Terzo lavoro in studio per i Flares on Film. “About Love, War and Electricity” è il titolo della prima uscita della neonata label Lift Records che da subito denuncia una profonda distanza dallo streaming in rete, ritenendolo privo di valore, restituendo la possibilità di ascolto solo grazie al supporto pubblicato sia in forma fisica che tramite acquisto digitale. Scopriamo di più su questo progetto con il leader della band FLB.
Puoi raccontare ai nostri lettori la genesi della band, quando vi siete formati e come siete arrivati al terzo lavoro da poco pubblicato?
Il progetto Flares on Film prende forma nel 2015. Nasce sulle ceneri degli Eva, band che ha vinto vari concorsi e suonato in piccoli tour indipendenti in Italia, al MEI nel 2011, siamo arrivati al 7° posto nella classifica indie italiana. Le produzioni dei Flares On Film sono principalmente un prodotto di mie composizioni. Nel corso degli anni si sono susseguiti vari artisti e musicisti di varia estrazione. L’anima del progetto infatti prevede una continua ricerca di sonorità e di conseguenza di volta in volta, di album in album vengono convocati i giocatori più adatti. Il primo album “Happy Ending” (Godz Records 2015) ottiene buon riscontro nel pubblico underground e sul web, soprattutto all’estero per via dei testi in inglese.
Nel 2019 esce il secondo album “Naive Songs” con la Private Room Records. Un album più concettuale e vario che spinge ancora un po’ di più l’asticella spostandosi ancora più lontano. Molte piccole radio francesi, tedesche e ucraine mandarono in play “The Saddest Song”, il singolo. Nel 2020 c’è stato “Our Souls At Night” sempre per la Private Room Records, e qui lo spirito della collaborazione si spinge oltre, creando un album composto da remix del precedente “Naive Songs”, di vari autori italiani e uno statunitense. Al momento la formazione oltre a me comprende il violinista pluristrumentista Michele De Luisi, in arte Pino Di Lenne e il batterista polistrumentista Marco Fischetti.
Sul comunicato stampa c’è un riferimento allo scrittore Herman Melville, come e a cosa è legato alla vostra musica?
Il concept dell’album prende spunto dal romanzo di Melville, “Bartleby lo scrivano”, dove il protagonista senza dare alcun tipo di spiegazione, si lascia morire. Detta così sembra una cosa triste e spaventosa, ma il senso che vorrei trasmettere è il tema del lasciarsi andare, addirittura, come nel caso del libro, eventualmente anche ad un destino infausto, senza troppo pensarci, senza chiedersi un perché, senza dare spiegazioni. Una sorta di invito a lasciare le redini della propria vita, andare alla deriva affidandosi solo al flusso della propria esistenza, nel bene e nel male. Affidarsi tuttavia non in maniera decadente, ma come se ci fosse sempre una speranza. In altri termini, un inno, se vogliamo, alla perdita di controllo, all’assenza della ragione. E per dare un valore più ampio l’album è costruito soprattutto attorno alla voce. Infatti ci sono varie collaborazioni con altri cantanti sia uomini che donne, proprio a testimoniare la pluralità del concetto di ‘controllo’, che evidentemente ci riguarda tutti.
Avete un sound elettronico molto sofisticato e ben prodotto, come definireste la vostra musica? A cosa vi siete ispirati?
È sempre davvero difficilissimo dare una definizione. Posso provarci partendo dai nostri punti di partenza. Prima di tutto immagina che l’attitudine lo-fi o comunque di far suonare qualsiasi cosa ci capiti tra le mani, l’abbiamo presa in prestito dal Beck di “Odelay”. Magari il primo disco suonava anche lo-fi per via delle registrazioni, ma oggi, continuiamo a mantenere quell’attitudine oserei dire quasi punk. Le voci sono tutte registrate nella cabina armadio di casa.
Un altro elemento importante della nostra musica è senz’altro il soundscaping, il paesaggio sonoro, quindi chiari riferimenti a Brian Eno di “Music For Airports” o anche nelle produzioni con David Bowie. La parte finale del nostro brano “The Eyes” parte proprio dall’ispirazione di “Warszawa” di Bowie. Ci sono spunti alla Radiohead, Pink Floyd, Alessandro Cortini, le atmosfere dark dei Depeche Mode, Nine Inch Nails. Alla fine quello che conti, al di là dei bei suoni, è sempre e solo la melodia della voce. Sono di scuola beatlesiana per cui confido nella melodia come in una religione. Il resto è tutto un gioco per i musicisti che si divertono a produrre musica.
Il videoclip di promo all’album “The Longest Distance” oltre che a Bari è stato girato a Tokyo, da chi è stato girato ed è stato difficoltoso girarlo così lontano? Secondo te quanto le tecnologie oggi disponibili aiutano maggiormente per questo tipo di lavoro e quanto aiutano o meno nella diffusione e la fruizione della musica?
Il video nasce dall’idea di rappresentare la domanda “il giorno più bello della mia vita è già passato o deve ancora arrivare?”, che è il tema centrale del brano. Ho pensato che l’immagine più diretta per far arrivare questo concetto fosse un incontro, due persone che si cercano da sempre e che dovrebbero incontrarsi. Abbiamo ingaggiato il regista Luciano Parravicini della Lux For Media di Bari. E con lui siamo riusciti a giocare con i due protagonisti e i loro due piani di realtà. Lui vaga per la città cercando lei, e lei è nella sua stanza aspettando lui, ma chi dei due è davvero reale? Abbiamo scelto la notte e la città perché sono due cose a cui sono molto legato, e abbiamo scelto di girare per le strade di Bari cercando di non dare sempre quell’immaginario di città del sud tra pescatori, focacce e mare. Le riprese di Tokyo invece sono state attinte dagli archivi di Luciano Parravicini. Tokyo più che mai ha un fascino notturno e moderno e ci sembrava adatta per raccordare alcuni punti del video. La cosa bellissima è che non sapendolo sembra semplicemente un’unica città.
Avete in programma date di concerti imminenti?
Questa è fase purtroppo difficile per i concerti. Non è facile organizzare lunghi spostamenti perché ovviamente la questione Covid vincola moltissimo ed è davvero impossibile fare progetti a lunga scadenza. Ora, timidamente stiamo rodando la band dal vivo in concerti vicini, ma viviamo alla giornata, forse in primavera sarà più facile spostarsi. Abbiamo inoltre aggiunto per i live Costantino Temerario, già voce e chitarra dei Turangalila, così possiamo suonare con un impatto decisamente più interessante e oserei dire anche più rock.
Per ora l’album è disponibile solo su CD, il vinile?
Come tante cose portate dal covid, anche la stampa su vinile è stata posticipata di molto per assenza di materie prime. Immagina che l’album è uscito il 12 novembre e se tutto va bene, abbiamo saputo che ci arriverà tra le mani prima di marzo. In questa versione abbiamo aggiunto altri due brani inediti proprio per renderla diversa e se mi concedi anche un po’ più preziosa. È molto bello questo ritorno al vinile. Credo che la musica abbia davvero una cura che merita quando ha un supporto fisico. Infatti abbiamo scelto di non essere su nessuna piattaforma di streaming. Ci sembrava troppo avvilente sparire in un mare così vasto e così poco riconoscente. Per i grandi nomi non è un problema, ma per noi come per tanti altri, vuol dire solo sparire nell’infinito. Preferiamo Bandcamp, è più underground e quasi mi ricorda Myspace.
su Bandcamp comunque si può ascoltare gratuitamente il disco.
Sono due anni che la musica è ferma, tranne poche eccezioni, non sembra sia tutto realmente ripartito, anzi, come l’avete vissuta personalmente e come credete si evolverà la situazione? Come dicevo all’inizio di questa intervista, personalmente sono aperto verso il futuro e le cose che accadono. Purtroppo il covid è stata una cosa terribile per tutti, ma soprattutto per chi ne è rimasto personalmente ferito da lutti o altre perdite. Ma da questa terribile vicenda dell’esistenza sono arrivate anche un po’ di cose buone. Molti di noi hanno cambiato l’approccio alla vita, forse qualcuno si è reso conto le cose non durano per sempre. E poi si è sdoganato lo smart working. Giusto per fare un esempio, la prima parte del missaggio di questo album è stata fatta online. Cosa porterà? Come si evolverà la musica? Sono positivo, credo prima di tutto che questi anni di stop siano stati utili per chiuderci nei nostri studi e scrivere musica. L’unica cosa di cui risente la musica durante il covid sono stati i concerti soprattutto delle piccole band nei piccoli locali. Però a dirla tutta è stato solo il colpo di grazia. Oggi di musica ce n’è tantissima, ma soprattutto l’accessibilità è decisamente più spinta rispetto ai tempi di Napster. Quindi gli ascoltatori sono decisamente più saturi. Immagina anche cosa può fare Spotify, musica per milioni di anni come sottofondo anonimo della vita. Credo che dobbiamo ancora raggiungere un punto di saturazione massima prima di fermarci e ricominciare ad ascoltare ciò che è giusto per il nostro grado di elaborazione. Magari ascolteremo meno musica, ma sicuramente almeno ce la sceglieremo noi e non un tristissimo algoritmo.

Wanted Record consiglia l’ascolto di “About Love, War and Electricity” dei Flares on Film.
INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 22 DICEMBRE 2021