Flying Disk – Nel cuore della città

“In The Heart Of The City” è il nuovo EP dei Flying Disk, trio heavy rock piemontese già con due album all’attivo,“Circling Further Down” del 2014 e “Urgency” del 2018. Anticipato dai singoli “Connections” e “Wasted”, l’EP è uscito lo scorso 28 ottobre per quattro etichette indipendenti – la francese Araki Records, la statunitense Foribidden Place Rec, la svizzera Urgence Disk e l’italiana Karma Conspiracy – con il mastering del lavoro curato da Jonathan Nuñez dei mitici Torche. Il risultato sono quattro tracce di heavy rock con influenze stoner, punk, emo e alternative, cantate rigorosamente in inglese come nella migliore tradizione della band. A parlarcene sono gli stessi ragazzi:

Ciao ragazzi e benvenuti sul Raglio del Mulo, la vostra terza fatica discografica “In the Heart of City” è fuori ormai da qualche mese, com’è stata l’accoglienza di critica e pubblico?
Ciao, intanto grazie, il disco per ora sta andando bene, abbiamo fatto qualche mese fa un tour che ci ha portati a suonare in Francia, Germania, Svizzera, Milano, Roma e varie altre città, a fine gennaio ritorneremo in tour fino a questa estate!

Ho trovato il vostro suono abbastanza poliedrico, frutto di tante influenze – emo, punk, stoner – ma senza legarsi ad una etichetta precisa, come siete arrivati a questa sintesi nella vostra musica?
Siamo partiti nel 2010 facendo cover di gruppi punk, poi negli anni ci siamo appassionati alla scena locale della Canalese Noise (Cani Sciorrì, Dead Elephant, Ruggine) e tutti i gruppi da cui di conseguenza prendevano spunto. Per un po’ abbiamo cercato avvicinarci a quel suono, poi negli anni abbiamo trovato una nostra via più personale.

In che maniera siete entrati in contatto con Jonathan Nunez dei Torche che ha curato il mastering del disco?
Apprezziamo parecchio i lavori di Jonathan, lo abbiamo contattato tramite Instagram all’inizio, lui è stato super disponibile, ci abbiamo messo un attimo a scegliere il master definitivo ma alla fine è uscito veramente bomba.

Dallo studio ai concerti il passaggio non è dei più semplici, come state promuovendo in giro l’EP?
Da ormai più di dieci anni siamo tutti coinvolti nell’organizzazione di concerti e andiamo spesso a sentire le band di zona e non, abbiamo creato una rete di amicizie abbastanza forte per cui riusciamo sempre a suonare, chiaramente è difficile entrare in circuiti dove ci vogliono certe strutture alle spalle come agenzie, manager, label ecc. Sicuramente all’estero stiamo avendo più riscontro che in Italia questo purtroppo è risaputo tra tutte le band che hanno la possibilità di suonare fuori dal proprio paese.

Parlatemi dei testi, sono frutto di un lavoro di gruppo o del singolo?
I testi li scrivo io (Simone) e spesso mi faccio dare una mano a correggerli e migliorarli, siamo un gruppo di amici per cui spesso in studio ci confrontiamo e aiutiamo, cerco di rappresentare quello che vive un ragazzo in una provincia come Cuneo e di tutto quello che comporta, per quanto ci sia benessere c’è una rassegnazione preoccupante, non è
una città così facile in cui vivere soprattutto se hai passioni/sogni come la musica.

Per “In the Heart of City” vi siete affidati a quattro diverse etichette, in che maniera si è creata questa collaborazione allargata?
Per coprire i costi di stampa abbiamo dovuto tirare in ballo diverse realtà che si sono messe in gioco per mettere alla luce il vinile, ne abbiamo ancora qualche copia e siamo felici di come è uscito fuori, è un vero gioiellino.

Quali sono i vostri prossimi progetti?
Dopo questa estate ci metteremo al lavoro sul disco nuovo, che sarà un LP completo, nel frattempo faremo
ancora uscire fuori del materiale inedito e ci piacerebbe rielaborare delle canzoni in versione acustica.

DuoCane – Teppisti da sempre

“Teppisti in azione nella notte” è il primo full length dei Duocane, power duo pugliese composto da Stefano Capozzo (basso e voce) e Giovanni Solazzo (batteria), amici di vecchia data e musicisti in svariati altri progetti (Banana Mayor e Turangalila su tutti). Anticipato dal dissacrante singolo “Neqroots” (omaggio ad un mitico calciatore del Bari degli anni ’90), l’album d’esordio della band è il seguito ideale dei primi due EP “Puzza di giovani” (2019) e “Sudditi” (2020), ed esce autoprodotto il 12 ottobre 2022, su Cd oltre che in streaming e digital download.  Otto tracce in bilico tra math-rock, stoner & noise, dall’approccio ironico e dissacrante.

Ciao ragazzi e bentrovati sul Raglio! E’ finalmente uscito il vostro primo full lenght, in realtà dal vostro esordio del 2019 non vi siete mai fermati pubblicando ancora un Ep nel 2020 e adesso un disco di otto tracce. Come spiegate questa vostra prolificità? 
Siamo in due e questo rende più semplice la stesura dei brani, non c’è nessun chitarrista con relativo ego a rallentare i processi creativi.

Nella nuova release vi siete avvalsi di diverse collaborazioni che hanno allargato un pò lo spettro sonoro del duo, ce ne volete parlare?
Nel nostro disco hanno collaborato Gianluca Luisi al vibrafono, Alessandro Vitale al sax, Pino di Lenne agli archi (l’unico presente anche nel nostro EP precedente “Sudditi”) ed Enrico Carella alle tastiere. L’intento è stato quello di ricreare in studio il nostro suono naturale avvalendoci della possibilità di arricchirlo con quelle voci nella testa che ci dicevano “metti questo, metti quello, vedi come suona bene?”. Abbiamo avuto entrambi la fortuna negli anni, di suonare con tanti musicisti di diverse estrazioni (dal metallaro al jazzista, all’accademico, al frikkettone puzzolente che non paga le birre ecc.). Quindi abbiamo colto l’occasione di toglierci degli sfizi sonori cercando di rimanere fedeli ad un approccio punk e viscerale.

Spesso suonare in duo non è affatto facile, anzi sicuramente non lo è, per voi è una cosa molto naturale. Come siete arrivati a questo approccio?
Abbiamo suonato insieme nel primo periodo dei Banana Mayor e ci conosciamo da quasi vent’anni, questo ci permette di avere una confidenza tale da amalgamare le menti creative con molta facilità. Abbiamo gusti molto simili e complementari e pur essendo persone molte diverse, siamo praticamente cresciuti insieme.

Suonate insieme da tempo e anche in altri progetti come ad esempio i notevoli Turangalila, come riuscite a ritagliare lo spazio per entrambi questi due progetti così impegnativi?
Giovanni: non ho tempo manco per cacare, bugia, cancella… sono sempre stressato, no dai cancella.
Stefano: dai dì la verità.
Giovanni: grazie per il complimento ai Turangalila. Non solo suono in questi due gruppi, aggiungici pure il lavoro e la gestione della propria vita privata e familiare. Dormo 10 ore a settimana e sono stressato. Però si fa, e non solo, mi piace moltissimo farlo, la musica è tuttora una cosa che ci distende, eccita e rilassa, ne abbiamo bisogno. Qualora questa cosa dovesse venir meno non avrei dubbi nello smettere.
Stefano: non vado in palestra.

Math rock, noise, stoner ma c’è qualcuno a cui vi ispirate o una band che è vicina attitudinalmente ai Duocane?
Non c’è una band in particolare che ci ispira, o magari sono così tante che sarebbe un casino elencarle tutte. Le nostre influenze vanno dagli anni 70 alla contemporaneità, con particolare predilezione per i ’90, dalla banda di paese di Acquaviva delle Fonti agli Yob.

Il vostro sound è alquanto rumoroso ma c’è sempre un notevole spazio per la melodia, in che maniera scrivete? Vi occupate entrambi dei testi?
Sì, i brani partono sempre da una particolare idea di uno dei due, un riff o un ritmo, e poi ci si lavora sopra, insieme sia per i testi che per le musiche, buttando idee e dicendo stronzate fino a che la “cosa” non raggiunge una forma che soddisfi entrambi. Più o meno come stiamo rispondendo a turno a queste domande, mentre ora Stefano fuma una sigaretta.

Parlatemi un po’ del singolo “Neqroots” dedicato al mitico calciatore del Bari, come vi è venuta questa idea?
Giovanni era andato in bagno e Stefano stava suonando da solo al locale col nostro amico Giulio. Eravamo in lockdown e provavamo di nascosto in saletta per soddisfare bisogni etilici e sociali. Di ritorno dal bagno, Giovanni sentì i primi due versi canticchiati da Stefano e il resto lo scrivemmo tutti e tre in quella stessa sera. Ci parve da subito una idea corretta e giusta dedicare un pezzo a un monumento della nostra infanzia. Neqrouz è stato un idolo nella nostra zona in quegli anni, e circolavano varie leggende su di lui. Successivamente abbiamo scoperto che alcune sono probabilmente vere, dato che davvero Neqrouz, a quanto pare, era solito frequentare madri di gente che conosciamo da vicino. Tra l’altro, con viva e vibrante soddisfazione, ci teniamo a dire che il vero Neqrouz ha ascoltato il pezzo e adesso ci segue su Instagram e ci mette i cuoricini. Neanche suonare al Lollapalooza potrebbe mai donarci cotanta infinita giuoia.


Vi lascio un po’ di spazio per dire quello che volete, fate un autopromozione il più sfacciata possibile al vostro disco.
Siamo ben consci del fatto che nessuno ascolti più i dischi, soprattutto quando si tratta di un formato CD, ma vi assicuriamo che tali feticci sono sia belli da guardare che da toccare, diremmo addirittura annusare, concedendovi così di vivere una meravigliosa esperienza sinestetica. Essendo tra l’altro questo “Teppisti in azione nella notte” un disco concepito in maniera unitaria e omogenea, come opera unica, ci piacerebbe venisse ascoltato nella sua interezza e totalità, anche se sappiamo che questa cosa non è esattamente tipica dei nostri tempi votati alla distrazione perenne. Scusate per questa parentesi alla Mastrota con le pentole. Forza Roma sempre.

Le Zoccole Misteriose – Oltre la siepe dell’underground

“Oltre la siepe” è il nuovo EP de Le Zoccole Misteriose, band di culto della scena underground abruzzese attiva dagli anni ’90 e tornata sulle scene con una formazione rinnovata. Interamente dedicata alla figura di Giacomo Leopardi, la quarta fatica discografica presenta una band che dal punk degli esordi si è evoluta in una incendiaria miscela di stoner rock, hardcore e blues luciferino. Il tutto è accompagnato dai testi secchi, scarni e d’impatto di Raffaele De Gregorio, unico superstite della formazione originale.

Ciao ragazzi, benvenuti su Il Raglio del Mulo. La vostra band è tra le più longeve del panorama punk underground italiano, com’è cambiata la scena intorno a voi? Ne siete influenzati o avete sempre pensato a voi stessi e al vostro percorso?
Una volta c’erano molte band anche da queste parti, c’erano anche più spazi per suonare. Attualmente, invece, non c’è quasi nulla. Comunque per vari problemi lavorativi, non abbiamo viaggiato molto o almeno non quanto avremmo voluto, quindi non abbiamo avuto molti contatti con la scena italiana.

Le Zoccole Misteriose nascono come punk band con testi ironici in italiano, nella vostra ultima release però ci sono svariate contaminazioni con doom, blues, stoner, sax impazziti e quant’altro, ci volete parlare un po’ di come sono nati i nuovi brani?
I brani sono nati naturalmente unendo il sound di musicisti molto diversi tra loro, ma che per riuscire a coesistere musicalmente hanno comunque qualcosa in comune.

“Oltre la Siepe” è dedicato alla figura di Giacomo Leopardi, come mai questa scelta?
Personalmente sono sempre stato affascinato dal pessimismo e dalla figura di Leopardi e forse mi ci sono anche un pochino riconosciuto. Comunque, mi sono chiesto come avrebbe reagito Giacomo, in virtù del suo pensiero, di fronte alla società contemporanea e, francamente, credo proprio che sarebbe impazzito: ed è questo il senso dell’album

Come nascono i testi delle vostre canzoni? 
A volte mi vengono in mente frasi che hanno un significato e che mi sembra suonino bene, ed infatti mi rimangono in testa per giorni. Poi in sala prove cerco di arricchirle con pensieri attinenti: in realtà, non li scrivo quasi mai su carta

Nel corso del tempo la line-up de Le Zoccole Misteriose è cambiata svariate volte, in che maniera i nuovi membri hanno contribuito al rinnovamento del sound?
Ogni musicista che ha suonato con noi ci ha messo del suo ed ha lasciato la sua influenza, ho sempre pensato che un musicista debba avere la massima libertà creativa, altrimenti che sfizio ci sarebbe?

Siete noti nel sottobosco per le vostre incendiarie esibizioni dal vivo, vi vedremo in giro nei prossimi mesi?
Sinceramente lo spero tanto, suonare nei live è l’unica situazione in cui mi sento veramente libero.

L’Abruzzo è una regione che ha sempre prodotto notevoli e interessanti band underground tra i generi più disparati, c’è qualcuna di esse con cui avete condiviso il palco o con cui c’è una particolare comunione d’intenti?
Sicuramente Le Scimmie – che sono il duo stoner del nostro chitarrista Angelo Mirolli, detto Xunah – e sono veramente una grande band.

In Puglia c’è un festival “In Riva al Punk” che negli ultimi anni sta avendo notevole riscontro sia di pubblico che di band partecipanti, siete mai venuti dalle nostre parti? Riuscite ad esibirvi con regolarità in questo tipo di festival a tema?
Purtroppo non conosciamo questo festival ,ma comunque cerchiamo di esibirci il più possibile.

Avete in programma di far passare molto tempo fino al prossimo disco o siete già attivi su nuovi brani con la nuova line up?
Pensiamo di rimetterci a lavorare in sala prove in autunno per scrivere nuovi pezzi.

Non deve essere semplice mantenere una certa ironia e allo stesso tempo essere presi sul serio, in Italia non ci sono tantissime band che propongono ancora questo tipo di rock, allo stesso tempo abbiamo l’esempio degli Skiantos che sono un monumento alla quale anche uno come Iggy Pop ne ha ricordato la grandezza, quali sono le vostre influenze?
Le influenze sono tante e variano per ogni elemento del gruppo, cerchiamo di miscelare assieme e di farci uscire qualcosa che ci convince: queste sono Le Zoccole Misterose.

Migraine – Puglia rocks

Anticipato dall’uscita del singolo “Fentanyl”, è da poco fuori l’omonimo EP d’esordio del power trio alternative rock pugliese Migraine, edito per l’etichetta Dirty Brown Records / Doppio Clic Promotions. Sette tracce da ascoltare tutte d’un fiato, granitiche e melodiche allo stesso tempo, per un sound che potrebbe far gioire i fan di Royal Blood, Q.O.T.S.A. e del Seattle sound anni novanta.

Ciao ragazzi, benvenuti su Il Raglio del Mulo. Il vostro EP d’esordio è uscito da qualche mese, com’è stato accolto dalla stampa specializzata?
Ciao a voi ragazzi e grazie per averci accolti su Il Raglio del Mulo. Beh direi molto bene abbiamo ricevuto degli ottimi apprezzamenti, Rockit diceva: nonostante i forti richiami alla tradizione passata del rock, i Migraine riescono nel difficile compito di conferire energica vitalità al proprio sound. Questo ci piace molto perché è inutile girarci intorno, bisogna fare tesoro del passato! Il nostro obiettivo è quello di dare la giusta vitalità al nostro sound, e su quello ci lavoriamo abbastanza.

Sei tracce molto “catchy” più uno strumentale, la vostra non è certo una proposta alla moda, da dove trovate l’ispirazione per il sound dei Migraine?
Magari la nostra proposta fosse alla moda, di sicuro esisterebbero un sacco di realtà stimolanti con tanta buona musica da ascoltare. Come troviamo la nostra ispirazione? Bella domanda. Volete entrare nell’intimo? Non ve lo diremo mai… ah ah ah! Il nostro sound vien fuori dalle diverse esperienze musicali che ogni uno di noi ha avuto in passato.

Ultimamente in Puglia troviamo diverse band che si affacciano allo stoner rock ed un certo tipo di sonorità legato ad un rock ruvido ma soprattutto autentico, c’è qualche band con cui condividete lo stesso percorso?
Intanto ci fa molto piacere che nella nostra regione lo stoner rock stia prendendo piede. Siamo in buonissimi rapporti con i nostri amici Sound’s Bordeline di Fasano, anche loro power trio stoner/rock.

Personalmente adoro il formato power trio, c’è qualche band a cui vi siete ispirati magari con lo stesso tipo di formazione?
Assolutamente no, ci siamo ritrovati in tre, abbiamo fatto le prime prove poi è scattato l’amore. Le band che ci piacciono sono formate da più elementi e sicuramente al sound il quarto elemento darebbe quella spinta in più, ma a noi piace il trio ed è quello che poi ai live non ti aspetti che suoni così potente.

La provincia di Brindisi, da dove provenite è un po’ decentrata rispetto al resto della Puglia, com’è la situazione live da quelle parti? Ci sono spazi dove proporre roba interessante?
Abbiamo una domanda di riserva? Purtroppo no ragazzi, dalle nostre parti c’è una situazione imbarazzante per quanto riguarda i live. Per lo più le proposte nei locali sono di tribute band e ci siamo anche scassati parecchio di sentirle live ovunque.

Spulciando nella vostra pagina facebook ho notato anche delle versioni unplugged dei brani, avete proposto degli showcase anche in questa versione?
Per il momento no, ma stiamo valutando anche questo, e poi gli showcase unplugged hanno sempre il loro fascino.

Avremo modo di vedervi live questa estate?
Per il momento vi portiamo a conoscenza di alcuni live confermati, il 21 giugno suoneremo ad un secret show a San Vito dei Normanni, l’1 luglio parteciperemo alle selezioni provinciali per Arezzo Wave a Brindisi, il 7 luglio a San Giovanni Rotondo e sarà un’anteprima del Promontorio Music Fest, il 15 luglio all’arci Rubik di Guagnano e poi il 16 luglio saremo a Trani al Freakout Stoned Fest insieme agli Anuseye e The Apulian Blues Foundation. Ci farà piacere poi portarvi a conoscenza di live futuri, anzi se volete il nostro sound dalle vostre parti chiamateci pure.

Bodah – Nessun incubo per il Sole

“Nessun incubo per il sole” – uscito lo scorso 14 marzo per la ruspante label Trulletto Records – è l’album d’esordio di Bodah, nuovo progetto musicale pensato e incarnato dal pugliese Marco Meledandri – già con i PUS e attualmente con The Apulian Blues Foundation. L’intento di Bodah è quello di esplorare differenti territori musicali in cui la tradizione cantautoriale, la visceralità del blues, le reminiscenze heavy psych, stoner rock e l’attitudine post-grunge riescano a fondersi per mettere in scena un teatro popolato da spettri, streghe, rettili e altri simboli archetipici adatti a rappresentare le profondità più oscure dell’anima.

Ciao Marco, benvenuto su il Raglio del Mulo, da dove è nata l’idea del progetto Bodah?
Ciao a tutti! L’idea di Bodah è nata dall’esigenza di potermi concentrare su un progetto che fosse completamente svincolato da un discorso compositivo di band o di un preciso genere musicale, dandomi così l’opportunità di lavorare sulla musica che sentivo di scrivere, con tutte le libertà del caso.

C’è qualche assonanza o richiamo al Boddah amico immaginario di Kurt Cobain?
Certamente, il nome è ispirato proprio a questa figura, una sorta di alter ego immaginario. La dualità è il campo che fa da sfondo all’idea dell’intero progetto, dove aspetti contrastanti convergono dando vita a un’unica creatura multiforme.


Parlami un po’ dei musicisti coinvolti nel progetto, è un vero e proprio collettivo del meglio della scena alternativa pugliese..
Vero! Per cominciare vorrei presentare la line up con cui suono dal vivo: alle chitarre suonate con lo slide (ma non solo) c’è Giovanni Valentino (che ha registrato anche nel disco) nonché fondatore della band The Apulian Blues Foundation, alla batteria Marialessia Dell’Acqua, che ha ripreso le voci durante le registrazioni di “Nessun incubo per il sole”  ed è da poco rientrata da Londra dopo la lunga militanza nei Dead Coast, al basso Lelio Mulas e alle tastiere Antonello Arciuli (già tastierista per Averla Piccola e compositore di colonne sonore). Nel disco ho avuto il piacere di ospitare anche altri amici: Giovanni Todisco (La Confraternita del Purgatorio, Trrrma) che ha registrato le batterie, Daniele Strippoli, Matteo Palieri e Fabrizio Pastore (anche regista di due dei tre videoclip che abbiam girato) alle tastiere e ai synth, Francesco “Klot” Valentino (Cantarella) per il mitico fischio western, Giò Sada per le backing vocals su “Nel giorno del sabba” e Dario Tatoli, che ha ripreso le batterie presso il REH studio del MAT – Laboratorio Urbano di Terlizzi (BA) ma anche mixato e masterizzato il disco.


Ho trovato il tuo album molto legato al territorio, quel suono desertico psichedelico ma allo stesso tempo cantautorale mi ha fatto venire in mente la Murgia, cosa significa per te vivere in Puglia e se questo ha influenzato la tua scrittura?
Assolutamente sì! Sento un forte legame con i luoghi in cui sono cresciuto, in particolare con la Murgia (specie quella dell’entroterra barese), un paesaggio che ha certamente contaminato i miei occhi e la mia mente, direi addirittura suggestionato. E’ una terra antica, misteriosa e che possiede qualcosa di incredibilmente magnetico.

L’album è uscito per la Trulletto Records, una delle realtà pugliesi più importanti a livello discografico, c’è qualche collega/amico del rooster che apprezzi particolarmente?
Di sicuro la Trulletto Records è un nido per artisti molto validi, sento tuttavia di voler citare in particolare Autune, compositore singolare e dalle risorse e soluzioni creative senza dubbio interessanti.

Quali sono le tue principali influenze musicali?
Molta musica appartenuta alla prima metà del ‘900 con annessa la coda dei ’60 e ’70 (con un particolare sguardo al rock e i suoi derivati), lo stoner del periodo in cui probabilmente questo termine non indicava un genere musicale, un po’ di cantautorato classico italiano e non.


Parlami un po’ dell’altra tua band, gli Apulian Blues Foundation, una band ormai in giro da un bel po’ di tempo, come cambia l’approccio nella scrittura visto che con loro la lingua prevalente è l’inglese e nel progetto Bodah è l’italiano?

Bè, The Apulian Blues Foundation, come ho già detto, è un progetto fondato da Vanni (Giovanni Valentino) con ragazzi che non sono nell’attuale line up, di cui invece facciamo parte io come bassista e Cosimo Armenio come batterista. Il repertorio è composto di vecchi blues o spiritual rivisitati e brani completamente inediti, un lavoro di scrittura compiuto precedentemente all’ingresso mio e di Cosimo nel gruppo. Attualmente siamo a lavoro insieme su del nuovo materiale ma di sicuro la scrittura dei testi al momento è prevalentemente affidata a Vanni, per cui in realtà non mi ritrovo a dover “splittare” fra due lingue come autore.

Avete presentato dal vivo l’album a Bari qualche giorno fa, com’è andata? Ci sono in programma altre date live?
Sì, è stata una serata sensazionale! Siamo stati davvero molto contenti di poter finalmente portare dal vivo il disco e la risposta di chi era presente è stata meravigliosa, poi Prinz Zaum è un luogo magico! In programma c’è la volontà di suonare dal vivo altrove ma al momento non posso anticipare nulla, seguendo i nostri profili sui social è però possibile essere aggiornati.

Alice Tambourine Lover – Dreams & roots

Aria di novità in casa Alice Tambourine Lover – veterani della scena psych/stoner già con gli storici Alix – con un singolo per la prima volta cantato in italiano “Forse Non Sei Tu” ed un linguaggio sognante da qualche parte tra Yo La Tengo e Cranes, su un testo del cantautore ligure Vittorio Carniglia. Il lato B è una reinterpretazione di “Vorrei Incontrarti”, uno dei capolavori dell’Alan Sorrenti progressivo, qui servito in una zuppa blues folk che ne insaporisce il gusto. Il singolo, come tutte le release del duo, è edito in formato vinile 7 pollici dalla Go Down Records (All Noir).

Ciao ragazzi bentrovati! Non è la prima volta che ho modo di intervistarvi (l’ultima volta è stato ai tempi del vostro terzo disco Like a Rose), come mai questo Ep di due brani in Italiano? Se non erro è la prima volta per Alice Tambourine Lover in lingua madre...
(Alice/Gianfranco): Ciao Paolo, bentrovato a te. (Gianfranco): Hai detto bene, per gli Alice Tambourine Lover è la prima volta che proponiamo dei brani in italiano, ma non è la prima volta per Alice. Con gli Alix l’abbiamo sperimentato varie volte inserendo l’italiano in quasi tutte le nostre produzioni. All’epoca abbiamo musicato anche due inediti di Stefano Benni e abbiamo inciso “Nessun Brivido” (un EP tutto in italiano, uscito per la Edgard).
(Alice): Per quanto riguarda “Forse Non Sei Tu” e “Vorrei Incontrarti” è una lunga storia fatta di coincidenze, di incontri e di addii. Diciamo che il progetto è partito da una cena col nostro amico cantautore Vittorio Carniglia che ci ha fatto ascoltare alcuni suoi brani in erba, registrati al volo, voce e chitarra. In quell’occasione mi sono innamorata di “Forse Non Sei Tu”. Il bisogno però di arrangiarlo e registrarlo è coinciso con la perdita di mio padre, avvenuta nel 2019, il testo me lo ricordava e l’arrangiamento mi ha portato ad esplorare le emozioni più profonde tra le crepe dell’anima. Con “Vorrei Incontrarti” abbiamo chiuso il cerchio dando vita al 7 pollici. Per portare a termine questi due brani ci sono voluti due anni. La prima e sostanziosa parte l’abbiamo registrata a Febbraio del 2020 da Luca Tacconi del “Sotto il Mare Recording Studios”, poi è arrivato il Covid e alcune sovraincisioni le abbiamo dovute fare in un secondo momento, per poi ultimarlo nel 2021.

Dobbiamo aspettarci un album interamente in italiano o è solo un esperimento temporaneo?(Gianfranco): Ci piacerebbe, se non tutto in italiano, quasi.

Come mai avete scelto di riproporre un brano del primo Alan Sorrenti? E’ noto che le sue prime uscite sono molto apprezzate dagli appassionati di prog rock ma immagino che abbiate fatto delle scelte, raccontatemi un po’ com’è andata?
(Alice): “Vorrei Incontrarti” l’ho scoperto mentre cercavo dei brani da proporre ai miei allievi di canto. L’idea era di lavorare con loro su dei brani rappresentativi della scena prog rock italiana degli anni 70, tipo “Non Mi Rompete” del Banco del Mutuo Soccorso, “Vendo Casa” dei Formula Tre, “Pugni Chiusi” dei Ribelli e altre perle che hanno in parte contribuito alla colonna sonora della mia adolescenza, dico in parte, perché all’epoca personalmente ascoltavo più musica inglese e americana. E’ stato per merito di questa ricerca che ho scoperto “Vorrei Incontrarti” tratto dall’album “Aria”, un gioiello della musica italiana di quei tempi che non conoscevo, ed è stata talmente una splendida sorpresa che ho pensato insieme a Gianfranco di riproporlo.

Avete in programma nuove uscite a breve? 
(Gianfranco): Stiamo lavorando ai nuovi brani, ma ancora siamo in alto mare per pensare di incidere un nuovo album.

Siete una band che si è sempre vista molto in giro, come avete passato il periodo di isolamento musicale e non solo? 
(Gianfranco): E’ stata dura e lo è tuttora, si suona meno. Ne abbiamo approfittato per scrivere e progettare altro.

Quanto è importante per voi la psichedelia? Parlatemi un po’ delle vostre passioni musicali.(Gianfranco/Alice): La psichedelia e il blues fanno parte della nostra quotidianità. E’ un filtro da cui passano le emozioni, i sentimenti, non solo riguardo la musica ma in generale è un approccio alla vita. L’eredità bella degli anni 60 e 70 che ci portiamo dentro. Siamo entrambi cresciuti addormentandoci con le cassette e i vinili che continuavano ad andare: C.S.N.Y., Hendrix, Led Zeppelin, Dylan, Beatles, J.L. Hooker, li abbiamo inconsciamente metabolizzati e ritrovati in moltissimi gruppi e personaggi che continuiamo ad ascoltare: Kyuss, Mark Lanegan, Duke Garwood, Tinariwen, ecc.

Con la mitica Go Down records avete un sodalizio ormai decennale, avete mai pensato di portare la vostra proposta oltre confine?
(Alice/Gianfranco): Siamo stati tra le prime band a far parte della Go Down Records, prima con gli Alix e poi con ATL. Abbiamo un rapporto di amicizia che ormai va avanti da parecchi anni, si può dire che siamo cresciuti insieme e ormai non abbiamo più bisogno neanche di contrattare le uscite perché sappiamo come funziona per entrambi. Siamo distribuiti anche all’estero, abbiamo girato l’Europa, ci siamo tolti qualche soddisfazione e (nel nostro piccolo) continuiamo a ricevere feedback positivi da tutto il mondo, anche cantando in italiano e questo ci da la carica per andare avanti. 

Spulciando sui social network mi è capitato di vedere alcune foto in studio, arriverà un nuovo disco degli Alix a breve?
(Alice): Ebbene sì! Sinceramente anche questa è una storia lunga. Dopo l’ultimo concerto insieme che risale al 2012, quando invitati dagli Shellac suonammo all’All Tomorrow’s Parties in Inghilterra, ci siamo fermati. Pippo si è trasferito definitivamente a Londra e Andrea in Sicilia. Sono passati alcuni anni e durante una giornata di pulizie intense a casa, quelle pulizie che fai appunto ogni 10 anni, ho trovato delle vecchie cassette dove c’erano registrate le prove in saletta degli Alix; solitamente registravamo anche al computer ma le cassette le preferivo, mi servivano per lavorare a casa con i testi. Mi sono persa ad ascoltare tutto il materiale, brani finiti che non avevamo mai registrato, alcuni non me li ricordavo neanche. Così ho proposto ai ragazzi di riprenderli a mano aggiungendoli a dei brani nuovi che avevamo pronti e così è stato. Ci siamo trovati a Bologna per le prove e in una settimana abbiamo sistemato le stesure. Ci siamo rivisti un’altra volta per arrangiare le ultime cose e poi anche per gli Alix è arrivato il Covid e tutto si è fermato. Adesso l’album è quasi finito, abbiamo registrato 8 brani sempre da Luca Tacconi “Sotto il Mare Recording Studios”, in questi giorni sto registrando le voci e se tutto va bene l’album uscirà entro l’estate o al massimo il prossimo autunno.

Del Norte – Lo/Fi for life

Da poco fuori con il primo full length autoprodotto, i Del Norte sono tra le proposte più interessanti nell’ambito della scena indipendente tricolore. Alternative noise rock di matrice 90’s che trae ispirazione dai riffoni di Nirvana e Dinosaur Jr e dalle melodie di Wavves, con un forte accento sulla componente fuzz e lo-fi. “I Was Badger Than This” è il titolo del loro esordio sulla lunga distanza presentato dalla Doppio Clic Promotions.

Benvenuti su Il Raglio Del Mulo ragazzi, ho molto apprezzato il vostro primo album “I Was Badger Than This” che ho trovato molto in controtendenza rispetto alla maggior parte della roba che si sente in giro, mi raccontate come nasce il sound dei Del Norte?
Ci fa molto piacere! In verità la band parte come power trio con un’attitudine noise / lo-fi abbastanza classica, quindi un sound derivativo che si ispirava comunque a band più recenti, come gli Wavves. Gabba, prima di ogni prova,  ha sempre proposto un sacco di idee di pezzi registrandoli direttamente in casa, con questi suoni lo-fi potenti e sporchi, ma con quel tocco di digitale che li rendeva più eterei. Andando avanti a provarli e suonarli ci siamo accorti che quel sound casalingo ci piaceva un sacco e funzionava veramente con le nostre orecchie, quindi abbiamo deciso di produrre un disco che potesse dare le stesse nostre sensazioni, e ci volevano proprio quei suoni.

Dalle note stampa leggo che avete scelto di registrare tutto da soli –  a parte la batteria – scegliendo volutamente un suono lo/fi ma soprattutto digitale, cosa è cambiato rispetto al vostro Ep del 2017?
Per il primo EP l’intenzione era proprio quella di tirare fuori un suono che ricordasse lo stile grezzo dei Dinosaur Jr e Sebadoh ed è stato un approccio quasi totalmente analogico, dai microfoni vecchi di 50-60 anni al passaggio finale su bobina; per quanto riuscito però mancava qualcosa di più originale, e ispirandoci appunto alle “registrazioni casalinghe” abbiamo fatto le prese di chitarra e basso direttamente da pedaliera a scheda audio, andando a miscelare effetti per renderli più vicini possibile alla nostra idea; le batterie avevano necessità di avere delle prese pulite e fatte bene, ritoccando i suoni eventualmente dopo, da qui la scelta di registrarla in studio, scelta opposta delle voci che sono state letteralmente registrate con il microfono integrato del mcbook (ci piaceva troppo). Per non fare un disastro nelle fasi più delicate ci siamo affidati alle mani e orecchie di Michele Conti al mix e mastering che, capendo da principio la nostra idea, è riuscito a  perfezionare il tutto con la sua esperienza, come la scelta del chitarrone mono al posto della classica doppia presa in stereo, che ha dato una grinta unica al posto del solito suono prodotto “a puntino”.

Le vostre influenze pescano soprattutto da un certo noise/rock figlio dei Dinosaur Jr e dei Nirvana più deviati, ma avete anche altre influenze che non si percepiscono dall’ascolto del disco?
Per non fare appunto i “soliti nomi” possiamo citare sicuramente i primi Flaming Lips (pre-Soft Bullettin), Motorpsycho, Pixies, Verdena, Weezer, Grandaddy, American Football, Camper Van Beethoven, Fugazi, Beastie Boys, John Frusciante, e il nostro preferito: Jimi Hendrix.

Ci sono delle band con cui sentite di avere uno spirito affine?
Per attitudine e stile sicuramente ci siamo molto vicini ai Pavement come gruppo storico, mentre per citare un gruppo più contemporaneo potremmo dire gli Wavves; come gruppo italiano invece i nostri concittadini Soria, che salutiamo!

Il vostro album è disponibile in digitale su Bandcamp e lo avete stampato in musicassetta, una formato che ultimamente sta riprendendo piede, mi volete parlare del perché di questa scelta?
Abbiamo notato che quasi tutti avevano ascoltato l’EP da supporti digitali, scaricato in mp3, da Spotify o da Youtube, anche chi lo possedeva già fisicamente, e, al posto di stampare le solite centinaia di copie masterglass in CD, abbiamo preferito dare un supporto più particolare e caratteristico per il nuovo album. Visti i costi e tempi assurdi per i vinili ci siamo buttati solamente sulle cassette, per rimanere anche più coerenti al periodo storico a cui ci ispiriamo; e poi a dirla tutta l’idea di mettere una produzione così digitale su nastro ci faceva ridere.

Come si vive a Pesaro? A parte il periodo difficile per la musica dal vivo, riuscite ad esibirvi dal vivo con frequenza? 
La cosa assurda della nostra zona è che, per una scena così prolifica, la proposta live nei locali è veramente limitata, specialmente in inverno; per fortuna in estate ci sono diverse iniziative che offrono anche tanta qualità. Purtroppo  sono scomparse diverse bellissime realtà, anche ben strutturate, ben prima del 2020, dovendo fare i conti con tutte quelle che sono le difficoltà del caso (sempre maggiori).  Noi “pesiamo” parecchio le date, anche troppo, ed’è sicuramente ora che torniamo a fare casino sui palchi più spesso.

Raccontatemi uno degli aneddoti più curiosi che vi è capitato suonando in giro come band.
Questa è sicuramente la più divertente, anche se non è qualcosa di cui andare troppo fieri: eravamo primi in scaletta nel palco secondario di un festival e abbiamo iniziato come da programma a suonare in pieno pomeriggio; intanto nel main stage c’erano ancora Blixa Bargeld e Teho Teardo che non avevano finito i suoni della loro sezione archi, erano molto arrabbiati, e volevano le nostre teste.

Per il futuro avete intenzione di mantenere la vostra etica del Do it Yourself o magari farvi affiancare da qualche etichetta?
Mettiamola così: siamo felicemente single ma se qualcuno si mostra interessato possiamo uscire e vedere come va!


Underworld Vampires – Mondi paralleli

“Mondo Parallelo” (Doppio Click Promotions) è l’esordio sulla lunga distanza della rock band pugliese Underworld Vampires tra reminiscenze wave, incursioni elettroniche e un notevole gusto pop per le melodie, il tutto cantato rigorosamente in italiano. In attività dal 2018 come duo e dopo svariate demo pubblicate su YouTube, nel Maggio 2020 la band si completa e pubblica la cover “Big Sleep” dei Simple Minds, ricevendo pubblicamente i complimenti della band scozzese. Un viaggio sonoro che si è concretizzato in un album – anticipato dai singoli “Orso Bruno” e “Foskia” – la cui genesi ci è stata raccontata dal trio stresso.

Ciao ragazzi e benvenuti su Il Raglio del Mulo, è da pochissimi giorni uscito il vostro primo album “Mondo Parallelo”, che riscontri sta avendo? Ne siete soddisfatti?
Nicola: Si, siamo molto soddisfatti, i riscontri sono più che positivi, le recensioni accattivanti, i paragoni con altre band importanti sono davvero sorprendenti! 

Com’è nato il progetto Underworld Vampires?
Nicola: Il progetto è nato come una sfida creativa, come un gioco che si è poi evoluto col passare del tempo (2 anni). Le canzoni sono nate nottetempo, a Venezia dove vivo…  inizialmente erano  versi, poi nei giorni successivi si trasformavano in melodie che registravo con lo smartphone rigorosamente all’alba, e le inviavo quindi a Mimmo (Domenico Capobianco), che invece vive in Puglia, il quale incuriosito e divertito dalle melodie pop malinconiche e darkeggianti ha iniziato a cucirci addosso degli arrangiamenti, con il suo computer, mentre era in viaggio.
Mimmo:
Sì, è stata una sfida molto originale, per entrambi: per Nicola perché non scriveva versi da quando era bambino, e per me perché non mi era mai capitato di comporre musica partendo da una melodia vocale, cantata tra l’altro in italiano (altro elemento di novità per due appassionati come noi prevalentemente di musica anglofona). Le melodie erano così naturalmente pop che è stato necessario creare un “ponte” per collegarle al nostro DNA più legato al rock elettronico e alla new wave.
Nicola: Che bei ricordi! E’ nato un ping pong di demo inviati via whatsapp tra Venezia e Capurso (Puglia), dove vive Mimmo, le canzoni sembrano incredibilmente avere un senso sin da subito… Mimmo ha dato una impronta “elettrodark” al sound, e io da buon nottambulo, vampiro e insonne non chiedevo di meglio! Abbiamo iniziato così a “vampirizzare” le diverse idee melodie e liriche che nascevano.
Mimmo: Abbiamo così iniziato a condividere le prime demo, fatte tutte rigorosamente in casa, e l’opportunità poi di farle diventare un vero e proprio disco registrato in studio ha fatto il resto e ci ha fatto conoscere il terzo vampiro, Francesco Valentino detto Pra, fonico e produttore di altri artisti pugliesi a noi cari come Stain e Matteo Palermo. Pra viene dal rock più prog, una decade e passa più giovane di noi, oltre ad essere anche un cantante eccezionale che ha portato quella carica di aggressività e potenza che serviva per completare il nostro sound. Ci è venuto naturale accoglierlo come terzo membro della band. E poi abbiamo lavorato nel suo Asylum studio, un luogo davvero fantastico!

Di base siete un trio ma il vostro è un collettivo molto aperto, in che maniera scegliete le collaborazioni e i musicisti da coinvolgere?
Nicola: Il nostro è stato una sorta di patto di sangue in musica tra differenti generazioni, a partire dagli adolescenti sino ai più “grandi”, gli estimatori delle sonorità new wave anni 80 per intenderci… di questo siamo più che felici! Forse il concetto di vampiro sta proprio in questo “succhiare il sangue” ad altri artisti diversi da noi, per restare creativamente giovani e vivere musicalmente la contemporaneità. Trarre forza dalle loro tendenze musicali, dai loro suoni  e nello stesso tempo dare loro la possibilità di conoscere meglio le nostre esperienze, le nostre origini. Siamo riusciti a coinvolgere anche un baby vampire che ha dato pregio al nostro lavoro con un’ intensa take di rime nel “Brano Six Falling Stars”, Morash artista di soli 18 anni appena compiuti al momento in cui ha realizzato la parte rap in italiano in quel brano! E poi i giovanissimi ma ormai affermati Stain hanno collaborato al nostro disco ed anche artisti solidi  e d’esperienza come Matteo Palermo che ha registrato le chitarre e due vocalists d’eccezione, ineguagliabili come Giuliana Spanò (Immobili, Angelo Strano Six Falling Stars) e Raffaella Distaso (Foskia, Orso Bruno, Mondo Parallelo).

A parte un brano in lingua inglese, il vostro sound riporta a un certo tipo di sonorità italiche di fine anni 90 – penso ai primi Subsonica ma anche al Battiato più elettro-rock – che a loro volta si rifacevano a un certo tipo di wave d’oltremanica in voga negli anni 80, quali sono le vostre maggiori influenze?
Mimmo: In realtà tutte queste influenze non le abbiamo mai pienamente percepite prima di leggere le varie recensioni. Ma ne siamo davvero orgogliosi, le influenze non vanno negate, noi siamo quello che ascoltiamo, direbbe qualcuno, e per forza di cose ti rimane dentro un’attitudine che viene assorbita e si trasforma in qualcosa di nuovo. Sicuramente nei nostri ascolti di musica italiana ci sono Battiato e Subsonica, ma anche CSI, Baustelle, Afterhours, per citarne solo alcuni, portando un profondo rispetto a tutti loro. Sul fronte straniero poi abbiamo l’imbarazzo della scelta… siamo cresciuti negli 80 a pane e Simple Minds, Depeche Mode, Cure, Cult, poi nei 90 con Nirvana, Pearl Jam, fino ad arrivare a Radiohead, Nine Inch Nails, e più recentemente Editors, Killers, Interpol, Arcade Fire. Il bello è che tutti questi artisti rimandano a loro volta a dei “capostipiti” come Ktraftwerk per la parte elettronica, David Bowie per la parte più “glam” e Joy Division per le atmosfere dark più “tese”. E’ un flusso circolare che si arricchisce sempre con qualcosa di nuovo col passare del tempo e non si fermerà mai.

Nel vostro immaginario vi rifate ad un mondo parallelo, sotterraneo, come nascono le liriche dei vostri brani?
Nicola: Il termine Underworld presente nel nome della band o il concetto di “Mondo Parallelo” che traspare spontaneamente nei testi del nostro disco, sono temi astratti, ampi, onirici, ma allo stesso tempo hanno una semantica fortemente “terrena”, più che di fuga dalla realtà. Il “mondo altro” è forse  uno sprono a vivere con un approccio metafisico e metaforico nel mondo di ogni giorno. Un invito ad  interiorizzare la vita, a personalizzarla senza stereotipi a guardare oltre le cose tangibili, ad affrontarla consapevoli degli “assurdi”,  dei “controsensi”, dei “colpi di scena” a cui andiamo incontro, gli stessi che sono dentro di noi e che noi stessi possiamo generare. Realtà e realtà immaginifica possono coincidere, nel bene e nel male, sta a noi porci nel punto focale perché ciò avvenga. “Mondo Parallelo” è dunque una chiave di lettura del mondo reale, negativa o positiva dipende da noi. Potremmo definirlo un disco “di acqua” , l’acqua è l’elemento più presente nei brani (forse per influenze lagunari) . L’acqua può essere sogno e metafora della vita come il fiume che ci porta via, inesorabilmente verso “la fine” in “Distrazioni H2O”, ma poi (colpo di scena) torna indietro  verso la sorgente! L’acqua stessa è oggettivamente vita! Surreale e reale sono indivisibili, tutto è  possibile nel mondo di ogni giorno… nel “Mondo Parallelo”.

In che maniera siete supportati da Puglia Sounds? Sembra che in Puglia ci sia un’isola felice dove tanti progetti come il vostro vengono seguiti e in un certo senso avviati al mondo discografico.
Mimmo: Negli ultimi anni abbiamo sempre più apprezzato il modo in cui Puglia Sounds ha iniziato a realizzare contenitori dedicati alle arti che gravitano attorno alla musica (Medimex) oltre a creare opportunità per i musicisti stessi (Bandi Records, Live, etc), sempre in maniera molto radicata con il territorio in cui viviamo. Il nostro è stato uno tra gli oltre 300 progetti che hanno visto la luce quest’anno grazie all’intervento di Puglia Sounds ed è stato attivato attraverso un bando pubblico, con tanto di requisiti giustamente piuttosto stringenti, legati alla realizzazione e alla promozione del progetto musicale stesso. Produrre professionalmente un album con 8-10 canzoni non è una passeggiata, e richiede una coerenza artistica e concettuale che coinvolge diverse professionalità che vanno valorizzate alla stregua del miglior artigiano. E di queste eccellenze ne abbiamo tantissime in Puglia.

Non ho potuto fare a meno di notare tra i ringraziamenti nel booklet del disco un nome importante come quello di Jim Kerr (voce dei Simple Minds), raccontatemi un po’ di questo vostro importante “sponsor”, so che loro hanno molto apprezzato anche una cover che avete pubblicato tempo fa.
Nicola: Sia io che Mimmo, siamo sempre stati dei fans storici dei Simple Minds: la sperimentazione dei primi album, i suoni di synth e chitarra così osmoticamente miscelati, al punto che diventava difficile distinguerli, uniti alla voce e al carisma del cantante storico Jim Kerr e ad una sezione ritmica superlativa ci hanno sempre coinvolto molto. Non a caso le nostre “testimonianze” sono state pubblicate nel libro dei Simple Minds Heart of Crowd,”. Jim è una persona affabile e disponibile nei confronti di tutti i suoi fans. Questo  ha dato la possibilità ai Vampiri di inviargli la cover di un loro classico (ma non troppo) “Big Sleep”,  durante il primo lock down. Jim ha apprezzato molto il brano e lo ha pubblicato sulla pagina FB social dei Simple Minds plaudendo al coraggio avuto nel reinterpretare quel pezzo, stravolgendone la forma. Per noi UV è stata una soddisfazione indescrivibile, ci ha caricati molto, ci dato l’entusiasmo per portare in studio il nostro progetto. 

Ho avuto modo di apprezzarvi in un live streaming al Medimex, avremo modo di vedervi in giro dal Vivo per la promozione del disco? 
Nicola: Portare a casa quel primo  live di 20 minuti per noi è stato molto importante per acquisire consapevolezza e identità come live-band, in quanto era la prima volta che ci esibivamo tutti insieme suonando quei pezzi. Ma è stato soprattutto un grande divertimento tra amici! E’ nato tutto per gioco e per amicizia, la passione ed episodi inaspettati ci hanno indotti a continuare sino al release dell’album. Una cosa è certa: continueremo a divertirci, con la scrittura e la creazione di nuovi brani in studio. Confessiamo che il richiamo del “mondo altro” del live  è forte, soprattutto dopo questa prima entusiasmante esperienza Medimex. E i Vampiri sono sempre  attratti dai “i mondi paralleli”!

Opium/Absinth – L’oppio e l’assenzio

“Nullified Thoughts” è l’EP d’esordio degli Opium/Absinth, power duo piemontese capitanato da Maurizio Cervella (basso e voce) e Mattia Fenoglio (percussioni). Cinque tracce di violentissimo noise/sludge con tendenze grind, ispirate ai grandi maestri del genere come Eyehategod , Unsane e Today Is The Day. Il primo lavoro discografico degli Opium/Absinth è uscito nell’estate del 2021 co-prodotto dalle label indipendenti Vollmer Industries, Brigante Records & Productions, Longrail Records e Tadca Records ed è promosso dalla Doppio Clic Promotions.

Salve ragazzi il vostro Ep d’esordio, uscito ormai da qualche mese, è davvero un crudele pugno nello stomaco. Come sta andando?
Salve a voi e grazie per questa possibilità di fare quattro chiacchiere. Il nostro EP “Nullified Thoughts” è uscito appunto il 14 luglio e i risultati sono per ora molto incoraggianti. Su YouTube ha superato le 1600 visualizzazioni (canale 666MrDoom) e abbiamo avuto molti ascolti e download su Bandcamp. La prima edizione limitata di CD è andata sold out molto in fretta, il che è appagante. A breve uscirà la ristampa ed anche il formato musicassetta. Siamo riusciti a suonarlo dal vivo in tre concerti, che ci hanno fatto sentire nuovamente l’emozione del palco, di cui eravamo stati privati in questi mesi difficili.

Com’è cambiato il vostro approccio musicale rispetto ai demo del 2018?
Il metodo è semplicemente migliorato, l’essenziale è trovarsi in sala prove e definire il riff, oppure la ritmica che ci ispira, costruendo un brano strutturato intorno ad essa. Anche il comparto bassistico è mutato, avendo più possibilità di effetti, gli stimoli creativi aumentano. Rispetto agli inizi stiamo usando anche di più la voce nella costruzione del pezzo.

Non è semplice suonare noise/sludge/grind in duo, come mai questa scelta?
Ci siamo formati nel 2017, grazie ad un’affinità negli ascolti, che nei centri provinciali da cui proveniamo non è così scontata. Inizialmente si suonava buttando giù idee e provando i suoni in modo da ottenere un risultato il più aggressivo possibile. Col tempo abbiamo iniziato a costruire un repertorio abbastanza collaudato. L’idea, allora, era di trovare un terzo elemento in modo da aumentare il “volume” d’aria e incrementare la varietà dei brani; dopo alcune prove con altri elementi, la scelta fu quella di rimanere comunque in due, dato il feeling creativo, nonché personale tra di noi. Il vantaggio inoltre del duo è che ti permette di velocizzare parecchio i tempi, a patto che ci sia c’è una buona coesione tra i membri.

Il vostro disco è frutto di una joint venture di quattro differenti etichette, come siete arrivati a questa produzione?
Le quattro etichette che ci hanno aiutato nella coproduzione (Vollmer Industries, Brigante Records and Production, Longrail Records e TADCA Records) sono ormai capi saldi nella provincia e hanno prodotto molte bands di ottimo livello, riuscendo a districarsi bene anche negli ambienti internazionali. Il nostro EP è piaciuto ed è nata quindi una volontà reciproca di collaborazione. Uno speciale ringraziamento anche a Doppio Clic promotion per l’attenzione al nostro release.

Quali sono le vostre influenze, se ne avete?
In realtà abbiamo molte influenze personali e comuni. Sicuramente il noise rock americano degli anni 90 (Unsane, Helmet, Today is the Day), il death metal (Entombed, Obituary), lo sludge metal (Eyehategod, Meth Drinker, Boris) e ovviamente lo stoner doom metal (Sleep, Electric Wizard, Bongzilla, Weedeater).

Avete qualche band con cui c’è qualche affinità?
Certamente, ci sono molte bands nella scena con cui abbiamo un bel rapporto di amicizia e collaborazione, tra cui Cani Sciorrí, Ape Unit, La Makabra Moka, Flying Disk, Nitrito, Occhi Pesti, Space Paranoids, RiceXfilth. Fuori dai confini regionali Sator (GE), Carcharodon (SV), Evil Cosby (MI), Elastic Riot (BG), Fuzz Populi (RM) e Beesus (RM). All’estero, i nostri amici Llord (Spagna, con cui abbiamo uno split in arrivo), i Kalte Sonne (Spagna) e Gavial Haze (Svizzera). Ci riteniamo molto fortunati ad aver sviluppato dei rapporti così uniti grazie alla musica.

Mi ha abbastanza incuriosito il nome della band, come vi è venuto in mente?
Il nome è nato nelle fasi iniziali del gruppo. L’oppio e l’assenzio in Europa, durante  l‘800, erano l’accoppiata narcotico/sedativa per eccellenza, portata in auge da molti poeti dell’epoca, in primis Charles Baudelaire, che li esaltava in molti suoi scritti. L’alone di mistero che ne deriva ci affascina molto e da qui è nata l’idea, che ben si abbina con le nostre tematiche, prevalentemente oscure.

Avremo modo di vedervi dal vivo? Qualche festival oltre confine?
Siamo molto felici di essere riusciti a tornare sul palco dopo diversi mesi di chiusure, che purtroppo conosciamo tutti. Ovviamente i concerti fatti non ci bastano, abbiamo bisogno di novità. La situazione è ancora incerta e quindi ci vorrà ancora tempo prima di tornare alla normalità. Siamo molto fiduciosi in ogni caso! Sicuramente consiglio a tutti di seguirci sui canali social, le news non tarderanno ad arrivare.

Stefano Panunzi – Oltre l’illusione

“Beyond the Illusion” è il nuovo lavoro del tastierista Stefano Panunzi, musicista romano attivo in proprio ormai da più di un decennio. Nel suo terzo album solista (distribuito da Burning Shed / Metaversus PR) è accompagnato da artisti di fama internazionale tra cui spiccano i nomi di Tim Bowness (No-Man) e Gavin Harrison (Porcupine Tree, King Crimson e tanti altri). “Beyond the Illusion” è un collage lunatico di influenze progressive: un’opera che affonda le sue radici tra l’art rock (con una dedica al compianto Mick Karn dei Japan che suonò nei primi due album solisti di Panunzi), l’ambient jazz e l’alternative rock.

Salve Stefano, i miei complimenti per il tuo nuovo disco. In “Beyond the Illusion” sei circondato da numerosi – e direi prestigiosi – ospiti, è stato difficile riuscire a coinvolgerli e soprattutto a coordinare il tutto nella lavorazione dell’album?
Non ho avuto difficoltà a coinvolgere gli artisti presenti nell’album, anzi, devo dire che c’è stata una bella coesione e un grande entusiasmo da parte loro. Inizialmente pensavo che Tim Bowness potesse cantare in tutti i brani scritti in forma canzone, ma per una serie di sue ragioni personali, alla fine, ha cantato solo su “I Go Deeper” però mi ha proposto alcuni cantanti in alternativa, tra cui Grice, che contattato, ha aderito al mio progetto e alla scrittura di tre tracce. A parte Grice, conoscenza dell’ultimo momento, tutti gli artisti partecipanti sono conoscenze di lunga data, Tim Bowness e Gavin Harrison, tanto per citarne un paio, appaiono già sui miei album dal 2005!

Ho trovato molte affinità nel sound con i primi lavori dei Porcupine Tree (soprattutto nei brani strumentali) e No Man, quali sono le tue influenze?
Probabilmente ci sono atmosfere dei Porcupine Tree, nelle quali mi ci ritrovo, ma non ho mai pensato a loro quando le ho composte, ci sono delle strade che si intraprendono, e che in molti prendiamo perché è il genere che ci piace, è l’uso degli strumenti e delle ritmiche che ci esaltano, che ci intrigano, a volte si creano delle somiglianze, a volte no. Se somiglianze ci sono, sono casualità. Anche per quanto riguarda i No Man, ho letto un commento lasciatomi su YouTube in merito al video “The Portrait”, dove appunto si alludeva alla somiglianza con la band del duo Bowness/Wilson, ebbene, a me sembrano di più i Talk Talk!

Ci sarà modo – a emergenza pandemica conclusa – di vederti dal vivo magari accompagnato da qualche ospite del disco?
Non credo. Fino ad oggi, i miei progetti e i miei orientamenti sono stati rivolti solo alla realizzazione di album, e credo che questa sarà la strada anche per il futuro.

Nei tuoi lavori ci sono sia brani strumentali che cantati, è una decisione che prendi a priori quando componi un brano o è un qualcosa che viene sviluppato più avanti nella composizione?
La nascita di un brano strumentale o di una canzone non è sempre programmata, a volte è casuale. Parto con un’idea, una serie di accordi, una ritmica e pian piano che cresce realizzo se può tramutarsi in una canzone o rimanere strumentale, cerco di percepire il mood del fluido musicale, se l’atmosfera si adatta ad un cantante, se il giro d’accordi può essere funzionale ad un cantato, mi immagino un po’ il suo futuro…

Ho notato una particolare cura nelle grafiche (e nel packaging), ce ne vuoi parlare?
Trovo importante “incorniciare” le musiche e i testi in un packaging “giusto”, fatto di immagini, di colori e di trame grafiche adatte allo spirito e al sentimento dell’album. Per quanto riguarda “Beyond The Illusion”, ho avuto la collaborazione e il contributo artistico dell’inglese Stephen Dean Wells. Casualmente vidi delle elaborazioni grafico-digitali da lui fatte e mi impressionò perché rispecchiavano quel modo di vedere un po’ velato della realtà che sento mio, quella visione e percezione tra il sogno e la realtà. Mi piace quando l’arte è bellezza, non solo per la sua essenza, la sua intrinsecità, ma perché permette di aggiungere a chi la fruisce qualcosa di proprio, e apre porte su mondi infiniti di sensazioni e creatività.

La traccia “I Go Deeper” è cantata da Tim Bowness dei No Man, in che maniera sei venuto a contatto con lui e come mai la scelta di inserire il brano in versioni differenti dei vostri rispettivi album?
Conosco Tim da più di quindici anni, con lui ho avuto diverse collaborazioni, sia per i miei album come solista e sia per i progetti Fjieri, ma con lui anche anche altri grandi musicisti come Richard Barbieri, Gavin Harrison, Mick Karn (r.i.p.), Theo Travis, Robby Aceto, ecc. ecc. Lo contattai proprio per proporgli questo brano perché lo scrissi su invito della produzione del cortometraggio “Deep”, poi vincitore del 73esimo Film Festival Internazionale di Salerno. Tim fu entusiasta di partecipare e colse l’occasione di utilizzarlo, sotto altro arrangiamento, perché sentiva che mancava qualcosa di “fresco” all’album che stava realizzando in quel momento, cioè “Flowers At Scene”, così lo riarrangiò, lo fece missare da Steven Wilson e concluse felicemente quel suo progetto discografico. 

I tuoi lavori sono frutto di una ricerca musicale che raramente troviamo nella musica attuale, in che maniera pensi di collocarti nella scena odierna e c’è un futuro per il pop (per dare una definizione il più ampia possibile) di qualità?
Amo utilizzare quelle sonorità che già ascoltandole aprono praterie di sensazioni (ricordi il discorso sopra che feci sull’arte e della sua importanza a coinvolgerti con l’immaginazione?). Devo dire che crescendo con pane e Japan, british band del (mio) passato, qualche semino è stato depositato nella mia sfera creativa ed emozionale, e ringrazio di buon cuore Richard Barbieri (con lui ho una conoscenza personale quasi trentennale) per la ricerca di sonorità che sempre lo ha contraddistinto. Credo oramai che in un ambito musicale di nicchia un mio posticino, dopo 15 anni, lo abbia conquistato, non mi sento di appartenere ad un genere vero e proprio, spazio in quelle latitudini dove il senso estetico, la ricerca del suono, la melodia e lo schivare la banalità provano ad affacciarsi e a coesistere. Mi chiedi del futuro del pop? Io mi autoproduco, con sforzi porto vanti il mio mo(n)do di pensare e di creare, non devo rendere conto a nessuno. Più che altro, in una visione generale e di prospettiva, ci sarà il futuro per la musica indipendente? Non schiava di contest televisivi che alla fine creano cloni e schiavi di target mercificati e di edonismo?

A quali progetti stai lavorando in questo momento?
Ho messo in cantiere già diversi brani per il mio prossimo (quarto) album, sto contattando gli artisti ai quali affidare alcune sezioni strumentali e sto valutando quali cantanti coinvolgere nel progetto. Vorrei inserire nel futuro album anche dei piccoli racconti che accompagneranno l’ascoltatore nel nuovo percorso musicale. Insomma c’è da lavorare, ma sono molto fiducioso nella buona realizzazione di qualcosa di piacevole.