Ho conosciuto Maurizio Buccella, in arte Grim Talez, per caso sul web. Quando ho messo su Il Raglio del Mulo, non ho avuto dubbi, sarebbe toccato a lui creare il logo del sito. Un tratto particolare e una lugubre ironia rendono la sua opera unica e accattivante. Signori, ecco a voi Grim Talez!
Ciao Maurizio, quando è nata la passione per il disegno?
In realtà, più che di passione, sarebbe più corretto parlare di compulsione. Nella maggior parte dei casi mi ritrovo con una matita o una penna fra le dita senza nemmeno accorgermene, scarabocchiando su post-it o margini di quaderni o altre superfici non necessariamente deputate all’uso di inchiostro. Ciononostante, è doveroso precisare che mi dedico alle arti grafiche non per professione ma per pura passione (sebbene da quando ho acquistato la tavoletta grafica mi sia capitato di accettare degli incarichi retribuiti). Un po’ perché temo mi manchi il talento necessario per monetizzare i miei scarabocchi compulsivi, ma soprattutto perché, dopo il liceo artistico, ho preso percorsi universitari lontani anni luce dal settore. Per rispondere alla domanda, ho iniziato prima del periodo di cui ho memoria d’infanzia, ma fin qui nulla di strano. Il disegno è il canale espressivo più usato dai bambini. Il problema è che io sono fra quelli che non hanno mai smesso. Fino al liceo è stata la sola attività che riuscisse a tenermi fermo nello stesso posto per più di tre minuti.
Oltre al liceo artistico hai fatto studi particolari o sei autodidatta?
I miei primi manuali di disegno sono stati i Dylan Dog che ho iniziato a collezionare già sul finire delle elementari. Ti lascio immaginare le perplessità dei miei genitori, considerato che all’epoca – fine 80 – c’era parecchio clamore attorno alle polemiche sulla distribuzione dei fumetti splatter nelle edicole, tuttavia i miei mostrarono delle capacità di apertura mentale che tuttora mi sorprendono. Ad oggi tutta la prima parte della collezione versa in condizioni indegne, con chiazze di grafite e pagine spiegazzate come papiri, perché su quegli albi ci ho trascorso ore di studio. In seguito ho frequentato il liceo artistico ma, previa contrattazione coi miei genitori, con indirizzo sperimentale vale a dire una commistione di materie scientifiche e artistiche.
A quali autori ti ispiri?
La mia personale Trinità è: Francis Bacon, Hans Rudi Giger, Egon Schiele. Ma confesso che sono più dei miti personali. In termini grafici, le mie influenze dirette provengono soprattutto dai fumetti: Mick Mignola e Robert Crumb su tutti.
Dietro la tua produzione a firma Grim Talez c’è uno studio preciso o si tratta del frutto dell’ispirazione del momento?
L’uso dello pseudonimo in realtà è funzionale all’esigenza di tenere separata l’attività artistica da quella professionale, considerato il campo delicato in cui lavoro, vale a dire quello della salute mentale. Il nome rende omaggio alla mitica raccolta di racconti di Thomas Ligottti, “Lo Scriba Macabro”, nella traduzione originale Grimscribe, autore con cui condivido molti aspetti delle sue convinzioni estinzioniste. Per quanto riguarda il lavoro dietro i lavori, per come la vedo io tutte le creazioni artistiche hanno dietro percentuali variabili di progettazione e istinto. In genere quando realizzo immagini indipendenti, non commissionate, mi rendo conto di attingere molto di più ai miei archetipi personali, vedi temi religiosi stravolti oppure paesaggi onirici. Istantanee interiori, per dare l’idea. Al contrario nelle tavole fumettistiche già la sola la messa in sequenza implica un lavoro più cognitivo su struttura e narrazione.
Quali tecniche usi?
I primi bozzetti sono sempre su carta e matita perché devo un po’ rincorrere le idee, prima che evaporino, con tanti schizzi veloci. Per inchiostrazione e colorazione invece utilizzo una combinazione di software grafici.
Unisci molto spesso immagini lugubri con messaggi ironici, quanto è difficile strappare un sorriso smitizzando la morte?
Beh, per me è ben più arduo mantenere l’approccio serio. L’ironia mi viene in automatico perché è parte integrante del mio carattere. Essendo il classico tipo diplomatico, più avvezzo alla mediazione che ai conflitti, spesso uso l’ironia per veicolare giudizi davvero cattivi sul mondo e/o sugli altri, confezionandole con un sorriso
In alcune tue vignette racconti scene di vita underground, immagino che siano più che altro raffigurazioni di esperienze personali maturate con le tue band, no?
In verità la musica è entrata solo di recente tra le mie cose, a differenza di molti ragazzi con cui suono che impugnano gli strumenti da prima di imparare ad impugnare le posate. Ascolto metal fin da quando ero ragazzino ma solo da 5 anni ho iniziato a suonare con vari gruppi, sempre su fronti estremi. Purtroppo nell’ultimo periodo, causa aumento impegni di lavoro, ho dovuto rinunciare a svariati di progetti, però ho mantenuto quelli che mi sono più a cuore, vale a dire un paio di formazioni con dei ragazzi fantastici – tra l’altro con alcuni membri in comune – collocate tra il death doom ed il depressive black. Per quanto riguarda le vignette a tema musicale, ti dico che che, sebbene lavori da anni nel settore psichiatrico, mi è capitato con discreta frequenza di incappare in soggetti clinici che davvero fanno a gara con quanto ho visto in anni di lavoro nella salute mentale. Non dico solo poliabusatori di sostanze, che è un po’ il cliché dei musicisti, ma veri e propri disturbi gravi di personalità. Tizi del tutto scollati dall’esame di realtà. Matematico che ne tragga facili spunti per fare i miei fumetti zotici.
Questa visione ironica e auto-ironica della musica non temi che possa essere fraintesa dall’ascoltatore medio che il più delle volte vive con i propri miti un rapporto quasi di fede religiosa?
Beh, mi considero un iconoclasta a 360°. Se, pur nei limiti delle mie modeste capacità, ho osato fare il verso ad artisti come Bosch e Michelangelo, figurati se mi faccio problemi nel prendere un po’ in giro gli Ulver. Fermo restando che, malgrado l’autoironia, per me questi omaggi trasudano rispetto per le icone prese di mira.
Hai parlato di presa in giro agli Ulver, mi sento chiamato in causa perché credo che tu sita parlando del logo che hai disegnato per noi de Il Raglio del Mulo: come è nato Mulver?
Mi piacerebbe poter vantare la paternità totale su Mulver ma la verità è che, quando ho accettato di realizzare il logo, la direzione del blog aveva già le idee abbastanza chiare sulla figura di un mulo che ulula alla luna come si vede fare ai lupi nelle pellicole horror. Per me è stato naturale sovrapporre questa scena all’immagine iconica di “Nattens Madrigal” degli Ulver, i cui brani continuano a dominare l’immaginario black a distanza di decadi. Adoro quel disco, perciò ne ho voluto riproporre la struttura grafica in omaggio alla grandezza senza tempo di questa band. Per carità, c’è sempre il solito approccio dissacrante ma, considerati i contenuti musicali de Il Raglio del Mulo, per me era importante citare un pezzo di storia del metal che mantiene la sua centralità a prescindere da mode passeggere e tormentoni stagionali.
Come crei invece l’artwork per un disco?
Bella domanda. È un po’ il processo inverso di quello che faccio quando sono dietro al mic. Premesso che non suono strumenti né posso vantare studi tecnici, con le vocals cerco di trasmettere immagini come se con la voce dovessi illustrare quello che scrivono i testi (in genere paesaggi infernali e anatomie stravolte). Per forza di cose, quando mi concentro sull’artwork a partire dalla musica, mi propongo di visualizzare le immagini che mi vengono trasmesse dal sound, cercando di catturare quell’atmosfera emotiva inscritta tra le note. Va da sé che, se ci sono indicazioni precise, mi baso su quelle, ma sempre con margini di elaborazione personale.
Dove possono vedere le tue opere i nostri lettori?
È presto detto: da oltre un anno ho un account Instagram su cui, tra l’altro, ho caricato nemmeno 3/4 del portfolio: Grim_Talez.
