Il pentolone del black metal è in perenne ebollizione, non è facile seguirne le molteplici evoluzioni e individuare le uscite recenti più interessanti. Questa estrema vitalità, però, va a vantaggio di chi ha la voglia e la curiosità di indagare, di mettersi là a cercare nomi meno conosciuti, che magari giungono da un Paese come la Germania che non è mai stato generosissimo con il genere più nero del metal. Tra le realtà in ascesa del panorama crucco, ci sono i Naxen di LN, autori del primo full length “Towards the Tomb of Times” (Vendetta).
Benvenuto LN, sei da poco arrivato finalmente all’esordio con i Naxen, ti andrebbe di presentare la tua band ai lettori italiani?
Ci chiamiamo Naxen e suoniamo un black metal che potrei definire moderno e che racchiude influenze diverse. Per noi i testi son essenziali, poiché rappresentano l’espressione della solitudine eterna, la ricerca dell’oscurità, il desiderio di tristezza e l’inutilità dell’esistenza. Nulla è mai risolto.
Di “Towards the Tomb of Times” cosa mi dici?
I concetti, anche se alla stato grezzo, che sorreggono questo album sono nati nella mia testa molto prima che il velo su Naxen fosse sollevato. Ciò è dovuto alla presenza costante della morte nella mia vita. I concetti e i contorni dei testi fluttuavano in un diario che conservo ancora, ma solo con la nascita dei Naxen sono stato in grado di spingere fuori questa negatività: i miei pensieri sul nulla e sulla disperazione hanno trovato uno sbocco in questo miserabile mondo. Quindi, in un certo senso, “TTTOT” si è rivelato una sorta di esperienza catartica di cui avevo bisogno. Uno strumento per far fronte alla tragedia dell’esistenza e alle cose che ho incontrato e con le quali devo convivere ogni giorno della mia esistenza. La copertina di “TTTOT” è stata creata da Arjen Kunnen, un uomo e un artista vicino alle corde del mio cuore, ha saputo esprimere a pieno il contenuto di questo disco. Il suo lavoro ha un’unicità e una profonda oscurità a cui ci sentiamo affini.
“Towards the Tomb of Times” è il sequel del vostro EP, “To Abide in Ancient Abysses”. Il vostro sound è variato a cavallo delle due uscite?
Le canzoni in entrambi i casi sono state scritte da me, poi abbiamo lavorato tutti insieme sulle versioni demo. Credo che le differenze maggiori siano riscontrabili in termini di suono e songwriting: oggi abbiamo una maggiore esperienza e una migliore tecnica. Abbiamo imparato gestire meglio le dinamiche nelle canzoni e il sound è più ricco, organico e massiccio. L’EP è stato una dichiarazione e un’emersione dall’ombra; “TTTOT” è una testimonianza di oscurità e morte. Il tempo mostrerà le vere differenze, per ora credo che siano queste le più evidenti.
Le vostre canzoni non durano mai meno di 10 minuti, è una scelta ponderata o è il risultato di un flusso creativo spontaneo?
Soprattutto in sede live le “canzoni lunghe” hanno un effetto di redenzione su di noi. Alcune parti e riff funzionano solo quando vengono reiterati e dilatati. Voglio e ho bisogno di soffrire ed estenuarmi durante le registrazioni, ancor più sul palco, perché non mi è permesso di vivere questa esperienza di guarigione in questo modo specifico nella vita di tutti i giorni. È questo particolare tipo di ripetizione che crea l’atmosfera di cui ho bisogno. Se non riesce al 100%, non ha alcuna utilità. Questo approccio creativo contrasta le mie debolezze di essere umano e l’entanglement delle emozioni. Voglio che i Naxen siano un’esperienza intensa. In un certo senso, puoi vedere questo tipo di sensibilità cantautoriale come un qualcosa di simile a una notte insonne in cui la tua mente depressa ruota attorno agli stessi pensieri ancora, ancora e ancora. Un pensiero che culmina in un altro pensiero e così via. Una canzone ha un finale, una notte insonne, a volte, non ha mai fine per alcuni di noi.
Questa idea creativa mi pare che abbia la sua esasperazione in “A Shadow in the Fire Part I & II”, cosa si nasconde dietro queste canzoni?
“A Shadow in the Fire” è una serie pianificata di canzoni, questi sono i primi due capitoli. Inizialmente si trattava di un solo brano, “A Fire In The Shadows”, ma i concetti possono evolversi e così il progetto si è sviluppato. Mi affido molto all’impatto emotivo, quando ho scritto entrambe queste canzoni, in modo autonomo e distaccato, mi trovavo in un profondo stato di tristezza, così ho capito che tra loro c’era una connessione: una relazione tra i riff, quelli di chitarra sono costruiti in modo simile, anche se ognuno ha una tonalità diversa. Ci tengo a dire che ancora oggi si tratta di pezzi indipendenti, con un proprio flusso narrativo, non si intrecciano, non sono collegati e non confluiscono l’una nell’altro. Capisci in modo ben chiaro dove finisce “ASITF I” e dove poi inizia “ASITF II”. Però tra loro si appartengono! “ASITF II – Where Fire Awaits” è stata scritta più recentemente, avevo ben chiaro come sarebbe terminato il disco, dove concludere la parti vocali e quali melodie dovevano condurre il tutto alla sua destinazione naturale: un enorme muro di rumore di chitarra simile al sibilo del fuoco e alla purificazione che avviene attraverso il fuoco . Questa conclusione mi ricorda il deperimento della carne arsa, quando il guscio mortale si dissolve e lo spirito viene a galla. Trovo conforto nell’idea che l’esistenza e il dolore abbiano una fine.
La Germania è famosa nel mondo per la propria tradizione power e thrash metal, nonostante alcune eccezioni, non ha raggiunto la stessa egemonia in ambito black: potresti dirmi qualcosa su questa scena del tuo Paese?
Non ragiono in termini di scena, perché non me ne sento parte. Ci sono gruppi che ammiriamo e che supportiamo. Lo stesso vale per festival e locali, ma non trovo molto appagante collegare il nostro moniker a rigide contrizioni di genere creati per lo più per comodità di sintesi dall’uomo.
Però è indubbio questo disco abbia un forte legame con una delle band più importanti in ambito black partorite dalla Germania ultimamente, essendo stato mixato e masterizzato da Andy Roscyzk degli Ultha al Goblin Sound Studio, come è stato lavorare con questo grande artista?
Certamente è un grande artista! Andy Rosczyk è un ragazzo laborioso, ma umile. Ed è, sopratutto, un nostro caro amico. Lo conosciamo da anni, così come i nostri fratelli di Ultha. Collaborare con lui non ci è pesato come lavoro in senso stretto, credo che neanche lui lo abbia considerato un vero e proprio lavoro, non accusando la fatica che normalmente questa attività può comportare. Non si pone vincoli e limiti, cerca sempre il vero focus sonoro, senza snaturare il sound di una band. In un certo senso, ha realmente plasmato quello che gli abbiamo consegnato. Siamo orgogliosi di averlo coinvolto e più che soddisfatti del suono e del risultato complessivo di “TTTOT”.
Penso che la Polonia oggi sia il paese leader in ambito metal. Nella tua musica trovo alcune influenze delle band dell’Europa dell’est, pensi che la vicinanza geografica delle due nazioni possa averti influenzato?
La musica e l’arte esistono senza confini geografici e creativi. Siamo fan dell’arte in quanto tale e delle varie forme di musica, Si è sempre influenzati da ciò che si sente, legge, vede o ascolta, almeno questo è il modo in cui noi fruiamo dell’arte. Quindi, il suono della nostra musica non matura in funzione del concetto di Paese o stato, ma è la creazione secondo i nostri gusti. Siamo stati influenzati da band e album recenti provenienti dell’Europa dell’Est che hanno avuto un impatto importante sul black metal? Sì, lo siamo. Però ci tengo a sottolineare che non ci limitano a copiarli, riproponendone riff, strutture musicali o estetiche. Ascoltiamo questi gruppi, probabilmente ne riproponiamo alcune peculiarità, però non ci definiscono completamente. Non ci vedo nulla di male nelle influenze finché le ammetti, però in nessun modo i Naxen sono stati concepiti per copiare qualcuno o per salire sul carro dei trend imperanti. Non potrei scrivere una sola parola, prendere la chitarra o mettere il piede su un palco, se sapessi che non è il frutto di un processo evolutosi in completa autenticità e onestà. Questo non vale solo per me, ma anche per i miei compagni.
Parliamo allora dei tuoi compagni di band, la formazione in studio è composta da tre membri, almeno quella accreditata sul disco, ma ho visto alcune foto dal vivo con quattro elementi. A cosa è dovuta questa differenza?
Questo è vero. La nostra storia inizia come quartetto, con un mio amico batterista che poi ha dovuto abbandonare i problemi di salute. Quindi abbiamo continuato come trio, decidendo di affidarci a una drum machine per la realizzazione del disco. Eppure, la batteria digitale però ci limitava dal punto di vista espressivo, proprio per la sua mancanza di emotività, per questo abbiamo reclutato un batterista. La sua presenza ha inevitabilmente influenzato la resa finale, rimodellando i Naxen. Ma presto sono emerse differenze nelle decisioni creative, nell’approccio e nella personalità. Ci siamo separati al termine delle registrazioni e prima dell’uscita di “TTTOT”. Nel disco è stato accreditato come session, credo che poi sia lo status più adeguato a quello che è stato il suo apporto. Abbiamo finito e pubblicato il disco come terzetto e alle nostre condizioni. Le foto che hai rintracciato ora hanno solo un valore documentale, dei frammenti di un tomentoso periodo della nostra storia: la prova delle nostre apparizioni dal vivo dello scorso anno. Ora siamo nuovamente in quattro, con un nuovo membro dietro i tamburi. Siamo tutti alienati sulla stessa etica DIY e completamente concentrati su ciò che potrebbe sorgere da questa collaborazione, senza sottovalutare gli ostacoli che ci troveremo ad affrontare. L’ultimo capitolo è sempre scritto nel sangue.
