“Grilli” (Cabezon, 2021 \ Fleisch Agency), album d’esordio ed evoluzione naturale del primo EP di Lou Mornero, è un lavoro che cresce ad ogni ascolto, ma anche ogni volta che un passaggio strumentale o un verso riaffiora in mente mentre si è sovrappensiero. Il polistrumentista Andrea Mottadelli ha partecipato alla realizzazione del disco, le cui sonorità spaziano agevolmente dal folk alla dub, dal blues al trip hop. Ecco la nostra intervista.
La canzone “Grilli” apre l’album e ne rappresenta bene le atmosfere, però potrebbe risultare di difficile approccio per le orecchie meno avvezze alla musica d’autore. Perché non hai scelto un brano introduttivo più diretto come “Happy Birthday Songwriter” o “Due”?
Di base perché certe decisioni competono, nel bene e nel male, esclusivamente alle mie sensazioni che, in quanto tali, possono eludere la percezione altrui finanche nell’ipotesi di risultare, come dici, ostiche per alcuni, ma non vedo alternative. In secondo luogo perché “Grilli” ha un mood e un’atmosfera secondo me adatte ad introdurre un discorso musicale, atmosfera che avverto meno negli altri due brani che hai citato, pur non mancando di pathos, ma differente, da discorso già avviato, per così dire. E’ proprio una questione di gusto personale e nulla più.
Hai prodotto l’album “Grilli” insieme ad Andrea Mottadelli, che ha dato un tocco d’elettronica al tuo stile prevalentemente acustico. Avete registrato quasi tutte le canzoni lontani l’uno dall’altro, ognuno nella propria città. Il risultato finale corrisponde alle aspettative iniziali o, lavorando a distanza, avete preso direzioni musicali impreviste in corso d’opera?
Tra me e Andrea, distanti solo per questioni geografiche, c’è sempre stata un’interazione e un confronto talmente fitti che nulla, in fase di produzione, è stato lasciato nell’esclusivo palmo dell’uno piuttosto che dell’altro, perciò ogni canzone ha una veste al cui ricamo abbiamo contribuito entrambi. La premessa non toglie il fatto che lavorare con Andrea sottintenda l’apertura a sorprese e soluzioni inaspettate poiché lui ne è una fonte inesauribile e ti confesso che se stravolgere mi è risultato in alcuni casi inizialmente complicato da digerire, in altri è stato una rivelazione. “Piccolo Tormento” è un esempio calzante dell’intuizione di uno e dell’apertura dell’altro: io l’ho sempre considerato un blues acustico e sporco, così lo suonavo tra me e me, mentre Andrea l’ha trasformato in un brano quasi industrial, accendendo la mia curiosità e trovando il mio appoggio nonché compiacimento finale. Questo per dire che il risultato ha talvolta trasformato e superato le aspettative iniziali.
Ho letto da una tua una intervista che, se fossero persone, alcune canzoni di questo album sarebbero già “adolescenti”, nel senso che tu le hai concepite parecchi anni fa. Una di queste è proprio il singolo “Happy Birthday Songwriter”, che hai affidato all’esecuzione vocale di Paolo Saporiti. Daniele Paoletta canta invece in “La Cosa Vuota”. Come è stato distaccarsi da questi brani, che sono cresciuti insieme a te per così tanto tempo?
Non penso ci si possa distaccare mai da qualcosa che ti è nato dentro e attraverso te ha trovato il modo di arrivare ad altri e nel contempo mi fa molto piacere che queste canzoni non siano più solo mie, d’altronde non posso trovare un senso nello scriverle che non preveda la loro pubblicazione e condivisione. Il fatto di ospitare altre ugole ad affiancare la mia è fonte di pura gioia poiché, oltre a significare che quello che faccio ha un senso, mi riempie d’orgoglio personale e mi alleggerisce in qualche modo. Le collaborazioni in questo album, ma più in generale collaborare con artisti che stimi e rispetti aggiunge sapori al piatto, sfumature nuove e mi vengono in mente diversi dischi propriamente collaborativi che occupano posti fissi nel mio juke box personale.
Un lungo piano sequenza all’interno di un bar occupa i primi due minuti del video di “Happy birthday songwriter”. Tu sei al contempo il protagonista della storia ed uno spettatore, complice il fatto che a cantare davanti a te c’è proprio Paolo Saporiti. Mi sembra anche che a suonare la chitarra ci sia Andrea Mottadelli. Come è stato registrare tutti insieme questo video?
Uno spasso! Prima di tutto eravamo tra amici e, oltre a Paolo e Andrea, includo chi era dietro la camera, davanti la camera e dietro al bancone e poi è stato divertente perché abbiamo girato in un locale che frequentiamo tutti più o meno abitualmente, il Bar Bah, quindi non si è percepita la differenza tra lo stare su un set di un video e il trovarsi in una qualsiasi serata, se non per il fatto che ero costretto a buttar giù whiskey e birra a ogni ripresa, in genere non ho bisogno di un regista per ripetere certe azioni. E poi c’è l’aneddoto, ossia che alla mezzanotte di quel giorno era davvero il mio compleanno, puoi quindi immaginare i giri di brindisi che son partiti nonostante fosse solo lunedì…
Finito di guardare “Happy Birthday Songwriter”, YouTube mi propone una selezione “slow rock”, con tanto di Kurt Cobain in versione unplugged come anteprima. Secondo te, che orientamento stanno prendendo le tendenze musicali attuali? Si sta andando, come successe nella seconda metà degli anni ‘90 dopo il frastuono dell’era grunge, verso sonorità meno chiassose?
Mah, non saprei dirti. Ascolto un sacco di musica nuova, diversa e di qualità e ce n’è per tutti i gusti. Da quella più energica a quella più chill, basta curiosare un po’. Sicuramente le contaminazioni hanno preso il sopravvento negli ultimi anni e la cosa mi garba parecchio. Se parli più in generale di mainstream mi viene naturale girarci un po’ alla larga pur essendo abbastanza informato sui fatti ma credo che si debba fare un doveroso distinguo, in Italia soprattutto, tra il mainstream spesso facilotto e senz’anima, spremuto e propinato in tutte le salse e il sottobosco che vive nell’ombra e nell’ombra resta. Da noi in particolare ci sono distanze importanti tra i due mondi, quello che frequento abitualmente offre sempre spunti interessanti mentre l’altro tende a perplimermi un po’.
“Ouverture”, traccia conclusiva di “Grilli”, è l’unica canzone dell’album registrata dal vivo in studio, e che studio! Che emozioni hai provato ad entrare in un tempio della musica come lo Strongroom studio, dove hanno inciso nomi del calibro di Nick Cave e Prodigy?
Purtroppo io non l’ho visto neppure da lontano lo Strongroom poiché non mi è stato possibile andare a Londra a causa delle restrizioni dovute alla pandemia. Solo Andrea, londinese da qualche anno, si è recato a registrare e per l’esattezza al Bella Studion che si trova all’interno del complesso degli Strongroom.
Pertanto la parola passa direttamente a lui: “Avevo già avuto in precedenza l’opportunità di lavorare lì per un mix di un altro progetto, ma non nascondo che entrare in una struttura così importante che ha contribuito a tanti dischi che ho ascoltato un’infinità di volte non lasci certo indifferente. Sicuramente una bella sensazione. La cosa positiva è che mi sono trovato a mio agio in un’atmosfera creativa e rilassata al tempo stesso. Credo che questa cosa possa emergere nel lavoro fatto su “Ouverture” in cui sono partito nello sviluppare un’idea di arrangiamento che già avevo in testa, per poi sfruttare l’ispirazione del momento e degli strumenti che ho trovato a disposizione.”
Nella copertina dell’album luci al neon ed alberi fioriti fanno da cornice ad una figura nascosta sotto un ombrello. Come mai hai scelto questa immagine?
La risposta è molto semplice: è l’unica scattata durante una session apposita organizzata col mio vecchio amico nonché fotografo sopraffino Luca Tombolini. Ci eravamo dati appuntamento una sera all’indomani della fine del primo lockdown, armati di buoni propositi per fare qualche fotografia in città ma dopo qualche sopralluogo e un solo scatto, appunto, si è messo a piovere per bene e questo ha mandato all’aria tutti i piani per quella sera. Dopo di allora non siamo più riusciti a organizzare un’altra sessione per i vari impegni di Luca che lo portano spesso all’estero e quindi l’unica immagine che avevo era quella che poi è finita sulla copertina del disco. Detta così potrebbe sembrare che non avessi altra scelta ma in realtà non mi sono neppure affannato a cercare un’alternativa, quell’unico scatto aveva qualcosa che mi appartiene molto, una sorta di solitudine pacifica che non smetto mai di cercare, ed è in qualche modo silenziosa, che pare una contraddizione parlando di musica ma evidentemente alludo alla frenesia del mondo che lì dentro è messa a tacere. E poi c’è la sera, il buio, il mio momento preferito. La mia compagna si è poi adoperata nel ritoccare e accendere i colori nonché realizzare la grafica che a breve troverà la giusta collocazione nelle copie fisiche del disco.
Dopo aver apprezzato “Grilli”, sono andato ad ascoltare il tuo lavoro precedente. Seppur arrangiati e prodotti diversamente, alcuni brani del tuo EP di debutto e di “Grilli” hanno un elemento comune, cioè le lunghe code strumentali. Che valore dai tu a queste appendici? Sono digressioni verso nuovi orizzonti o hanno un significato diverso?
Ottima osservazione di cui ti ringrazio! La verità è che amo i viaggi musicali, mi ci abbandono con estrema facilità e molto gusto, mi coccolano la mente e mi ci perdo. Fosse per me ogni momento della giornata potrebbe essere scandito al tempo di lunghe code strumentali. In realtà non gli si deve dare per forza un significato, io non ce lo vedo, è puro piacere che asseconda il gusto di chi le compone e in questo senso includo anche Andrea che, come me, adora perdersi nel suono. Scavando nel passato mi vengono in mente certe jam sessions da saletta, quelle un po’ erbacee, che potevano superare tranquillamente i dieci minuti ininterrotti senza la presenza di una singola nota vocale, bei tempi quelli.
Nell’intervista a cui mi riferivo prima, hai dichiarato anche di voler continuare a creare “senza l’obbligo di fare qualcosa che piaccia per forza o che debba andar bene a qualcuno in particolare, che non sia io stesso”. “Grilli”, naturale evoluzione del tuo primo EP, conferma le tue parole. Ti stai già dedicando al prossimo capitolo?
Nella mia testa “Grilli” fa già parte di un passato lontano e sento fisso il bisogno di aggrapparmi a qualcosa di nuovo che prenderà forma in maniera spontanea nel tempo. Non smetto mai di abbozzare idee musicali, a fasi alterne ma costantemente, e qualche cosa che mi stuzzica già c’è. Mi piacerebbe dare sfogo alle mie diverse anime musicali e approfondire suoni che ancora non ho avvicinato ma che esercitano un forte fascino.
