Appassionato di musica, scrittura ed ogni forma d'arte, ha al suo attivo diverse pubblicazioni come cantautore con lo pseudonimo di L'Omino e i suoi Palmipedoni ed il libro Gruviera Moscovita
A dieci anni dal suo precedente album, ma con in mezzo tanti concerti in tutto il mondo e la vittoria del Blues Music Award 2019 come ambasciatore del blues made in Italy, Umberto Porcaro ha pubblicato “Take Me Home” (Epops, 2022). L’album ha ricevuto apprezzamenti dalle riviste specializzate e sta riscuotendo grande successo in entrambe le versioni LP e CD. Ne abbiamo parlato nella nostra intervista tutta blue.
I versi finali di “Run Into My World“, canzone di apertura dell’album, decretano “Blues Is My Companion Everywhere I Go”. Tu e il blues siete inseparabili da una trentina d’anni ormai. C’è stato un punto di svolta in cui hai capito che il blues non era più soltanto una passione, ma la tua professione? La musica ha sempre fatto parte della mia vita da quando ho ricordi. Il blues ha scandito la mia vita. Ho sofferto per amore sin da molto piccolo, il blues mi ha salvato. È stata la mia salvezza, il mondo dove sempre mi sono rifugiato da ogni sofferenza, si è tradotto nel mio modo di comunicare. Un legame ancestrale.
Nelle 12 battute del giro di blues, più lungo di 4 misure rispetto ad altri generi musicali, c’è un dialogo di domanda-risposta-conclusione. Quando componi di solito tu scrivi testi e musica contemporaneamente, oppure è la musica che poi ispira i versi da cantare? Ti riferisci al concetto di call and response. Improvvisare. Mi piace usare tanto delle metafore, ma la bellezza di questo concetto è proprio come la vita. Diventa come parlare, suonare per me è come parlare. Non c’è un prima o un dopo, diventa tutto molto naturale.
L’album “Take Me Home” ospita due vere leggende del blues contemporaneo, Lurrie Bell di Chicago e il texano Anson Funderburgh. Tu stesso hai dichiarato che averli nel tuo disco è un sogno che si realizza. Avete registrato insieme fisicamente o avete lavorato a distanza? Abbiamo lavorato a distanza ma, credimi, poter condividere tutto questo con dei miti è una storia incredibile. Sono cresciuto con la musica di Lurrie Bell e Anson Funderburgh, un’emozione unica che mi porto addosso.
Nella tua carriera trentennale hai suonato con i miti del blues mondiale, spesso viaggiando e condividendo esperienze con loro. Tante avventure, ce n’è qualcuna in particolare che vuoi raccontarci? È vero, negli anni ho collezionato tante collaborazioni, tantissime, mi reputo davvero fortunato. Da ragazzino sognavo di poter fare quello che ho fatto. Quando poi mi sono trovato a fianco di molti dei miei idoli, puoi capire che emozione! I racconti di Jerry Portnoy (armonicista di Muddy Waters, e poi anche di Eric Clapton) sugli anni trascorsi in giro con Muddy Waters… BB. King mi disse all’orecchio: “ragazzo, il blues è la cosa più bella del mondo, mi raccomando”… Cosa dire, puoi immaginare…
Hai definito “Take Me Home” un concept album. Io l’ho ascoltato molte volte dall’inizio alla fine, ogni traccia trasmette un’emozione diversa. Quale canzone definisce più delle altre il concetto del disco? Su questo disco c’è tutto me stesso, c’è la mia vita, le mie sensazioni, il mio amore per la vita, per l’amore. L’ho concepito, suonato , pre-prodotto e registrato di notte. Credo che di notte tutto trovi il proprio senso, almeno per me.
Copertina profondamente blue, tu imbracci la fedele chitarra e guardi lontano. Dove? Sono un profondo “Blue Note Style” addicted, mi piace quello stile, il colore blue è il mio preferito. Mi piace guardare sempre avanti, oggi siamo il frutto di quello che abbiamo vissuto in passato e guardare avanti rimane una grande cosa.
Da qualche anno sei anche maestro alla Fondazione Brass Group di Palermo. Cosa hai imparato dall’insegnamento? Tanto. È il mio studio quotidiano. I miei allievi sono la mia benzina, Dio li benedica. Al Brass mi sento a casa, ci sono cresciuto da ragazzo e adesso mi sento orgoglioso di poter dire di lavorarci.
Un tour promozionale italiano appena concluso ed uno europeo alle porte. Si parte il 7 maggio da Anversa e si continua per tutto il mese fra Belgio, Olanda e Germania. Manterrai la formazione in trio delle date precedenti o ci saranno delle novità? In realtà questo tour sarà a fianco del grande Brian Templeton, mio grande amico e fratello, come sostiene anche lui. Faremo delle tappe davvero importanti, festival dove ci saranno anche Robert Cray, Samantha Fish… Beh, che dire, non vedo l’ora.
Epops music, etichetta svizzera attiva dal 1997, a produrre. Come è nata la vostra collaborazione per quest’album? È nata per caso, per magia… E che magia, sto già preparando il nuovo!
Ottima notizia! Che scoop! Intanto credo che la tua attività live continuerà anche dopo il tour di maggio. A parte infuocare i palchi con le canzoni di “Take Me Home”, e magari anche con qualcosa di inedito, quali sono i progetti futuri? A breve ci saranno altre date. La strada per me è vita, il blues è la mia vita. Fin quando avrò forza mi nutrirò di questo.
A tre anni dall’uscita del suo primo album, Bruno Pitruzzella pubblica “Respawning” (Autoprodotto, 2022). Dalle ovattate profondità marine presenti nel precedente lavoro, la chitarra acustica si estende ad atmosfere più elettronicamente astrali in questo EP, secondo volume della discografia del compositore palermitano. Scopriamone di più nella nostra intervista.
Ascoltando Shift, prima traccia di “Respawning”, sembra di immergersi in un lavoro di musica elettronica. Come sei riuscito ad ottenere questi suoni usando esclusivamente la chitarra acustica? “Shift” è stato il primo tra i nuovi brani a vedere la luce. L’idea di suono viene da lunghe sessioni di prove casalinghe con un multieffetto “nuovo” per me, l’HX Effects della line6, che ormai è parte imprescindibile del live set. Nello specifico qui è il frequency shifter a modificare il segnale della chitarra acustica, in modo da alterare totalmente anche l’altezza dei suoni oltre che il timbro; le note “suonate” non corrispondono più a quelle reali emesse dall’impianto e questo è stato di enorme stimolo per la creazione di qualcosa di nuovo. Poi loop station, delay e riverberi hanno fatto il resto.
Dalla seconda traccia emergono più chiaramente gli echi del tuo primo album, “Spawning”. In “Bees”, terza canzone in scaletta, è ancora più in primo piano la chitarra, accompagnata anche da violino, basso e mandolino. La melodia in particolare è molto accattivante, da dove è saltata fuori questa canzone? “Bees” in origine era un pezzo per chitarra e violino che avevo scritto pensando nello specifico a Francesco Incandela, il bravissimo violinista che lo ha eseguito, con cui abbiamo condiviso il palco in svariate occasioni negli ultimi anni. Per cui la melodia è pensata proprio per uno strumento diverso, con maggiori possibilità espressivo/melodiche rispetto alla chitarra. Ma come spesso avviene tutto è nato dalla base, potremmo dire dal riff iniziale della chitarra, sempre accordata in modo alternativo, coi bassi più gravi rispetto all’accordatura standard. E poi la forma definitiva è stata il quartetto con basso elettrico (Luca La Russa) e mandolino (Martino Giordano), come fosse un quartetto di musica da camera. Il pezzo è registrato infatti “live” in studio, senza sovraincisioni (grazie anche all’abilità di Luca Rinaudo dello Zeit studio di Palermo).
Sulla copertina di “Respawning” c’è una fenice, rappresentata come la schermata iniziale di un videogioco del secolo scorso. Perché hai scelto questo simbolo e questa tecnica grafica? L’artwork è ad opera del grafico Antonio Cusimano, che aveva curato anche le grafiche del primo album. Io mi sono limitato a spiegare il concetto di base e lui ha trovato questa forma finale con la fenice “pixellata”. L’idea di fondo rimanda proprio ai vecchi videogiochi 8 bit. Infatti il titolo dell’EP “Respawning” è tratto dal linguaggio videoludico e significa “resurrezione”, riapparizione di un personaggio, del “cattivo” o del protagonista, dopo la sua morte o distruzione. Chi ha qualche trascorso in compagnia delle gloriose console capirà cosa voglio dire… Ma in questo caso c’era un nesso anche col suono dell’EP, che come detto in precedenza è in certi casi più “elettronico”. La fenice incarna alla perfezione il concetto di rinascita e ha anche a che fare con la riapertura del progetto di solo chitarra dopo anni dal primo album, che si chiamava appunto solo “Spawning”.
Il video di “Depicted“, seconda traccia dell’EP, esalta la vocazione da colonna sonora del tuo stile. Infatti si tratta di un vero e proprio cortometraggio, realizzato con varie tecniche 3D da Basiricò Studio. L’idea della trama è tua oppure ti sei affidato alla fantasia degli autori? Esatto, il video di “Depicted” si può definire cortometraggio a tutti gli effetti, ed è stato realizzato quasi del tutto con la tecnica di animazione dello stop motion. L’idea di trama è totalmente frutto della fantasia dei bravissimi creatori di Basaricò Studio, Nicolò Cuccì e Salvo Di Paola, ai quali mi sono totalmente affidato, direi di sì! E’ un “prodotto” cui siamo molto legati: ha avuto una gestazione lunghissima, è stato frutto di grandi sacrifici e impegno da parte di tutti e il risultato finale è stato molto soddisfacente. Ovviamente devo citare anche Gaia e Cecilia Picciotto e Silvia Salomone che hanno lavorato ai puppets e alle ambientazioni. Personalmente sono da sempre grande appassionato di animazione e la tecnica dello stop motion mi affascina moltissimo. Come hai detto bene tu, volevo anche che venisse fuori chiaramente questa vocazione da colonna sonora, destinazione ideale per questo tipo di musica, dal mio punto di vista.
Hai suonato tutte le tracce con un’accordatura diversa da quella più comune. Tecnicamente le corde a vuoto ripetono due volte, partendo dalla corda “più bassa”, le stesse tre note: re, sol, do, sol, do, re. Cosa ti permette di fare questa accordatura, che invece non potresti ottenere con quella standard (mi, la, re, sol, si, mi)? Questa accordatura è quasi “aperta” in realtà, basta usare il solo indice della mano sinistra per trovarsi praticamente in do, maggiore o minore che sia. Per cui gravita fortemente su do, anche se il basso è un Re, e mi consente di avere delle linee melodiche sulle corde a vuoto che sarebbero altrimenti impossibili con accordatura standard. Un esempio è il brano “Salpa” del primo album, pressoché ineseguibile se non così.
Ah, ma ne avevamo già discusso… Rileggendo la nostra precedente intervista, mi avevi detto che con questa accordatura “vengono a mancare gli automatismi delle scale… Ma è proprio quello che serve per trovare soluzioni sempre nuove”. Nel frattempo hai assimilato questa accordatura e sei passato a sperimentarne altre? La mancanza di punti di riferimento, soprattutto in relazione alle tipiche formule scalari su cui ci blocchiamo noi chitarristi, di fatto spalanca le porte all’immaginazione e alla sorpresa dal punto di vista creativo, improvvisativo e compositivo. Ovviamente il rovescio della medaglia è la difficoltà di suonare tutto così, perché bisogna re-imparare alcune cose. Sicuramente adesso mi sento più a mio agio rispetto a prima e gli automatismi iniziano a esserci ma non credo che dominerò mai totalmente questo schema. Per cui sì faccio qualche altro esperimento ma di base suono così per il momento. Ovviamente va sottolineato come non sia chissà quale nuova trovata usare le accordature alternative, lo si fa da secoli ovunque e spesso con risultati interessanti. Semplicemente questa si addiceva molto a quello che volevo fare e non ho mai più smesso di usarla. Mi è stata “insegnata” dal mio grande amico Giancarlo Romeo, che ha anche donato uno dei suoi pezzi per il primo album.
Come presenti la tua musica dal vivo? Da solo o in gruppo? Sei fedele alle versioni in studio o preferisci arrangiare in modo diverso le composizioni? Di solito il mio è un set solitario, un solo chitarra con multieffetti e loop station. In occasioni particolari eseguiamo per esempio “Bees” in quartetto così come nell’EP, ma ho un arrangiamento anche in solo che uso dal vivo. Per il resto ai concerti mi piace moltissimo improvvisare e spesso faccio pezzi creati per l’occasione o letteralmente composti “sul palco”, ma in realtà le versioni originali in studio sono state registrate “live”, nel senso che sono esecuzioni “filate” dall’inizio alla fine, coi loop creati in diretta. Abbiamo aggiunto giusto qualche raddoppio qua e là in fase di registrazione, ma la resa dal vivo è pressoché identica a quella della rec.
Stai già lavorando al prossimo capitolo della tua discografia? Ci sono già tre o quattro pezzi nuovi che a volte eseguo live, ma non li sto ancora sistemando con l’obiettivo di entrare in studio. Sicuramente questo passaggio sarà inevitabile ma voglio maturare ancora qualcosa di diverso prima di una nuova produzione. Nel frattempo mi dedico ai live…
A dieci anni dal precedente album “Anarchy in Italy” gli Airfish, band di culto attiva fin dai primi anni ‘90, chiudono un cerchio lungo tre decadi con la pubblicazione del doppio LP “The Crowleyan Hypothesis” (Qanat Records, 2022). Abbiamo parlato del disco, di underground musicale, di tarocchi, di metal, della vita oltre la musica insieme a Rodan, membro cofondatore della band.
Ciao, sulla vostra pagina Bandcamp ho contato ben 20 release tra il 1992 e il 2011. Come mai, poi, 10 anni di silenzio? Ciao, e grazie intanto per l’opportunità di fare quattro chiacchiere sul nostro lavoro. Dopo l’uscita di “Anarchy In Italy” abbiamo effettivamente rarefatto il nostro lavoro per svariati motivi, legati tanto alla sfera creativa quanto a quella personale. Pietro iniziò a lavorare sul suo album solista, coinvolgendosi in una serie lunghissima di prove e registrazioni, coadiuvato peraltro da un personale tecnico e musicale in costante cambiamento. Daniele Di Giovanni, all’epoca batterista Airfish e membro effettivo, iniziò a essere coinvolto nel progetto Homunculus Res, rivelatosi da subito impegno di grande spessore. Marco ed io siamo stati, tra le altre cose, reclutati dall’amico Gioele Valenti, suonando nella live band di JuJu per diversi anni. Federico e Domenico hanno dato vita al duo elettronico Fratelli Kolosimo. Come potrai immaginare, col passare degli anni, gli spazi temporali per gestire progetti musicali diversificati si restringe inesorabilmente. Ad ogni modo, nel 2016 ci siamo concentrati sul progetto “No Palermo”, un doppio album antologico sulla scena musicale palermitana a noi affine, e abbiamo messo su una nuova line-up assieme a Claudio, grande amico e batterista. Tra il 2016 e il 2019 abbiamo completato le registrazioni di “The Crowleyan Hypothesis”, de “I Morti” (album ancora inedito, con Giampiero alla batteria), di alcune musiche per i documentari di Salvo Cuccia, e abbiamo fatto una sporadica attività live. Abbiamo collaborato parecchio con gli amici Giorgio Trombino e Simone Sfameli, che hanno contribuito con idee e personalità alle registrazioni di questo periodo. Purtroppo la notizia della malattia di Pietro ci ha frenato, e il suo rapido e drammatico decorso ci ha impedito di sviluppare alcuni propositi già chiari, gettandoci in un lutto impenetrabile dal Febbraio 2020.
Non siete stati affatto fermi! Concentriamoci su “The Crowleyan Hypothesis” allora… Sarà il fascino del vinile ma credo che questo doppio LP (rilasciato in tiratura limitata di 300 copie) sia il vostro miglior disco, una summa della vostra discografia. Sono l’unico a pensarla così? Che impressioni avete ricevuto da chi, come me, vi segue da tanti anni? Sono molto lusingato dal tuo giudizio. Devo dirti che anch’io penso sia il nostro disco più maturo e complesso, e la valutazione di tanti amici mi conforta in questo senso. Siamo anche assai soddisfatti dei riscontri critici. Aldo Chimenti, Claudio Sorge e Stefano Cerati hanno recensito il disco in termini lusinghieri, e stiamo parlando di firme tra le più credibili e prestigiose, per chi segue con attenzione il panorama critico musicale italiano. Purtroppo gli spazi di dibattito sulla semantica musicale sono sempre più rari, spesso confinati alla saggistica, e quello che sembra contare, quello che appare importante, anche in ambiti presuntamente underground, sono i numeri che indicizzano il consumo del tuo prodotto: i like su insta, le visualizzazioni su YT eccetera. La discussione vitale sulla popular music è essenzialmente morta, sommersa da fiumi di retorica sul “professionismo” e la musica come “lavoro”, dal dominio assoluto dell’estetica visiva, dalla dissoluzione di qualsiasi relazione tra immagine, anche lirica, e vita reale. Credo che il bivio, per la comunità underground, sia stato oltrepassato in direzione sbagliata tanto tempo fa, e una bella esemplificazione può essere il film “Lords Of Chaos” di Jonas Akerlund, che mi è piaciuto molto.
Grazie per la dritta, cercherò il film di Akerlund. C’è una parola chiave per questo album: postumo. La morte nel 2020 di Pietro Palazzo, anima carismatica della band, ha lasciato Palermo orfana di un vero Artista. Questo evento ha portato a delle revisioni oppure l’album è così come lo avevate costruito tutti insieme? In linea di massima l’album è uscito in coerenza con i progetti originari. Solo la traccia di apertura, “Sanpietro” è stata aggiunta immediatamente dopo la morte di Pietro. Considera che il disco è stato mandato ad Andrea Merlini per il mastering il 5 febbraio 2020, e il 7 Pietro veniva a mancare. Abbiamo passato un bel po’ di tempo, prima a comporre i tasselli del mosaico-album, e quindi a cercare la giusta quadratura del cerchio in termini di coerenza e sviluppo del flusso sonoro. Costruire un album oggi è un’operazione tendenzialmente desueta, perché ogni epoca sviluppa un modus operandi della composizione e della produzione musicale in genere coerente con i trend di fruizione del prodotto musicale, oggi massimamente rappresentato dai video in bassa qualità su youtube ascoltati con smartphone dozzinali, quando va bene connessi a piccoli altoparlanti bluetooth. Abbiamo cercato invece di costruire un disco che fosse apprezzabile in quanto tale, nella sua completa e coerente complessità, articolata sulle quattro facciate di un doppio album in vinile. Del resto, si tratta del supporto musicale più naturale per musicisti della nostra generazione.
Il disco, come lo stile del vostro gruppo, è multiforme. Negli Airfish coesistono metal, elettronica, folk e tante altre diramazioni. C’è un brano che rappresenta meglio “The Crowleyan Hypothesis”? Penso che “The Pentagram” sia il brano più rappresentativo, un ritorno alle atmosfere di “Around The Fish” e “MIAO I”, con una consapevolezza nuova data da trent’anni di attività. Il tema crowleyano, il sax in primo piano, i loop industriali, il piglio metal delle chitarre e del basso distorto sono tutti elementi che contraddistinguono il periodo 1992-1994 della band. Con l’insostituibile aiuto dell’amico Vincenzo Lo Piccolo (alias Volgo Productions) abbiamo anche realizzato un videoclip, cosa che per noi, nel 2022, rappresenta una novità assoluta.
In che misura la figura di Aleister Crowley è presente in quest’album? La figura di Aleister Crowley è centrale nell’album, anche al di là della sintassi dei titoli. Ripropongo qua dei concetti già espressi in una precedente intervista, che mi pare siano particolarmente adatti a descrivere la nostra relazione con lui. Va specificato che Aleister Crowley è una di quelle figure in cui si imbatte per forza un giovane metallaro degli Anni 80 non appena inizia a seguire questo genere di musica. Una cosa per tutte, basti citare il brano di Ozzy Osbourne “Mr Crowley” presente nel suo primo album, con quel magnifico assolo di Randy Rhoads, che resta uno dei vertici della musica estrema e di un certo tipo di immaginare la musica in senso occulto. Quando a sedici anni scoprii che Crowley, il quale non era più solo il personaggio della canzone di Ozzy Osbourne per me, ma era diventato una figura di un qualche interesse, quando scoprii, dicevo, che aveva dimorato ed elevato il suo tempio a Cefalù a pochi chilometri da Palermo, m’interessai definitivamente. Iniziai, con una serie di amici, a fare delle regolari visite all’Abbazia di Thelema. Mi comprai il “Magick” nell’edizione Astrolabio. Villa Santa Barbara, l’Abbazia, era un luogo ancora poco violentato dai nugoli di esponenti della fandom crowleyana, ed era fonte di suggestioni irripetibili.
Effettivamente ho sempre associato gli Airfish ad un occulto rituale… L’impronta ritualistica nella nostra proposta c’è sempre stata. Inizialmente componevamo dei rudimentali per quanto sentiti omaggi al Mago, intitolandoli in maniera thelemicamente esplicita. Campionavamo la sua voce, recitavamo suoi versi, cose così. Crescendo, la prospettiva è mutata. Abbiamo progressivamente sviluppato un approccio ritualistico alla composizione e all’assemblaggio delle nostre proposte sonore. Nel 2008 abbiamo registrato un lavoro dedicato ai ventidue arcani maggiori del mazzo dei tarocchi di Marsiglia, che si intitola “La Scala Dorata” e che è stato integralmente progettato e poi edificato dal punto di vista sonoro e creativo su base ritualistica. Abbiamo cercato di realizzare un’impalcatura concettuale e atmosferica particolare, riunendoci solo a lume di candela, pungendoci con gli spilli per unire il nostro sangue e distribuendoci su base interattiva e cabalistica i compiti tanto creativi quanto tecnici da svolgere per l’edificazione di quest’opera musicale. Nell’ultimo disco, che è bene ripetere, esce postumo, nel senso che non è più previsto che noi ci si esibisca dal vivo, siamo tornati in parte a questi temi e a queste pratiche a noi care. È una sorta di citazionismo riflessivo. L’ipotesi crowleyana del titolo è l’ipotesi di un mondo nuovo, che gli stolti cercano nello spazio profondo, i volenterosi nella sacra unione tra maschile e femminile. Il conflitto tra tecnica e arte.
Dopo una serie di ascolti, il secondo dei due LP non è più uscito dal mio giradischi. Considero i lati A e B una preparazione ai (più coesi per me) lati C e D, mi sono creato questo filo logico. Si tratta invece di una raccolta di canzoni avulse da questo mio ragionamento? Come puoi leggere dalle note di copertina, abbiamo selezionato una serie di brani registrati in un periodo di tempo abbastanza lungo, e abbiamo passato molto tempo a immaginare la tracklist più adatta a esprimere il tema centrale del disco, l’ipotesi crowleyana di un mondo nuovo, dato dal conflitto tra arte e tecnica, e che può realizzarsi solo a patto di riconoscere la propria comunione col mondo e la natura ed esaltando il potere differenziale del dualismo maschile/femminile. Penso che il primo disco sia più carnale, e il secondo più orientato all’immaginazione. Trovo molto bello, o ancora meglio, gratificante che una persona come te abbia dedicato un ragionamento, peraltro calzante, a questo nostro lavoro.
Arrossisco! Il testo della traccia “452B” parla di un lontano pianeta abitabile, di vita sconosciuta oltre la vita conosciuta. L’avete messa a fine scaletta per un motivo specifico? Beh si, l’idea era che il contesto lirico del brano fosse adatto a guardare in avanti, alla prossima reincarnazione della nostra identità artistica, musicale e sociale. Il testo vuole anche suggerire che, se non si risolvono le contraddizioni che hanno fatto concludere la tua parabola esperienziale e creativa, è impossibile ricominciare. Bisogna guardare all’Arcano Maggiore XIII del Tarocco di Marsiglia, lo studio di quella carta permette di comprendere meglio il senso del trapasso e della trasformazione artistica ed esistenziale che noi volevamo rappresentare con la storia del pianeta abitabile e della sua connotazione valoriale. Il brano, tra l’altro, è cantato da Domenico (con me alle seconde voci), quasi una premonizione di un futuro senza Pietro.
Da cosa trae ispirazione l’immagine di copertina dell’album? Innanzitutto dai Queensryche, la copertina di “Empire”, e anche dal Prince della svolta “TMFKAP”, e dagli Einsturzende Neubauten di “Kollaps” e, in realtà, da innumerevoli altri album. Amiamo l’impatto che hanno i simboli a tutta copertina, e l’identificazione che nasce tra un prodotto musicale che ami fino a farne un tassello identitario ed il simbolo grafico che lo rappresenta. Nel caso del nostro album, il simbolo utilizzato si riferisce a Lilith sotto forma di drago. Penetrare questo simbolo e accoglierlo in sé senza paure è il sentiero che permetterà di superare l’incubo che l’umanità sta vivendo da tempo immemorabile, che ha la forma dell’assurda, autolesionista aggressione sterminatrice del maschile verso il femminile.
Per me gli Airfish sono un monumento monolitico, la feroce traduzione in musica delle innumerevoli sfumature della città di Palermo. Dalla prima volta che vi vidi in concerto, diciassettenne nel 1997, mi avete coinvolto ed accompagnato dall’adolescenza alla maturità. Avete presentato “The Crowleyan Hypothesis” con un dj set, nessun concerto, chiaro segno che qualcosa è andato perduto per sempre. La dipartita di Pietro non sarà mai facile da accettare, però… quali sono i progetti futuri degli Airfish? Chiaramente comprenderai come le cose siano cambiate per sempre. La nostra band ha in genere privilegiato l’aspetto relazionale rispetto a quello strettamente strumental-performativo. L’amico è sempre venuto prima del musicista. È sempre stato un progetto tanto di cuore quanto di cervello, intenso nell’elaborazione e maledettamente lento nella reificazione. Nel Novembre 2019, esattamente tre anni fa, abbiamo registrato in formazione classica (Pietro, Marco, io, Federico, Domenico, Giampiero) un’ultima sessione di sette tracce, che abbiamo chiamato “I Morti”, con interventi anche di Giorgio Trombino, Roberto Leto e di Manfredi. Prima di pubblicarlo, però, ci occuperemo di stampare l’album solista di Pietro, capolavoro che lo aveva totalmente assorbito negli ultimi anni. Nel frattempo stiamo valutando le possibili forme di una nostra futura produzione musicale assieme. Ho una volontà feroce di tornare a comporre, arrangiare, registrare ed eseguire nuova musica, ma prima bisogna concludere i rituali in corso.
A ritmi tirati da fantastici anni ‘90 hard core a San Francisco si alternano incursioni grunge, stoner e post punk. Ecco a noi l’EP “Time to Relax” (Autoproduzione, 2022) dei Lighting Mind Frequency. Scopriamone di più nella nostra intervista con la band. Contenuti bonus: tante novità sulla terza edizione di PAzzAo Music Fest, che si svolgerà a breve in Sicilia.
Avete registrato questo EP in autunno del ‘21, presentando canzoni su cui avete lavorato dall’inizio della pandemia. Il coviddi ha influenzato il processo creativo di “Time to Relax”? Diciamo più correttamente che il lookdown totale ci ha costretto a passare del tempo in isolamento a casa. In generale c’è chi è andato fuori di testa per questo, vedi tutti i casi di violenza domestica registrati e la depressione maturata da molte persone… Tuttavia noi ci siamo arrangiati bene, impiegando il nostro tempo per scrivere cose nuove, suonare e dedicare tantissimo tempo alla musica. Abbiamo riorganizzato la formazione con l’ingresso di Mughini come seconda chitarra nel gruppo. Diciamo che, da un punto di vista strettamente logistico e compositivo, questo periodo lo abbiamo sfruttato al meglio.
Il giorno dell’uscita dell’EP avete intrapreso un tour di 8 date in Germania e Olanda , che emozioni vi ha dato tornare a suonare dal vivo? C’è un episodio particolare di questi concerti che vi è rimasto impresso? Time to Relax Europe tour 2022 è stata l’esperienza più bella e vibrante che ci è mai capitata da quando esistono i Lighting Mind Frequency. In ogni città abbiamo raccolto montagne di sorrisi, divertimento e coinvolgimento da parte del pubblico. In due parole: good vibes. È stato il nostro secondo tour in Europa ma, ripeto, a questo giro si è percepito un fomento mai visto, a questi livelli, da parte del pubblico. Per farti capire, continuiamo a ricevere messaggi dai tanti nuovi e vecchi amici, incontrati nelle varie città, che ci chiedono quando sarà possibile rivederci.
Il viaggio in Europa ha ispirato nuovi riff? Sì, diciamo che stiamo già lavorando su cose nuove, caricati a mille dall’esperienza tour.
Bella storia! Il box di via Turrisi a Palermo continua a sfornare nuova musica e, grazie alla recente ristrutturazione, ha ottenuto pure una buona acustica. Altre band ci hanno già registrato, anche “Time to Relax” proviene da lì? No, “Time to Relax” è stato registrato al Tone Deaf studio di Palermo dal nostro amico super professionale Silvio Spadino, poi il mix è stato affidato a Grug (No Withe Reg) presso il Son House studio di Bologna, mentre il mastering è stato curato da un’altra nostra vecchia amicizia, Fabietto a Berlino presso Howlingfunkhouse studio.
Infatti ascoltando su Bandcamp si sente tutta la professionalità del risultato, ma non ci sono info sulla produzione… A proposito di Bandcamp, mi piace molto cliccare su lyrics e trovarci i testi delle canzoni, non tutte le band li aggiungono. Se dovessi associare una parola all’atmosfera generale nei testi, questa parola sarebbe “resistenza”. Come faremo noi electropunx a resistere al Grande Fratello che ci vuole lobotomizzare tutti? Bhe! Questo è un discorso nato da quando esiste il punk-rock o più in generale da quando esistono generi musicali che per definizione si indentificano “non conformi “contrapponendosi a schemi e dottrine prestabilite della società. Spesso capita di ascoltare dei testi di gruppi punk anni 80 ad esempio che sono estremamente attuali e questo dovrebbe fare pensare che in certi casi le cose non cambiano mai. Di contro bisogna riconoscere che la società occidentale di oggi è stata plasmata da temi affrontati anche dai gruppi punk anni 70 e 80 ma si tratta di una “naturale conseguenza” piuttosto che una vera e propria presa di coscienza… Il concetto è che, fin quando esiste qualcosa da contestare o a cui ribellarsi, di conseguenza ci sarà sempre un gruppo punk che vomiterà addosso contro a tutto e tutti quello che non va. Oggi, nell’era dei social, le forme di espressione o meglio le modalità di divulgazione sono cambiate radicalmente rispetto al passato e secondo noi questo non è un bene, ma non è neanche un male, si tratta solo di un risultato di un fatto quasi inevitabile. Con questo rispettiamo profondamente le scelte che ogni gruppo fa, sia in una direzione che nell’altra.
Il nome della band è ben rappresentato dal logo con il teschio munito di cervello e trafitto da un fulmine. Nella copertina del nuovo EP lo vediamo a figura intera mentre se la spassa in una spiaggia deserta. Come è nato il nome del gruppo? Il gruppo si è formato a Bologna nel 2016 e abbiamo iniziato a provare presso la sala prove autogestita di XM24. Per prenotarsi era necessario compilare con delle lettere il form, quindi istintivamente abbiamo gettato le iniziali dei nostri nomi… Diciamo che dalla modalità casuale di queste iniziali siamo passati ad un ragionamento molto più interessante, ci siamo fatti i flash trovando un significato molto più profondo, che corrispondeva alla nostra idea di gruppo e al messaggio identitario che volevamo rappresentare.
Wow! E la collaborazione di Giovanni Despair per l’artwork? Giovannino è un nostro carissimo amico di vecchia data, nonché ottimo batterista (Burst-up) e grandissimo tatuatore/illustratore. Con lui abbiamo condiviso tante belle esperienze a partire dalla leggendaria crew di Aquileja Rules (i box di viale Lazio a Palermo), un luogo magnifico dove circa 20 box, collocati nel basement di un grosso condominio, ospitavano praticamente tutta la scena punk hardcore e musicale della città nei primi anni del 2000. La nostra longeva amicizia e la conoscenza reciproca di cultura, gusti e stile non ha fatto altro che favorire il lavoro eccellente eseguito da Giovanni per l’artwork.
Quali sono i vostri progetti futuri? Suonare, suonare, suonare. Per noi non esiste una cosa più bella della musica, non vediamo l’ora di ripartire per nuove date, registrare cose nuove e fare nuove esperienze.
Dopo 32 anni a Palermo hanno ripetuto il Palermo (Pop) Festival, in cui nel 1971 suonarono i Black Sabbath. Dopo due anni di restrizioni torna anche il PAzzAo Music Fest, in cui durante la prima edizione avete condiviso il palco con gli Adolescents. Il festival si svolgerà il 5 e 6 agosto su una fresca collina dell’entroterra palermitano. Voi ci sarete stavolta? Quali novità ci saranno? Quest’anno vogliamo spingere il PAzzAo Music Fest alla massima potenza di fuoco! Oltre alla due giorni, 5 e 6 agosto, stiamo già gettando le basi per organizzare la winter edition a novembre. Per ciò che riguarda l’edizione estiva, possiamo anticiparvi che si esibiranno in due giorni 10 gruppi e 6 DJ provenienti da varie parti della penisola, che suoneranno un’ampia gamma di generi musicali: dal rock psichedelico al grunge, dal pap drill al dark, dal rock and roll garage al thrash metal, dal pop classico all’elettronica… Insomma, un vero e proprio contenitore musicale per tutti i gusti. Ci sarà un Bar-Food operativo H24, un’area barbecue, un’area relax, spazi tenda immersi in un contesto naturale top tra ulivi, fichi d’india e rocce. Noi non ci esibiremo con i Lighting Mind Frequency ma, siccome il piacere di sporcarci le mani e di spaccarci la schiena non ci manca (vedi esempi come i lavori del box che hai citato tu prima), stiamo dando il nostro contributo alla PAzzAo Crew costruendo il nuovo palco ed altre strutture di legno che saranno necessarie per lo svolgimento del festival.
Questo sì che significa fare le cose in grande! Come grandi sono i nomi dei due gruppi headliners: Paolino Paperino Band e 23 and beyond the infinite. Ci vediamo al PAzzAo! Speriamo vada tutto bene! Siamo molto emozionati ad ospitare per la prima volta in Sicilia i Paolino Paperino Band e tutti gli altri gruppi che in modo totalmente solidale hanno sposato la causa PAzzAo nella totale presa bene e per il puro divertimento, abbiamo bisogno di tutto questo ora più che mai… Vogliamo ringraziare e salutare tutti gli amici vecchi e nuovi, tutti coloro che ci seguono, ci supportano, ci ospitano quando siamo in giro, che si sbattono per organizzare concerti!
A tre anni dall’esordio discografico, Lemmerde pubblicano “Brown Album” (Autoproduzione, 2022), otto nuovi brani più due singoli usciti nel 2021. La formazione è composta da un solido power trio con Manuel (voce, chitarra) Maurilio (voce, basso) e Livio (batteria). Ecco la nostra rece-intervista traccia per traccia.
“AnarkoCukkarini” unisce la hit della soubrette più amata dagli italiani negli anni ‘80 e il celebre inno dei Sex Pistols. Questo mix di generi mi ricorda istintivamente la leggendaria punk band Me First and the Gimme Gimmes. Si tratta di un omaggio più o meno esplicito? I MFATGG, ovviamente grandiosi, è una band dalla quale si può solo imparare. Sono un’ispirazione certo, ma a dar vita a certi mix sono sempre le nostre personali influenze. Cercare di avvicinare generi così opposti dà non voluti colpi di “genio”.
“Polvere”, seconda traccia e singolo del Brown Album, reinterpreta uno dei primi successi di Enrico Ruggeri. Dalla new wave all’hardcore il passo è breve? Nulla di più improbabile che dare un motivo HC / black metal alla sperimentazione degli anni ‘80, ma non impossibile, in fondo è stato semplice e si tratta sempre di sperimentare.
“Cicale” omaggia un’altra eroina degli anni ‘80 televisivi, la biondissima Heather Parisi. L’intro death metal invece da quale canzone è tratto? Heather Parisi, un’icona che portava in Italia gli USA, ritmo spensierato e fresco. Quale migliore rimpasto se non coi Decapitated con la loro intramontabile “Spheres of Madness”.
“Tintarella” fa convivere in due minuti di durata Black Sabbath e Mina. Come procede questa convivenza? Una lotta di carisma tra due grandezze mondiali, ma che bene si trovano nel rappresentare l’oscurità della notte illuminata dalla luna.
“PuppAncora” approfondisce la dicotomia fra canzoni apparentemente diverse ma unite nello stesso brano. Avete sintetizzato perfettamente il pensiero di Francesco Nuti e quello di Eduardo De Crescenzo. Come ci siete riusciti? Un semplice gioco, ma forse fin troppe interpretazioni ne sono venute fuori.
“Meccaniche” e “Volare” mettono in luce un lato inedito di Franco Battiato e Domenico Modugno, il loro lato punk. In queste due canzoni, come anche in “Polvere”, non avete creato un medley di più brani. C’è una logica in tutto ciò? Semmai una illogica. In verità qualcosa stava affiorando come medley, ma andavano bene così, e chissà se una versione live o da singoli non si proponga.
“Medley”, appunto, è la traccia più lunga dell’album e propone Gino Paoli, Righeira, Jimmy Fontana, Adriano Pappalardo ed un pizzico di Umberto Tozzi. Questa canzone dà l’idea di cosa aspettarsi ad un vostro concerto… Come una compilation dance degli anni ‘90, tante hit si susseguono, e non è detto che non si continui ad estendere anche questo medley, che ha subito aggiunzioni nel corso degli anni.
“Ragazzo di minkia” ripesca una chicca del passato, la versione italiana dei Corvi di un brano garage americano di metà anni ‘60. Cosa succede a Livio e Maurilio durante l’assolo di Manuel nel video? Per i palermitani un must, una chicca, un non molto celato riferimento alle opere di Ciprì e Maresco. In pratica abbiamo dato un senso più vicino a noi a quello che consideriamo “un ragazzo di strada”.
“Iron Tiziano”, dopo un intro korniano, si dispiega in una versione skacore di “Sere nere”. Questo è uno scoop! Anche Lemmerde hanno un cuore? Abbiamo diverse sere nere e anche un cuore, ovviamente marrone!
I Negative Path, formazione punk hardcore attiva da 5 anni, hanno da poco rilasciato in vinile e tape “Self-destroyed EP” (Correctional Facility / Knochentapes, 2021). Conosciamoli meglio!
Da chi è nata l’idea di formare i Negative Path? Come spesso accade, è stato un processo molto spontaneo: Dario (batteria) e Gioacchino (chitarra) a qualche punto del 2016 avevano iniziato a jammare insieme, per lo più cover di classici hardcore, punk rock e qualche riff inventato sul momento. Verso fine anno si sono aggregati Anselmo (basso e, all’epoca, voce) e subito dopo Carlo (chitarra), dopo qualche tempo insieme avevamo raggruppato un numero sufficiente di pezzi da giustificare la scelta di un nome per il gruppo, fare concerti e registrazioni. Oggi siamo in cinque, con Totò subentrato alla voce principale, una tape e un 7” all’attivo.
Avevate già chiaro il genere di musica da proporre? Quali i gruppi di riferimento? Sì, la vena è stata sin da subito quella del punk hardcore, da cui proveniamo un po’ tutti all’interno del gruppo come ascolti ed esperienze precedenti. All’inizio l’influenza più forte era quella di gruppi quali i primi Poison Idea, D.R.I., Void, Government Warning e così via. Col 7” forse abbiamo incrementato l’elemento fast/thrashcore, ma per lo più scriviamo i pezzi senza porci troppi limiti. Riassumendo: suonare veloce!
Come componete le canzoni? Tutti insieme oppure ognuno porta i propri brani già pronti? Un po’ e un po’. Magari qualcuno porta un pezzo intero o una coppia di riff, ma il grosso avviene alle prove. Si può dire che nei Negative Path ognuno ha messo sempre il suo, per lo più in porzioni eque e piuttosto naturalmente, cosa che non è affatto scontata quando si parla di comporre musica in un gruppo di cinque individui.
C’è stato un momento molto curioso durante le vostre prove al box: a cosa è ispirato il testo della canzone “Drunk Car Crash Disaster”? È una storia tanto grottesca quanto divertente. Innanzitutto, non erano le nostre prove ma quelle del gruppo stoner/sludge in cui suonano Carlo e Dario, i Biggmen, ma erano presenti anche gli altri Negative in quanto condividiamo la sala prove. Nel bel mezzo delle prove, malgrado i volumi spacca timpani, sentiamo un fortissimo schianto, come il suono di una valanga di vetro. Fa niente, le prove continuano e ogni scusa è buona per non andare a controllare fuori dal box, finché un gruppo della sala prove accanto bussa insieme a dei pompieri e ci chiedono di uscire a vedere. Tutto il sotterraneo era invaso da fumo e puzza di frizione carbonizzata ed una macchina stava incastrata nella tromba delle scale con ancora il conducente dentro, illeso ma delirante, visibilmente sconvolto e ubriaco. Poco dopo abbiamo appreso che il tipo si era deliberatamente schiantato contro la portineria del palazzo in quanto sarebbe stato allontanato da persone del palazzo perché molesto, insomma, un eroe. Come siamo usciti dal sotterraneo è meno divertente, ma questa è essenzialmente la “leggenda” dietro il testo di “Drunk Car Crash Disaster”.
Quali novità ha portato l’ingresso di Totò nel gruppo? Sicuramente più birrette e concerti, specialità logistiche di Totò, nonché la possibilità di avere un cantante autonomo senza altri strumenti in mano.
“Self-destroyed EP” arriva a tre anni dall’uscita del vostro album d’esordio. Oltre all’ingresso di Totò alla voce, in che direzione si è evoluto il sound della band? “Negative Path” è un buco nero immaginario dove con “hardcore-punk” viene inglobato qualunque elemento compositivo proposto da ognuno di noi all’ interno della band. Già si può vedere uno stacco notevole trai primi pezzi della cassetta e il nuovo 7”. La direzione prossima è quella di continuare su questo versante, arricchendo sempre la linea compositiva con elementi aggressivi, veloci e violenti!
Correctional Facility e Knochentapes a produrre. Come vi siete conosciuti e come è stato lavorare insieme? Correctional Facility è l’etichetta che si è occupata di stampare il vinile. Il ragazzo che la gestisce, Chris, è un nostro carissimo amico, che è anche venuto in tour con noi. Una sera, dopo svariate birre insieme, Totò ha proposto a Chris di fare uscire il vinile e la risposta è stata positiva. Il resto lo sapete già. Knochentapes si è occupata invece delle cassette: Jott è un carissimo amico di Totò e ha stampato in cassetta tutti i suoi gruppi, per cui non poteva e non voleva perdersi quest’altra uscita.
Ultimamente avete intrapreso un tour di tre date nell’Italia meridionale, che emozioni vi ha dato tornare a suonare dal vivo? C’è un episodio particolare di questi concerti che vi è rimasto impresso? Al contrario di tutti i gruppi del mondo, per i Negative Path 2020 e 2021 sono stati gli anni in cui abbiamo girato di più l’Italia. A febbraio 2020 abbiamo fatto 3 date, fra cui un festival a Monza al Boccaccio con centinaia di persone al chiuso, giusto un mese prima che la Lombardia diventasse il focolaio d’Italia. Poi a luglio 2020 abbiamo suonato al No Stress Fest, un festival poco fuori Palermo. Nel 2021 al secondo lockdown abbiamo scritto e registrato un disco e abbiamo fatto queste date al sud Italia che sono state molto belle, intense, partecipate e sudate. Ci hanno trattato tutti bene, ci hanno cucinato tante cose vegane buonissime, ci siamo divertiti e pure loro si sono divertiti con noi. A Reggio e Bari abbiamo suonato in due posti occupati, mentre a Napoli in un locale. Ci ha colpito la differenza di età: a Bari c’era gente molto molto giovane, anche minorenni, mentre a Napoli il pubblico era più adulto. Episodi divertenti sono stati tanti, la cosa più strana è stata andare a Napoli e non trovare neanche una pizzeria. Comunque ci piace tanto suonare, l’Italia è un bel posto e vorremmo arrivare fino al Friuli Venezia Giulia, e quindi andare a suonare all’estero.
Quali sono i vostri progetti futuri? Stiamo per organizzare un mini-tour in Italia per fine 2021 / inizio 2022, nel frattempo stiamo gettando le basi per nuovo materiale che (al momento) non sappiamo se sarà un nuovo album, un EP o uno split con un’altra band.
Fra le nuove leve del sottobosco cantautoriale italiano già da qualche anno si fa strada Federico Bonanno, prima in gruppo col progetto Hash ed ora da solista con lo pseudonimo di Deric. Abbiamo parlato insieme dei suoi esordi e del nuovo singolo “Le stesse parole” (autoproduzione, 2021).
Scrivi canzoni fin dalla prima adolescenza, come è nata la passione per il cantautorato e quali sono stati i primi artisti di riferimento? È nata insieme alla passione per la chitarra e la musica rock, scrivere ha sempre fatto parte della mia vita e in qualche modo mi è sempre piaciuto. Penso che sia un modo anche per mettere in ordine i pensieri e fare un po’ di introspezione. Direi che le due cose si sono fuse in modo abbastanza naturale. Un momento importante di sicuro è quando ho avuto in regalo la mia prima chitarra e ho cominciato a prendere lezioni, poi a scrivere le mie canzoni. Dopo con la band le cose sono diventate anche più serie. In quel periodo andavo scoprendo i primi gruppi punk, i Ramones, i Pixies, i Nofx che mi ricordo di avere visto in uno storico/disastroso concerto all’ex Bier Garten qua a Palermo. Incredibile. Degli italiani ascoltavo spesso i Prozac+, Le Luci della Centrale Elettrica, Cremonini, oppure Battiato.
Parallelamente al percorso cantautoriale, portato avanti col gruppo Hash, hai cominciato a produrre musica elettronica con lo pseudonimo di Deric. Dove finisce Hash e dove comincia Deric? Perché non hai rilasciato il singolo “Le stesse parole” come Hash? Hash era il nome del gruppo che si è sciolto più di un paio di anni fa. È stata una bella esperienza durata tanti anni, insieme abbiamo pubblicato due EP, anche se la formazione era cambiata diverse volte. Dopo ho continuato a scrivere e mettere online sul mio Soundcloud qualche brano di musica elettronica. Essendo un grande appassionato di tecnologia e delle sue conseguenze sulla musica e avendo anche studiato l’argomento, non vedevo l’ ora di fare i miei primi esperimenti. Mi ricordo che quando ho scoperto alcuni gruppi come i Massive Attack, i Portishead, gli Alt-J è stato un momento di grande maturazione dal punto vista musicale per me. Tornando alla domanda, quello che mi rappresenta oggi è questo progetto, sarebbe stato incoerente per me proseguire con lo stesso nome visto anche che non sarebbe semplice riproporre quei brani dal vivo oggi.
Con la musica elettronica, in termini di lunghezza dei brani, c’è più libertà espressiva rispetto al cantautorato attuale, mi pare. La breve durata del nuovo singolo, due minuti e mezzo, è casuale o dovuta a necessità radiofoniche? Oppure nessuna delle due? Non c’è stata nessuna necessità radiofonica in realtà, il brano è nato così ed è volutamente diretto e conciso, punta di più sulla voce e sul groove che sullo strumentale. Mi piaceva l’idea di puntare sulla semplicità, credo sia il modo migliore per arrivare alle persone. Senza trascurare il sound ma creando un’atmosfera che si sposasse con le parole. Nel frattempo la durata del brano mi ha permesso anche di entrare in qualche playlist in più, quindi direi esperimento riuscito!
Il testo della canzone, scritto in piena pandemia, parla di alienazione senza però fare riferimento ai problemi sanitari dell’ultimo biennio. Da musica e parole emerge una gran voglia di voltare pagina, ma rispetto a quale ambito della società attuale? Sono tante le riflessioni che si potrebbero fare a proposito del brano. Una sicuramente è quella sulla monotonia e la ripetitività che a tutti capita di vivere, per vari motivi come il lavoro, la famiglia, problemi personali e altro. Un’altra riguarda la tecnologia, i social-network, la televisione, penso che siano tutti strumenti che bisogna conoscere e saper utilizzare per avere il controllo della situazione e non venire controllati noi stessi in qualche modo. Lo diceva anche Pasolini molti anni fa in una famosa intervista alla Rai, che si trova anche su YouTube. Oggi tutti conosciamo gli scandali sui big data di Facebook, non è molto diverso secondo me. Per questo bisogna conoscere le cose e avere spirito critico, altrimenti l’illusione e la possibilità di venire influenzati è dietro l’angolo. C’è una frase tristemente famosa che dice “a forza di ripeterla una cosa diventa vera”, secondo me a forza di ripeterla si diventa stupidi.
Come è nata la collaborazione con Luca Rinaudo e Marco Nascia allo Zeit Studio? Con loro ci siamo conosciuti qualche anno fa. Luca e Marco hanno organizzato un corso di produzione musicale nel loro vecchio studio di registrazione, a quel corso durato circa un anno ho partecipato anche io insieme ad altri. Dopo abbiamo anche scoperto di avere qualche amico in comune.
Cosa hanno aggiunto Luca e Marco in termini di produzione? Il loro contributo è stato importante per dare alla canzone il sound e il groove giusto. Con Luca e Marco, dopo avere fatto una pre-produzione registrando le varie parti di chitarra e voce, abbiamo pensato agli arrangiamenti insieme. Marco suona diversi strumenti fra cui chitarra e percussioni e riesce a farlo in modo unico e personale vista anche la sua esperienza. Luca si è occupato di più del missaggio e del mastering, direi che è stato davvero bello lavorare insieme.
Hai in programma dei concerti a breve? Altri progetti futuri? Non ho concerti in programma, anche se ci sto pensando. Al momento mi sto concentrando su altro dovendomi occupare un po’ di tutti gli aspetti del progetto che richiedono tempo e risorse, sto anche lavorando in studio ad altre canzoni, una delle quali uscirà a dicembre.
Gli Spasticus, death metal band di recente formazione, presentano “Horror Chaos Death” (Rotted Life / Unholy Domain / Necrolatry, 2021), il loro primo album. Ne abbiamo parlato con Jan, fondatore del gruppo, chitarrista e compositore.
Perché avete scelto “Horror Chaos Death” come titolo? Il titolo “Horror Chaos Death” si riferisce all’ultimo anno e mezzo, alla pandemia in parte, ma anche agli effetti dell’isolamento che ne è conseguito, alle rivolte negli Stati Uniti dello scorso anno, all’attuale tremenda condizione della mia città natale in Sud Africa, ed infine alla sofferenza e all’orrore che caratterizza l’esistenza umana da sempre: volevamo un titolo semplice e diretto, che non fosse criptico circa il clima in cui la musica ed i testi sono stati scritti.
Questo mini album arriva a due anni dalla vostra prima produzione, il demo EP “Fuck Me Before I Die”. Entrambe le uscite hanno 5 tracce, come mai considerate il primo un EP e questo un album? “Fuck Me Before I Fie” è stato il mio primo tentativo compositivo, prima uscita della prima band di cui faccio parte, ed è stato per lo più un esperimento davvero poco “pensato”, semplicemente scritti i pezzi e assemblate le parti abbiamo registrato alla meno peggio quanto venuto fuori dalle prove. Il risultato è stato superiore alle nostre aspettative ma si avverte che è un demo di per sé molto urgente ed “inconsapevole”, invece “Horror Chaos Death” è stato pianificato con molta più cura: sapevamo un po’ meglio cosa volevamo fare e in che direzione andare per ottenerlo, le canzoni sono più lunghe, complesse e strutturate in modo più definito e la produzione è più fedele. Questi fattori, uniti ad un durata maggiore rispetto al primo EP, ci fanno classificare “Horror Chaos Death” come un mini-album.
“Fuck Me Before I Die” è stato registrato nel 2019, dopo pochi mesi dalla formazione della band, in un mondo più spensierato di quello attuale. Come è stato invece realizzare questo album? Sul fronte degli impegni del gruppo non è stato tanto differente, in quanto in entrambe le due fasi siamo stati impossibilitati a fare concerti, e per un certo periodo persino a provare per via del cambio di line up e della quarantena. Nei tempi morti abbiamo potuto scrivere molto materiale nuovo e ogni qualvolta fosse possibile, arrangiare tutto alle prove. Anche le tematiche dei testi, come detto, sono influenzate in vari modi da questo periodo orribile, non solo dalla pandemia. La differenza grossa è stata poi registrare presso uno studio vero quale il Tone Deaf Studio, invece che in una camera da letto come per il demo, e lavorare al mixing e al master con Giorgio Trombino di Big Rock HomeStudio (oltre che chitarra e voce in molti gruppi validi quali Assumption e Bottomless), che ci ha aiutato a raggiungere il risultato che volevamo.
Quali sono state le vostre maggiori influenze musicali nella scrittura di “Horror Chaos Death”? Personalmente cerchiamo di non pensare troppo ad altre band che ci appassionano quando scriviamo i pezzi, per evitare comparazioni ed avere un nostro percorso artistico in quanto Spasticus, e non come una band di death metal vecchia scuola definita in uno standard esatto. Poi è ovvio che, a livello di riff, le influenze dei nostri gruppi preferiti, o di quello che ascoltiamo nelle fasi di composizione, possono risultare più o meno evidenti. Ad esempio, nella fase di scrittura di “Horror Chaos Death” ascoltavo molti gruppi death e di tharsh spinto della prima ora quali Bolt Thrower, Asphyx, Sodom, i primi Hypocrisy, Massacre, Morbid Saint, Entombed e Dismember ed influenze perenni di tutti i membridegli Spasticus sono gli Slayer o i Napalm Death. Per quanto riguarda la voce, Anselmo ha uno stile molto primitivo e diretto e le sue influenze personali (non solo vocalmente) sono Chris Reifert, Lee Dorrian e Tom G. Warrior, però anche lì ognuno ha la sua gola e i suoi polmoni, eheh. Quanto alla batteria, Walter è uno speed freak acclarato, della tipologia che quando meno te l’aspetti si lancerà in sfuriate di blast beat e tupa tupa in piena pausa dalle prove, rendendo sordo chiunque nel raggio di chilometri.
C’è un brano che rappresenta meglio l’album? Quali sono i temi trattati nei testi? I testi sono basati per lo più sulla realtà, in modo più o meno serio, talvolta provocatorio. Dalla paranoia pandemica degli ultimi due anni alla rivoluzione armata (vedi le rivolte avvenute nello stesso periodo negli USA) e alla guerra. C’è anche spazio per una certa dose di umorismo morboso e sano gore vecchia scuola, ma per lo più le tematiche sono “serie”. Direi che la title track è, sia musicalmente che liricamente, il pezzo più rappresentativo del disco, in quanto racchiude un po’ tutto quanto detto sopra.
Tre diverse etichette a produrre su altrettanti supporti, su cassetta nelle versioni europea (Unholy Domain) e statunitense (Rotted Life) e su CD (Necrolatry). Come sono nate queste collaborazioni e come è stato lavorare insieme? Eravamo già in contatto con Unholy Domain e Rotted Life dall’uscita di “Fuck Me Before I Die”, per cui avevano già dimostrato un certo interesse, mentre Necrolatry Records è stata tra le prime etichette a rispondere ai nostri promo di “Horror Chaos Death”. L’uscita è in parte ancora in corso perché la versione europea in cassetta e il CD stanno tardando ad uscire per motivi esterni a noi o alle etichette. A parte questo la promozione e distribuzione alla fine del processo di rilascio dovrebbero essere più che adeguate alle nostre esigenze.
La copertina di “Horror Chaos Death” mi ricorda istintivamente quella di “Tomb of the Mutilated” dei Cannibal Corpse. Chi l’ha realizzata? È un riferimento voluto oppure casuale? Non c’è stata una diretta influenza o ispirazione da “Tomb of the mutilated”, però apprezziamo il confronto, eheh; forse però qualcuno potrebbe notare una citazione o due da “Acts of the Unspeakable” degli Autopsy… Comunque la copertina è stata realizzata da Necromaniac Artwork, a cui abbiamo lasciato per lo più carta bianca, colori esclusi.
A causa della pandemia avete suonato dal vivo soltanto due volte nei due anni di vita del gruppo. La seconda volta è stata recentemente, il 26 giugno. Come è stato risalire su un palco dopo così tanto tempo? Considerando che per me queste sono state le prime esperienze di musica dal vivo in toto, è stato un sollievo finalmente poter portare la musica degli Spasticus su un palco. Purtroppo sono saltati di nuovo diversi concerti che avevamo organizzato a Palermo e altrove, speriamo di rifarci da Settembre, quando dovremmo aprire per i Mentors qui a Palermo.
Quali sono i vostri progetti futuri? Abbiamo recentemente finito di registrare i pezzi per uno split con un gruppo death metal italiano molto valido, a breve potremo fornire più informazioni in merito. Inoltre stiamo già lavorando al materiale per il primo full length, che pensiamo di chiudere almeno sul fronte compositivo entro quest’anno. Infine dall’autunno speriamo di poter finalmente organizzare delle date in altre zone d’Italia ed in Europa.
Ad un anno esatto dalla scomparsa di uno dei nomi più illustri nella storia della musica mondiale, ecco un’intervista risalente a dieci anni fa, quando abitavo a Mosca e la mia vita correva troppo veloce per comprendere l’entità di esperienze straordinarie come questa. Tuttavia, ricordo che la voce mi tremava, eccome, mentre parlavo con un mostro sacro come Ennio Morricone. Di seguito la trascrizione integrale di questa intervista telefonica del 2011.
Pronto, buongiorno, mi chiamo Riccardo Pusateri, chiamo da Mosca. Potrei parlare col maestro Morricone? Può parlare, sono io.
Ah, salve maestro, non le nascondo la mia commozione… Ehm, la mia emozione nel parlare con Lei, quindi passerò direttamente alle domande. La Russia intera L’ha conosciuta all’inizio della perestroika, con la trasmissione sul primo canale di Stato de “La piovra”. E Lei, era già stato in precedenza nell’Unione Sovietica? No, non ero stato in precedenza, no.
Lei ha composto le musiche per il film “La tenda rossa” di Michail Kalatozov. Ha un ricordo particolare del popolo russo, legato a questa collaborazione? Beh, lì c’è un episodio del popolo russo, quello della generosità di alcuni ragazzi che sentono il suono per radio dell’SOS del dirigibile italiano guidato dal capitano Nobile e accorrono all’ufficio postale a raccontare questo pericolo che avveniva sul Polo Nord.
Ci sono dei musicisti, pittori o scrittori russi che l’hanno ispirata o la ispirano in questo momento? No, nessun autore russo mi ha ispirato, né compositore di musica né scrittore.
Ah… Quali sono state le Sue impressioni in occasione del concerto dell’8 marzo scorso a Mosca? Le impressioni sono di un pubblico entusiasta, entusiasta, entusiasta. Veramente, veramente! In piedi erano. Veramente molto contenti e felici di avermi ascoltato.
E che cosa ha pensato nel luglio del 2009, in occasione della “Notte della luna” a Roma, quando Le hanno detto che avrebbe condiviso lo stesso palco con Moby, un artista apparentemente molto diverso da Lei? Io ho condiviso un pezzo con..?
Non un pezzo, ma il palco. Io ero presente a quel concerto quando Lei ha diretto il “Concerto per astronauta”. Dopo di Lei ha suonato Moby. Ah, sì, ma quella era soltanto una registrazione, non c’era l’orchestra.
Ah, chiedo scusa… Vado avanti con le domande… Oltre ad avere Lei stesso avuto molte collaborazioni con musicisti distanti fra loro come Morrissey, Dulce Pontes… …Quelli sono cantanti, non musicisti, cantanti…
…Ehm, cantanti, sì… Oltre a queste collaborazioni, le Sue musiche sono state riarrangiate e hanno influenzato i musicisti dei generi più diversi, dal punk al metal, dall’elettronica alla sperimentale. C’è una produzione che Le è piaciuta particolarmente? Mah, nel loro genere mi son piaciute tutte.
Artisti del calibro di Lou Reed e Radiohead hanno messo a disposizione online i loro dischi ancor prima dell’uscita nei negozi. Qual è la sua opinione sulla diffusione della musica in internet? Non mi piace perché non pagano.
Eh, è vero… Gli appassionati poi comprano però… Dopo Baarìa Lei firmerà la colonna sonora del nuovo film di Tornatore sull’assedio di Leningrado. Ha già iniziato a lavorare alle musiche? Ho cominciato a pensarci, però Tornatore farà prima un altro film, credo.
Ah! A quando la rivincita a scacchi con Kasparov o con Karpov? Eh, con Kasparov io ci ho giocato in simultanea… E naturalmente ho perso.
E non vorrebbe riprovare quest’esperienza? No, m’è bastata quella lì.
Eh eh. Ma ho giocato anche con la Polgar, ho giocato con Karpov, con molti giocatori… Anche con Spassky! E ho pattato con Spassky!
Wow, complimenti! Va bene, Maestro, le mie domande sono terminate. La ringrazio tantissimo per il Suo tempo e spero di vederLa al concerto dell’11 dicembre a Mosca. La ringrazio molto io.
A presto! Arrivederci!
Intervista originariamente pubblicata sul sito russo Zvuki.runel 2011.
Dopo un lavoro d’esordio solista e quattro split con altrettante band internazionali, Il gruppo powerviolence ANF festeggia i dieci anni dalla fondazione con l’EP “ANF II”(625thrashcore Records / Rodel Records, 2021), che contiene le più fresche composizioni della band palermitana. Ne abbiamo parlato con Totò, voce e portavoce del gruppo.
Come è nata in voi la passione per il genere powerviolence, che affonda le sue radici nel punk hardcore anni ‘80? Per me tutto è cominciato ai tempi del liceo, quando cominciai ad avvicinarmi al punk hardcore e in uno scambio di dischi e cassette conobbi gruppi come Infest e Spazz ed è stato amore a prima vista anzi, a primo ascolto. In quegli anni conobbi anche Corrado, il quale mi invitò ad unirmi al suo gruppo (Elopram) e cominciai ad andare ai concerti della mitica Palermo hardcore dove vidi Burst up e xLxExAxRxNx, quello è stato il punto di non ritorno.
Le vostre nuove canzoni hanno avuto una lunga gestazione, qual è stato il punto di svolta nella lavorazione di questo EP? Purtroppo, per problemi legati alla distanza e alla pandemia, abbiamo perso molto tempo. Nonostante tutto siamo riusciti a scrivere e registrare i pezzi anche questa volta. La svolta credo sia il fatto che dopo tanto tempo, esattamente sette anni, ritorniamo a fare un disco da soli e non uno split, questo secondo me ha inciso tantissimo.
Come spesso accade nel processo creativo dei vostri brani, anche stavolta le parti strumentali erano pronte molto prima dei testi, che per “ANF II” sono stati scritti in piena pandemia. Quanto ha influito l’isolamento e l’alienazione nella stesura delle liriche? Anche questa volta abbiamo seguito il solito iter, cioè abbiamo registrato le parti strumentali e, una volta ricevute le riprese, abbiamo cominciato a scrivere i testi. Purtroppo, abitando in tre città diverse, non abbiamo potuto fare altrimenti. Tutto il nuovo disco comunque è stato scritto in piena pandemia, considerando che le parti strumentali sono state registrate a metà Agosto 2020 e le voci sono state registrate a Dicembre 2020. A parte per un pezzo, “Social Distance”, l’isolamento non ha influito più di tanto sulla stesura dei testi, che sono più o meno sulle stesse tematiche di quelli passati: politica, esperienze di vita quotidiana e anche un po’ di cazzeggio.
Non esistono vostri video promozionali. Come mai questa scelta? In realtà non ne abbiamo mai parlato, per cui non abbiamo fatto video promozionali.
Oltre al vinile 7”, di “ANF II” c’è anche la versione in cassetta, supporto che sta tornando ad essere diffuso soprattutto nei generi estremi. Si presuppone che il vinile, oltre alla bellezza estetica, abbia la migliore qualità audio. Il revival della cassetta è un fenomeno puramente feticista oppure il nastro aggiunge qualcosa di particolare all’ascolto dei generi musicali più rumorosi? Personalmente preferisco il vinile sia per la bellezza estetica sia per la qualità audio, tuttavia la cassetta è molto più economica e meno impegnativa del vinile, ciò permette di avere tirature limitate a prezzi non eccessivi. Inoltre, è capitato che ci venisse chiesta la cassetta al posto del vinile, per cui abbiamo deciso di optare per la doppia versione vinile – cassetta. La versione in vinile uscirà per 625thrashcore Records e Rodel Records in 600 7” colorati magenta. La versione in cassetta uscirà per Knochentapes e Hackbeil Records in 120 cassette bianche.
Le illustrazioni di Prenzy e i layout di Ecumenicus sono diventati un marchio di fabbrica della parte grafica delle vostre copertine e locandine. Anche stavolta avete continuato con questa formula? Purtroppo questa volta Prenzy ha declinato il nostro invito a causa della sua grossa mole di lavoro, quindi abbiamo chiesto a Ciccio Cutway, che ha realizzato un’ottima copertina, ed Ecumenicus ha ultimato tutto.
Quest’anno ricorre il decennale dalla fondazione della band. Nel 2011 vi eravate dati degli obiettivi? Li avete raggiunti? Per convenzione diciamo che siamo nati nel 2012 perché le prime prove sono state svolte tra Dicembre 2011 e Gennaio 2012, però il gruppo è nato a fine 2011. Durante un tour degli FUG chiesi a Ecumenicus di fare un gruppo fastcore / powerviolence, ritornati dal tour abbiamo chiamato Corrado e Kevin. Il primo incontro avvenne a fine Novembre 2011 in Via Ferrara, non c’eravamo posti degli obiettivi particolari. Lo scopo era quello di fare un gruppo fortemente ispirato dai gruppi usciti per 625Thrashcore Records e, considerando che questo disco esce grazie a una co-produzione tra Rodel Records e 625thrashcore Records, possiamo dire che abbiamo raggiunto questo scopo.
Vi ho visto tante volte in concerto e posso confermare che sul palco voi date sempre più del 100%. Come racconterete ai vostri nipoti l’esperienza di aver partecipato al No Stress Party, uno dei pochi festival musicali dal vivo dell’estate 2020? Il No Stress Party” è stato il nostro unico concerto del 2020 ed è stata una boccata di aria fresca per noi. Eravamo amareggiati dopo aver cancellato, a causa della pandemia, il tour con gli amici Turtle rage, che pianificavamo da tanto tempo. La cosa è stata anche un po’ stancante, visto che il giorno dopo il festival abbiamo registrato e abbiamo dovuto trasportare tutta l’amplificazione al Tone Deaf studio. Quest’anno il festival si farà nuovamente, anche se purtroppo noi non potremo suonare, però consigliamo a tutti gli amanti del relax di andare.
Consegnato alla storia questo delicatissimo EP, cosa ci attende nel futuro degli ANF? Dopo questo EP abbiamo altre cose in programma, è appena uscita una compilation benefit in cassetta fatta uscire dalla mitica To Live A Lie. Stiamo organizzando il secondo volume di “Hit Mania Violence” con altri 11 gruppi europei (Crippled Fox, Ona Snop, Turtle Rage, Ill!, We Sleep, Luisxarmstrong, Lovgun, Skiplife, Youth Crusher, Medication Time), dovrebbe uscire sempre nel 2021 in vinile colorato. A breve penso che ritorneremo a scrivere pezzi nuovi per uno split, ma ancora è tutto da vedere. Poi chiaramente non vediamo l’ora di poter riprendere a suonare in giro come facevamo prima. Sicuramente dobbiamo recuperare il tour con gli amici Turtle Rage, annullato a causa della pandemia.