Godwatt – Il terzo rintocco

I Godwatt ci hanno messo un po’ – a causa di fattori interni, cambio di line-up, ed esterni, restrizioni covid in primis – per tornare tra noi. Ma quando l’hanno, l’hanno fatto a modo loro, con una vagonata di riff pensanti e oscuri. E’ toccato a Moris Fosco il compito di presentarci il nuovo album “Vol III” (Time to Kill Records \ Anubi Press).

Benvenuto Moris, ai tempi della pubblicazione di “Necropolis”, vi chiesi da quale lavoro dovessimo iniziare a contare i vostri dischi, dato che in precedenza vi chiamavate Godwatt Redemption e avevate testi inglese, e tu mi rispondesti: “I nostri album dobbiamo contarli dal demo precedente a “The Hard Ride…””. Come mi spieghi, allora, quel “Vol. III” che dà il nome alla vostra ultima fatica?
Intanto grazie per averci di nuovo cercato per questa intervista! “Vol. III” indica semplicemente il terzo lavoro ufficiale della band uscito per una label, poiché tutti i dischi precedenti a “L’ultimo sole” del 2015 sono autoprodotti.

Mi pare che in generale “Vol. III” riprenda una certa oscurità che in parte avevate “diluito” in “Necropolis”, è così?
Sinceramente io trovo molto oscuri, anche se in maniera diversa, tutti i nostri ultimi tre dischi soprattutto se paragonati ai nostri primi lavori autoprodotti dove forse l’impronta stoner era un po’ più marcata. Devo ammettere inoltre, che ogni nostro disco, anche se può essere considerato stoner doom come genere, abbia caratteristiche diverse l’uno dall’altro, sia per la composizione che per la produzione in generale. Ogni disco ha un suono, una sua caratteristica, un suo groove, anche se l’impronta Godwatt si riconosce comunque.

Il vostro terzetto non è mai cambiato, almeno sino ai giorni successivi alla pubblicazione di “Necropolis”. Come sono andate le cose?
Purtroppo è proprio così poiché nel 2018, dopo pochi mesi dall’uscita di “Necropolis”, il nostro batterista storico Andrea Vozza per motivi diversi decise di lasciare la band. All’inizio non fu facile, dopo circa 12 anni di convivenza, cercare un altro batterista, sia perché eravamo e siamo ancora grandi amici e sia perché avevamo ormai un’intesa collaudatissima da anni sul palco. Questa cosa non ci permise di promuovere nella maniera idonea il disco poiché dovemmo fermarci e cercare un nuovo batterista. Dopo qualche avvicendamento, comunque, nel settembre del 2019, quindi circa un anno dopo, abbiamo ritrovato la quadratura del cerchio con l’ingresso in pianta stabile di Jacopo Granieri. Anche se proveniente da ascolti e esperienze diverse, nel giro di poco tempo è riuscito ad entrare nei meccanismi della band, tanto che pochi mesi dopo, ci siamo catapultati in studio per iniziare le registrazioni di “Vol. III”.

Il disco si apre con “Signora morte”, che se non erro è stato anche il primo singolo estratto da “Vol. III”, credi che sia il brano che oggi vi rappresenti al meglio?
Sicuramente è uno dei brani del nuovo album che noi preferiamo suonare dal vivo e comunque credo ci rappresenti anche bene, dato che ha una parte heavy iniziale e una parte stoner-doom finale che in definitiva sono un po’ le nostre caratteristiche principali.

Tra le vostre due ultime pubblicazioni sono scoppiate una pandemia e una guerra sul territorio Europeo. Nei vostri testi avete sempre trattato temi come la morte e la disperazione, ma questi anni particolarmente ricchi di eventi nefasti hanno in qualche modo cambiato la vostra percezione della morte?
Di sicuro non hanno portato gioia e solarità nei nostri testi… Anche se devo ammettere che non mi hanno influenzato più di tanto, dato che avrei comunque parlato di certe tematiche perché penso che si adattino alla perfezione alla nostra musica, che di base è negativa e oscura.

Restando in tema pandemia e guerra in Ucraina, i costi dei tour sono notevolmente aumentati in questi anni: quanto è dura per un gruppo come il vostro organizzare oggi delle date?
Sicuramente questi eventi catastrofici non ci aiutano affatto e organizzare date è diventato veramente difficile dato che le spese per i gestori/organizzatori sono aumentate a dismisura e quindi di conseguenza chiamare una band, specialmente se proveniente da lontano, diventa una spesa non sempre sostenibile. Speriamo comunque di poter riuscire a suonare il più possibile, come spiegavo precedentemente abbiamo avuto periodi di stop forzato per cercare un batterista prima e, come tutti, le restrizioni per covid successivamente.

Nonostante questi fattori critici, avete dei concerti in programma?
A Marzo suoneremo al Roma Caput Doom Fest, abbiamo una data a Latina ad Aprile e una in Puglia da confermare. Stiamo comunque lavorando per organizzarne altre.

Avete già proposto i nuovi brani dal vivo e quali sono stati i riscontri?
Si abbiamo realizzato un release party suonando tutto “Vol. III “ed è stato accolto alla grande dal pubblico anche, se un paio di brani venivano eseguiti dal vivo già da un po’ di tempo. In generale, dalle recensioni, come anche dai social, sembra che il disco stia piacendo molto e non vediamo l’ora di farlo ascoltare il più possibile.

In chiusura vorrei tornare nuovamente alla nostra intervista del 2018: in quell’occasione mi parlaste di un brano escluso da “Necropolis” per la sua lunghezza e che nelle vostre intenzioni sarebbe dovuto poi andare a finire in un futuro EP. Che fine ha fatto quel pezzo? Avete ancora intenzione di fare un EP?
Che memoria! Quel pezzo è rimasto purtroppo nel cassetto… almeno per ora! È stato registrato con il vecchio batterista e aveva una produzione diversa da quella di “Vol. III”, quindi sarebbe da registrare nuovamente magari per una prossima uscita.

Godwatt – Nessuna redenzione per i vivi

I Godwatt hanno dipinto con il nuovo “Necropolis” scenari decadenti e oscuri. L’hanno fatto alla loro maniera, con riff grassi e pesanti che annichiliscono l’ascoltatore. Un mondo senza luce e senza speranza quello in cui viviamo? Forse, ma finché escono dischi come questo, sopravvivere è sicuramente più piacevole.

Benvenuti su Metal Hammer Italia, ragazzi. Direi di iniziare dalla fine, quindi dal nuovo “Necropolis”. Cosa lo distingue dai suoi predecessori?
Moris: Ciao! Il nostro nuovo e ultimo lavoro “Necropolis” si distingue dagli altri sicuramente per il sound molto più aperto e deciso, meno oscuro ma non per questo meno pesante. Mi riferisco solo al suono perché testi e atmosfere rendono il disco nero come la pece!

Come sono nati i brani? C’è n’è stato uno che v’ha fatto ammattire prima di arrivare alla stesura definitiva?
Mauro: Le strutture portanti dei pezzi, più o meno complete, sono nate dalla mente malata e paranoica di Moris, poi tutta la band li ha arrangiati, cercando di farli suonare al meglio.
Moris: Un brano che ci ha fatto ammattire? Forse uno che non è finito sul disco! Era molto lungo e abbastanza complesso e al quale tenevamo molto, ma per vari motivi, tra i quali l’eccessiva durata, ci ha fatto decidere per la sua esclusione.
Mauro: Forse finirà su un ep o uno split, magari. E’ un brano comunque interessante e forse più cervellotico degli altri, quindi buono per ammattire!

Il titolo ha un significato metaforico?
Moris: Il titolo è venuto fuori alla fine, dopo che ci siamo accorti che quasi tutti i testi parlavano della morte, vista da prospettive diverse e accompagnata da decadenza, pessimismo e negatività. Tutte caratteristiche del mondo di oggi, che io immagino nel futuro come una grande necropoli.

“Necrosadico” ha qualcosa a che fare con “Necrosadistdei Necrodeath?
Moris: No,no. I Necrodeath non rientrano nei miei ascolti! In quel brano ho solo descritto i momenti in cui un uomo, in maniera molto semplice, si diverte ad “esaminare” il corpo di un morto…

Alcuni dei concetti che tornano spesso nelle liriche sono quelli di colpa e peccato. Quasi sempre “senza redenzione”, parafrasando il titolo di un vostro precedente album. Sembra quasi che i vostri testi siano pervasi da un’etica cristiana. Qual è il vostro rapporto con la religione?
Moris: Io non sono credente, ma penso che in certi momenti della vita abbiamo bisogno di credere in qualcosa di più grande di noi. E’ nell’indole umana, penso. Il senso di colpa di cui parli tu è rivolto alle responsabilità che abbiamo per la decadenza e la distruzione di questo mondo. Siamo diretti verso la fine inesorabilmente. Non vedo vie d’uscita, vedo solo l’oscurità che ci aspetta.

Prima ho citato “Senza Redenzione”, l’album della svolta, che ha portato al cambio di nome (prima era Godwatt Redemption) e di idioma per i testi. Facendo un passo indietro, vi siete mai pentiti di quei cambiamenti radicali?
Moris: Assolutamente no! Con l’italiano abbiamo trovato la nostra dimensione e il nostro marchio di fabbrica! Non sono molte le band che utilizzano l’italiano nel nostro genere e ne siamo orgogliosi.
Mauro: Penso che l’italiano ci dia più padronanza di espressione, riusciamo a rendere meglio l’idea. Poi credo che per certe tematiche la nostra lingua sia molto interessante da utilizzare, ha un suono, come dire, più organico.

Dal punto di vista tecnico è più facile costruire e cantare una canzone con i testi in inglese o in italiano?
Moris: Forse con l’italiano è un po’ più’ difficile, soprattutto per quanto riguarda la metrica e il trasmettere aggressività e potenza, in quanto di base tende a essere più’ morbido rispetto all’inglese. Ma una volta sistemato a dovere, penso che ci dia quel qualcosa in più’. E poi devo dirlo: con l’inglese ci sentivamo sempre un po’ troppo cloni di altri gruppi.

Ma i vostri album dobbiamo contarli da “The Hard Ride of Mr. Slumber” o da “Senza Redenzione”?
Moris: I nostri album dobbiamo contarli dal demo precedente a “The Hard Ride…” del 2007 , in quanto ritengo che ogni lavoro che abbiamo fatto dalla nostra “nascita” nel 2006 in poi ci ha permesso di arrivare a quello che siamo oggi e quindi ai Godwatt di “Necropolis”. In definitiva le sonorità’ di base e l’indirizzo della band più o meno sono rimasti quelli degli inizi. Siamo solo maturati, penso. E comunque ci tengo a sottolineare che dall’inizio ad oggi i Godwatt sono immutati come formazione! Da ben dodici anni che ci sopportiamo!

Al di là dei testi in italiano, vi ho sempre definito la meno italica delle band doom nostrane. Il vostro sound affonda le proprie radici nel rock pesante britannico, cosa che vi distingue dalle altre band di casa nostra più vicine a suoni di matrice Death SS\Paul Chain. Mi sbaglio?
Moris: Massimo rispetto per i nomi “di casa nostra” da te citati ma non rientrano tra le nostre influenze. Abbiamo sempre avuto come fonti d’ispirazione altre band come Cathedral, Black Sabbath, Candlemass, Spiritual Beggars e Witchcraft.
Mauro: Di base, come tu dici, la nostra matrice viene dall’heavy rock britannico e principalmente dalle band che ha citato Moris, poi chiaramente ognuno di noi ha diverse preferenze e background leggermente differenti l’uno dall’altro. Questo può venire fuori più sottilmente nelle dinamiche ed in certi arrangiamenti di ogni pezzo. Per lo più parliamo sempre di ispirazione da vecchia musica, più estrema e moderna, ma che si rifà ad essa.

Con “Necropolis” siete giunti al secondo album con la Jolly Roger Records, il precedente “L’Ultimo Sole” è una sorta di raccolta con brani reincisi per l’occasione: come è stato rimettere mano a vecchie canzoni?
Moris: Siamo felici di aver continuato la collaborazione con la Jolly Roger Records poiché siamo molto soddisfatti del lavoro svolto finora per quanto riguarda promozione e distribuzione. Rimettere mano a vecchie canzoni non mi fa impazzire come idea, preferisco sempre lavorare su materiale nuovo, ma è stato necessario per rendere i pezzi più simili a quelli del disco che dovevamo pubblicare all’epoca. Penso che alla fine il risultato sia stato molto buono.

Prossimi progetti?
Moris: Per ora vogliamo solo suonare il più possibile e cercare di far conoscere la nostra proposta dove possiamo. Anche perché siamo stati fermi più di un anno per la “gestazione” di “Necropolis” e vogliamo solo suonare. Poi si vedrà per un nuovo eventuale disco.

Intervista pubblicata originariamente su Metal Hammer Italia in occasione dell’uscita di Necropolis.
http://www.metalhammer.it/interviste/2018/03/14/godwatt-nessuna-redenzione-per-i-vivi/