Ciao a voi, una vita intera direi! Come potrete immaginare ne succedono di cose in così tanti anni. In primis si cresce come persone e si maturano esperienze, musicali e non, si ascolta nuova musica, si leggono nuovi libri. Vicende personali e interpersonali hanno segnato la storia della band, che in un modo o nell’altro non ha mai mollato e si ritrova oggi ad avere un ruolo di tutto rispetto nell’underground metal mondiale.

Line up rivoluzionata, con te unico reduce dal disco precedente: cosa ti ha portato a un rivoluzionamento così profondo della formazione?
Fondai la band nel 2007 con un’idea ben precisa riguardo alla musica e agli obiettivi, ovvero quella di suonare un genere che in Italia e all’estero era abbastanza nuovo, unendo il death metal melodico con il progressive metal e il rock acustico. Agli esordi trovai una buona sinergia con gli ex membri, sia a livello umano che prettamente musicale. Nel periodo di lavorazione del primo album “Grave of Deception” gli equilibri all’interno della band iniziarono però a deteriorarsi sino alla inevitabile spaccatura avvenuta verso la fine del 2011. L’ ingresso dei fratelli Giuseppe (chitarra) e Carlo Ferilli (batteria) diede poi nuova linfa vitale alla band che proseguì coi live e con le prime nuove composizioni. Il gruppo cambiò ulteriormente pelle in seguito alla separazione “pacifica” da Stefano De Laurenzi (tastiere, 2007-2015) e Frank Bursomanno (basso, 2008-2017), come da Roberto Vergallo qualche anno prima (chitarra, 2008-2010 – dal 2017 chitarrista e compositore nella mia attuale rock band Maysnow). Lorenzo Valentino (dal 2015) e Simone Iacobelli (dal 2018) completano oggi la line up.

Quanto hanno inciso i nuovi in fase di scrittura?
Hanno inciso in maniera vitale direi, realizzando tutte le musiche e registrando poi tutti gli strumenti, i primis i fratelli Ferilli, che proprio intorno al 2015 (non ricordo esattamente l’anno) mi convinsero anche a non mollare il progetto, assicurandomi che avremmo potuto realizzare un album straordinario. Cosa che è avvenuta davvero!

Aspettare nove anni per pubblicare un disco e ritrovarsi nel pieno del lockdown non deve essere una cosa facile da digerire, quanto vi sta penalizzando questa situazione in fase di promozione del disco?
Il nostro album non avrebbe potuto avere un’uscita più azzeccata! A parte gli scherzi, dopo appunto così tanti anni, mille peripezie, contrattempi e difficoltà varie che solo una band underground conosce, la soddisfazione risulta doppia, addirittura tripla col fattore pandemia. “Six Hours” per ovvi motivi non ha ancora avuto la promozione che forse merita, ma nonostante tutto è abbastanza conosciuto nel mondo underground, grazie alla BadMoonMan Music e all’etichetta madre Solitude Productions, label esperta in ambito doom metal. La mancanza di live poi non gioca a nostro favore, ci è al momento negato il modo migliore per diffondere la nostra musica, ma ritorneremo non appena possibile sul palco e sarà incredibilmete bello.

Il vostro primo album è stata un’autoproduzione, il nuovo invece è uscito, come dicevi prima, per BadMoodMan Music: noti delle differenze in termini di attenzioni da parte dei media e del pubblico?
In effetti si, “Grave of Deception” (datato 2012) non fu accompagnato da nessuna promozione, se non quella legata ai concerti stessi. Oggi le cose sono molto diverse, come ti anticipavo prima, con BadMoonMan Music/Solitude Productions la visibilità è cambiata radicalmente. Continuano ad arrivarci recensioni e feedback positivi da parte del pubblico, su youtube le visualizzazioni dell’album superano le 50 mila e questo non può che renderci orgogliosi.

Trovo che una delle influenze più evidenti sia quella dei Novembre, credi che la comune provenienza geografica, entrambe le band provenienti dal Mezzogiorno d’Italia (anche se la band di Carmelo è ormai di base a Roma da una vita), vi abbia influenzato in qualche modo nella vostra ricerca sonora tanto da arrivare a soluzioni sonore affini?
Non so se sia questione di provenienza geografica, è più dovuto forse ai gusti personali e al bagaglio musicale che ci portiamo dietro. Sicuramente c’è un sentire comune, con le dovute differenze stilistiche.

Quali tematiche tratti nel disco e cosa si cela dietro il titolo “Six Hours”?
Il concept dell’album è incentrato sulla stregoneria. Ho scritto una storia prendendo spunto da diverse testimonianze reali riportate in alcuni documenti che ho visionato e studiato durante la mia tesi di laurea intitolata “Inquisizione e stregoneria nella terra d’Otranto di antico regime”. Il “Salento magico” ha fatto quindi da ambientazione per le vicende di una ex-suora che, nel tormento e nella disperazione, stipula un patto col diavolo. Le canzoni narrano le ultime sei ore di vita della protagonista.

Il vostro nome si ispira all’opera di Lovercraft, pensi che alla luce della vostra evoluzione, che vi ha portato a un disco come “Six Hours”, ci sia ancora un’affinità concettuale con l’autore di Providence?
Assolutamente sì, da amante della letteratura weird e del Maestro HP Lovecraft posso affermare che entrambi gli album hanno attinenza, il primo con venature più fantasy/horror, il seconto più dark horror. Anche l’autore di Providence scrisse racconti a tema stregonesco e col diavolo i protagonista.

Sono pugliese come voi, ritengo che prima del lockdown, almeno qui nella zona di Bari, le cose dal vivo andassero meno peggio che in altre partidel Meridione. Anche da voi in Salento qualcosa di interessante, grazie a locali come l’Istanbul Cafè o ai festival estivi, si muoveva. Quale scenario si prospetta alla fine della pandemia? Ritieni che si potrà ripartire da là dove c’eravamo fermati o sarà dura rialzarsi?
Credo che alla fine di questo incubo non si tornerà alla vita come noi la ricordiamo, nel senso che avremo sempre a che fare con norme sanitarie e provvedimenti speciali soprattutto per i luoghi chiusi e in ambito spettacoli rivolti al pubblico. Ciò però farà da contraltare ad una voglia irrefrenabile di aggregazione e di musica dal vivo. Paradossalmente questo stop forzato potrebbe portare nuova linfa vitale a tutto il movimento musicale e quindi, lo spero davvero, anche a quello metal.