Francesco Palumbo ci ha accolto nel suo regno, costruito con passione e competenza. La My Kingdom Music quest’anno ha tagliato l’invidiabile traguardo dei 20 anni, due decadi ricche di uscite qualità e di band che hanno contribuito in molti casi a scrivere alcune delle pagine più belle della musica tricolore.
Ciao Francesco, quest’anno la tua etichetta, la My Kingdom Music, ha compiuto 20 anni, ci avresti scommesso all’epoca che dopo ben quattro lustri saresti stato ancora qui a pubblicare album? Ciao Giuseppe. Eh sì, sono proprio 20 anni, nella primavera del 2002 iniziavano i primi contatti, i primi accordi, le prime pratiche burocratiche, la creazione del sito e il 22 settembre uscivano i primi tre dischi, Crowhead “Frozen”, Deinonychus “Mournument” e A Room with a View “First Year Departure”. Nasce tutto come una sorta di necessità, per poi diventare nel giro di pochissimi mesi un lavoro a tempo pieno che mi accompagna ancora oggi dopo 20 anni di vita. Non so se c’avrei scommesso, non sono un grande scommettitore ma per come sono fatto io ero certo che avrei dato il massimo ed anche più di me stesso, senza risparmio di energia, forza e soprattutto con la passione che da sempre mi avvicina e mi permette di far parte di questo mondo.
Come, quando e perché hai deciso di fondare una tua label? Negli anni ottanta e novanta dopo essere un divoratore di musica prima, l’editore poi di un magazine, anzi due, Demo-Nizzati all’inizio e, soprattutto, Vampiria Magazine, ed anche un musicista di una band, i Lathebra, ho avuto la necessità proprio viscerale di passare dall’altra parte della barricata e permettere quindi ad altri di realizzare in un certo senso i propri sogni di artista ed io nel mio piccolo, cercare di vivere di musica, non suonata, non scritta, ma semplicemente prodotta, promossa e distribuita. Ed ancora oggi, nonostante i cambiamenti che ci sono stati nel modo di fare e vendere musica, mi ritengo un inguaribile romantico che all’ascolto di un semplice demo riesce ancora ad emozionarsi e vedere cose che magari altri non riescono a percepire. A volte va alla grande, altre volte meno, ma la magia di un prodotto etereo come lo è la musica che diventa tra le tue mani un prodotto fisico vero e proprio, è sempre la stessa e ti assicuro che ancora oggi è quel brivido che mi permette di andare avanti con orgoglio e spero con prodotti di qualità.
Quale è stato il primo album prodotto e cosa ricordi di quei giorni? Il primo album prodotto è stato “Mournument” dei Deinonychus. Avevo una corrispondenza epistolare con Marco Kehren, mente ed anima della band, fin dal suo esordio con la Cacophonous. Ho seguito la sua carriera negli anni, ammirandone la musica e l’attitudine e poi intervistandolo più volte per la mia Vampiria Magazine e per altre riviste con cui collaboravo. Proprio in una di queste interviste mi confidò che stava realizzando un nuovo album, “Morurnument” appunto, e che non era più soddisfatto della sua vecchia etichetta. In quel periodo stavo proprio iniziando a pensare alla mia label, gliene parlai e fu lui a propormi di farlo uscire per My Kingdom Music. Nel giro di poche ore gli inviai una bozza di contratto, l’accettò velocemente e così My Kingdom Music aveva la sua prima band. Quello che maggiormente ricordo è la sensazione incredibile di entrare a far parte di un mondo che avevi sempre visto un po’ dall’esterno mentre ora tu ne eri profondamente protagonista. Una sensazione magica che ancora oggi dopo 20 anni riesco a provare.
Quanto è cambiato il mercato musicale in questi 20 anni? Credi che nell’attuale situazione rifaresti la stessa scelta di 20 anni fa? È cambiato il mondo e per logica di cose è cambiato il modo di fare musica, di ascoltarla e quindi di venderla. Internet ha modificato tutto ovviamente come in tutte le cose della vita. Ha reso più facili i contatti, più veloci gli accessi alla musica prodotta, più semplice arrivare alle più diverse e disparate forme d’arte. Naturalmente però coi pro sono arrivati anche le cose negative e la peggiore di tutte dal mio punto di vista è la spersonalizzazione della scena musicale. 20 anni fa eri parte di una scena, di una creatura più grande di te e sentivi in tutto e per tutto che eri una parte, piccola o grande che fosse, di un’entità viva e reale. Oggi spesso e volentieri avverti l’immaterialità di ciò che ti gira intorno e purtroppo questa è la cosa che maggiormente mi deprime nel modo di fare musica oggi e di chi gira intorno a questo mondo. Non so sinceramente se oggi potrei fare la stessa scelta, davvero non te lo so dire. Forse no pensando al fatto che tutto è estremamente più dinamico e complicato anche se solo volessimo parlare di numeri relativi alle vendite, ma forse sì perché credo che la capacità di un’etichetta sia assolutamente necessaria per permettere ad una band ed alla propria creatura di arrivare a quante più anime possibili. E poi sinceramente non mi ci vedo proprio in un ufficio a timbrare il cartellino, con tutto il mio assoluto rispetto per chi lo fa sia per scelta che per necessità.
Francesco Palumbo
A proposito di scelte, quali scelte sbagliate hai fatto? C’è un disco che ti sei pentito di aver pubblicato? Non ci sono dischi di cui mi pento… Ci sono album che ritengo oggi delle vere e proprie ciofeche, altri che forse avrebbero potuto suonare diversamente, altri ancora fatti in condizione di necessità, ma in quel momento era la scelta da fare o perché il mercato lo richiedeva o semplicemente perché allora ritenevo la cosa potenzialmente favorevole. Altri album ancora hanno venduto poche decine di copie ma ritengo alcuni di questi dei veri e propri capolavori, ma o il genere o semplicemente il momento non mi hanno permesso di dargli il giusto valore e soprattutto di farli conoscere ai più.
Mi fai una top 10 dei dischi usciti per My Kingdom? Amo tutte le mie uscite (o quasi)! Ovviamente a qualcuna di esse sono più legato per motivi non necessariamente dovuti alle effettive caratteristiche sonore o al mio gusto, ma più per quello che hanno rappresentato per me in un momento particolare della mia vita o più semplicemente dell’etichetta, o anche per i miei personali rapporti con i componenti delle band. Per cui mi vengono in mente le prime quattro uscite, Crowhead, Deinonychus, A Room with a View e Klimt 1918 perché sono stati l’inizio di tutto e le sensazioni e le emozioni che ho avuto in quei primi anni non le riavrò più. Poi Lenore S. Fingers “Inner Tales” per la voce di Federica, unica, acerba, triste; The Magik Way “Il Rinato” perché è un album davvero di un altro livello; Lethe “The First Corpse On The Moon” perché è riuscito a farmi entrare in un’altra ottica che prima ignoravo; Fear Of The Storm “Madness Splinters” perché lo sento mio, come se fossi parte della band; l’omonimo degli Ecnephias perché Mancan nonostante il suo caratteraccio è uno scrive grandi pezzi; “Nothing At All” dei Lord Agheros perché si è spinto oltre dei limiti che nessuna altra band aveva raggiunto; Crest of Darkness con “The God Of Flesh” perché Ingar è l’emblema della professionalità, quello che molte band italiane non hanno; “Plastic Planet” dei Nude perché erano la mia famiglia e nonostante il dolore che ci ha attraversati li amo ancora e restano una delle poche band italiane ad avere un sound internazionale. E poi quelli che sono dei veri amici come i Dperd, Massimo ed i suoi Infernal Angels, Luca ed i suoi Helfir, la magia degli Omrade, i Crown of Autumn, i compianti In Tormentata Quiete e per finire i Dreariness una band a cui devo molto perché è riuscita a regalarmi emozioni che non provavo da anni e che è riuscita ad unire in un solo progetto tutto quello che amo in una band, ovvero professionalità, grande musica, voglia di arrivare e soprattutto un sound che è una lama che ti lacera l’anima. Sono andato oltre misura, lo sapevo, perciò non mi piacciono gli elenchi.
Puoi anticiparmi le prossime uscite? Tra settembre ed ottobre usciranno Mindivide con “Fragments”, gran bel melodic Metal con una voce femminile davvero pazzesca. Gli Aura con “Underwater”, un progressive metal di altissimo livello. I Memories of a Lost Soul con l’album “Redefining Nothingness” davvero un blackish death metal album estremamente potente e melodico allo stesso tempo. Poi ci sarà la stampa di un live di oltre 25 anni fa da parte dei The Magik Way, ovvero “Dracula (25 Years Anniversary)”, colonna sonora ad uno spettacolo teatrale che abbiamo ripreso nei suoni e nella grafica e reso magico. A Novembre ci sarà il ritorno alla grande dei Dragonhammer con “Second Life” e poi a Dicembre la ristampa dell’intera discografia dei Deinonychus per cui andremo a celebrare i 20 anni della My Kingdom Music ed i 30 della band. Per finire l’anno una sorpresa che non vi aspettate di certo, ma credo che farà felici molti, me innanzitutto.
C’è mai stato un momento in cui hai pensato “mollo tutto”? Più di una, ed almeno in un paio di casi la cosa sembrava davvero prossima. Ma per fortuna sono riuscito a capire che senza My Kingdom Music probabilmente avrei qualche soldo in più ma sicuramente mi mancherebbe un pezzo di anima. In effetti non riesco a pensare alla mia vita senza il mio lavoro, la mia passione, il mio essere parte di un mondo che fa parte di me da 35 anni e più.
Come ti vedi fra 20 anni? Un anziano signore di 72 anni, con barba lunga e canuta, che nella sua poltrona di pelle nera, con le luci soffuse di una lampada, sorseggia un bicchiere di vino rosso ascoltando musica vecchia e rugosa come la mia fronte.
E’ tutto, grazie… Grazie a te Giuseppe per la bella chiacchierata ed avermi dato modo di evocare ricordi e vecchie emozioni che sono l’essenza della mia creatura.
Dopo la parentesi live album, “Spreading the Pest”, i Deathcrush tornano con un disco di inediti, “Under Serpents Reign”, uscito per la Time To Kill Records lo scorso 26 aprile.
Ciao ragazzi, nel 2019, poco prima che la pandemia bloccasse tutto, in particolare i concerti, avete pubblicato in modo quasi “profetico” un live album, “Spreading the Pest”. Come è andato quel disco? Ciao! Si, in effetti il titolo è stato davvero “profetico” perché come hai detto è uscito appena prima che il covid bloccasse tutte le attività live ed il mondo in generale. In realtà, la decisione di intitolare il nostro primo live in quel modo deriva dal fatto che è stato registrato in Polonia durante il nostro ultimo tour, chiamato appunto Spreading The Pest Over Europe. La performance è stata registrata al Rudeboy Club. In seguito abbiamo girato tutto alla nostra precedente label che assieme ad altre etichette italiane ha voluto produrre un live album in edizione speciale con alcuni inserti all’interno. Devo dire che, nonostante il culto del live album si sia un po’ perso negli anni, questa nostra release è andata abbastanza bene.
Ora, quando pare che le cose in ambito live stiano per tornare alla normalità, avete pubblicato il vostro nuovo full-length, “Under Serpents Reign”. In qualche modo la cattività causata dal Covid ne ha influenzato il contenuto? Più che altro ci siamo dati da fare e abbiamo sfruttato la situazione a nostro vantaggio. Tendiamo sempre a vedere il lato positivo delle cose, di conseguenza abbiamo tramutato questa pausa forzata in più tempo per lavorare. Ci siamo dedicati con molta più cura a tutti gli accorgimenti e ai dettagli, in particolare siamo stati estremamente minuziosi sugli arrangiamenti di ogni singolo pezzo per produrre un album che ci rispecchiasse al 100%. Saremmo dovuti entrare in studio già dopo la prima fase della pandemia, ma poi ci ha bloccati la seconda ondata. Quindi, consapevoli e forti anche di tutto il lavoro fatto a priori, va da sé che appena è stato possibile siamo entrati in studio carichi e determinati come non mai.
Da un punto di vista stilistico, come si pone “Under Serpents Reign”? Dà in un certo senso continuità alla vostra produzione o rappresenta uno snodo verso nuove soluzioni? “Under Serpents Reign” è senza ombra di dubbio il nostro miglior album sino ad ora. Come ti dicevo, abbiamo curato tutto nei minimi dettagli, artwork, liriche e produzione in senso lato. Non a caso abbiamo voluto e avuto l’onore di lavorare con professionisti che seguiamo e stimiamo da anni. In questo lavoro c’è tutta la nostra anima. L’album presenta alcune soluzioni innovative rispetto al passato e certamente ci saranno delle sorprese, ma siamo comunque rimasti fedeli al nostro trade-mark musicale e stilistico.
Avete già testato dal vivo i nuovi brani? Ancora no, anche se abbiamo già ricevuto proposte per alcune date in Sardegna. Stiamo aspettando che il pubblico riceva e ascolti l’album, poi partiremo in tour per tutta l’Europa. Abbiamo già provato le nuove song varie volte e ti posso assicurare che sono davvero violente dal vivo.
In passato avete girato parecchio, soprattutto nell’Europa dell’Est, pensata che il conflitto Russo-Ucraino possa in qualche modo penalizzarvi? Visitare l’Est Europa è stata un’esperienza davvero fantastica, sia a livello professionale, perché abbiamo suonato in posti davvero fighi, sia personale perché abbiamo girato città e luoghi in cui si respira storia in ogni angolo. Avevamo parecchie proposte di live in quelle zone oltre a un tour in Russia. Ci dispiace molto non poter suonare lì vista la situazione attuale. Speriamo che in futuro si possa realizzare il tutto.
Quello che non mi pare mutato è l’approccio lirico, di cosa parlano i testi? No, le liriche non sono mutate. Consideriamo l’ingerenza della religione nel nostro paese un’oppressione anacronistica che vincola le menti e ogni aspetto della società tutta a uno stato di strisciante regresso. I nostri testi sono vero e proprio veleno stracolmo di ribellione verso i falsi profeti e ogni aspetto che riguarda la Chiesa così come qualsiasi autorità o istituzione religiosa.
Il serpente richiamato nel titolo chi o casa rappresenta? Il serpente che si morde la coda è sempre stata una figura che ci ha attratto. Considerando il titolo e l’artwork dell’album non potevamo non inserirlo in prima linea. Rappresenta il ciclo del potere che si rigenera divorando se stesso, è l’energia universale che si consuma e si rinnova continuamente. Non c’è nascita senza morte, non c’è creazione senza distruzione, per parafrasare i Nile. Il serpente simboleggia l’unità, la totalità del mondo e l’eternità. E’ una figura che rappresenta al meglio il modo in cui Deathcrush concepiscono il male.
La copertina è splendida, chi l’ha realizzata? La copertina è stata dipinta a mano da Paolo Girardi che ha creato un vero e proprio capolavoro. E’ sempre stato un sogno avere una sua opera realizzata appositamente per un nostro album perché stimiamo e seguiamo Paolo da tanti anni, per cui non possiamo che essere onorati. Tra l’altro ha fatto davvero un lavoro maestoso che rappresenta fedelmente lo spirito dell’album sia musicalmente sia a livello di tematiche trattate nei testi.
In conclusione, quali obbiettivi vorreste realizzare con “Under Serpents Reign”? “Under Serpents Reign” è già partito bene, abbiamo firmato con la Time To Kill e siamo davvero soddisfatti del lavoro superbo che stanno facendo. I pre-orders dell’album stanno andando benissimo ed abbiamo tante belle news da annunciare a tempo debito, ma vi assicuro che sono davvero delle grandi cose. Volevamo chiudere l’intervista ringraziandovi per lo spazio e per l’interesse dimostratoci. Rimanete aggiornati. AVE SERPENTS!
Claudio Trotta è il fondatore di Barley Arts, una delle realtà indipendenti europee più importanti per l’organizzazione di concerti e spettacoli dal vivo. Fondatore anche di Slow Music “Movimento dedicato alla Bellezza, all’eccellenza e al rispetto e alla cooperazione in ambito musicale”, è il primo organizzatore di eventi musicali che ha ricevuto nel 2020 l’“Ambrogino d’oro”, onorificenza conferita dal comune di Milano per civica benemerenza. Per fare solo qualche nome, grazie a Trotta e a Barley in Italia abbiamo potuto seguire per anni le tournée di Springsteen, Cure, Bowie, Kiss, Iron Maiden, Zappa, una lista infinita di star nazionali ed internazionali. Da un paio di anni però questo settore per ragioni che ormai tutti conosciamo è fermo, tranne qualche rara occasione. Abbiamo contattato il promoter per conoscere meglio la sua opinione.
Claudio, quanto tutto ciò è ancora sostenibile soprattutto dal punto di vista economico? Non lo è più già sostenibile. Il problema principale è ovviamente economico. Parliamo soprattutto del mondo indipendente, di chi non lavora per le multinazionali e/o che non ha un lavoro garantito, fisso. Ci sono problematiche enormi per tutto lo spettacolo dal vivo, per le maestranze, per i musicisti, cantanti, attori, artisti, ballerini, creativi di vario genere e per le imprese. I ristori hanno sicuramente aiutato ma oltre a non essere stati sufficienti non sono stati distribuiti in maniera equilibrata, soprattutto quelli relativi ai concerti riprogrammati e/o cancellati, sono stati assegnati con sistemi sbagliati che hanno privilegiato le multinazionali, ma il tema è molto più ampio, non è solamente economico, parliamo di un ambito che ho definito sin dall’inizio del 2020 “il mondo dello stare insieme” e che non riguarda solo gli eventi della musica live e meno che meno solo quelli di massa, e che comprende teatro, danza, circo, orchestre da ballo, intrattenimento, produttori di strumenti musicali, giornalisti e fotografi dediti allo spettacolo dal vivo senza dimenticare anche gli eventi privati che sono anche essi linfa vitale per le maestranze, le imprese, per tutti. Stare insieme significa anche andare a scuola, mondo che invece ha aperto e chiuso ad intermittenza, e va anche ricordato il mondo della giustizia, perché anche i tribunali hanno lavorato a singhiozzo. Insomma necessità primarie e libertà individuali e collettive che sono state messe in secondo piano rispetto ad attività commerciali considerate più importanti. Ci si chiede per quale motivo a molti mondi sia stato consentito di non fermarsi applicando protocolli organizzativi, operativi e sanitari, vedi la grande distribuzione, la televisione, i giornali, i tabaccai, i grandi cantieri edili, la vendita in rete mentre al mondo dello spettacolo dal vivo sia stato impedito, nonostante questo mondo di protocolli ne abbia partoriti in abbondanza, penso a quelli realizzati con Slow Music e con Ricominciamo ma anche a quelli di Agis e di altri. Di protocolli operativi per la riapertura degli spazi dello spettacolo dal vivo con Slow Music ne abbiamo creati due con mesi di lavoro di gruppo con medici, professionisti del settore organizzativo, creativo e produttivo e responsabili alla sicurezza sul lavoro. Il primo nel 2020 per gli spettacoli al chiuso dal nome “Vengo anch’io… per sentire l’effetto che fa” e il secondo nel marzo 2021 per gli spettacoli all’aperto con “Ricominciamo”, questi protocolli seppure riconosciuti più che validi da molte istituzioni sanitarie e governative non sono mai stati seriamente considerati.
Per quali ragioni? Non ho una risposta. Mi chiedo se tutto questo è casuale, se è frutto di ignoranza e di mancata considerazione da parte di chi ci governa e da parte di chi il governo ha messo a prendere decisioni in questo settore, il CTS, quindi se c’è una mancata considerazione della sfera umana, sociale, culturale, dell’equilibrio delle persone che per natura propria sono fatte per stare insieme e non da sole oppure se c’è dell’altro. Non ho mai pensato a nessun genere di complotto, di fatto tuttavia c’è che questo mondo dello Stare Insieme è stato umiliato, vilipeso, poco considerato e in sostanza devastato. Ci sono centinaia di migliaia di persone, non solo in Italia, che hanno dovuto cambiare mestiere, che in un mondo normale potrebbe anche essere una cosa buona se voluta dalla propria volontà, ma non lo è quando attraverso e dopo anni di studi, lavoro, esperienze hai costruito qualcosa nella tua vita creando una propria identità, artistica umana e professionale e sei costretto ad abbandonarla per fare altro, come lavorare per Amazon o consegnare pizze allora il problema diventa enorme.
Vedi una possibilità di ripresa nell’immediato? È un problema che ci porteremo avanti per anni, non è limitato solo ad oggi. Prendiamo in esame le tournée del 2022, alcune non si potranno svolgere anche per motivi apparentemente impensabili, penso ad un caso che mi ha toccato direttamente dove un artista internazionale ha cancellato il tour europeo perché non ha potuto reperire tour bus disponibili. Non tutti i tour si svolgono con aerei e limousine, anzi. Se ci saranno i tour programmati per l’estate 2022 che per il momento sono ancora confermati, temo che ci saranno seri problemi nel reperire figure professionali e maestranze in campi importanti come l’allestimento e la sicurezza degli spettacoli, questo significa che è stata letteralmente buttata via una storia di persone e aziende territoriali, locali e nazionali di un certo peso, in un paese come il nostro che negli anni 70 in questo settore aveva molta meno professionalità di oggi, ma che prima di questi due terribili anni aveva raggiunto ottimi livelli professionali e organizzativi, rientrando tra i paesi meglio organizzati nel mondo. Sto parlando della musica popolare contemporanea (la parte della lirica che vive da sempre con denari pubblici ha continuato a riceverli anche a porte chiuse) ma anche del teatro non finanziato, così come il circo, la danza se non finanziata con denaro pubblico. Parliamo di tantissime persone senza attualmente più alcuna identità e dal futuro incerto. Un dramma come si può comprendere non solo economico ma anche culturale, psicologico, sociale. Non vedo miglioramenti in questo paese a breve termine, siamo uno degli unici paesi dove si pensa di mantenere il Green Pass fino a fine giugno, invece in altri paesi si sta togliendo, vedi in Inghilterra, in Austria, dove c’era il lockdown ma dove ora stanno togliendo il Green Pass, in Germania non c’è mai stato, gli unici due paesi dove si sta continuando con questo metodo mantenendo delle limitazioni enormi, spesso discriminanti e astruse sono peraltro credo fra i paesi con più vittime e contagiati: Italia e Francia. Qui si apre un altro argomento, quello del calcolo dei contagiati e delle vittime, che dall’inizio ormai sappiamo tutti che è stato fatto in maniera abbastanza “bizantina” e molto anomala. Si è sbagliato o si è voluto sbagliare? fin dall’inizio a narrare il tutto. I media hanno creato disagi, paura, spinto a dividere e isolare le persone, cercando di individuare gli untori di turno e recentemente questa divisione è sfociata tra chi ha deciso di vaccinarsi e chi legittimamente ha deciso di non farlo alla luce della non obbligatorietà della vaccinazione. La situazione non è delle migliori e viene da chiedersi se di fatto non sia stata calpestata la Costituzione anche dallo stesso Presidente della Repubblica, che dovrebbe essere il tutore della Costituzione stessa. Non vedo nell’immediato delle speranze, delle indicazioni di positività e di ottimismo nel presente, né nell’immediato futuro o per il futuro prossimo ancor meno per chi è più giovane e più debole.
Parlavi dello “stare insieme”. Sembra che la gente si sia un po’ “rinchiusa”, che abbia paura. La situazione degli spettacoli dal vivo è messa molto male, ci hanno riaperto in maniera teorica, ma con tante limitazioni. Inoltre il decreto ristori firmato da Mattarella recentemente non prevede alcun ristoro per il nostro settore, almeno nell’immediato. È anche vero che Franceschini aveva annunciato 111,5 milioni di euro per il nostro settore che al momento non si vedono, ragion per cui si spera che nell’immediato si rimedi a questo con dei ristori e bandi specifici da parte dei Ministeri di competenza. Al momento si lavora con tante limitazioni e un clima generale di paura e di poca fiducia che porta a cancellare diverse tournée anche per mancanza di vendita di biglietti.
Come vedi lo svolgimento dei concerti estivi? Ammesso che tutto fili liscio, sarà ancora limitato alle attuali restrizioni? Non sono mai stato un sostenitore del Green Pass, prima che venisse adottato mi sono espresso in maniera critica e ancor più quando ne ho conosciuto le modalità, ancor meno con questa adozione discriminatoria del Super Green Pass, più tutte le bizzarre modalità annesse e connesse che rasentano la follia e inutilità più totale. Ribadisco l’ignoranza di chi ha fatto queste scelte, nessuna attenzione alla sfera umana mondo considerata secondaria in un contesto internazionale che già prima del Covid già disgraziatamente principalmente esaltante la realtà virtuale rispetto alla realtà fisica reale. Il Green Pass non è uno strumento sanitario e questo mi pare sia assodato e chiaro. C’è gente che ha il Covid e con il Green Pass funzionante allo stesso tempo. Quindi mi auguro che quanto prima e almeno per tutti gli spettacoli da maggio in poi possano cadere tutte le limitazioni e discriminazioni correnti inclusa quella dell’utilizzo all’aperto di mascherine.
La voce degli artisti è stata silente in questo periodo? Gli artisti sono stati estremamente deludenti, quei pochi sia italiani che internazionali, che si sono espressi in maniera critica sono stati violentemente dileggiati. C’è stato un affermarsi sempre più evidente di retorica e ipocrisia senza fine da ogni direzione e gli artisti troppo silenti non hanno fatto la loro parte che dovrebbe essere anche quella di esprimere criticità e disagi comuni, sociali, umani.
Alcuni settori sembrano non aver subito lo stesso trattamento, vedi il calcio o il Festival di Sanremo in questi giorni con la capienza al 100%. Ci sono canali preferenziali? Il Festival di Sanremo ormai da anni è un evento televisivo che non ha niente a che fare con lo spettacolo e la qualità musicale, però è il programma televisivo più importante della Rai dal punto di vista di gettito pubblicitario, per cui viene sempre preservato. Per molti rappresenta la vetrina del degrado artistico e sociale dei nostri tempi.
Alcuni anni fa hai scritto un interessantissimo libro “No pasta, No Show”, hai in mente un nuovo libro? Sì, in realtà durante questi due anni ho scritto tantissimo. Sto mettendo insieme vari pensieri, non ho trovato una linea precisa ancora a dire la verità, ma mi piacerebbe fare un libro diverso dal precedente, ho immaginato anche di provare a scrivere insieme ad autori televisivi una serie televisiva. Mi piace esprimermi, quindi troverò la maniera di farlo oltre alla mia presenza nei canali social e le interviste. Lo avevo fatto in precedenza anche con un libro intitolato “Dizionario enciclopedico musicale di Milano” scritto con Paolo Zenoni negli anni 80.
Quanto l’industria della musica oggi è diventata più importante della stessa musica? Purtroppo questo è un processo che era già partito negli anni 80. La grande capacità creativa delle case discografiche e di alcuni produttori illuminati degli anni 60/70 e anche un po’ degli 80 si è andata progressivamente perdendo, è un dato di fatto. Oltre al fatto che delle sette multinazionali discografiche ne sono rimaste solo due o tre il che ha accelerato i processi omologativi verso il basso del largo consumo. Le indipendenti nel mondo fanno spesso un buon lavoro, ma sono spesso penalizzate mediaticamente e finanziariamente e purtroppo spesso gli artisti e i loro manager sono indipendenti fino a quando non li vuole nessuno, ma poi quando passano dall’altro lato diventano parte convinta del “mainstream”. L’impressione è che purtroppo tutti vogliano passare in TV, essere ospiti o coach nei talent. La verità è che c’è ancora tanta buonissima musica e ci sono tanti imprenditori nella musica di qualità, ma non è così semplice quando le classifiche si fanno con gli streaming, diverso è quando con i tuoi soldi investi in un disco o un CD. Merito a tutti i negozianti di dischi, di strumenti musicali, ai produttori di tali strumenti e di dischi fisici, perché la musica senza gli strumenti rimane solo nella mente delle persone e la Musica riprodotta senza fisicità non alimenta Memoria e quindi Storia. Uno strumento è anche la voce, ma non certo con l’auto-tune. La musica deve essere creazione e questo avviene con il lavoro, passione, lo studio e il talento. Non ce l’hanno tutti ma in tanti fanno musica, e a un certo punto ciò diventa un’offesa per chi la musica la fa davvero.
Parlavamo di talent e TV. Al momento a parte programmi con approfondimenti musicali come quelli di Red Ronnie, cos’altro c’è? Non mi pare ci siano. A parte il programma di Stefano Bollani è evidente che la musica popolare contemporanea, il jazz, la world music, il rock non siano rappresentate, men che meno rispettate propriamente nelle televisioni generaliste sia pubbliche, e questo è particolarmente grave, che commerciali. Nelle reti tematiche e in quelle in wi-fi ci sono invece alcune “isole felici” per fortuna.
L’underground o quello che viene definito il “sotterraneo” a livello musicale ha sempre qualcosa da dire, ci sono tante splendide realtà italiane che non hanno la possibilità di esprimersi, ci sono nuove realtà musicali nazionali o internazionali che consiglieresti? Credo che in campo blues, jazz, world music la musica Italiana sia di altissimo livello e che alcune etichette discografiche, management, festival e promoter indipendenti facciano un lavoro straordinario. In campo cantautoriale e pop credo che ci sia un gap davvero difficile da colmarsi con la scena anglosassone ed europea ma sono ovviamente opinioni le mie.
Sei un grande appassionato di vinili, da diversi anni un supporto che è tornato nelle case della gente. Nostalgia, miglior qualità sonora? “Moda” o durerà nel tempo questo “ritorno”? Credo semplicemente che il vinile sia un oggetto di straordinaria qualità e che nella storia della musica riprodotta, che ricordiamo ha meno di 150 anni, resti la soluzione migliore per ascoltare, conoscere, godere e studiare della diversità della creatività umana. La storia della creatività comprenderà certamente quella del vinile, mentre la musica digitale diventerà sempre di più parte della storia del consumo che è un’altra cosa. Quello che reputo sia importante fare è trasmettere alle nuove generazioni la sostanza e la qualità del vinile senza farlo apparire vintage o “vecchio”, il paradosso è che per molti il vinile è una tecnologia sconosciuta e se intelligentemente si è capaci di presentarlo in maniera “sexy” ai giovani essi potrebbero appassionarsene limitando la adesione spesso acritica alla realtà virtuale e digitale. Non è semplice ma è necessario.
Le foto di Claudio Trotta sono di Michaela Berlini.
INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA IN VERSIONE RIDOTTA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 2 FEBBRAIO 2022
Una vita in prima linea. Nonostante i fotografi siano da sempre i principali testimoni degli eventi live, molte volte restano degli eroi senza nome. Per tale motivo abbiamo chiesto a Fabiola Santini (ex Rockerilla) di parlarci di come funziona il suo lavoro e di come si vive là in fondo al pit…
Obituary 2016
Ciao Fabiola, quando è nato il tuo amore per la fotografia? Ciao Giuseppe, sono sempre stata attratta dalla fotografia, fin da bambina. Mio papà lavorava nel settore pubblicitario, il suo ufficio, che visitavo spesso, straripava di macchine fotografiche di ogni tipo. Mi ricordo ancora l’emozione che provavo nel osservare la sua Hasselblad, un’apparecchiatura così piccola e imponente allo stesso tempo che con un solo click catturava un momento per sempre, una specie di magia.
Quando hai capito che sarebbe stato qualcosa di più di un semplice hobby? Decisamente nel 2011, al concerto dei Children Of Bodom al Forum di Londra. Dovevo intervistare la band di apertura, gli Amon Amarth per Rockerilla, la rivista italiana di musica con la quale ho collaborato per 10 anni, e il loro addetto stampa mi ha gentilmente offerto anche il photo-pass. Ero emozionatissima, mi sono trovata nel photo pit circondata da fotografi professionisti che sfoggiavano come se niente fosse i loro bolidi Canon e Nikon mentre io ero con la mia Sony Cyber-shot che portavo ovunque. Quando mi sono trovata innanzi il frontman Alexi Laiho, ho capito che stava nascendo in me una nuova passione che dovevo assolutamente portare avanti. Il giorno dopo sono corsa da Jessops (nda: una catena inglese di negozi di fotografia purtroppo ormai in via di estinzione) e ho investito nel mio primo set Canon, la 6D, la 18-55 e il famoso cinquantino che ho ancora.
Slayer 2017
Lasciamo da parte, per ora, la fotografia, invece l’amore per la musica e per il metal quando è nato? La musica è sempre stata fondamentale nella mia vita. Sono passata dalle canzoni dello Zecchino d’Oro ai Ramones grazie a un mio compagno di scuola che li adorava e mi ha trasmesso una passione smisurata per questa band che ancora oggi ascolto spesso. Il metal l’ho scoperto live. Non avevo idea di chi fossero gli Anthrax nel 1990 ma quando ho visto il cartellone pubblicitario del concerto al Palaverde di Treviso non ho restistito alla curiosità. Il concerto mi è piaciuto tantissimo tanto che l’indomani sono corsa al negozio di CD in centro per comprare “The Persistence Of Time” a tutt’oggi uno dei miei album preferiti.
Quando hai capito che potevi far convivere queste due passioni diventando una fotografa musicale? Dopo il concerto dei Children Of Bodom, ho iniziato a proporre a Rockerilla di fare recensioni live oltre alle interviste che già facevo da un paio d’anni. Dopo che la mia editor ha accolto bene l’idea, mi sono messa subito al lavoro contattando gli addetti stampa delle band proponendo la doppia coverage (intervista e live). Dall’oggi al domani mi sono trovata in questo doppio ruolo di giornalista e fotografa che mi ha subito conquistata e al quale mi sono dedicata interamente fin dall’inizio, nonostante fosse molto faticoso e non dava tregua quando c’erano le deadline.
Metallica 2014
C’è stato un momento in cui hai pensato, cavolo ho realizzato il mio sogno? La cima ambita della fotografia è ancora molto lontana per me. Ma quando, nel 2014 al festival Sonisphere qui in Regno Unito, dove tutt’ora vivo, mi è stato dato il photo pass per il set dei Metallica, mi sono sentita molto vicina al mio sogno. Il management della band era molto selettivo nell’ammettere i fotografi nel pit, difronte a James Hetfield e Kirk Hammett ho provato un’emozione unica. Anche fotografare gli Alice in Chains (loro sono tutt’ora il mio gruppo preferito) nel 2013 a Download, ha contribuito a farmi sentire non troppo lontana dalla mia meta. Dato che ero ancora agli esordi, le foto di questi due concerti non sono decisamente da annoverare tra i miei lavori migliori, ma la passione che ci ho messo a catturare questi artisti unici ha compensato la mancanza di nozioni tecniche.
Torniamo con i piedi per terra, c’è un aspetto di questa attività che non ti piace? Magari, le lunghe attese al caldo nel pit in attesa che l’esibizione inizi durante i festival estivi… Nell’attività di fotografa live e in studio non c’e’ niente che mi dispiace. In ambito live, ho sempre utilizzato le attese nel pit per studiare il palco e le luci e ogni tanto per scambiare qualche parola con gli altri fotografi e i fan in prima fila. L’unica cosa che mi frena in questo settore è come le foto vengano deprezzate con l’uso sempre più frequente da parte della band di scatti fatti da fan con i loro cellulari. Foto che all’apparenza sono accettabili, ma non hanno ovviamente la creatività e la tecnicità di fondo che ha uno scatto fatto da un fotografo. Un fan non chiede compensi dato che si accontenta felicemente solo del credito. Il fan è inoltre in grado di condividere le proprio foto immediatamente senza farle passare attraverso la importantissima fase dell’editing e mi rendo conto che per una band media di oggi, sempre prona al risparmio e all’immediatezza, è sicuramente allettante. I fotografi come me ne risentono, inizia a mancare lo stimolo quando si vede sempre più spesso il proprio lavoro da professionisti in seconda fila. Ormai credo si sia creato un circolo vizioso che mi ha portato a prendere una pausa, lontana dai palchi e dai riflettori fino a quando non vedo che la situazione si è ri-bilanciata.
Taake 2017
Dal punto di vista tecnico, che consigli daresti a chi vuole fare delle foto a delle band dal vivo? Sicuramente di investire in una buona macchina fotografica e in un paio di obiettivi base (grandangolare e zoom) anche usati. E soprattutto di fare almeno un corso specializzato: io ho studiato alla St. Martin qui a Londra, ho imparato moltissimo in quei sei mesi e ancora oggi controllo i miei appunti di allora se ho dei dubbi tecnici. E poi è fondamentale avere un sito web e contattare le band locali per farsi strada, chiedendo però sempre un compenso anche minimo per le foto: questo è il biglietto da visita dei professionisti.
Oltre ai live report, il tuo lavoro in ambito musicale in cosa consiste? Come dicevo prima, mi sto prendendo un periodo di pausa perché non sono contenta di come stanno andando le cose nell’ambiente. Fino al 2020, oltre che a collaborare con Rockerilla, ho anche fatto alcuni di photo-shoot (Spectral Darkwave, Shining, The Medea Project, Countless Skiers, Nemesis Inferi.), una soddisfazione dopo l’altra.
Marduk 2015
Blocchi e limitazioni dei concerti per lo più hanno spostato l’attenzione sugli artisti fermi, ma oltre a loro ci sono un sacco di addetti ai lavori che non hanno potuto esercitare in questi lunghi mesi. Tu cosa hai fatto durante questo stop e in qualche modo le cose stanno tornado alla normalità o è ancora difficile fare delle previsioni su una ripresa quanto meno accettabile per tutto il settore dei live? Questa pandemia ha logorato un settore che già era in bilico. In questo periodo di pausa sto esaminando il mercato musicale e la ripresa, a stenti, dei promo-shoot e dei concerti live. Credo che tutte le band siano giustamente concentrate sul recupero, sia creativo che finanziario quindi non credo ci saranno per il momento molti fondi destinati alla fotografia di qualità, soprattutto live. Sono comunque ottimista, se le nuove generazioni avranno la pazienza di farsi avanti con passione senza farsi travolgere dalla immediatezza dei social media, la categoria dei fotografi musicali professionisti potrebbe tornare ancora più attiva di prima. L’anno scorso ho deciso di mettere insieme un calendario metal con foto dagli Slayer, agli Obituary, Marduk e molto altri. Ne ho venduto parecchi ed è stata una bella soddisfazione anche perché ho dato il ricavato delle vendite a un’associazione benefica alla quale tengo molto, la Wolf Conservation Center a South Salem, NY che si occupa della conservazione del lupo, una creatura molto vicina al mio cuore. Al momento sto lavorando all’edizione del 2022 che sarà pronta verso fine novembre.
Sfogliando l’album dei ricordi, quali sono gli scatti a cui tieni di più? Sono così tanti! Decisamente gli scatti di band black metal, sono una fan accanita dei Marduk, Taake e dei Watain, fotografarli dal vivo è sempre stata un’ esperienza unica. Tengo molto anche alle foto dei miei due chitarristi preferiti, oltre a Jerry Cantrell (Alice in Chains), Kerry King (Slayer) e Mark Morton (Lamb Of God). E naturalmente, gli scatti dei Kiss nel 2019.
Il Metallaro Quarantenne nel giro di qualche anno è diventata la pagina di riferimento per i metallari nostalgici, quelli ancorati alla certezza che “prima era meglio”. Nonostante il successo meritato, il suo fondatore ha deciso di lanciare coraggiosamente la spugna quando ha capito che ormai era difficile andare avanti senza ripetersi. Abbiamo contatto l’ideatore de Il Metallaro Quarantenne per scoprire se c’è vita oltre i quarant’anni e capire se ci sono i presupposti per un ripensamento…
Benvenuto Giacomo, mi verrebbe da parafrasare il titolo di un film della saga di 007: Metallaro Quarantenne – Si vive solo due volte. Qualche tempo fa avevi dato l’addio alle scene, ma come fanno spesso gli idoli di noi metallari quarantenni, dopo poco hai fatto il tour di reunion e sei tornato in attività. Come mai all’epoca decidesti di dire basta e come mai poi hai ripreso a gestire la tua pagina in modo più o meno continuo? Innanzitutto, grazie mille per questa intervista sul tuo blog dalla Ulveriana copertina. È vero, ILM40 ha seguito la grande tradizione dell’heavy metal, annunciando l’addio, poi tornando prontamente in attività e infine abbandonando nuovamente le scene per tornare nell’oscurità. Avevo creato la pagina nell’ormai lontano agosto 2017 e a fine giugno del 2020 avevo annunciato il primo addio alle scene. All’epoca, infatti, pensavo che la pagina non avesse più null’altro da dire, che avesse raccontato tutto quello che poteva. Poco dopo la chiusura, però, era scoppiata la nuova fase della pandemia, quella delle zone rosse, e dei concerti nuovamente annullati. Visti i tempi durissimi, volevo tornare a divertirmi e sorridere grazie ai post della pagina e all’affetto dei fan, così a novembre 2020 ILM40 è tornato dall’oscurità, dispensando nuovamente aneddoti e storie di Metallo, fino al suo definitivo scioglimento nel settembre 2021.
Togliamoci subito il dente, come mai hai detto nuovamente basta? Ho detto basta nuovamente perché sentivo di aver dato tutto quello che potevo con la pagina, sia come aneddoti sia come energie mentali mie. E non avrei voluto andare avanti ripetendo gli stessi post, quasi come se mi trascinassi per sopravvivere un giorno in più. ILM40 poteva andare avanti solo diventando qualcos’altro: un evento, una serata, un concerto, una mostra. Ma non c’è stata la possibilità, soprattutto perché io non saprei come fare. Inoltre, motivazione non meno importante, non ne potevo più di Facebook, con i suoi “standard della comunità” da rispettare. Oltre a non poter pronunciare o far vedere il nome “Burzum” dell’arcinoto Conte Grishnackh (qui penso si possa citare), di cui in passato avevo pubblicato un bellissimo e storico speciale di Grind Zone, da qualche mese anche i post con canzoni dai nomi troppo “volgari” venivano segnalati. Ad esempio “Fuckin’ Hostile” dei Pantera. Come se non bastasse, mi era stata censurata perfino una foto di un concerto, ritenuta troppo spinta. Tutto questo era ormai insopportabile.
Potrebbe apparire un controsenso, un personaggio mitologico, Il Metallaro Quarantenne, che vive ricordando i bei tempi andati ha successo sui social network. Ma poi a ben pensarci, Facebook è una sorta di riserva per vecchi, forse noi quarantenni siamo i più giovani. Ma è così dura per un personaggio romantico come Il Metallaro Quarantene gestire una pagina social, nonostante il successo e l’affetto dell’audience? Gestire una pagina come ILM40 non è stato affatto semplice. Dietro ogni post c’era un grande impegno. Può sembrare banale, ma innanzitutto bisognava avere i materiali da far vedere, poi c’era da scrivere aneddoti interessanti e possibilmente coinvolgenti, con un filo di ironia, altrimenti chi visitava la pagina si sarebbe annoiato come di fronte a un album di B-Side dei Tierra Santa. In questo lavoro mi hanno aiutato tantissimo i fan, con le loro collezioni di reperti portentosi e la loro memoria d’acciaio, che hanno permesso di dare vita alla più grande raccolta di oggetti e ricordi legati all’heavy metal. Inoltre, volevo che l’italiano dei miei post fosse curato, nei limiti delle mie capacità, quindi a volte ci mettevo anche giorni prima di pubblicare.
Da Bond a Marina Ripa di Meana, la sua autobiografia si intitolava “I miei primi quarant’anni”, ecco perché i tuoi primi quarant’anni sono stai migliori di tutto quello che è venuto dopo e come ti spieghi che questa sensazione sia comune a tanti di noi nati quattro decadi fa? Si sa che il tempo addolcisce i ricordi. Poi non bisogna dimenticare che gli eventi trattati nella pagina rievocavano momenti in cui molti erano indomiti e spensierati teenager o ventenni, quando ancora non c’erano preoccupazioni come mutui, cervicali o i festival col golden pit.
In questi anni hai tenuto in vita la pagina soprattutto grazie al materiale proveniente dalla tua collezione, ma hai ricevuto anche tanti spunti dai tuoi follower: qual è la cosa più strana che ti è stata recapitata? Voglio in questa sede ricordare quattro episodi, che non so se sono strani, ma sicuramente sono tracotanti di epicità. Parto da un aneddoto pubblicato sul concerto dei Motörhead a Brescia del 1982, quando una giovane fan uscì dalla roulette nel backstage stringendo qualcosa in mano e urlando “le mutande di Lemmy, le mutande di Lemmy!”. Il secondo episodio è il racconto dettagliato dell’esordio sui palchi italiani di Venom e Metallica, con il loro storico tour del 1984, a cui penso che tutti vorrebbero partecipare non appena avremo una macchina del tempo funzionante. Nell’attesa, andate a leggerlo e a immergervi nelle clamorose immagini pubblicate, sia mai che la pagina sparisca. Il terzo episodio rimanda al tour degli Slayer del 1991, a Milano, con la figura mitologica del samoano alto due metri, dalla barba e capelli lunghi, che, dando le spalle al palco, faceva volare in aria le persone che gli capitavano a tiro, mentre dagli spalti venivano lanciati i seggiolini. E infine, come non citare la foto con Chuck Schuldiner nel primo concerto dei Death in Italia, a Firenze nel 1993. Vedere quell’immagine dà sempre una grande emozione.
Quali caratteristiche deve avere il vero Metallaro Quarantenne? Il classico metodo per riconoscere il metallaro quarantenne è l’utilizzo del termine “nuovo” quando parla di album o componenti di band che in realtà hanno ormai compiuto venti anni. Deris, ad esempio, sarà sempre il “nuovo” cantante degli Helloween.
Sarai stato anche tu un metallaro Ventenne prima di far carriera e salire al grado di Quarantenne, c’è un qualcosa che all’epoca ti faceva schifo, ma che la vecchiaia ti ha fatto rivalutare e rivendere sulla pagina come un “bel momento passato”? Premetto che ho fatto “coming out” dopo il primo tour d’addio della pagina: non sono un metallaro quarantenne, ma un metallaro trentenne. In pratica sono il “giovane metallino” (mica troppo giovane ormai) dei miei post. Non ho ancora raggiunto lo status del quarantenne, quindi. Posso però dire che nel corso degli anni ho rivalutato l’epoca di Blaze Bayley negli Iron Maiden. Non arrivo ad abbracciare eresie, tipo definire “The Angel and the Gambler” una canzone ascoltabile, perché penso sia impossibile senza una dose robusta di birra doppio malto in corpo. Però “The X Factor” ora riesco ad ascoltarlo tutto e perfino a canticchiarlo, cosa che a diciassette anni mai avrei fatto.
Tira fuori il boomer che è in te, mi fai un breve elenco di cose del metal di oggi ti fanno schifo? Non mi vanno giù le produzioni iper-pompose, con orchestrazioni, tastiere e cori onnipresenti, spesso tutte uguali tra band e band, tanto che non riesci a capire lo stile proprio del gruppo. Poi gli odiosi golden ticket dei concerti, dai prezzi esorbitanti.
Abbiamo iniziato citando Bond, finiamo allo stesso modo, tirando fuori uno dei suoi titoli più famosi “Mai dire mai”: credi che un giorno potrai ripensarci? Alla fine Ozzy è da metà anni 90 che ci racconta la storiella del “No More Tour”…. No, stavolta niente ritorni né tour di reunion Part II. A meno che non arrivi la major con una valigetta piena di soldi (si scherza, basta anche mezza valigetta). ILM40 è stata un’esperienza magnifica, goduriosa e intensa. L’abbiamo gustata a pieno per quattro lunghi anni ed è stato bellissimo così. Come diceva Kai Hansen in Land of the Free: “All that’s left to say is farewell”.
Christian Montagna è uno stakanovista dell’underground, una di quelle macchine che non riescono a star ferme, perché la passione e l’amore per la musica è un carburante troppo potente. Quando una persona come lui scrive la parola fine su un capitolo importante della propria vita, non può che iniziarne uno nuovo: The Old Blood, la sua nuova creatura,è un contenitore di videointerviste rilasciate da persone, artisti ma non solo, che hanno contribuito e contribuiscono ad alimentare il sacro fuoco dell’underground…
Benvenuto Christian, prima di passare al tuo nuovo progetto The Old Blood, farei un passo indietro: lo scorso marzo, dopo nove anni di attività, hai messo la parola fine alla tua zine Son of Flies: come mai? Ciao Giuseppe. Grazie per la tua gentilezza e per lo spazio concessomi. Sono felice di rispondere a queste tue “stimolanti” domande. Prima di iniziare a parlare di me, volevo farti i complimenti per il tuo lavoro e per il bellissimo libro “Icons of Death” che sto continuando a leggere con interesse in questi ultimi giorni. Facendo riferimento a questa prima domanda, posso dire che ho messo fine al mio percorso come scrittore nell’underground musicale dopo oltre 25 anni di attività ininterrotta (mi riferisco solo al ruolo di writer indipendente, appunto). Son Of Flies Webzine (https://www.sonofflies-webzine.it/) ha accompagnato gli ultimi nove anni della mia vita, pubblicando su di essa oltre duemila articoli tra recensioni e interviste a gruppi italiani ed internazionali. Il sito ufficiale della webzine è ancora attivo e la tendina laterale presente all’interno della pagina lascia trasparire il grande lavoro svolto (solo da me) dal settembre 2012 al marzo 2021. La mia più grande soddisfazione, aver avuto la possibilità di intervistare artisti del calibro di Donald Tardy degli Obituary, Fenriz dei Darkthrone, Lee Wollenschlaeger dei Malevolent Creation, Luc Lemay dei Gorguts, Scott Reigel dei Brutality, Martin Stewart dei Terror, John McEntee degli Incantation, Jef Stuart Whitehead aka Wrest del progetto Leviathan, Josh Graham degli A Storm Of Ligth ed ex-Neurosis, Harley Flanagan dei Cro-Mags, Steve Von Till dei Neurosis, Jeremy Wagner dei Broken Hope, Dan Swanö degli Edge Of Sanity, Jamie Saint degli Ulcerate, Mick Moss degli Antimatter, Jacopo Meille e Graig Ellis dei Tygers Of Pan Tang, Gabriele Panci aka New Risen Throne, Peter Andersson aka Raison D’Être, Aaron Stainthorpe dei My Dying Bride, Jonas Renkse dei Katatonia, Michael Borders dei Massacre, Bjørn Dencker dei Dødheimsgard, Peter Bjärgö degli Arcana, Kristoffer Rygg degli Ulver, Chris Spencer degli Unsane, Richard Hoak dei Total Fucking Destruction ed ex-Brutal Truth, Chris Reifert dei Violation Wound, Autopsy, ex-Death e tanti altri ancora. Nell’ultimo post pubblicato su Son Of Flies Webzine, quello del 5 marzo 2021, avevo scritto: “La Musica, anche al giorno d’oggi, riveste un ruolo fondamentale ed è parte integrante della mia vita, e non smette mai di affascinarmi. Il problema (principale) è che, per certi aspetti, si è arrivati al limite della saturazione. Nella contemporaneità pochi musicisti riescono a sorprendermi, pochi dischi sono in grado di rapire la mia persona, questa è l’unica verità. E con ciò non sto dicendo che non ci sia la buona musica.” Poi aggiungevo: “Devo essere sincero: apprezzo pochissima musica odierna, che sia rock, punk, hardcore, metal, noise, elettronica, ambient o altro. Diciamo che negli ultimi 10 anni sono diventato molto selettivo e spesso ascolto solo musicisti e dischi dei tempi ormai andati, molti di questi artisti continuano ad essere attivi nel panorama musicale”. Quindi, senza dilungarmi troppo su questo argomento, ho deciso di poggiare la mia penna per mancanza di stimoli, dopo aver consumato litri di inchiostro per oltre due decadi. Oggi continuo ad essere attivo nel circuito di nicchia, soprattutto in quello nostrano, portando avanti questo nuovo progetto (The Old Blood) da me ideato nel maggio 2021. E comunque, a prescindere dai 9 anni investiti per nutrire Son Of Flies Webzine, il mio passato è stato caratterizzato da tanto altro e tante altre esperienze, come scrittore e musicista. Se mi è concesso, vorrei parlare un po’ di questo per dare la possibilità a chi legge di ripercorrere insieme a me alcuni momenti importanti della mia vita. Molti sanno già che la mia più grande passione è il metal in tutte le sue sfaccettature: un genere musicale che mi ha formato e cambiato la vita, approfonditamente studiato nel corso del tempo. Ma devo anche dire che, di giorno in giorno, non ascolto solo gruppi e dischi metal. Per esempio, amo dannatamente il vecchio hardcore italiano ed americano, come anche sonorità sperimentali quali ambient, dark ambient, industrial, noise etc.. Avevo solo 9 anni quando mi avvicinai ai primi dischi rock/metal, e mi riferisco a pietre miliari come U2 “War”, Pink Floyd “A Momentary Lapse of Reason”, Europe “The Final Countdown”, Queen “A Kind of Magic”, Guns N’ Roses “Appetite For Destruction”, AC/DC “For Those About to Rock”, Iron Maiden “Killers” e “Piece of Mind”. Ai miei 11 anni arrivarono i Metallica di “Ride the Lightning” e “Master of Puppets” e i Testament di “Souls of Black”, ai 12 anni la folgorazione totale con i Sepultura di “Arise”, ai 13 anni venni letteralmente rapito dai Cannibal Corpse di “Tomb Of The Mutilated”, dai Deicide di “Legion”, dai Brutal Truth di “Extreme Conditions Demand Extreme Responses”, dai Suffocation di “Effigy of the Forgotten” oltre che dal bellissimo “Dehumanizer” dei Black Sabbath, ai 15 anni arrivò il fulmine a ciel sereno “Far Beyond Driven” dei Pantera, poi Slayer “Divine Intervention”, Testament “Low”, Obituary “World Demise”, Brutality “When The Sky Turns Black” e, ovviamente, tanti altri album che non sto qui a citare perché sarebbero troppi da elencare. Sempre nel 1994 mi avvicinai velocemente al black metal scandinavo in tutte le sue violente sfaccettature. Dopo quell’anno conobbi la musica sperimentale nelle sue forme più oscure e disturbanti grazie alla prestigiosa etichetta svedese Cold Meat Industry (Mortiis, MZ.412, Raison D’être furono i primi progetti da me ascoltati). Cambiando genere, non posso non citare il vecchio rap dei Public Enemy con il CD “Greatest Misses”. Fu mio fratello maggiore ad avvicinarmi alla cultura hip hop, in maniera casuale, o meglio, accidentale. Tutto iniziò con quella raccolta del 1992. Quelli elencati possono essere considerati alcuni dei dischi “fondamentali” della mia fanciullezza e adolescenza. Comunque non posso negare che, durante la mia giovane età, ho ascoltato tanta musica diversa, e questo è stato molto positivo. Quindi, come si può capire da quanto scritto, la mia formazione musicale è stata piuttosto varia. Tornando al discorso della scrittura, tutto prese il via nel lontano 1995 quando iniziai ad approcciarmi alla materia con la mia prima esperienza con le fanzine cartacee. Avevo solo 16 anni eppure ero già affamato di conoscenza nel circuito musicale underground. I primi passi all’interno dell’estremizzazione sonora vennero mossi insieme a Giancarlo Gelormini, una persona a me vicina a quel tempo e che conobbi in maniera casuale, ora non ricordo la circostanza e l’anno preciso (1993 o 1994), comunque tutto avvenne in una località marina molto rinomata chiamata Torre dell’Orso nel Salento. Trascorrevamo molto tempo insieme visto che anche lui è originario della Provincia di Lecce. Quelli erano anche gli anni in cui ci si spostava con un motorino o con una vespa per incontrarsi, ci si muoveva su due ruote per andare a vedere i primi concerti nei centri sociali, posti occupati, casolari sperduti nelle campagne, etc.. Tutto era magico! Non esistevano telefonini, infatti le chiamate venivano effettuate dalle cabine telefoniche a gettoni del paese o dal fisso di casa e, in questo caso, spesso lo si faceva di nascosto per non farsi beccare dai genitori. Grazie all’amicizia con Giancarlo e alla conoscenza altrettanto casuale di un personaggio del Nord Italia di nome Davy (sì, penso che si chiamasse così), negli anni ’90 entrai in contatto con tante altre band più estreme dell’epoca, sia italiane che straniere, quindi iniziai anch’io ad appassionarmi al cosiddetto “tape trading”. Potrei citare le prime cassette ricevute e registrate su nastri Tdk, Sony, Basf, Fuji, Maxell: Cannibal Corpse “Tomb of The Mutilated” e “The Bleeding”, Dismember “Like An Ever Flowing Stream”, Malevolent Creation “Stillborn”, Deicide “Legion”, Darkthrone “Soulside Journey”, Burzum “Hvis lyset tar oss”, Impaled Nazarene “Ugra Karma”, Immortal “Pure Holocaust”, Cradle Of Filth “The Principle of Evil Made Flesh”, queste le prime che mi vengono in mente. E per quanto riguarda il metal italiano ricordo i nastri duplicati di Sadist “Above The Light”, Mortuary Drape “All The Witches Dance”, Opera IX “The Call Of The Wood”, Necromass “Mysteria Mystica Zofiriana” e tanti altri ancora, oltre che alcuni dei primi demo originali acquistati tramite corrispondenza cartacea, e su tutti vorrei citare Cruentus “When The World Ends To Be”, Undertakers “In Limine Mortis” e “Beholding The Reality”, Natron “Force”, Glacial Fear “Promo ‘93”. E potrei andare avanti con alcuni dei lavori più belli su CD acquistati tra la metà e la fine degli anni ‘90: Novembre “Wish I Could Dream It Again…”, Glacial Fear “Atlasphere: the Burning Circle”, Sinoath “Still in the Grey Dying”, Detestor “In The Circle Of Time”, Undertakers “Suffering Within”, Calvary “Across the River of Life”, Extrema “The Positive Pressure”, Cruentus “In Myself”, Sadist “Tribe”, Evol “The Saga of the Horned King”, Gory Blister “Cognitive Sinergy”, Entirety “In Caelo Omnia Acciderunt”, Death SS ”Black Mass”, Horrid “Blasphemic Creatures”, Natron “Negative Prevails”, Antropofagus “No Waste Of Flesh”, Nefas “Transfiguration To The Ancients’ Form” e, come dicevo poc’anzi, questi sono solo alcuni dei tanti dischi che mi hanno accompagnato nel mio lungo percorso. L’underground metal diventò una vera e propria droga! Ho trascorso lunghi e bellissimi periodi in compagnia di Giancarlo, i cosiddetti momenti indimenticabili degli anni ‘90. Sempre a quel tempo, iniziai a comprare (per corrispondenza) tante demo, CD, fanzine cartacee, come anche le riviste italiane che uscivano in edicola Grind Zone, Metal Shock, Flash, Thunder, la collana “Metal” della Armando Curcio Editore. Ogni giorno c’era una nuova e fantastica scoperta che alimentava la mia passione per la musica metal. Proprio insieme a Giancarlo Gelormini, tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996, mi dilettai con le prime interviste a Opera IX, Nihili Locus, De Occulta Philosophia per la fanzine cartacea Obscurity ‘Zine. Successivamente, dopo un anno, decidemmo di separarci amichevolmente: lui fu il fondatore della fanzine cartacea Bylec-Tum ‘Zine (dedicata al panorama black metal), mentre io decisi di fondare la mia prima fanzine cartacea Morgue Views ‘Zine (dedicata alla scena death metal e grindcore) nel 1997. Dopo il 2002 iniziai a lavorare sulla newsletter The Whip. Infine, dal 2012 al 2021 ho curato Son of Flies webzine. Nel corso degli ultimi 23 anni ho militato come cantante in quattro gruppi (Traitor, Cast Thy Eyes, Slumcult, Bune) e come bassista nei Virulent Re-Shapes. Soprattutto con i Cast Thy Eyes ho suonato tanto in Italia oltre ad aver composto e registrato i due più importanti album della mia vita. Ho deciso di dilungarmi per tracciare un quadro generale della mia storia per chi ancora non mi conoscesse e, soprattutto, per far capire che la decisone di mettere fine al discorso “recensioni” e “interviste”, per mancanza di stimoli appunto, è arrivata dopo un lungo percorso ininterrotto.
The Old Blood è il tuo nuovo progetto, una serie di video in cui i protagonisti dell’underground metallico si raccontano: come è nata l’idea? L’idea è nata in maniera casuale nel maggio di quest’anno, dopo un piacevole confronto telefonico con l’amico e storico batterista piemontese Ricky Porzio degli Infection Code, una persona che stimo per la sua unicità. Grande Ricky! Quel nostro lungo confronto si era focalizzato fin da subito sull’arte e sulla musica a 360°. Argomenti di conversazione interessanti, come puoi ben immaginare. Sai, quelle piacevoli chiacchierata tra amici. Eravamo in sintonia su tutto. Dopodiché, in maniera spontanea e non programmata, decisi di proporre a Ricky di registrare un video (da pubblicare inizialmente nel mio profilo Facebook) in cui avrebbe avuto la possibilità di raccontarsi a cuore aperto, raccontare un po’ di cose sulla sua persona e sul suo vissuto nella musica, e così avvenne. Lui accettò la mia proposta con molto entusiasmo, vista la stima reciproca, e fui contentissimo di condividere il filmato della durata di 17 minuti nella mia pagina. E’ risaputo che le cose migliori della vita accadono per caso. Rimasi affascinato e rapito da quel suo video, dall’intensità con cui raccontava la sua storia, e da quel momento decisi che era arrivato il momento di lavorare su qualcosa di più forte per ciò che concerne il supporto alla musica underground. Oggi, quel qualcosa si chiama “The Old Blood”. Questo progetto è quello che mi ispira ora, che rispecchia meglio quello che sono diventato dopo anni e anni di esperienza e quello che sento attualmente. Il mio intento era quello di dare voce con dei filmati ad alcune delle personalità di cui nutro stima, lasciandole libere di raccontarsi e di raccontare la loro storia, come ho scritto all’interno del sito ufficiale (http://theoldblood.it). Doveva essere un manifesto dedicato principalmente alla vecchia scuola dell’underground italiano, quella degli ’80 e ‘90. Una scelta voluta, sentita e consapevole!
Qual è il filo che collega tra loro Son of Flies webzine e The Old Blood? Non c’è un filo che collega i due progetti. In realtà, considero The Old Blood come un’evoluzione, ma anche un nuovo inizio per continuare nella mia missione come supporter della vecchia scuola Nostrana. Ho sempre ricercato la bellezza nella genuinità del passato, una forza poetica tale da ispirarmi nella vita di tutti i giorni. Faccio tutto questo da oltre 25 anni e per me, continuare a portare avanti un certo verbo, fa parte della mia normalità e quotidianità, quindi è parte del mio DNA. In fin dei conti, quando vivi giorno per giorno non hai bisogno di guardare oltre. Un tempo alimentavo la mia passione con uno spirito di ribellione, adesso agisco in maniera molto più matura e organizzata, ma senza mai scendere a compromessi, senza mai allontanare il mio spirito combattivo. La mia attitudine è la stessa di sempre! Il mio modo di fare le cose continua ad essere un evidente invito all’autodeterminazione. Underground, per il sottoscritto, vuol dire libertà di espressione e di azione, lottare e morire per quello in cui si crede, ma rimanere fedeli all’underground è anche una scelta di vita (non chiacchiere!). L’underground ha insegnato a me e a tanti altri (come me) a pensare con la propria testa. La mia idea di “underground” non è mai stata sinonimo di “gabbia”. Mai porsi limiti! Quindi, per ritornare alla tua domanda, l’unico filo che collega The Old Blood con tutto ciò che ho fatto in precedenza è, senza ombra di dubbio, la “coerenza”. Uno dei punti chiave è che “la credibilità deve essere guadagnata”, e la si ottiene prima di tutto con “l’umiltà” e poi con il costante “impegno”. L’umiltà è una virtù che in molti dimenticano di mettere in pratica. Oggigiorno, qualsiasi battaglia tra poveri lascia il tempo che trova, e spesso, l’ignoranza e l’invidia vanno a braccetto in questa Nazione. Penso non serva aggiungere altro.
Mi dai la tua definizione di “Vecchio Sangue”? Il “vecchio sangue” è sinonimo di “vecchia scuola”. Non è casuale la scelta del nome. E’ qualcosa di legato direttamente all’essenza di certe persone che mostrano di voler fare ciò che pensano vada fatto, e non importa quale prezzo si dovrà pagare. Non so se rendo l’idea. Persone “autentiche” e “appassionate” che se dicono di stare dalla tua parte ci stanno per davvero. La vecchia scuola, quella vera e genuina, ha sempre “dimostrato” che i fatti fanno la storia e non le chiacchiere. La “musica underground” è qualcosa che amiamo fare e supportare ma anche qualcosa che ci salva la vita. Ognuno di noi cresce, si evolve, vive, ed è giusto che sia così. Eppure, in questa evoluzione, solo pochi della vecchia scuola restano veramente fedeli a certi valori legati al passato glorioso, ed io sono fiero di far parte di questo “zoccolo duro”. Attenzione a non confondere tutto questo con qualcosa di “nostalgico”. Non riuscirei a immaginarmi diverso da quello che sono diventato e da quello che sono stato in passato. Oggi non mi interessa piacere o non piacere, io faccio le mie cose a modo mio e come penso vadano fatte, con professionalità e dedizione, umiltà e passione.
Quali caratteristiche devono avere le band o gli artisti per poter essere ospitati all’interno del tuo spazio? Non sono un giudice da X Factor, The Voice, da talent show insomma. Io non chiudo le porte a nessuno! A me non importa se il musicista “x” è più conosciuto o meno, se più simpatico o antipatico, se più figo o sfigato, se più tecnico o grezzo nel modo di esprimersi, e non voglio dare priorità a nessuno, nulla di tutto questo. La mia esigenza è dare spazio a quell’entità chiamata musica, che sia metal, hardcore o altro. The Old Blood è aperto alla vecchia scuola, sia ai gruppi minori che a quelli più conosciuti, purché siano stati o ancora attivi dagli anni ’80 e ’90. Poi è ovvio che dietro ci sta un mio lavoro di attenta valutazione frutto di anni e anni di esperienza, insomma, capire con chi ho a che fare se qualcuno dovesse contattarmi di sua spontanea volontà.
Quindi, eventualmente, chi fosse interessato a partecipare può inviare una candidatura o preferisci essere tu a scegliere e poi contattare chi ritieni più opportuno? Di solito sono io a contattare i musicisti basandomi su un’accurata selezione, ma se qualcuno è interessato a partecipare al progetto, può sempre scrivere privatamente via mail (christian.theoldblood@gmail.com) oppure utilizzando la mia pagina facebook personale. Ovviamente, tutto verrà valutato attentamente confrontandomi con i diretti interessati. In soli tre mesi ho contattato più di 80 musicisti (e non solo) e tanti altri ne arriveranno, mentre i video già pubblicati sulla pagina ufficiale sono oltre 40. Ci tengo a sottolineare che all’iniziativa non aderiranno solo musicisti, ma anche addetti ai lavori e vari professionisti che hanno gestito (in passato) o che continuano ad occuparsi di etichette discografiche indipendenti, e altro ancora. Qualità personali a parte, la chiamata è rivolta a personaggi che hanno lasciato il segno per la loro dedizione, per l’impegno profuso nel cercare la loro strada nell’underground musicale. Devo anche aggiungere che, fino ad oggi, ci sono state diverse persone che partecipando (direttamente o indirettamente) a questo mio progetto non si sono tirate indietro a consigliarmi dei musicisti di tutto rispetto, ricevendo contatti telefonici di personaggi che conoscevo musicalmente fin dai primi anni ’90 ma con i quali non avevo mai interagito personalmente. E’ successo anche questo. In merito a ciò, vorrei ringraziare Giovanni Cardellino, Enio Nicolini, Massimo Gasperini, Mauro Pirino, Lorenzo Gavazzi, Luciano Chertan, Simone Bau’, Walter Garau, Giorgio Giagheddu, Azmeroth, Mik Fuggiano, Davide Macchi aka Dave, Sergio Ciccoli, Francesco Cucinotta, David Belfagor Newmann, Davide Stura, Michele Montaguti, Flavio Domenico Porrati, Ivan Di Marco. Mi scuso se ho dimenticato qualcuno, ma non credo. Un’ultima cosa molto importante: The Old Blood viene da me illustrato a voce parlando direttamente con le persone che scelgo di coinvolgere, quindi non aspettatevi nessuna mail promozionale asettica. I rapporti umani e il confronto reale vengono prima di tutto! Instaurare un rapporto di fiducia crea una base solida per il progetto in sé.
Quando scegli un artista e lo contatti, poi lasci a lui piena libertà di strutturare il proprio intervento o dai tu delle direttive di massima, che ne so argomenti da trattare, durata del video, tipologia di ripresa, ecc ecc. Gli artisti sono liberi di raccontarsi e di ripercorrere il loro vissuto in totale libertà. Non c’è un copione da rispettare, nulla di preconfezionato. Ovviamente preferisco che ognuno si soffermi su racconti, storie, vicende, aneddoti legati al passato, per poi arrivare al presente, sempre e solo con la massima spontaneità. La stessa location per registrare il video viene decisa dalla persona coinvolta. Con The Old Blood volevo allontanarmi dai soliti format “patinati” che si possono trovare e vedere su YouTube e su altre piattaforme, rompere i soliti schemi moderni dove tutto deve essere maledettamente “perfetto”. Non la solita video intervista gestita dal giornalista “x” che dirige le danze con una carrellata di domande. Niente di tutto questo. Il mio intervento doveva essere “marginale” all’interno del progetto. Mi spiego meglio: il mio lavoro, che poi è quello più complesso, è la gestione della comunicazione con gli Artisti e la promozione dell’iniziativa, il resto lo fa la persona che inizia a parlare di sé all’interno del video, perché quello che deve rimanere è l’essenza “vera” di ogni racconto, ecco perché ho reputato marginale il mio coinvolgimento nei video. Inoltre, per chi ancora non lo sapesse, i filmati non verranno alterati con nessun tipo di montaggio, bene che si sappia. Ogni video viene pubblicato sulla mia pagina di YouTube (Christian Montagna / The Old Blood) così come mi viene recapitato e senza effettuare tagli. Adoro vedere la persona che, posizionata davanti al suo schermo, fa partire la registrazione schiacciando “Rec” e pigiare “Stop” alla fine del racconto. Quella sporcizia che ha il sapore della veridicità! Tutto deve rimanere vero e genuino!
Non hai mai nascosto il tuo amore per i rap della vecchia scuola, in futuro sul tuo canale potremmo anche vedere dei rapper? Come ho già detto nella prima risposta, fu proprio mio fratello maggiore ad avvicinarmi alla musica rap, senza che io me lo aspettassi. Era un giorno del 1993 quando su quello stereo in camera mi accorsi di questo CD che non avevo mai visto prima. Lo aveva portato proprio mio fratello. Mi riferisco ai Public Enemy di “Greatest Misses”, CD del 1992 che includeva sei brani in studio inediti, dei remix di canzoni pubblicate in precedenza e una performance dal vivo per la televisione britannica. Rimasi colpito da quella copertina in bianco e nero con quel simbolo che vede un uomo nero al centro del mirino del governo, un’icona che è stata poi utilizzata per le proteste afroamericane durante la fine degli anni ’80. Considerate che avevo solo 13 anni. Difficile spiegare la sensazione che provai dopo aver schiacciato “Play” per la prima volta. Pensate a me che fino a quel momento avevo ascoltato hardcore e metal hahahaha. La prima mia esclamazione fu: “ma cos’è questa merda?!?!” hahahaha. Cercai di allontanarmi velocemente da quelle sonorità così diverse da ciò che avevo amato fino a quel momento. Ma dopo un po’ di giorni accadde qualcosa di strano. Cosa? Fui nuovamente tentato di riascoltarlo. Così avvenne. E da lì iniziai ad ascoltare anche quel genere. Diciamo che in alcuni momenti della mia vita il rap è stato un buon diversivo. Le stranezze della vita hahaha. Tanti gli artisti che ho ascoltato nel corso degli ultimi 25 anni e che non posso non citare in questa sede. Tra i miei preferiti degli anni ’80 e ’90 ci sono Mobb Deep, Nas, N.W.A., Eazy-E, The Notorious Big, The Wu-Tang Clan, MF Doom, Onyx, Cypress Hill, Ice-T, Non Phixion, Goretex/Lord Goat. Degli anni 2000 direi Vinnie Paz, Ill Bill, Nems, Griselda, Conway The Machine, Benny The Butcher, ma ce ne sono altri che mi hanno colpito positivamente. Per ciò che concerne il rap underground italiano vorrei citare 4 album che mi hanno particolarmente segnato. Mi riferisco a Lou X “A Volte Ritorno”, Kaos One “Karma”, Colle Der Fomento “Adversus” e DSA Commando “Retox”, anche se apprezzo le intere discografie di questi artisti. I DSA che, tra l’altro, sono miei carissimi amici da ormai 11 anni, li reputo (e non solo io) la migliore realtà rap underground degli ultimi 15 anni. Penso che sia parecchio difficile, per un gruppo hip hop italiano, farsi notare in una Nazione così abituata a cibarsi della spazzatura del circuito mainstream, ma loro sono stati in grado di impressionare ed emergere per la loro dedizione alla causa, per l’impegno profuso nel cercare la loro strada ed identità. E ci sono riusciti! Anni fa mi piaceva l’idea di presentare e spingere la loro musica nella mia Son Of Flies Webzine, e così avvenne. Oltre a ciò, sono contento di aver partecipato alla coproduzione del loro disco “Le Brigate della Morte” uscito nel 2013. Questi ragazzi avranno sempre il mio supporto, prima di tutto per la loro passione e umiltà.
Finora abbiamo approfondito le caratteristiche di The Old Blood, ma come è stato accolto del pubblico e che riscontri stai ottenendo? Il progetto è stato accolto con molto entusiasmo e sta viaggiando a gonfie vele, prima di tutto perché dietro ci sta un lavoro di promozione e comunicazione molto intenso e costante, lavoro portato avanti da me. La pubblicazione di tre video a settimana non è cosa da poco. Quindi puoi ben immaginare quanto sia impegnativa e articolata la gestione del tutto. Ma, come ripeto da moltissimi anni, la profonda passione per la musica è il fattore dominante. Riguardo i riscontri devo dire che sono molto positivi, anche se, personalmente, non me ne frega niente di andare a controllare quanti “Like” ottiene un video piuttosto che un altro. The Old Blood è un progetto per “veri cultori” dell’underground vecchia scuola, né più né meno. Ti faccio un esempio concreto: preferisco guadagnare la fiducia di 50 visitatori veramente appassionati più che migliaia di visitatori passeggeri e distratti, e lontani da una certa mentalità. Poi, se in futuro i seguaci aumenteranno, non potrà che farmi piacere. Io non ho mai puntato ai numeri ma alla qualità di ogni cosa che faccio o propongo. Non ho bisogno di crearmi un personaggio, non mi serve, non mi è mai servito. Io lavoro nell’ombra ma so cosa voglio e come ottenerlo dopo oltre 25 anni di ininterrotta militanza nella scena musicale. Sicuramente, le giovani leve potrebbero capire tante cose importanti ascoltando tutti questi personaggi presenti in The Old Blood.
Oltre che cronista dell’underground, sei anche un pittore e ho letto che stai scrivendo anche la tua biografia. Ti andrebbe di parlare anche di questi altri tuoi progetti? Da più di un anno sto scrivendo la mia autobiografia che spero di concludere entro la fine del 2022. E’ una lunga storia di identità, ma non voglio anticipare nulla. Riguardo la mia vita come pittore, che dura anche questa da oltre 20 anni, prosegue un po’ a rilento negli ultimi tempi. Ma tutto dipende esclusivamente dall’ispirazione. Posso anche attraversare lunghe fasi senza toccare un pennello. Io dipingo solo quando sento la necessità di farlo. Non è una questione di “vendite” o di “soldi”, e non considero la pittura un “mestiere”. Chi mi conosce bene sa che anche nel mio lungo percorso artistico non sono mai sceso a compromessi e sono sempre rimasto autentico. Devo dire che la pittura è entrata nella mia vita quasi come un “incidente”. Ho scoperto fin da piccolo di avere delle doti innate e col passare del tempo si sono materializzate, né più né meno. Quello che creo oggi nasce dalla parte più nascosta di me, io amo chiamarla “zona d’ombra”. Nei miei lavori pittorici esiste sempre un desiderio di denunciare e provocare, eppure tutto parte dall’inconscio e nemmeno io so spiegarmi cosa succede durante il processo compositivo di una tela. Pe me, dipingere è “pura trance”. Sono un attento osservatore della realtà, la metabolizzo lentamente e la ritraggo nella sua drammaticità. Quando inizio un’opera non ho mai un’idea fissa insita dentro di me. Assolutamente NO. Sono le pennellate di colore che tirano fuori le immagini. Io mi sento solo il mezzo con cui la pittura si manifesta e, finché lei non mi chiama, io non mi muovo. Le mie opere sono visibili in questa pagina https://www.facebook.com/christian.montagna.floodsart
E’ tutto, grazie. Se vuoi ottenere qualcosa devi agire e lottare per ciò in cui credi! Grazie di cuore, Giuseppe! Stima e Rispetto!
Qualche mese fa decisi di scrivere a Leonardo Lantini, un mio contatto FaceBook che mi aveva aggiunto qualche tempo prima. Lo feci perché volevo acquistare una copia della sua In Your Face!, fanza hardcore di cui era uscito il primo numero. Ordinata praticamente subito, mi arrivò dalla Sardegna con furore dopo qualche giorno. Devo dire che me ne sono innamorato immediatamente: si tratta infatti di una fanza dalla grafica accattivante e moderna, e dai contenuti molto interessanti, fra cui recensioni scritte con grande entusiasmo che vanno dall’hardcore più classico al grindcore più efferato, qualche intervista e pure degli articoli storici che parlano, fra gli altri, non solo della violentissima scena hardcore bostoniana dei primi anni ’80 (SSD, Negative FX, DYS e compagnia bella) ma anche del tour europeo che gli Youth of Today (uno dei miei gruppi del genere preferiti in assoluto!) fecero nel 1989, di fatto un momento fondamentale che segnò l’inizio di una nuova era, più orientata verso lo straight edge, dell’hardcore in Europa. In effetti, i gruppi straight edge, con i loro messaggi positivi che invitano a uno stile di vita salutare in modo da allontanare ogni cosa tossica dalla propria vita, trovano largo spazio fra le pagine di In Your Face!. Quindi, data l’alta qualità della fanza, dopo poco ho ricontattato Leonardo per proporgli una bella intervista (la mia prima per Il Raglio del Mulo, fra l’altro!) riguardo questo progetto, che condivide, come si vedrà, con altri 2 ragazzi. Quello che ne è uscito fuori è stata una interessantissima chiacchierata virtuale che adesso potete leggere dall’inizio alla fine.
Ehi ciao! Allora, partiamo con una domanda che più classica non si può: quando e com’è nata l’idea di creare questa fanza? Allora, l’idea è venuta fuori nella primavera del 2020 ma era già in mente da tempo. Si inseriva nel progetto che c’è dietro la nascita di Cagliari Supporting Hardcore, di cui Claudio fa parte, ed è un ulteriore mezzo per diffondere il verbo hardcore in maniera differente ma con lo stesso identico spirito, fatto di condivisione e unione e l’intento di creare e non di separare o distruggere.
Perché avete voluto chiamarla proprio In Your Face!? E’ un nome che trovo molto efficace, anche per via di quel punto esclamativo che lo rende ancora più diretto. Il nome è venuto di getto senza stare troppo a pensarci. Volevamo un nome non troppo lungo e che fosse d’effetto, qualcosa che fosse facile da ricordare e che, allo stesso tempo, ti si piazzasse in faccia, a muso duro, ed il fine pare sia stato raggiunto. Più persone, pur riconoscendo che non si tratti di un nome originale, almeno nel contesto HC, lo hanno ritenuto di grande impatto e la cosa ci ha fatto veramente piacere.
Com’è stato fare il primo numero? Per esempio, qual è stata la parte più facile? E quella più difficile? Allora, partiamo dal presupposto che per tutti noi era veramente un salto nel vuoto totale. Nessuno di noi aveva mai realizzato un progetto del genere, quindi inizialmente le difficoltà son state tante, soprattutto sotto il punto di vista grafico, visto che non riuscivamo a trovare nessuno che riuscisse a materializzare la veste visiva della fanza che avevamo in mente io e Claudio. Sia l’idea di unire finalmente le forze e concretizzare una fanzine punkhardcore-centrica cartacea che la stilatura della maggior parte degli articoli che hanno composto il primo numero, son avvenuti durante il primo lockdown di Marzo 2020, dopodiché c’è stato un periodo di refrigerio del progetto proprio per la difficoltà materiale di trovare un grafico che facesse al caso nostro, il quale è arrivato finalmente con Guglielmo. A questo proposito ringraziamo il prezioso aiuto di Ivan (217, Ten A.M. Distro, Straight Opposition) per il prezioso supporto nella ricerca. Per quanto riguarda la parte più facile, sicuramente quella è stata il trovare contenuti. Sia io che Claudio avevamo un marasma di idee, scene di cui parlare, concerti che ci hanno segnato, gruppi da voler intervistare ecc. che aspettavano solamente di essere sputate su un foglio… e fortunatamente anche i canali non ci mancano!
Visti i contenuti, fra cui un articolo dedicato agli Youth Of Today e al loro seminale tour europeo del 1989, sbaglio o la ‘zine ha un orientamento straight edge? Siete tutti degli straight edge? Ritenete che i gruppi Sxe, Youth Crew e simili abbiano una marcia in più rispetto alle band Hc più “regolari”? In Your Face! non ha nessun tipo di orientamento se non quello di portare avanti i valori intrinseci nell’hardcore e non segue nessun filone od orientamento. Solo uno di noi, Claudio, è straight edge ma questo non ha nessuna valenza con i contenuti che vengono inseriti nella fanzine poiché questi vengono sempre decisi tutti assieme seppur proposti singolarmente. Per quanto concerne, invece, le band Sxe, non crediamo abbiano una marcia in più, semplicemente hanno un modo di approcciarsi molto più emotivo rispetto ad altre che non lo sono, anche se poi è tutto soggettivo. Resta il fatto che ci sono band Sxe che, nonostante i loro scioglimenti avvenuti anni or sono, continuano a far parlare di sé, vuoi per l’aspetto sopraccitato o per i contenuti dei loro testi e per i messaggi proposti , e questo è più che positivo e altrettanto stimolante. Un po’ meno quando ci s’imbatte in reunion senza senso ove, magari, i membri che si presentano on stage non hanno più nulla a che vedere con gli argomenti trattati nei loro pezzi e/o non portano più avanti il pensiero straight edge. Ma questa è solo una semplice valutazione e non vuole essere, assolutamente, una critica nei confronti di nessuno ma, talvolta, coerenza e rispetto dovrebbero essere rappresentati fino alla fine e non solo all’interno dei testi di una canzone o in un messaggio lanciato attraverso un microfono anni prima.
Secondo voi, com’è l’attuale scena HC italiana? In quale direzione sta andando ed è in grado di competere a livello mondiale? Sicuramente Claudio è più ferrato di me in questo campo, essendo io (mea culpa!) da sempre stato abbastanza esterofilo per quanto riguarda l’hc, ma non di certo per la mancanza di progetti validi nella penisola! Anzi, per quel poco che ho la possibilità di constatare asserragliato in questa fortezza in mezzo al mare o dalle sporadiche trasferte che faccio fuori dall’isola, c’è un grosso fermento. Mi vengono in mente nomi come Blvd Of Death, Fury Department, Caged, Short Fuse, Blair, Ira, Mind/Knot, Respect For Zero, 217, MUD, Fracture, Tuono e tanti altri. Proprio uno degli obbiettivi primari di In Your Face! è quello di scavare nell’underground isolano, nazionale ed internazionale per cercare di dare uno spaccato di attualità, strumento tramite il quale anche noi della redazione in primis ci teniamo aggiornati su tutto quello che succede in ambito HC. Purtroppo, a parer mio, l’unica cosa che manca ancora, l’ultimo ingrediente segreto, che potrebbe portare la scena italiana attuale allo stesso livello di fermento d’Oltremare è solamente il supporto costante e la creazione di connessioni solide che uniscano l’intera penisola, entrambi elementi che ogni tanto sembrano stati dimenticati.
A livello musicale, sia nella scena metal che punk si sente spesso questa specie di mantra: “tutto è già stato detto e ormai non si può inventare più nulla di nuovo”. Quant’è vera questa frase, secondo voi? A parere vostro, c’è invece qualche gruppo che sta effettivamente dicendo qualcosa di originale nel panorama HC? Forse i Gulch, che sto praticamente adorando. Personalmente penso che quella ridondante affermazione abbia un grande fondo di verità. Ma in fondo, l’importante nella musica non è mai stato quello di inventare, bensì la vera arte sta nel rimodellare ciò che già esiste, ibridare generi e dargli una forma familiare ma inedita. In campo hardcore negli ultimi tre anni e passa abbiamo miriadi di esempi a riguardo, oltre alla rifioritura di generi fino ad ora ostracizzati dagli hardcore kids duri e puri, come la ricomparsa di numerosi elementi nu metal (anche in band come i Knocked Loose) ma soprattutto del sempre demonizzato metalcore/post-hardcore alla maniera 2009-2012 (vedere gli ultimissimi fantastici lavori di Wristmeetrazor, If I Die First, Static Dress, Kaonashi, Dying Wish o Seeyouspacecowboy) che personalmente mi stanno facendo rivivere un piccolo momento nostalgico a lungo atteso. Ma in generale sono felice nel notare che, nonostante la mole veramente mastodontica di uscite in ambito hc e sottogeneri negli ultimi due anni, non c’è praticamente traccia di episodi davvero scadenti, stucchevoli o ridondanti e si respira una bellissima aria di sperimentazione e di voglia di abbattere gli inutili paletti estetici/sonori che purtroppo questo genere si porta dietro da fin troppo tempo, lasciando un terreno fertile per la proliferazione di innumerevoli progetti fantastici (come i succitati Gulch, dalla parabola purtroppo breve ma intensissima) [sì, in effetti si sono sciolti di recente. Peccato veramente. – Flavio]. Penso personalmente che stiamo assistendo ad un vero e proprio rinascimento hardcore in full-effect, il quale spirito diverso dovrebbe insegnare a molti che questa sottocultura non si basa sull’avere le AirMax 90 o per forza nell’inserire un tupa-tupa, ma bensì su presupposti ideologici e su un’urgenza di fondo di liberarsi dalle catene del sistema e urlare il proprio sdegno al mondo, in qualsiasi forma. [qui faccio presente che sul primo numero c’è anche un articolo sugli stessi Gulch, scritto dal buon Luca Cescon che, oltre a far parte del collettivo Turin Is Not Dead, collabora anche con altre millemila fanzine/webzine come Punkadeka o Refuse/Resist. – Flavio]
Pensate che l’hardcore possa avere ancora un impatto rivoluzionario, sovversivo, nei confronti della società? Assolutamente si! Ogni voce dissonante ha un potere e finché ci sarà ancora qualcuno ad incarnarne autenticamente la mentalità e a creare spazi dove poterne incanalare la forza catartica e sovversiva, l’hardcore avrà vita. Perché in fondo, che cos’è il punk hardcore se non una propensione umana naturale e uno specchio della lotta all’inalienabilità di certe lotte quotidiane che ognuno di noi combatte, tra quattro mura di cartongesso o della mente che siano, a cui semplicemente è stato dato un volto, un’estetica, un suono?! Ecco, questo dovrebbe essere il punk hardcore, non un’etichetta o un inutile club esclusivo dal quale escludere chiunque non è abbastanza “true”, tutti elementi che purtroppo costituiscono un campo minato evidente e parecchio presente.
Oltre alla fanzine, fate parte di altri progetti (band, collettivi, festival…)? Se sì, ce ne potete parlare? Se non erro, alcuni di voi fanno parte del collettivo Cagliari Supporting Hardcore, vero? Claudio fa parte di Cagliari Supporting Hardcore e, insieme al socio Michele, si occupa di organizzare eventi in ambito Hardcore/Punk su Cagliari e hinterland, e anche di supportare e coprodurre, ove possibile, nuove uscite di gruppi sardi e non. Leo sta all’interno del collettivo Deadship Crew e fa parte dell’etichetta Nothing Left Records, suona la chitarra nei Last Breath e negli Stigmatized, ed ha fatto parte dello Strikedown Collective nelle ultime due edizioni dell’omonimo festival. Infine, Guglielmo, ex batterista di Straight Opposition e fondatore dei 217, fa parte del collettivo Pescara Hardcore e si occupa di curare la grafica per flyers per eventi Hc e non, e di video con la sua Seventeen Graphics.
Ci volete parlare della vostra scena locale, quella sarda? Com’è messa in quanto a band, centri sociali, eventi, e così via? Penso di non essere di parte quando affermo che la Sardegna fa da scrigno ad una delle scene più povere (anche a livello di ricambio generazionale o quantità di band, soprattutto di generi “estremi” ) ma allo stesso tempo più agguerrite della penisola. Purtroppo i limiti evidenti sono fondamentalmente tre: le barriere geografiche che in un certo senso ci isolano dal resto d’Italia, rendendo veramente complicata qualsiasi tipo d’interazione con quest’ultima (si pensi al viaggio della speranza e/o le spese che deve affrontare una qualsiasi band locale che vuole farsi un giro fuori dall’isola o, viceversa, qualsiasi promoter isolano che vuole organizzare una band di “fuori”), la guerra fra poveri che troppo spesso prevale sul supporto e che mina un’effettiva coesione e la creazione di una scena locale vera e propria (ma sembra che si stia vedendo una luce fuori dal tunnel) e, ultimo ma non per importanza, la mancanza effettiva di punti di aggregazione e/o live club che permettano di suonare. Ma tutto ciò non ha ostacolato la proliferazione e la nascita di collettivi come L’Home Mort di Alghero, di spazi autogestiti come Sa Domu (dove negli anni ho assistito ad alcuni dei live punk hardcore più belli ) e la formazione di una valanga di band che da anni resistono alle intemperie come Riflesso, For Different Ways, Delirio, Sangue, Regrowth, Dawnbringer, Waste Away, Il Mare Di Ross, Miscredente, A Fora De Arrastu, FCT, D.E.S., Mexoff, Lastbreath, Stigmatized, Almassacro, Earthfall, WAAR, Keep Complaining e tantissimi altri.
Del primo numero ne sono state stampate 100 copie e sono andate sold out in poco tempo. Vi aspettavate un simile riscontro? Il primo numero è andato praticamente sold out in una settimana o poco più e la cosa ci ha gasato tantissimo anche se, a dirla tutta, non ci aspettavamo un riscontro simile. Abbiamo ricevuto veramente tante richieste in tutta Italia e siamo stati in grado di spedire alcune copie pure in svariati paesi europei. Sapevamo che si era creata una certa aspettativa sulla fanzine ma non credevamo di poterla considerare esaurita dopo poco più di 7 giorni dall’uscita. Siamo felici e orgogliosi di quello che siamo riusciti a realizzare e ringraziamo chi ci ha dato una mano con la realizzazione della stessa, attraverso recupero d’immagini e di scritti, nonché coloro che, ovviamente, hanno acquistato il primo numero, praticamente a scatola chiusa vista la nostra volontà di non voler “spoilerare” nulla in anticipo. Abbiamo avuto modo di prendere atto di quelle che saranno le modifiche da apportare ai prossimi numeri e siamo sempre aperti a qualsiasi tipo di consiglio o critica per il miglioramento degli stessi.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal secondo numero? Sapete più o meno quando sarà pronto o è ancora prestissimo? Ovviamente non abbiamo assolutamente intenzione di dare info sui contenuti che ci saranno al suo interno (Aaaaaaaahhhhh!!!!), ma possiamo sicuramente comunicare che sarà un numero interessante e ricco e che avrà luce nel mese di Ottobre. Abbiamo deciso che la fanzine avrà uscita trimestrale, in modo da essere aggiornati sugli eventi inerenti il panorama hardcore e di darci il tempo opportuno per realizzare i contenuti che faranno parte dei prossimi numeri, sia dal punto di vista degli scritti che per quanto concerne l’aspetto relativo alla grafica.
E così siamo giunti alla fine dell’intervista. Ora siete liberissimi di dire quello che volete. Intanto grazie per la vostra disponibilità e per aver risposto alle mie millemila domande. Daje! Innanzitutto grazie mille Flavio della pazienza e dello spazio dedicatoci, nonché dell’interesse sin da subito prestato al nostro progetto. Vorremmo approfittarne per ringraziare tutti coloro che ci hanno supportato sin dall’inizio del progetto, coloro che hanno preso il primo numero facendolo andare in sold out in meno di due settimane dall’uscita (superando di gran lunga le nostre aspettative) e coloro che hanno speso dei minuti preziosi del loro tempo per scriverci dei messaggi di feedback costruttivi per le prossime uscite. Detto ciò, speriamo che In Your Face! sia un piccolo spunto per tanti, soprattutto per le nuove generazioni che, purtroppo, a livello locale sono pressoché assenti in ambiti musicali estremi, a cimentarsi in piccoli o grandi progetti, che essi siano l’organizzare live, formare una band, mettere su una piccola label, redigere una fanza o qualsiasi attività che possa aiutare a far proliferare una scena locale finalmente varia e coesa, e che serva a catalizzare positivamente la rabbia nei confronti della merda che ci circonda!
Ancora novità su Overthewall. Si aggiunge una nuova, interessante collaborazione al nostro format radiofonico, il blog Join This Order (https://jointhisorder.blogspot.com/), nato recentemente per supportare l’underground e recensire e supportare le band black metal. Ne parleremo con Fulvio Giorgis, cantante e fondatore degli Scream3days, nota band torinese, di cui ci siamo occupati ampiamente nelle puntate passate e oggi qui, ospite come redattore del blog, bentornato su Overthewall, Fulvio!
Grazie Mirella, è sempre un piacere poter essere tuo ospite e ovviamente un saluto a tutti gli ascoltatori di Overthewall e ai lettori del “Raglio del mulo”!Join This Order si occupa già dal 2010 di produzione discografica, merchandise e live riguardanti la sfera black metal. Come nasce l’idea del blog? Come dici giustamente, la Join This Order nasce nel 2010 come piccola etichetta indipendente dedita alla produzione di band black metal e death metal, successivamente, Alessandro e Sara, decidono di occuparsi della realizzazione e distribuzione del marchandise ufficiale degli Adversam e Natassievila, ma non solo, viene dato vita ad un festival di settore denominato “Torino Black Metal” che ha visto on-stage nomi del calibro di Adversam, Black Flame, Mor Dagor, Natassievila, The True Endless (che in quella occasione registrarono un live leggendario!). L’idea del blog nasce nel mese di Marzo di quest’anno con il preciso spirito di supportare attivamente la scena black metal underground, ovviamente tutto viene svolto gratuitamente e alle band che desiderano essere recensite, chiediamo solo il link d’ascolto del loro album.
Attualmente chi si occupa attivamente del blog? Summum Algor, Essyllt, Katharos degli Adversam, Tiorad dei Black Flame, Carnifex dei Nefarium, Naedracth dei Falhena e Fulvio Jkross degli Scream3days. Siamo tutte persone che vivono con passione e competenza la musica estrema a 360° da più di 25-30 anni quindi mettiamo tutto questo a disposizione a chi desidera un nostro parere personale, inerente il proprio lavoro in studio, per dare una finestra di visibilità alla nostra amata scena musicale
Il blog offre a tutte le band che ne fanno richiesta, la possibilità di essere recensite gratuitamente. Quali requisiti deve avere una band per far recensire il suo lavoro discografico e viene fatta una selezione sul materiale che vi arriva? L’unico requisito che richiediamo per poter essere pubblicati sul nostro blog, è quello di proporre un album black metal, con tutti i suoi sottogeneri ovviamente, pagan, depressive , symphonic etc
Ogni settimana Join This Order sarà presente su Overthewall con un brano da voi selezionato, un’altra finestra di condivisione oltre la recensione sul blog di cui citerò alcuni passaggi.Quale band avete scelto per inaugurare la nostra collaborazione? La scelta più naturale per inaugurare questa stimolante collaborazione è quella di proporre un brano degli Adversam, band che ha permesso la nascita della Join This Order e tutto quello a essa connessa, tratto dal loro ultimo album, pubblicato nel 2015, “Insight”. Il brano si intitola “You Ain’t Worth Anything”! Buon ascolto!
Grazie Fulvio per il tuo impegno a 360° nell’underground. Ti aspettiamo con le novità degli Scream3Days e ovviamente ogni settimana su Overthewall con le recensioni e le proposte della Join This Order. Grazie a te per lo spazio che mi hai concesso!!! Seguiteci ovviamente su Jointhisorder.blogspot.com e tutte le settimane su Over the wall! Horns up!
Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 13 Settembre 2021.
Continua il nostro viaggio alla scoperta degli artisti che con le loro illustrazioni impreziosiscono gli artwork e il merchandise contribuendone al successo. Questa volta abbiamo approfondito la conoscenza di Curse Vag, un personaggio che si muove all’interno dell’underground ricoprendo diversi ruoli, non solo quello di grafico, ma anche quello di discografico e “attivista”…
Benvenuto su Il Raglio del Mulo, Andrea quando e come ti sei avvicinato al mondo delle arti grafiche? Ciao Giuseppe. Ti ringrazio, sono veramente felice di essere qui su Il Raglio Del Mulo. Per rispondere a questa tua domanda, bisogna tornare indietro al 2016, quando la mia etichetta, la Maculata Anima Rec era appena nata. Non avendo un soldo (più o meno questo non è cambiato! Ah! Ah! Ah!) ho iniziato arrangiarmi da solo, per il logo ed i flyer per pubblicizzare le prime uscite come distro.
Quando hai capito che le tue abilità le potevi utilizzare in ambito musicale? Quali abilità? Ahahahahahah! Lo dico sinceramente, non so se ho delle reali abilità, non ho una formazione scolastica… diciamo che sono molto naif. Così come un surfista cavalca l’onda, io scavalco l’ispirazione. Quello che ti accennavo e che dico spesso, credo sia esatto! Sono un deturpatore di immagini. Estraggo l’orrore, da un qualcosa di bello! Il problema è che ci sono persone che iniziano a fidarsi dei miei incubi visivi! Ahahahahahahah!
Che tecnica utilizzi? Come dicevo poco fa, non ho una formazione scolastica. Ogni volta che posso, cerco di informarmi su qualcosa di nuovo per me e faccio sempre qualche prova esperimento per conto mio. Questo ovviamente, per imparare nuove soluzioni, provare effetti, filtri, colori e quant’altro. Di sicuro se confronto i primi lavori con gli ultimi, la differenza è enorme, ma ho ancora tantissimo da imparare.
C’è qualcosa di nuovo dal punto di vista tecnico che stai sperimentando negli ultimi lavori o che vorresti sperimentare? Essendo ancora un principiante, quasi ad ogni singolo lavoro provo qualche nuova tecnica o almeno, qualche nuova soluzione. Ovviamente nei lavori che faccio per me, posso osare di più. Anche se il risultato è orrendo va bene comunque e lo tengo. Questo perché mi serve per non ripetere gli stessi errori e migliorarmi di volta in volta, nella resa finale. Ultimamente ho una mezza fissa per miscelare gli stili, come ad esempio il moderno ed il vintage, ma sono ancora lontano dal risultato che voglio ottenere.
Come lavori con un committente, proponi dei lavori già pronti e poi da modificare per le diverse esigenze o parti da zero? Ogni singolo lavoro è ovviamente e fortunatamente aggiungerei, una cosa differente! Inizio con il proporre dei miei lavori, questo se l’interessato non ha già un’idea ben precisa in mente. Altrimenti, lavoro su ciò che mi propone o inizio a trasformare le sue descrizioni, in immagini, incubi. Senza dubbio quello che mi viene commissionato, possiamo dire che è più “sano”. A differenza di quello che creo per me, tramite le mie malsane visioni, che sicuramente è più disturbato!
Quali sono il lavori di cui vai più fiero? Potrà sembrare banale o sembrare retorica, però ogni singolo lavoro è importante. Vuoi perché forse sono ancora pochi, quindi il legame è ancora forte. Vuoi perché con ognuno di essi, sono riuscito a migliorarmi. C’è qualche lavoro più speciale ovviamente, ma principalmente lo sono per una questione affettiva e di orgoglio. Senza dubbio il 45 giri di Mr. Jack (Horror Soundtrack), dal titolo “Beyond The Door” (con da un lato il brano originale e dall’altro, la versione remixata ad opera di Dan PK). È stato il primo lavoro grafico che ho stretto tra le mie mani (i precedenti, sono usciti solo a livello digitale) e nel formato audio che preferisco. Tengo in maniera particolare anche alla ristampa del libro “La Merca”, della scrittrice Chiara Daino. In questo caso, sia perché ho avuto le possibilità di conoscere una splendida persona (Chiara mi perculerà in eterno per questa frase. Ahahah!), sia per la fiducia che in me è stata riposta, oltre alla sfida, di affrontare un qualcosa di completamente nuovo. Non posso poi non menzionare il nuovo album intitolato “Second Chapter”, della Viking Metal band nostrana Bloodshed Walhalla, che vedrà la luce il 31 di questo mese. Non vedo l’ora di stringerlo tra le mie mani. Sai, poter tenere in mano e guardare i tuoi lavori nel formato fisico è tutta un’altra cosa.
Hai anche una tua etichetta discografica, come riesci a far convivere il grafico con il discografico quando c’è da preparare una nuova uscita? In realtà le etichette sono due. La mia Maculata Anima Rec. E poi la The Triad Rec che ho in società, assieme a Daniele che a sua volta ha la sua etichetta, la HellBones Records,per la quale uscirà l’album sopracitato, dei Bloodshed Walhalla e con il quale ho lavorato per alcuni suoi progetti musicali. Insomma, spesso si sta in famiglia! Ahahahahahah! Per non divagare troppo comunque, devo dire che sino ad ora non ho avuto problemi a far coincidere le due cose. Non sono i miei lavori primari (purtroppo!), in più non sempre e non per forza le due cose tendono a collimare. Anzi, sino ad ora per la maggior parte delle band con le quali ho avuto che fare, avevano i lavori grafici già pronti o comunque erano stati dati in mano ad artisti più conosciuti e/o fidati. Io sono ancora un novellino e come tale, non posso certamente avere delle pretese. Sino ad ora comunque, riguardo alle band uscite per le due etichette ho lavorato sulle grafiche di 3 lavori di Mr. Jack, Il riadattamento della cover dello Split tra i Nomura ed i Nulla+ per la versione in Vinile 10”, di cui ho completamente rifatto il retro, più un flyer interno. Per ultimo, solo per ora spero, le grafiche dell’album di debutto di Sigvrðr, che si intitola “Haemolacria”.
Sei molto attivo dal punto di vista delle collaborazioni, ti va parlarne? Certamente! Le collaborazioni mi hanno sempre interessato ed appassionato. Infatti le ho sempre fatte, quando è stato possibile, sia prima quando suonavo,che ultimamente con le labels ed i lavori grafici. Rimanendo in tema, la prima è stata con i ragazzi della pagina di “Facciamo Valere Il Metallo Italiano”, di cui faceva parte anche io. Creati le locandine della seconda e terza edizione del FVIMI Festival e quella della terza edizione del Junihell, altro festival creato dai ragazzi. Li ringrazierò sempre per la fiducia. Quella esperienza mi permise di acquisire sicurezza nelle mie capacità. Dall’anno scorso collaboro poi con Arte Degenerata Fuckzine, per la quale mi sto occupando di creare dei flyer dove pubblicizza le varie collaborazioni a livello di distribuzione, poster e in seguito forse qualche copertina. Da pochissimo ci sono poi altre due collaborazioni appena nate. Una con l’associazione Ocularis Infernum. Un’ultima collaborazione appena nata è quella con il mio socio Daniele, il quale sta creando anch’egli una compilation, ma molto differente, che uscirà per la sua Hellbones Records. Ci saranno vari generi musicali al suo interno, ma principalmente si tratterà di musica industriale e sperimentale, dal titolo “O Sarai Ribelle O Non Sarai”.
Che lavori hai in cantiere? Uno l’ho menzionato appunto nella precedente risposta. In questo momento è il lavoro principale sul quale mi sto concentrando, essendo quello che vedrà prima la luce. C’è poi un lavoro già terminato che aspetta di uscire. Gli Alchem, grande band di Prog Rock e metal con venature Dark, di cui sono fan ed amico di Piero e Lisa, che ne sono i fondatori e l’anima. Hanno pubblicato il loro ultimo lavoro, in collaborazione con la nostra The Triad Rec. Sono in standby ultimamente, come molte altre band, ma hanno scelto un mio lavoro, per far uscire un nuovo singolo dal titolo “Deception” e sinceramente, non vedo l’ora. Devo terminare poi il lavoro per un’altra band italiana, ma di cui per il momento non posso dire il nome, visto che non hanno reso ufficiale la notizia della collaborazione. A tempo perso, cerco di terminare le grafiche per l’uscita del mio progetto musicale, che se tutto andrà bene, vedrà la luce in 3 differenti formati e con 3 differenti grafiche! A parte questo, attendo alcune risposte, ma fino a che non c’è niente di definitivo ha poco senso parlarne.
Tempo di festeggiamenti nel garage più rock d’Italia, per questo abbiamo contattato Marcello Zinno, il capo-garagista, che ci ha aperto le porte del suo RockGarage. Aneddoti e informazioni su passato, presente e futuro del portale www.rockgarage.it, con un finale a dir poco noir…
Ciao Marcello, qualche giorno fa hai condiviso sui social un post celebrativo dei primi dieci anni di RoockGarage, ne approfitto per farti gli auguri e i complimenti per un’attività così longeva. Ti andrebbe di riepilogare anche qui un po’ di numeri? Certo! Innanzitutto grazie per gli auguri che ovviamente condivido con tutti coloro che hanno contribuito a far crescere RockGarage in questi anni. Quest’anno spegneremo le 10 candeline e ad oggi abbiamo pubblicato 13.000 contenuti totali di cui oltre 7.200 sono recensioni, che restano il nostro forte. Abbiamo da sempre creduto nel supporto fisico e in 10 anni abbiamo ricevuto 5.130 CD in redazione, materiale suddiviso poi tra i redattori che si occupano di recensioni e interviste. Questo è un aspetto fondamentale perché già 10 anni fa si parlava di digitale e molte webzine per cui collaboravo ai tempi recensivano facendosi inviare i link degli album via mail. E io dicevo: “caspita, ma è possibile che siti web così grossi non hanno la forza di farsi inviare dei CD, anche per ripagare i redattori del tempo speso per scrivere una recensione?” Qualcuno mi derideva, dicendomi che dovevo accontentarmi dei link via mail. Ricordo ancora oggi una webzine molto importante che mi disse che non solo dovevo recensire in digitale ma che essendo l’ultimo arrivato dovevo accontentarmi di quello che gli altri non volevano recensire. Insomma dovevo prendermi lo scarto. La mia collaborazione con loro finì dopo la seconda recensione.
Ma cosa c’è oltre i numeri? I numeri mi emozionano sempre, mi piace fare i conti con le statistiche, e poi i numeri parlano chiaro. Ma se c’è un motivo di orgoglio per me sono i redattori! Non mi importano le visualizzazioni, se un articolo raggiunge 10 view o 1000 non mi cambia nulla, io so il valore che c’è dietro quell’articolo e il lavoro richiesto. Rileggo TUTTI gli articoli prima di pubblicarli, sia quelli scritti da me sia quelli dei redattori e abbiamo avuto sempre “penne” di tutto rispetto. Intorno al sito hanno ruotato in 10 anni circa 120 persone, molti hanno scritto per poco tempo, altri sono nomi che collaborano con noi fin dall’inizio; in entrambi i casi sempre persone molto competenti e veri appassionati. Inoltre abbiamo i Redattori Speciali, persone che vengono dal mondo della musica o del giornalismo musicale e che scrivono per noi. Perché chi meglio di loro può valutare la musica di oggi? A volte mi sento davvero emozionato ad avere in redazione dei collaboratori così esperti e non mi riferisco solo ai Redattori Speciali.
Come è perché hai messo su RockGarage? RockGarage nacque nel 2011 con due obiettivi principali: il primo (e più importante) è quello di puntare ad innalzare il livello qualitativo dell’informazione musicale in Italia che, anche grazie alla tantissima musica prodotta, meritava e merita molto di più; un obiettivo audace, lo so, e forse che ci fa apparire anche un po’ presuntuosi, ma ero stanco di leggere recensioni copia-incolla dei comunicati stampa o recensioni da cui si capiva che l’album non era stato nemmeno ascoltato. Il secondo obiettivo è quello di creare un network di contatti con band, agenzie, etichette e operatori musicali prolifico, anche perché in diverse webzine per cui avevo collaborato prima del 2011 non venivano curati tali rapporti e molte mail restavano non risposte. Uno spreco di occasioni!
Il momento più esaltante e quello più difficile di questa decade? Di momenti esaltanti ce ne sono stati tanti, ad esempio quando abbiamo chiuso accordi con alcune label e il logo di RockGarage è stato stampato all’interno del booklet o nell’artwork posteriore di alcuni CD e vinili, o quando abbiamo chiuso delle media partnership esclusive (quindi unici partner) per la data italiana di band come Dropkick Muprhys, Asking Alexandria, Sick Of It All o ancora media partner italiani di festival europei di grandissimo livello come Sziget Festival e Hellfest. I momenti difficili sono molto frequenti, per forza di cose io faccio un po’ da collo di bottiglia: correggo le bozze, inseriscono in pubblicazione i contenuti, seguo i social network, tengo i rapporti con i redattori e con i fotografi, rispondo alle mail che arrivano, gestisco il materiale fisico (e lo spedisco) assegnandolo ai redattori che seguono quel genere, scrivo e pubblico le news…e a volte mi chiedo se tutto questo tempo (parliamo di diverse ore al giorno, 7 giorni su 7) valga la pena o se stia togliendo tempo alla mia vita, ai miei affetti. Poi in realtà amo fare tutto questo e questi “momenti difficili” svaniscono. Ma al tempo stesso sono certo che “da fuori” non si intuisce quanto tempo ci sia dietro ad una webzine gestita bene.
Dopo dieci anni RockGarage è così come lo immaginavi all’epoca della sua creazione? Onestamente no. All’inizio sogni sempre che dopo pochi anni la tua creatura possa diventare il sito più visitato in Italia. Non lo è diventato, ma ammetto che sono cambiate anche le mie aspettative. Con il tempo ho imparato ad apprezzare il nostro lavoro per il suo valore e non per i risultati ottenuti. Ho capito che se l’obiettivo iniziale era quello di innalzare la qualità dell’informazione musicale nel nostro Paese, questo lo si raggiunge passo dopo passo, articolo dopo articolo, mettendoci competenze e creando una reputazione con il tempo. È un discorso di qualità e non di quantità, è cambiato il mio punto di vista. E di questo, ad oggi, ne vado molto soddisfatto.
Qual è la linea editoriale che ti sei imposto? RockGarage nasce con l’obiettivo, appunto, della qualità. Fino al 2019 abbiamo recensito solo uscite in formato fisico, in modo da dare una valutazione completa sull’opera e premiare chi opta per questo formato; dal 2019 abbiamo deciso di accettare uscite digitali visto che molte band stanno optando solo per quella distribuzione e sarebbe un peccato escluderle dal nostro “osservatorio”. Le interviste sono esclusivamente face-to-face per garantire un contraddittorio con l’artista. L’aggiornamento di RockGarage è costante, 365 giorni l‘anno; non è mai trascorso un giorno in dieci anni di attività senza che venisse pubblicata almeno una recensione. Nonostante ciò non si danno mai tempistiche ai redattori perché recensire un album deve essere un piacere e a loro viene riconosciuto anche un piccolo compenso per le recensioni di nuove uscite (oltre al formato fisico che resta a loro dopo l’ascolto).
Mi parleresti invece della RockGarage Card? Quello è un progetto assolutamente unico in Italia e che rispecchia la nostra personalità: il rock non è per tutti e supportare la scena emergente è cosa ancora più rara in questa epoca. Ho voluto creare una Card del sito, una tessera fisica che ciascuno di noi può tenere nel proprio portafogli, numerata e quindi unica: la Card, appena avvicinata al proprio smartphone, permette l’accesso diretto ad un’area riservata del sito in cui sono disponibili una serie di contenuti extra come playlist dedicate, sconti per acquisti di musica su siti di alcune etichette e tanto altro. Ultimamente, dato il lockdown, abbiamo stretto alcune collaborazioni con birrifici artigianali che vendevano birre con consegna a domicilio: i possessori della card avevano uno sconto e così abbiamo anche supportato alcune piccole realtà imprenditoriali. Ad oggi 90 persone hanno sottoscritto la RockGarage Card e settimanalmente viene inviato un aggiornamento WhatsApp (per chi lo ha autorizzato). Anche in questo caso i numeri contano poco, l’importante è far girare la musica e dare nuovi strumenti a chi ci tiene alla scena emergente.
In generale, quale credi che sia il pregio maggiore della stampa musicale italiana e quale il suo difetto più evidente? Be’, osservando cosa accade negli altri Paesi dobbiamo ammettere che noi siamo fortunati. Abbiamo una pluralità di informazione, abbiamo libertà di espressione e in quest’epoca, grazie anche alla tecnologia, davvero tutti possono creare una realtà che parli di musica così come di altri argomenti. D’altro canto questo pullulare di voci (singole o non organizzate o non professionali…) produce un overload informativo incredibile e l’ascoltatore non sa più a chi credere. Se aggiungi che siamo nell’epoca delle piattaforme di streaming gratuito, capisci bene che molti preferiscono ascoltare e farsi una propria idea prima che leggere cosa ne pensano gli esperti. Ecco cosa manca alla stampa, fare “fronte comune”: ognuno si cura il proprio orticello, ognuno si prodiga nel creare “il proprio progetto”, la propria pagina Facebook, con la speranza di diventare influencer o giù di lì. Ci dovrebbe essere più collaborazione, a tutti i livelli. Così chi merita potrebbe emergere ancora di più a discapito di grandi riviste che vendono solo brand legati all’abbigliamento e che trattano la musica come una moda. E qui mi fermo sennò divento polemico.
Cosa manca alla stampa musicale italiana? Se fai questa domanda a dei critici storici di musica ti diranno che all’estero la musica l’hanno vissuta in prima persona, noi no. Niente di più sbagliato, se pensi ad esempio alla scena progressive rock, l’Italia è stato un Paese fondamentale nel genere a livello internazionale, eppure solo da qualche anno si sta accreditando in edicola una rivista specializzata in questo genere. Purtroppo la nostra cultura di derivazione americana, insieme ad un approccio commerical-occidentale, fa sì che le direttrici musicali prevalenti sul mercato incanalino i gusti del “popolo”, della massa. Da noi si vive di pop, di Sanremo, di trap (da qualche anno) e di cantautori, così come in USA si vive di hip hop, ad esempio. Tutto il resto da noi ha meno mercato e viene visto come marginale. La stampa italiana ha le sue colpe in questo ma non è solo dipeso da essa. Allora cosa fare? Forse dovremo per primi noi cercare di invertire questa rotta facendo incuriosire il pubblico. E purtroppo non possono riuscirci le riviste cartacee, che vendono sempre di meno, è un compito che dovremo svolgere noi sul web. Infine bisognerebbe dar spazio alle “voci fuori dal coro”, iniziare a dire cose scomode e non pubblicare solo articoli “clickbait”. Io ad esempio ho pubblicato in passato un mini libro dal titolo “Il crowdfunding nella musica: l’elemosina del futuro” in cui argomentavo una forte critica al crowdfunding. Ha venduto pochissimo ma chi l’ha letto lo ha apprezzato.
Chiuderei la nostra chiacchierata con un cenno alla tua recente opera letteraria, “Il Passo Obliquo”: la potresti presentare ai nostri lettori? Certo, si tratta del mio primo romanzo pubblicato da Edizioni BMS (stesso editore di Rock Hard Italia) e inserito nella prestigiosa collana Ambrosia. Nacque tutto anni fa quando mi cimentai in un piccolo romanzo che destò l’interesse dell’editore ma che doveva rientrare in una pubblicazione ben più corposa che poi non vide mai la luce. Mi cimentai quindi in un romanzo più complesso, un giallo a sfondo noir ma che tratta tanti argomenti differenti, con una trama intricata ma semplice da leggere. Appena completato l’ho proposto all’editore che è stato entusiasta nel pubblicarlo. Il Passo Obliquo è disponibile nelle edicole delle principali città italiane o (allo stesso prezzo e con consegna gratuita) on line a questo link: https://www.ambrosialibri.it/catalogo/fantasy/il-passo-obliquo/