Tetramorphe Impure – The Sunset of Being

Dopo anni di silenzio e pubblicazioni sporadiche, i Tetramorphe Impure tornano con “The Sunset of Being” (Aesthetic Death), un debutto full-length che segna una tappa fondamentale nel percorso del progetto, così come ci ha raccontato Damien, mente e anima dietro la band.

Ben ritrovato Damien, dopo un lungo silenzio, i Tetramorphe Impure tornano con il loro primo full-length. Cosa ti ha spinto a concretizzare finalmente un album intero dopo anni di pubblicazioni più sporadiche? È stata una decisione pianificata o un’evoluzione naturale?”
In realtà, la genesi di “The Sunset of Being” è stata un processo lungo e stratificato. Non c’è mai stata una vera pianificazione, piuttosto un’esigenza interiore che ha trovato la sua forma nel tempo. Le pubblicazioni precedenti erano frammenti, riflessi di stati d’animo, mentre con questo full-length ho sentito la necessità di chiudere un ciclo e condensare in un unico flusso tutte le influenze e le emozioni che hanno accompagnato il progetto fin dall’inizio.

Nella tua raccolta Dead Hopes / The Last Chains, di cui abbiamo parlato nella nostra precedente intervista, hai rispolverato materiale del passato, dando nuova luce a vecchi brani. C’è qualche legame tra quelle composizioni e The Sunset of Being? Alcuni riff o idee hanno trovato nuova vita nel full-length?
Il legame è più concettuale che musicale. I brani del passato rappresentano le fondamenta del progetto, ma “The Sunset of Being” è nato da un’urgenza nuova. Alcune atmosfere, alcune dinamiche emotive si sono evolute e forse riecheggiano in modo sottile nel nuovo materiale, ma non ho riutilizzato riff o strutture. È come se certe idee fossero rimaste a sedimentare nel tempo, maturando fino a prendere una nuova forma.

Il tuo approccio compositivo ha sempre avuto una forte impronta riflessiva e intimista. Hai descritto The Sunset of Being come una sorta di processione nelle pieghe oscure dell’esistenza. Quali esperienze personali o filosofie hanno ispirato la scrittura di questo album?
L’album è permeato da un senso di dissoluzione e rassegnazione, ma anche da un’ossessiva ricerca di significato nel caos dell’esistenza. Filosoficamente, attinge dal pessimismo cosmico e dalla consapevolezza dell’ineluttabilità della fine. C’è una riflessione sull’annullamento dell’io, sulla fragilità dell’identità e sulla percezione del tempo come entità sfuggente e implacabile. Esperienze personali, momenti di stasi e trasformazione interiore si sono intrecciati in un processo di creazione quasi rituale. Tra le ispirazioni, sicuramente il pensiero di filosofi come Nietzsche e Heidegger, la poesia simbolista e il cinema visionario hanno avuto un profondo impatto sulla mia scrittura.

Il doom/death di Tetramorphe Impure è sempre stato fortemente radicato nelle sonorità anni ‘90, ma hai citato anche influenze extra-metal come Dead Can Dance e Swans. Rispetto ai lavori precedenti, in che modo questi elementi sono stati incorporati nel nuovo album?
Queste influenze si manifestano principalmente nell’atmosfera e nell’uso di certe dinamiche. I Dead Can Dance, ad esempio, hanno sempre avuto un approccio quasi liturgico al suono, una dimensione evocativa che trovo affine al doom più atmosferico. Anche Swans, con le loro strutture ripetitive e martellanti, hanno lasciato un’impronta, specialmente nei momenti più ossessivi dell’album. Rispetto ai lavori precedenti, ho cercato di rendere queste influenze più organiche e meno “accessorie”, facendole emergere come parte integrante della narrazione sonora.

Hai, inoltre, dichiarato che il nuovo materiale è profondamente influenzato dal death metal old school finlandese e svedese. Come sei riuscito a bilanciare la lentezza soffocante del funeral doom con l’impatto primordiale di band come Demigod, Demilich e Abhorrence?
È stato un processo del tutto naturale. Non ho mai cercato un equilibrio consapevole, né fatto scelte stilistiche premeditate. Quelle sonorità fanno parte del mio DNA musicale: Demigod, Gorement, Abhorrence, Convulse… sono band che mi hanno formato quando ero ancora adolescente. Il funeral doom e il death metal, pur nella loro apparente distanza, condividono un’intensità emotiva che può coesistere in modo spontaneo quando è guidata da un’urgenza espressiva autentica.

Dopo The Last Chains il progetto ha subito una lunga pausa, dovuta anche a questioni personali. Oggi, guardando a The Sunset of Being, senti che questo album rappresenta una sorta di riscatto, chiusura/apertura di un ciclo?
Più che un riscatto, direi una necessità. “The Sunset of Being” è un punto di arrivo, ma anche di partenza. Segna la fine di un certo percorso, ma allo stesso tempo lascia aperte molte possibilità. È il frutto di anni di riflessione e trasformazione, sia sul piano personale che musicale. È la chiusura di un lungo ciclo interiore fatto di silenzi, sospensioni e ritorni. Ma anche l’apertura verso una fase nuova, dove sento di aver trovato una voce più consapevole.

Alex Sedin ha curato il mix e il mastering dell’album. Qual è stato il suo contributo specifico al sound finale? Avete lavorato per mantenere un’atmosfera grezza e opprimente o avete cercato un approccio più stratificato e moderno?
Alex ha avuto un ruolo fondamentale nel dare coesione al sound, senza snaturarne l’essenza. Ha saputo ascoltare e comprendere la visione che avevo in mente. L’obiettivo era mantenere un suono denso, profondo e cupo, che restituisse il senso di oppressione e decadimento che permea l’album. Penso abbia fatto un ottimo lavoro e sia riuscito a cogliere e valorizzare l’atmosfera del disco, capace di riflettere l’identità della band.

La one-man band è sempre stata la dimensione naturale per i Tetramorphe Impure, ma prima dell’uscita di questo full-length, hai mai pensato di espandere la line-up per portare il progetto sul palco, magari selezionando musicisti per i live?
È un’idea che ho considerato più volte, ma il progetto è nato come un’entità solitaria e finora ha sempre trovato la sua espressione naturale in questa forma. Portarlo dal vivo significherebbe adattarlo a un’altra dimensione, e non sono certo che ne valga la pena. Tuttavia, se mai dovesse nascere un contesto giusto, con le persone giuste, potrei valutare la possibilità di presentarlo in una forma live. Ma senza comprometterne l’essenza.

Dopo The Sunset of Being, hai già in mente nuovi sviluppi per la band? C’è materiale inedito che potrebbe vedere la luce in futuro o per il momento vuoi concentrarti esclusivamente su questo capitolo?
Ci sono sempre idee in fermento, ma non voglio forzare nulla. “The Sunset of Being” merita il suo spazio e il suo tempo per essere assimilato. Quando sarà il momento, nuove visioni prenderanno forma in maniera naturale.

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