Asgaard – What if…

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

“What if…” (WormHoleDeath / Solid Rock Pr) è il nuovo album degli Asgaard. La band polacca, con il suo settimo disco, reinventa la propria formula introducendo sonorità più rock alla maniera di Katatonia, Amorphis, Moonspell, Opeth, Anathema. Qualche giorno fa abbiamo fatto una chiacchierata con Flumen (keyboards, samples, drum programming).

Benvenuto Flumen, è uscito “What If…”, qual è il vostro obiettivo da raggiungere con questo nuovo album?
Il nostro obiettivo principale era pubblicare questo album con un’etichetta di cui ci fidiamo. Leggendo le note di copertina si può notare che alcune parti strumentali sono state registrate alcuni anni fa e il processo stesso di registrazione, missaggio e mastering è terminato un anno fa. Onestamente, non ho particolari aspettative per questo album. Questo è il nostro settimo album. Ogni volta abbiamo offerto ai nostri ascoltatori un “prodotto” di alta qualità. Conosciamo il nostro valore, ma siamo anche consapevoli che i tempi migliori per una “carriera a livello mondiale” sono probabilmente andati, e sopravviviamo grazie al lavoro. La musica è principalmente il nostro hobby.

Dopo tutto il tempo investito nella registrazione, sei soddisfatto del risultato?
Sicuramente sì! Ognuno di noi ha dato il 100% di impegno. La produzione musicale è di altissimo livello. Naturalmente, dopo un’analisi più approfondita, ci sono alcune cose che penso che avrei potuto suonare meglio, arrangiare meglio, ma credo che questi siano dettagli meno importanti.

“What If…” è più rock oriented rispetto alle vostre precedenti uscite, avete pianificato questo cambiamento prima di scrivere il nuovo album o questo suono è il risultato di un processo di scrittura spontaneo?
La risposta è sì e no. No, perché non abbiamo deciso in quale stile dovrebbe essere realizzato prima di registrare l’album. Noi invece siamo sempre più esperti (o semplicemente più grandicelli, se preferite). Crediamo che ci siano altri mezzi di espressione oltre a suonare, ad esempio, metal straight-up. In questo album abbiamo voluto dimostrare che siamo “multitasking” e che possiamo usare molti mezzi espressivi. Spero che ci siamo riusciti.

In passato altre band metal – Paradise Lost, Katatonia, Anathema – hanno cambiato sound, come spieghi questa esigenza che alcuni artisti avvertono nel corso della loro carriera?
Secondo me, questa è una necessità di crescità. Le persone cambiano, cambiano i loro interessi e preferenze musicali, sviluppano la loro esperienza di musicisti. Personalmente, penso che la mancanza di cambiamento possa dimostrare che una data band non sta sviluppando o ampliando i suoi orizzonti musicali. Per me è più naturale cambiare, in termini di evoluzione stilistica di un gruppo musicale, che ristagnare.

Come è possibile conciliare abilità tecniche e feeling?
È facile! Non siamo virtuosi, quindi questo non è un nostro problema! Seriamente, ogni buon brano musicale deve essere caratterizzato da una linea melodica interessante, bei passaggi musicali, buon arrangiamenti, feeling generale e altri elementi. A volte penso che il nostro “svantaggio” sia l’eccessiva polifonia. L’ascoltatore quindi non sa quale linea melodica è la più importante, quella su cui concentrarsi in un dato momento. Tuttavia, dopo un altro ascolto dell’album, potrebbe trovare altri elementi che in precedenza aveva trascurato. In questo caso, però, credo che possa essere un vantaggio.

Quali sono le tue canzoni preferite di “What If…”?
Non credo di avere una canzone preferita. Agli ascoltatori in Polonia piacciono molto le due canzoni in polacco “Sny na jawie” e “W sercu nieświata”.

Perché due canzoni dell’album sono cantate in polacco?
Le due canzoni “Sny na jawie” e “W sercu nieświata” sono cantate in polacco. Secondo me è abbuiamo decisamente “osato” tardi per con due canzoni in polacco! Avremmo dovuto farlo prima. Forse perché la lingua polacca non è così popolare. Inoltre non è “musicale” e piacevole all’orecchio come, ad esempio, il francese o l’italiano. Ha relativamente molte sibilanti e potrebbe sembrare troppo “duro”. D’altra parte, le risorse della lingua polacca sono enormi e possono essere espresse in molti modi. Una dei due testi è di Krzysztof Kamil Baczyński, un eccellente poeta polacco.

“What If…” esce in tre edizioni: quali sono le differenze?
La prima (la versione più economica) è realizzata come jewelcase, la seconda è un digipack, la terza (più costosa e limitata) è un digipack in una scatola di legno con adesivi, plettri e corde per chitarra. La cosa più importante è che ogni release ha la stessa grafica di alta qualità realizzata dal prof. Bartłomiej Trzos.

E se non avessi iniziato a fare musica anni fa, cosa saresti oggi?
Penso sia impossibile. Io e mio fratello maggiore Hetzer abbiamo studiato alla scuola di musica, quindi se non suonassimo negli Asgaard, probabilmente suoneremmo in altre band. In ogni caso, saremmo musicisti dilettanti. Siamo troppo legati alla musica per non suonarla. Cerchiamo di essere chiari: Asgaard è solo il nostro hobby (tuttavia cerchiamo di essere professionali in quello che facciamo). Trascorriamo il nostro tempo libero componendo, registrando e facendo concerti. Tuttavia, dal punto di vista del nostro stile di vita, gli Asgaard non cambiano molto.

“What if…” (WormHoleDeath / Solid Rock Pr) is the new album by Asgaard. The Polish band, with its seventh record, reinvents its formula introducing more rock-oriented sound in veins of Katatonia, Amorphis, Moonspell, Opeth, Anathema. Some days ago, we had a chat with Flumen (keyboards, samples, drum programming).

Welcome Flumen, “What If…” is out, which is your goal with this new album?
Our main goal was to release this album with a label that we trust. Reading the sleeve notes you can notice that some of the instrument parts were recorded a few years ago, and the very process of recording, mixing and mastering ended a year ago. Honestly, I have no particular expectations for this album. This is our 7th album. Each time we offered our listeners a “product” of high quality. We know our worth, but we are also aware that the best times for a “world career” are probably long behind us, and we survive thanks to work. Music is mainly our hobby.

After all the time invested on the recording, are you happy with the result?
Definitely yes! Each of us gave 100% commitment. Music production is at a very high level. Of course, after a deeper analysis, there are a few things that I think I could have played better, arranged better, but I think these are less important details.

What If…” is more rock oriented then your previous releases, did you plane this change before to write the new album or is this sound the result of spontaneous writing process?
The answer is yes and no. No, because we did not decide in what style it should be realized before recording the album. On the other hand, we are more and more experienced (or simply older, if you prefer). We believe that there are other means of expression than playing, for example, straight-up metal. On this album we wanted to show that we are “multifunctional” and we can use many means of expression. Hope we have succeeded.

In the past other metal bands – Paradise Lost, Katatonia, Anathema – have changed their sound, how do you explain this need that some artists feel later during their career?
In my opinion, this is a need for development. People change, their musical interests and preferences change, they develop their experience as musicians. Personally, I think that the lack of change may prove that a given band is not developing or broadening its musical horizons. For me, it is more natural to change, the stylistic evolution of a music group, than to stagnate.

How is possible to balance technical skills and feeling?
It’s easy! We are not virtuosos, so this does not apply to us! Seriously, every good piece of music must be characterized by an interesting melodic line, nice musical phrases, good arrangement, general atmosphere and other elements. Sometimes I think our ‘downside’ is the excessive polyphony. The listener then doesn’t know which melody line is more important, on which to focus at a given moment. However, after another listening to the album, he may find other elements that he had previously overlooked. In this case, however, I believe that it may be an advantage.

Which are your prefer songs from “What If…”?
I don’t think I have a favorite song. Listeners in Poland really like two Polish songs “Sny na jawie” and “W sercu nieświata” (“At the heart of the no-world”).

Why are two songs on the album sung in Polish?
The two songs “Sny na jawie” and “W sercu nieświata” are sung in Polish. In my opinion, it was definitely too late to “dare” to sing two songs in Polish! We should have done it earlier. Maybe because the Polish language is not so popular. It is also not as “singing” and pleasant to the ear as, for example, French or Italian. It has relatively many sibilants and may feel too “harsh”. On the other hand, the resources of the Polish language are enormous and can be expressed a lot. One of the works is by Krzysztof Kamil Baczyński, an excellent Polish poet.

What If…” is out in three editions: what are the differences?
The first (the cheapest version) is made as a jewel case, the second is a digipack, the third one (the most expensive and limited) is a digipack in a wooden box with stickers, guitar picks and stripes. The most important thing is, that every release has the same high-quality graphics made by prof. Bartłomiej Trzos.

What if you hadn’t started making music years ago what would you be today?
I think is impossible. Me and my big brother Hetzer were learning in music school, so if we weren’t playing Asgaard, we’d probably be playing in other bands. In any case, we would be amateur musicians. We are too closely associated with music not to play it. Let’s be clear.: Asgaard is just our hobby (however we try to be professional in what we do). We spend our free time composing, recording and playing concerts. However, from the point of view of our lifestyle, Asgaard does not change much.

Mariangela Demurtas – Crossing time

Mariangela Demurtas è la vocalist del super-gruppo gothic Tristania. In questa intervista per Il Raglio del Mulo, ci ha parlato del mondo della musica, dei Tristania e dei suo progetti da solista.

Ciao Mariangela, benvenuta su Il Raglio del Mulo, è un piacere di averti qui. Come è iniziata la tua carriera nel mondo del metal?
Ciao, grazie per avermi invitato. Il mio ingresso nel mondo del metal è stata una conseguenza dal fatto che sono stato chiamata da una band quando avevo 23 anni. Una realtà sarda che si chiama Reel Fiction, ho detto di sì, e così sono partita per una nuova avventura.

Cosa significa far parte di una grande band come i Tristania? Hai mai pensato di lasciare tutto e continuare con una vita normale?
Coloro che vivono una vita normale sono i più felici! È bello vivere l’esperienza di essere una cantante e mi considero molto fortunata per questo. I Tristania hanno contribuito molto alla mia crescita come artista.

Quali sono i principali problemi che devono affrontare le band all’interno di una scena mondiale ormai satura?
Non ritengo che sia un problema, c’è spazio per tutti. Forse potrebbe essere un bene non cercare di imitare le altre band di successo e costruire una propria identità… è un lavoro duro, ma ripaga sempre.

Secondo te, cos’è che non consente la crescita nell’underground? Intendo, come possibilità di poter avere un reddito proveniente dalla propria band e dalla musica che si crea, possibilità di acquistare nuove attrezzature, partecipare a festival rinomati…
La musica underground ha meno pubblico della musica mainstream e per di più le etichette e le piattaforme continuano a rubare dagli artisti e ad abusarne. Questo spero che possa cambiare…

Internet oggi con le piattaforme di musica digitale, secondo te, è una benedizione o una maledizione?
Internet fa bene alla promozione, ma come ho detto, il fatto che le persone paghino le piattaforme invece dell’artista, ci sta uccidendo.

Mariangela, oltre a Tristania quanto materiale hai registrato e quali altri progetti hai ?
Oh, ne ho avuti molti e spero di averne ancora in arrivo. Non posso davvero contarli tutti, ma il mio progetto solista è attivo e “Dark Ability”, il mio nuovo EP è uscito a febbraio. Sta arrivando anche un nuovo album dell’altra mia band, gli Ardous…

Stante la tua esperienza, una band emergente, qualunque sia lo stile del metal, può avere successo solo se ha una grande casa discografica alle spalle o, al contrario, c’è più libertà di poter far conoscere la propria musica senza dipendere da un’etichetta?
Al giorno d’oggi possiamo contare sul supporto delle persone e non abbiamo molto bisogno di un’etichetta per creare musica. Ma quando si tratta di tour e festival, credo che devi avere dei santi però…

Cosa pensi debba cambiare urgentemente nell’industria musicale?
Il modo in cui un artista viene trattato e maltrattato. Se non abbiamo il controllo sulle nostre vendite, sul nostro lavoro e sulla nostra identità, finiamo tutti fottuti…. triste ma vero.

Cosa spinge Mariangela a fare metal? Quale passione ti lega all’arte del metal?
Non faccio solo metal, ho la passione per ogni tipo di musica e il metal è solo una di esse. Infatti, la mia musica da solista non è metal.

Qual è uno dei sogni che hai e che non sei ancora riuscita a realizzare ma per il quale in questo momento stai lavorando duramente per la sua realizzazione?
Mi piacerebbe provare a vivere nel Nord America per un po’ di tempo o studiare qualcos’altro oltre alla musica o alle lingue, forse un giorno ce la farò…

Cadaveria – The woman who fell to earth 

Nuovamente ospite di Mirella Catena su Overthewall Cadaveria.

Per prima cosa ti ringrazio di essere, a distanza di un anno, ancora ospite nella mia trasmissione. Bentornata su Overthewall! La spiritualità e il misticismo sono delle componenti ben radicate in ogni tua produzione, che tipo di evoluzione hanno avuto nel corso della tua carriera e chi è quindi oggi Cadaveria?
Grazie a te, è davvero un piacere essere di nuovo in tua compagnia e grazie per l’interesse che dimostrate verso di me. Più che di misticismo parlerei di spiritualità. Negli ultimi anni mi sono avvicinata allo sciamanesimo, complice un viaggio che ho fatto in Brasile, durante il quale sono stata a contatto per quattro giorni e quattro notti con una tribù indigena. Ho imparato i loro canti, ho ballato con loro attorno al fuoco, ho partecipato alle loro sacre cerimonie. Cerco di applicare nella vita di tutti i giorni i grandi insegnamenti che ho avuto da quel meraviglioso popolo che mi ha accolta come una sorella. E’ stata un’esperienza profonda che inevitabilmente ha influenzato anche alcuni nuovi brani dei Cadaveria usciti recentemente come singoli e altri che usciranno successivamente. Anche la meditazione e lo yoga fanno ormai parte della mia quotidianità e mi sono state di aiuto nel superamento della malattia.

Della tua figura artistica ammiro, tra le altre cose, la volontà del perenne “mettersi in gioco” e sul modello serpentino, quello di mutare periodicamente pelle per acquisirne una più bella e potente! Credi che questo concetto sia magistralmente espresso in parallelo con il tuo percorso di donna e non solo di artista?
Eh, sai dicono che lo scrub faccia bene al rinnovamento cellulare e con l’avanzare dell’età mi sto prendendo cura della mia persona, ah ah ah! A parte gli scherzi, sono una persona eclettica e che si annoia facilmente e mi piace spingere l’asticella dei miei limiti sempre più in alto. Così sono sempre in movimento e pronta a sperimentare qualche novità. La vita mi ha messa di fronte a tante scelte e a grandi cambiamenti e io ho dovuto imparare a lasciare andare. Viviamo continuamente il ciclo della vita e della morte anche durante la vita stessa. La natura e le sue stagioni ce lo insegnano. Ora guardo con ottimismo il cambio di pelle perché so che sotto ciò che si esfolia ci può essere qualcosa di più bello, una nuova opportunità.

Circa 30 anni fa hai messo a disposizione la tua voce per la realizzazione di una delle più belle intro che il black metal abbia prodotto, mi riferisco a “My Soul” del seminale “All the Witches Dance” dei Mortuary Drape. Cosa ricordi di quel periodo magico, in cui un certo tipo di suono stava vedendo la luce, e quale emozioni ti trasmette ancora oggi nel ripensarvici?
Ah, di quella esperienza in particolare ricordo che la sera prima avevo ecceduto col bere e quindi in studio non ero per niente in forma. Era l’incoscienza della gioventù. Ora non me lo permetterei mai, sono troppo precisa e professionale per presentarmi in studio non in forma. Di quel periodo ricordo la spensieratezza e e il grande scambio epistolare con i fan, altre band e case discografiche. Non c’era internet, eravamo tutti agli inizi, non c’era uno più figo o più avanti dell’altro e c’era molta collaborazione anche tra i gruppi.

Nel tuo bellissimo ultimo video-clip “The Woman Who Fell to Earth” cosa vuoi trasmettere con questa misteriosa e quasi ancestrale visione femminile?
Ho raccontato la figura di una donna guerriera, così come mi hanno ribattezzata gli indigeni in Brasile, che scaglia la propria freccia lontano. Ho allargato il discorso a tutto il femminile, dunque questo brano è dedicato a tutte le donne della terra, alla nostra forza e alla nostra fragilità, di cui non ci dobbiamo vergognare, anzi. Abbiamo un sesto senso… e anche un settimo. Impariamo ad ascoltarci di più e a fidarci del nostro istinto.

In questi giorni sono piacevolmente impegnata nella lettura di “Necrodeath. The Shining book” dello scrittore Massimo Villa, che contiene, oltre alla biografia della storica band, anche la tua bellissima prefazione. Cosa hai provato ripercorrendo quei ricordi e ci sarà una tua biografia, come hai appunto accennato nella prefazione?
Quando Massimo Villa mi ha chiesto di contribuire al libro ho pensato di dare un taglio molto personale al mio intervento. Visto e considerato che ho conosciuto Flegias oltre trenta anni fa e sono stata legata a lui affettivamente, ho raccontato proprio del nostro incontro e di come passavamo le giornate in mansarda ad ascoltare i tanti vinili della sua collezione Heavy Metal. I Necrodeath dunque io li ho prevalentemente vissuti attraverso di lui, che li conosceva dagli anni Ottanta, come amici e poi come band “cugina” dei Cadaveria con cui condivido due componenti. Mi piace molto scrivere e ho pensato più volte di cimentarmi nella mia autobiografia. Due cose al momento mi trattengono: ultimamente vivo molto nel presente e non amo più tanto scoperchiare i calderoni del passato. Tra le tante cose belle ci sono ce ne sono alcune meno piacevoli e non ho voglia di farmi del male. L’altro aspetto frenante è che mi sento completamente realizzata con ciò che faccio e già nei miei testi raccolto moltissimo di me. Se un domani smetterò di fare musica allora forse ci sarà spazio per un libro, ma dovrà essere una esigenza, un’urgenza mia, non una m ossa commerciale. Di quello non me ne frega niente.

I tuoi canali social ci informano che sono in arrivo importanti novità, tra cui un nuovo album. Puoi dare qualche anticipazione per i nostri ascoltatori?
Sì certo. Abbiamo trascorso la fine del 2020 e tutto il 2021 realizzando singoli in digitale e accompagnandoli con i relativi video. Ci siamo divertiti e abbiamo dato un assaggio della nostra nuova musica. A ottobre siamo tornati a comporre e abbiamo deciso che questi novi brani confluiranno in un album. Quindi per ora basta singoli. Siamo in studio e speriamo di far uscire il successore di “Silence” (nostro ultimo full length risalente ormai al lontano 2014) entro l’estate 2022. Seguiteci dunque su https://www.facebook.com/cadaveria e su https://www.instagram.com/cadaveriaofficial/ per non perdervi questa ed altre novità in arrivo.

Grazie di essere stata con noi.
Grazie a voi!

Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 13 Dicembre 2021

Mandragora Scream – Nothing but the best

“Nothing But The Best”, la raccolta pubblicata dalla Music for the Masses per festeggiare i 20 anni di carriera dei Mandragora Scream, si è rivelata un ottimo pretesto per contattare Morgan Lacroix e parlare con lui di passato, presente e futuro della sua longeva creatura.

Benvenuto Morgan, in occasione del ventennale del vostro esordio discografico con l’album “Fairy Tales from Hell’s Caves” la Music for the Masses pubblicherà il prossimo 24 settembre il vostro primo greatest hits, “Nothing But The Best”. A chi è venuta l’idea di questo disco celebrativo?
Ciao, grazie per questa intervista innanzitutto, l’idea è venuta al nostro manager Simone Gagliardi, il manager dell’era “Volturna”, che è stata quella per noi più proficua, sotto tutti i punti di vista, abbiamo sempre lavorato molto bene assieme, raggiungendo traguardi veramente importanti. Ora che ha fondato la Music for the Masses, ci è sembrato veramente naturale tornare a lavorare con lui, inoltre, credo che la raccolta sia il giusto tributo alla nostra carriera dagli inizi a oggi.

Oggi, tra streaming, download e tante altre fonti di musica, ha ancora senso pubblicare una raccolta? Mah… sai…  sarebbe come dire ma in mezzo a migliaia di webzine, ha senso averne una? La risposta secondo me è sì! Questo è il nostro meglio, dal nostro punto di vista, e una fotografia che immortala i Mandragora Scream dall’inizio a oggi. Il prodotto fisico rimane, lo streaming, se cade un server non esiste più, inoltre non vogliamo pensare che il prodotto fisico non serva più, sarebbe veramente molto molto triste.

Il disco conterrà alcuni brani inediti come “Jeanne D’Arc” e “Spiritual Leadin” e alcune anticipazioni dal prossimo album. Vi andrebbe di descrivere questi nuovi brani?
Diciamo che “Jeanne” e “Spiritual” non sono inediti, semplicemente non sono mai apparsi su CD, erano compresi nel DVD del box uscito anni fa per Self Distribuzione “Dragonfly” e pertanto diciamo, non riproducibili su un normale lettore compact disc e ci sembrava giusto renderli disponibili per un ascolto più facile a chi ci segue, visto anche che tanti fan ci hanno scritto al riguardo. I tre brani inediti faranno parte del nostro album che uscirà a fine 2022 sul quale stiamo lavorando, e abbiamo scelto tre pezzi che rispecchiano le nuove influenze e songwriting dei Mandragora Scream, che sono sempre più variegate.

I brani che finiranno nel prossimo disco sono già in versione definitiva o li troveremo arrangiati diversamente sul nuovo album?
Sicuramente Terry preparerà delle modifiche sostanziali sugli arrangiamenti dei  brani che entreranno nel nuovo album, ma l’ossatura delle track è quella.

Come avete scelto, invece, le altre canzoni già edite da inserire in questa raccolta?
Ci siamo seduti, abbiamo stappato del buon vino, e abbiamo litigato scegliendo i brani più significativi e ai quali eravamo più legati: il risultato è stata una tracklist da 30 pezzi improponibile. Dopo varie trattative abbiamo scelto queste 17 tracce e devo dire che il risultato mi soddisfa pienamente e offre una visione totale della produzione dei Mandragora Scream dagli inizi a oggi.

Ti andrebbe di fare una veloce retrospettiva sui vostri cinque album sinora pubblicati?
Mah direi “Whisper” e “Fairy Tales” un inizio col botto, anche per via del contratto con Nuclear Blast, che poi ci ha assolutamente rallentato negli anni a venire. “Madhouse” un album maturo e con la nostra hit più grande, “Dark Lantern”. “Volturna” la svolta a livello di pubblico e di conoscenza della band da parte di fan e addetti ai lavori ottenuta con il duro lavoro nostro e del nostro manager senza alcuna spinta di case discografiche e la possibilità di andare in tour con The 69 Eyes e Cradle of Filth. “Luciferland” indipendenza totale da qualsiasi fattore/entità esterna alla band.

Alla luce dell’entusiasmo con cui furono accolti i primi dischi, credi che forse la vostra carriera sarebbe potuta andare meglio o siete soddisfatti così?
Chiaro che mentirei se dicessi che va bene così, ma allo stesso tempo siamo soddisfatti del nostro percorso. Non credo siano molte le band Italiane del nostro genere, senza grossi padrini mediatici, che in carriera hanno venduto quasi 100.000 copie. Forse, per nostra indole personale non abbiamo mai accettato compressi anche molto vantaggiosi per la nostra carriera, che sono stati una costante nel tempo, una miriade di proposte che personalmente non ho mai accettato per non svilire il nostro pensiero artistico sul lavoro della band, ma alla fine guardandoci allo specchio, non abbiamo nulla di cui vergognarci, anzi credo di essere un bel po’ a credito con il fato.

Quale è stato il momento più alto e quale quello più basso in questi 20 anni?
I momenti più alti sono stati sicuramente come ti dicevo prima l’inizio con Nuclear Blast e “Volturna”, che è stato il nostro apice assoluto. I più bassi, le delusioni da parte di almeno un paio di etichette tedesche che cercavano di boicottare i nostri sforzi, per motivi non proprio etici.

Se le condizioni sanitarie lo permettessero, promuoverete questa raccolta con un tour?
Sarebbe bello, magari più che un vero e proprio tour, delle mirate “date evento” per ripercorrere in musica tutta la carriera dei Mandragora Scream e per vedere volti che sono cresciuti con noi.

L’Alba di Morrigan – Io sono Oro, Io sono Dio!

Nove anni non sono pochi, molte band dopo una pausa del genere, avrebbero lanciato la spugna. Hugo Ballisai ci ha raccontato come i suoi L’Alba di Morrigan, nonostante diverse vicissitudini, non hanno abbiano mai avuto dubbi, al momento giusto il secondo capitolo della saga sarebbe giunto. Ora che “I’m Gold, I’m God” (My Kingdom Music) è fuori, possiamo affermare l’attesa non è stata vana…

Benvenuto Hugo, cosa vi sorprende di più, essere di nuovo fuori dopo nove anni o aver dovuto aspettare nove anni per dare un erede a “The Essence Remains”?
Ciao a tutta la redazione da parte mia e da parte di tutti i membri de L’Alba di Morrigan. Nessuna delle due cose: sapevo che prima o poi avremmo concluso l’album. Abbiamo avuto diversi accadimenti che ci hanno obbligato per forza di cose a dilatare i tempi. Certo nessuno si aspettava così tanto tempo ma così è stato.

Quando vi siete messi a lavoro sui nuovi brani avevate in mente quanto fatto in precedenza o, data la lunga pausa, siete ripartiti da zero?
Questa è una domanda interessante. Ti potrei dire per esempio che “The Chant Of The Universe” ha dodici pre-produzioni differenti, e sino a qualche mese prima dell’uscita dell’album si intitolava “Koh Lipe”. Vale anche per tutti gli altri brani, ci sono tantissime versioni che abbiamo cestinato. Insomma non ci siamo accontentati e fino alla fine abbiamo cercato di ottenere da ogni singolo brano il meglio possibile in ogni suo minimo dettaglio.

Vi considerate ancora, se mai lo avete fatto, un band metal o l’etichetta vi sta stretta?
Io amo la musica metal la ascolto ad oggi e da quando sono bambino, ho avuto la fortuna di avere mio fratello Giampiero che sin da tenerissima età mi ha fatto ascoltare ottima musica. Ciò non toglie che talvolta soprattutto nello scorso album le nostre sonorità erano oggettivamente più “morbide” anche in questo album abbiamo portato un po’ di melodia nonostante la scelta di suoni più forti e un’interpretazione assai diversa rispetto alle linee vocali. Assolutamente non ci sta stretta come definizione, chi più chi meno nella nuova line-up siamo tutti ascoltatori assidui del genere, io in primis.

Mentre come è cambiata la scena musicale in questi nove anni?
Se intendi musica a 360° e in tutti i generi, ha seguito il trend degli ultimi anni. Si è impoverita ulteriormente di contenuti soprattutto per quello che riguarda gli aspetti musicali. Ascoltare la radio personalmente mi riesce impossibile c’è tantissima, troppa monnezza musicale confezionata e impacchettata ad hoc. I talent show personalmente li disapprovo completamente e il mondo musicale ha preso questa direzione. Se parliamo prettamente nel genere metal non mi metto ad elencare ma a mio parere sono usciti tantissimi capolavori per fortuna.

Riflettevo, il vostro primo disco è uscito nel 2012, il secondo nel 2021: praticamente una permutazione delle stesse cifre. Ha un qualcosa di incantato anche per voi, oppure sono io che mi sono lasciato suggestionare troppo dalla magia della vostra musica?
Certamente per il sottoscritto ha più che qualcosa di incantato se non fossi diventato padre di due bellissime bimbe (Blue e Isabel le mie piccole principesse) molto probabilmente sarebbe uscito qualche annetto prima (aahaahah), ringrazio di avere avuto questo regalo che mi ha completato come uomo ma che sicuramente non ha permesso di fare uscire come da programma evidentemente questo era il giusto percorso, quantomeno a me piace pensare così. Non credo al fato sono estremamente felice del percorso personale e musicale, talvolta una sana pausa può evolvere in positivo e penso sia questo il caso. Non vi è stata nessuna scelta premeditata sulla data di uscita, piuttosto abbiamo ulteriormente deciso di registrare nuovamente la maggior parte delle tracce dalla fine del 2020. Esiste un filo conduttore tra la prima uscita alle idi di marzo e “I’m Gold, I’m God”, in principio d’estate. Poi che siano nove anni di separazione e travaglio penso sia alquanto simbolico, d’altronde il numero nove ha il suo perché.

Rimaniamo in ambito magico, il titolo è ermetico e molto evocativo. Cosa significa realmente “I’m Gold, I’m God”?
L’album è avvolto da un filo conduttore, non è casuale la allusione all’oro per una serie di motivi correlati al Satya Yuga, inoltre Oro in italiano in inglese Gold, altra accezione per Horus che simbolicamente è correlato al metallo più prezioso a livello alchemico. E poi una visione introspettiva che riguarda tutte le forme esistenti nel multiverso della materia e dell’antimateria dello spazio tempo. È un elogio all’esistenza e al nulla. Sii Divino comportati come tale poiché questo sei, questo siamo semplicemente devi/dobbiamo ancora prenderne coscienza, elevati sii grato e sorridi. È un inno al tutto all’esistenza ai pianeti alle pietre al mondo astrale ed eterico per cui vale per tutto ciò che è attinente al mondo delle forme: Io sono Oro, Io sono Dio!

L’aver messo “I’m Lucifer” e “I Am Gold, I Am God” una dopo l’altra nella tracklist ha un valore simbolico?
La tracklist è pensata e voluta in questo modo, per cui non vi è casualità. Ma è un album di riflessione che prende diversi punti di vista, differenti spunti di teologia, fisica dei quanti, amore e odio, umano e divino, per cui non esiste casualità. Non è assolutamente un elogio a Lucifero. Tuttavia ho semplicemente provato a pensare: se io fossi Lucifero che opinione avrei dell’umanità e di cosa è stato riportato su di me dalle sacre scritture? Ne esce fuori una sorta di “outing”. Ed effettivamente seguendo la lirica si evincono abbastanza chiaramente i suoi/miei punti di vista rispetto agli accadimenti riportati dalle sacre scritture e i suoi sentimenti nei confronti dell’umanità, della sua Nemesi e di se stesso.

Il disco termina con “Morrigan’s Dawn”, canzone che riprende il vostro nome ma che può essere intesa, posta in quella posizione, come la volontà di sancire che il disco è finito ma che comunque ci troviamo all’alba, all’inizio, magari di una nuova fase della vostra carriera. Ennesima sega mentale mia oppure ci avete pensato anche voi?
È una ninna nanna molto melodica ma abbastanza malvagia e cupa alla prima interpretazione, in realtà porta un messaggio estremamente potente e positivo. Si riferisce “alla vita e alla morte” di un sogno di consapevolezza. Dove in uno sdoppiamento astrale, raggiungi la conoscenza assoluta più e più notti nel corso della tua vita per poi dissolvere il tutto al proprio risveglio, nel mondo della materia.

In passato, vi siete tolti delle belle soddisfazioni dal vivo. Alla luce della lenta ripresa del settore concertistico, quali sono le vostre aspettative? 
Ci siamo divertiti molto, abbiamo girato tanti posti in Italia e in Europa, abbiamo condiviso il palco
con tantissimi artisti alcuni dai nomi altisonanti e altri di nicchia e hanno tutti contribuito a farci
vivere delle esperienze uniche. Chi non ha voglia di salire su un palco e sentire i decibel, il calore delle persone? Penso (e spero di sbagliarmi) che le cose non saranno di rapida ripresa. Ma quando sarà possibile allora ci correremo sopra al palco, ci puoi scommettere!

Abyssian – Il suono della devozione

I nostrani Abyssian dopo cinque anni dal precedente “Nibiruan Chronicles” tornano sulle scene con il secondo “Godly”, uscito per l’italiana Revalve Records. Scopriamone un po’ i particolari con Roberto, chitarrista e frontman della band…

Ciao Roberto e ben trovato al Raglio del Mulo, ti andrebbe per prima cosa fare un po’ di luce su quella che è la storia della band?
Ciao Luca e bentrovati tutti. Dunque, gli Abyssian nascono almeno come idea generale nel 2010, quando dopo un lungo periodo di assenza dalla scena musicale (parliamo del 1995 come ultima uscita discografica con la mia prima band, i Sinoath) ho sentito che era arrivato il momento di riprendere con qualcosa, da qualche parte. Lo spunto me lo diedero le mie letture del periodo, su argomenti come l’archeo-astronomia, le civiltà sommerse, le teorie sull’esistenza o meno di Atlantide, gli antichi alieni e argomenti simili. Gli Abyssian nascevano inizialmente come one man band, ma ben presto mi resi conto che per poter mettere tutto in pratica più facilmente, avevo bisogno di qualcuno con cui condividere e fissare idee e spunti. Così contattai Francesco (attivo anche con il suo progetto solista Svirnath) che tuttora si occupa della chitarra ritmica, delle partiture di tastiere e batteria elettronica. Nel 2014 realizzammo l’Ep The Realm of Commorion. Nel frattempo la formazione si allargò e si stabilizzò, includendo anche Vincenzo al basso e Riccardo alla batteria e nel 2016 per la Violet Nebula uscì il primo album “Nibiruan Chronicles”. Avere una formazione completa, fu davvero una cosa molto importante soprattutto per i live. Circa un anno dopo l’uscita del primo album, Riccardo venne sostituito da Daniele (ex Holy Martyr, e tuttora anche in forze nei Drakkar) col quale abbiamo poi lavorato a “Godly”, il secondo album uscito da poco in versione digitale per la Revalve Records, e previsto adesso in formato fisico sempre per la Violet Nebula.

Siete sulle scene da più di dieci anni che non sono pochi, ciò nonostante vorrei chiederti se prima degli Abyssian avete avuto delle precedenti esperienze musicali… Qual è il vostro “background”?
Come già detto, prima degli Abyssian, dal 1988 fino al 1995 ho fatto parte dei Sinoath, progetto musicale che è passato da un iniziale black/death a un death/doom, e poi a una sorta di dark/metal. Le mie esperienze musicali hanno quasi sempre rispecchiato ciò che ascoltavo all’epoca (e che tuttora ascolto), era il periodo dell’avvento del gothic/doom inglese, del death americano e svedese, e del black scandinavo, per cui quelle sonorità vissute come anteprime assolute, non potevano non influenzare le mie composizioni. Successivamente ho allargato gli ascolti anche ad altri ambiti come l’elettronica fredda o più calda, al jazz, l’ambient, la musica etnica, o al dark. E’ chiaro quindi, che la natura successiva dei brani sia stata contaminata dalle inclusioni più recenti. Essendo il più “anziano” della band, che io ricordi, sia Vincenzo che Francesco Abyssian a parte, al di là delle feste del liceo non hanno suonato (ride) mentre Daniele come già accennato, ha avuto diverse partecipazioni sulla scena più epic e power metal. Adoro il suo stile, tecnico ma al contempo granitico…

Quali sono le band che hanno da sempre ispirato le vostre composizioni?
Diverse e davvero tante. Alcune hanno avuto un’influenza più marcata sul sound, mentre altre ci vivono dentro attraverso qualche richiamo. Pink Floyd, Cure, Sisters of Mercy, tutto il Gothic/Doom inglese, i Type O Negative, i Beatles, Candlemass, Mercyful Fate, Dead Can Dance, Massive Attack, Depeche Mode, Radiohead, Aphex Twin, Bjork, la musica brasiliana, i Death. Potrei continuare davvero per molto tempo ancora…

Come pensi sia cambiato il vostro songwriting in questi anni? Quali sono secondo te le principali differenze tra il nuovo “Godly” e il precedente “Nibiruan Chronicles”?
Le differenze tra “Nibiruan Chronicles” e il recente “Godly”, si trovano soprattutto nel concetto e nell’intento. “Nibiruan” è una sorta di concept, un “documentario di viaggio” dei nostri ipotetici antenati dal Pianeta X (Nibiru appunto) a Tiamat, cioè l’attuale Terra. E’ pieno di gesta, luoghi, azioni e momenti storici ben precisi, come nel caso del brano “Zep Tepi,” cioè del Primo Tempo egizio, dove si presuppone siano vissuti gli Dei, o di No place for the heart, dove gli Anunnaki si ribellano alla schiavitù dei loro padroni Nephilim, e organizzano una rivolta. E ha una copertina “archeologica”. “Godly” è già dal titolo, qualcosa di più spirituale e devozionale. Inoltre segna un ipotetico proseguo del Culto Atavico e ancestrale, fin dentro al DNA di quello pre-Cristiano. La copertina questa volta, presenta un Angelo/Rettile. E’ la celebrazione del Dio Squamoso o Piumato, che ritrovi anche nei culti mesoamericani con Quetzalcoatl o in quelli nipponici dei misteriosi Jomon, nella versione indiana con Naga, o in quella egizia con Ankh-neteru. E’ interessante notare come tutte queste antiche civiltà celebrino lo stesso Dio e le sue stesse gesta, chiamandolo con nomi differenti. Tutti affermano che un giorno discese un Essere Superiore e fiammeggiante dal cielo, li istruì e decise poi stabilire il suo regno sulla Terra. In alcune varianti, di andare a risiedere poi nelle profondità marine, tornando di tanto in tanto per gestire correttamente l’operato degli uomini. Oannes, nella sua nomenclatura babilonese o Dagon in ebraico, era un Essere saggio, colto e giusto e non pretendeva nessuna Chiesa, né tributi. Lo so, ricorda abbastanza anche Cristo.

Immagino che anche il nome Abyssian tragga ispirazione dalle stesse tematiche, no?
Abyssian è un po’ una licenza poetica di “Abitante degli abissi”. Un Abissiano. Può anche avere l’identità di Oannes di cui ti ho già detto, ma può riallacciarsi perché no, a qualsiasi altra creazione. Anche immaginaria. Mi affascinava l’idea di questa identità abissale, terribile o meno. Ci puoi trovare tanto Lovecraft dentro, ma anche qualcosa di molto più impalpabile, tanto che Abyssian è anche un sinonimo inglese di Depression. Sono le profondità abissali, ma anche mentali.

Da cosa sono caratterizzati i vostri processi di composizione? Chi di voi partecipa alla fase di songwriting?
Beh, questo si riallaccia un po’ a tutto quello che ho descritto. Il mondo Abyssian è in buona sostanza qualcosa che, prima raggruppa spunti, idee, frasi, motivi, partiture ecc., poi elabora tutto, privilegiando sempre il tentativo di rendere ogni cosa più omogenea e immediata possibile. E, a volte, date le numerose influenze da cui provengono questi elementi, non risulta sempre un processo facile. Mi ritengo uno assolutamente innamorato della semplicità, fatta però di sintesi intelligente e cuore. Odio i fronzoli e in generale, le cose ostentate e inutilmente complicate. Io mi occupo del songwriting e della forma in generale, successivamente i brani vengono rifiniti insieme.

Come nascono i tuoi testi?
I testi, sono un po’ il nero su bianco di tutte quelle visioni che provo a formulare nella mia mente. Viaggi cosmici, scontri, luoghi mistici, mondi sotterranei o appartenenti alla sfera celeste, e così via. Ce ne sono di più solidi ed esteriori, altri invece più introspettivi e basati sul sentimento dell’animo, sui pensieri, sulla rabbia o sulla devozione. Certe liriche sono quasi la descrizione più pedissequa di eventi, momenti e individui reali e non; altre hanno una natura totalmente astratta, e di solito al genere di testo ne corrisponde anche l’intensità del brano.

Come definiresti il sound degli Abyssian?
Come flusso piuttosto intenso. Un Ambiente dove vuoi essere disposto ad entrare e uscire senza fretta. La natura di Abyssian in fondo è molto semplice, ma tuttavia ha bisogno di diversi ascolti e di una buona predisposizione per essere colta in pieno e nel complessivo. Ti arriva dopo. Alla fine.

Forse non è il momento più idoneo visto tutto quello che stiamo vivendo, ma state prendendo in considerazione l’eventualità di proporre i vostri nuovi brani dal vivo?
Ovvio che si… In realtà non vediamo l’ora (ride). C’è anche la setlist pronta. Questo dannato Covid ci ha tolto il momento migliore che si possa vivere dopo l’uscita dell’album, quello della condivisione con il pubblico. Vedere come chi ha ascoltato a casa i brani, li accolga davanti al palco. E’ qualcosa di magico. Impagabile. E’ lo scopo maggiore della musica. Nel nostro caso anzi, ti dirò che questa pandemia si è piazzata esattamente in mezzo al periodo delle registrazioni di “Godly, ritardandone maledettamente i tempi. E una volta pronto, ne abbiamo anche voluto tenere in stand by l’uscita, sperando che l’anno dopo fosse tutto risolto e poter agganciare l’uscita dell’album ai live. Ma purtroppo non è servito a nulla…

Ok Roberto, l’intervista è giunta ai titoli di coda, ti ringrazio nuovamente per la chiacchierata e auguro a te e agli Abyssian le migliori fortune, concludi pure come vuoi!
Ringrazio tanto te Luca, per la bella chiacchierata e la redazione del Raglio del Mulo per la disponibilità e l’attenzione verso di noi. Raccomanderei a tutti l’acquisto di “Godly”, che sebbene già in ascolto su tutte le piattaforme digitali, a brevissimo sarà disponibile anche in formato fisico, magari proprio mentre scrivo queste righe. Ma non lo farò… Mi verrebbe quindi da augurare le migliori fortune a tutto il panorama italiano underground, che è davvero un sottobosco stracolmo di chicche tutte da scoprire e invitare tutti, una volta finito tutto questo schifo, a farsi grandi scorpacciate di live perché ce n’è davvero bisogno, per il pubblico e per la musica di settore in generale. Abbiamo davvero tutti bisogno di salvarci con la musica. Adesso più che mai.

Moonspell – L’isolamento come cambiamento

Siamo ormai avvezzi all’ascoltare materiale di qualità dai Moonspell: “Wolfheart”, “Irrelectual”, “Memorial” e “Night Eternal” sono album che hanno consacrato la band nell’élite del gothic metal. Dopo il coraggioso esperimento di “1755”, escono nuovamente con qualcosa di diverso, in un periodo difficile e con un’intensa dimensione introspettiva, “Hermitage” (Napalm Records / All Noir) mostra come la band abbia sempre qualcosa di nuovo da offrire, un suono ipnotico e un fantastico nuovo viaggio. Ne abbiamo parlato con Ricardo Amorim, storico chitarrista della band.

Ciao Ricardo, secondo me con questo album la band ha tirato fuori le migliori canzoni possibili, sono più fresche e suggestive rispetto a quelle di “Extinct” e questo album può iniziare un nuovo capitolo della vostra storia: sei d’accordo? Cosa c’è di nuovo e cosa è cambiato nei Moonspell o nel processo di scrittura delle canzoni?
Penso che tu abbia ragione, potrebbe essere un nuovo capitolo per la band. Quello che volevamo ottenere è la continuità logica di ciò che i Moonspell hanno iniziato con “Extinct”. Anche se abbiamo pubblicato “1775” che è un album molto più aggressivo e orchestrale a causa della sua specificità tematica, quello che vogliamo ora è scrivere musica che rifletta maggiormente una band di musicisti quarantenni che esplora diverse direzioni. Siamo sempre stati di mentalità molto aperta riguardo ai gusti musicali e, ovviamente, siamo una band metal, ma come artisti abbiamo bisogno di esplorare e sperimentare qualcosa di più della semplice pesantezza e di tamburi assordanti. Posso dire che i Moonspell sono in questo momento una band senza vincoli e l’unica cosa in cui insistiamo è preservare l’integrità e l’identità dei Moonspell.

I testi di “Hermitage” parlano dell’importanza che ha per l’umanità il prendere le distanze dalle convenzioni della modernità, di isolarsi e riflettere sul mondo che non gira solo intorno a noi. A partire da cosa esattamente abbiamo bisogno di prendere le distanze per non perdere la nostra direzione e la nostra essenza? Per te, l’eremo è l’unica soluzione per vivere meglio nel XXI° secolo?
Grazie alla tecnologia siamo tutti connessi in un modo che non avremmo mai potuto immaginare prima, ma tuttavia stiamo creando più barriere che mai tra noi stessi. È spaventoso quanto l’ego e l’odio abbiano avuto un ruolo così importante nelle nostre vite. Penso che abbiamo perso di vista ciò che conta davvero ed è sempre più difficile mettere le cose in prospettiva. Non sono un profeta, solo un ragazzo preoccupato che pensa che ci sia molto rumore di fondo nelle nostre vite e molto inquinamento visivo attorno a noi, e quindi la nostra percezione delle cose può essere davvero distorta. Quando gli eremiti si isolano, lo fanno con l’unico obiettivo di trovare in se stessi abbastanza pace per purificare il proprio spirito, per poter imparare di più sul proprio ruolo nel mondo e nella vita. E questo serve come metafora per ciò che stiamo cercando di affermare col messaggio di “Hermitage”. La solitudine non è il ritiro romantico che leggiamo sui libri. È una risposta al mondo esterno, a condizioni che non siamo in grado o non siamo disposti a cambiare. Al giorno d’oggi tutto si evolve così velocemente ma in realtà non siamo pronti ad affrontare cambiamenti così rapidi che avvengono ad ogni minuto. Forse dobbiamo rallentare ed essere più consapevoli del modo in cui viviamo, almeno questa è la mia percezione. Stiamo perdendo il nostro senso di umanità ed è importante rendersene conto e cercare di trovare cosa si può fare al riguardo.

Ho amato la produzione di “Hermitage” più che negli album precedenti. Mi sono piaciuti molto i lavori di Jaime Gomez Arellano, specialmente quelli per i Paradise Lost. Li hai sentiti? In che modo il suo lavoro ha contribuito e cosa è cambiato rispetto ad altre produzioni degli album precedenti?
Sì, i Paradise Lost hanno beneficiato molto del contributo di Jaime Gomez. Nelle loro stesse parole affermano che Gomez li ha fatti ritornare di nuovo i Paradise Lost. Non potrei essere più d’accordo. Ho ascoltato molto “Obsidian” e penso che sia un grande album. Quello che abbiamo davvero apprezzato nel lavoro di Gomez è proprio il fatto che predilige l’identità della band e vuole che le band suonino come se si esibissero dal vivo. Al giorno d’oggi tutto sembra così ultra prodotto che gli album tendono a sembrare senz’anima e Gomez vuole chiaramente il contrario. Mi piace dire che invece di un algoritmo, Gomez ci ha dato i battiti del cuore. Gran parte del lavoro era già praticamente fatto e Gomez fondamentalmente ha semplicemente migliorato ciò che era migliorabile nella nostra musica e ha tolto un po’ l’eccesso di suoni che stavamo usando. Il risultato è un album in cui ogni strumento respira e le canzoni ne hanno chiaramente beneficiato.

In effetti grazie alla produzione di Arellano, con “Hermitage” è come se stessi ascoltando la band che suona nella mio camera e mi ricorda alcuni album metal classici. È così solo per me o questo album è davvero più intimo di tutte le uscite dei Moonspell? Intendo non solo per i testi, ma anche per il suono.
Questa era precisamente l’intenzione dietro la scrittura e la produzione dell’album. I Moonspell sono una band composta da individui cresciuti in un’epoca in cui le persone si sedevano per ascoltare un disco. Al giorno d’oggi tutto viene trasmesso in streaming e la musica non riceve l’apprezzamento che merita, quindi stiamo cercando di rivendicarlo. Vogliamo un album che si faccia ascoltare, non superficialmente. Vogliamo darvi tempo per godervi l’esperienza in modo che l’arte possa essere apprezzata appieno. Ricordo quando Gomez ha detto che ciò che è importante è captare dalle registrazioni la sensazione di un’esibizione della band come fosse dal vivo, e in questo riteniamo che abbia pienamente ragione. È molto gratificante sapere che tu e le persone come te potete provare questa sensazione. Almeno per noi significa che abbiamo fatto un buon lavoro.

Ti ringrazio davvero per la vostra musica. I miei brani preferiti di “Hermitage” sono “Common Prayers”, “Hermitage” e “Solitarian”. Puoi per favore commentarli?
“Common Prayers” è una canzone semplice, con groove diretto e un ritornello orecchiabile. Se esistesse un genere denominato “Stadium Goth”, sarebbe sicuramente la categoria a cui appartiene questa canzone. Racconta una storia ispirata all’espolsione del fenomeno delle suore incinte nel XVIII secolo, in Europa e in Portogallo. Le spose di Dio erano, il più delle volte, donne della nobiltà i cui genitori non erano in grado di farle sposare al “momento giusto” e con la “persona giusta” e che rimasero incinte di uomini legati al clero e all’aristocrazia locale. Nelle demolizioni già a metà del XX secolo furono trovate diverse ossa di bambini: i figli abbandonati di Dio e della società. “Hermitage” parla di ricerca della verità nel deserto, l’isolamento personale, la canzone epica che tutti conoscono già e il nostro umile omaggio ai potenti Bathory. Un gran riffing e alcune persone hanno detto che questa potrebbe essere la nuova “Alma Mater”. Non so se son d’accordo con questa affermazione o no, ma sono davvero felice che si sia rivelata una canzone così bella. “Solitarian” melodica, straziante e ipnotica. Un tema per una ricostituzione momentanea, la virgola nella frase. Questo strumentale inizia spegnendoci per un po’, poi ci riporta all’album alla fine del tema. Come chitarrista, oserei dire che forse su questo pezzo ho avuto i migliori suoni di chitarra che abbia mai registrato in tutta la mia carriera.

Si, i suoni e la produzione sono sicuramente uno dei punti di forza dell’album e il risultato delle chitarre è davvero notevole. Vorrei chiederti qualcosa riguardo il nuovo batterista: Hugo Ribeiro come è entrato in contatto con la band e cosa c’è di diverso nel suo lavoro rispetto a quello di Mike Gaspar?
Hugo è un batterista che il nostro tastierista Pedro ha conosciuto un bel po’ di tempo fa ed è stato Pedro stesso che si è preso la responsabilità di trovarci un nuovo batterista dopo che ci siamo separati da Mike. Hugo ha dimostrato di essere il ragazzo giusto, e la prima volta che abbiamo suonato insieme è stato magico. È più giovane di noi ma suona da molto tempo la batteria in gruppi rock/prog/metal portoghesi e registra anche come batterista session per numerose band di fuori. È un ragazzo molto umile ed energico che ci ha portato una boccata di aria fresca ed entusiasmo. Può suonare molti stili diversi e porta ed esplora molte dinamiche nel suo modo di suonare, il che aiuta molto la canzone. Devo dire che quando si è unito alla band, Pedro e io avevamo già scritto tutte le canzoni e programmato le parti di batteria, ma Hugo ha iniziato a lavorare con noi non solo per rendere quelle parti reali, ma anche per renderle molto musicali. Mi piace dire che riesce a far suonare la batteria melodica, invece che solo ritmica. In futuro, non vedo l’ora di iniziare a scrivere con lui da zero, perché questo ragazzo ha molto da offrire. Non c’è una differenza così grande tra i due batteristi, Hugo è un grande fan del genere musicale che proponiamo e per lui è stato molto facile assorbire lo stile di Moonspell. Tuttavia, abbiamo un livello di coerenza che non avevamo mai avuto prima.

È un vero peccato che ora non possiamo ascoltare le nuove canzoni in un vero set dal vivo. Recentemente avete suonato in un live streaming, com’è stata questa esperienza e quale canzoni da “Hermitage” ascolteremo in una set-list dei Moonspell?
Con la pandemia tutto è diventato molto più difficile. Stiamo facendo del nostro meglio per mantenere viva la band e per entrare in contatto con i nostri fan in maniera più profonda. Lo streaming aiuta molto ma non è la stessa cosa. Tuttavia, siamo comunque riusciti a suonare alcuni spettacoli con un pubblico molto limitato, perlomeno c’era un pubblico. Nell’ultimo spettacolo in cui i Moonspell hanno suonato, abbiamo presentato in anteprima “Greater Good” e “Common Prayers”. Queste canzoni rendono molto dal vivo e sicuramente avranno il loro posto nella scaletta. Oltre a questo, alla fine, dovremo fare una release show per “Hermitage” e quindi tutto l’album verrà presentato dal vivo. Per quanto riguarda i tour in futuro, speriamo non richieda troppo tempo, è ancora un po’ prematuro dire quali canzoni verranno suonate perché davvero non lo sappiamo. Questa sarà una decisione presa dopo un paio di prove.

“Apophthegmata” mi ricorda così tanto un sound dei Moonspell che amo… era “Darkness And Hope”, un album straordinario che quest’anno segna il ventesimo anniversario. Quanto è stato importante questo album per il futuro sound dei Moonspell? Hai qualche episodio di cui vuoi parlare riguardo la produzione o il tour di questo album?
In effetti il tempo scorre veloce. È strano rendersi conto che canzoni come “Nocturna” sono state scritte già venti anni fa. Quello che posso dire è che “Darkness and Hope” è un album che è stato registrato in un periodo incerto per noi, ma che ci ha fatto riconquistare molte persone che erano rimaste deluse dai nostri esperimenti sugli album “Sin/Pecado” e “Butterfly Effect”, e che ha apportato una nuova generazione di fan. Era un album registrato in Finlandia e quando eravamo lì, uscivamo molto con i nostri buoni amici di Amorphis e alcuni componenti degli HIM. Credo che sia stato abbastanza terapeutico per noi perché eravamo scettici sul nostro futuro, e quei ragazzi finlandesi ci hanno ricordato l’importanza che i Moonspell hanno sulla scena. Secondo noi, “Darkness and Hope” ha dei momenti molto belli ma non è un album brillante, comunque… era l’album di cui avevamo bisogno per recuperare la fiducia in noi stessi.

Grazie per la bella chiacchierata Ricardo, vuoi aggiungere qualcosa ai fan italiani dei Moonspell?
Grazie mille per questo confronto con te e i tuoi lettori. I tempi sono davvero strani, ma teniamo la testa a galla e speriamo in giorni migliori. Non vediamo l’ora di suonare per voi e torneremo sicuramente in Italia. Nel frattempo, siate resilienti e statemi bene!

Funeral of Souls – Argentine requiem

VERSIÓN EN ESPAÑOL ABAJO: POR FAVOR, DESPLÁCESE HACIA ABAJO!

Provenienti dall’Argentina e formati a metà del 2017, orgogliosi di portare in alto la bandiera del gothic doom metal, uno stile che è abbastanza raro nel loro Paese natale, i Funeral Of Souls sono una band guidata da Luis Panteon che in questo intervista per Il Raglio Del Mulo ci ha parlato della sua arte, della sua musica e dei suoi progetti.

Benvenuto su Il Raglio Del Mulo, grazie mille per il tempo dedicatoci. Come sono nati i Funeral of Souls? E perché hai deciso di suonare gothic doom metal?
Ciao, come stai? I Funeral of Souls sono nati ufficialmente nel 2017, dopo la separazione, causata dalla differenza di vedute, di una band che esisteva precedentemente. Insieme a Selva Anzorena e Gonzalo Lugosi abbiamo messo insieme questo progetto che ancora oggi va bene. Quando ci siamo riuniti per provare non avevamo pensato a quale stile suonare, il gothic doom metal è arrivato mentre le prove si susseguivano e stavamo componendo nuove canzoni, ci piaceva e gli abbiamo dato una possibilità.

Essendo una delle poche band a fare gothic doom metal in Argentina, vi sentiti in qualche modo responsabilizzati?
Sì, in Argentina non ci sono molte band di questo genere musicale, sappiamo che è difficile, ogni giorno lottiamo sui social affinché ci ascoltino e ci diano spazio, per fortuna non posso lamentarmi perché abbiamo tante radio vicine da cui riceviamo sostegno, così come gli amici che condividono la nostra musica sui loro social. Questo ci aiuta a continuare con forza senza arrenderci.

Di cosa parlano i testi dei Funeral of Souls e cosa volete evocare con le vostre canzoni?
In generale i testi sono scritti dalla nostra cantante Selva Anzorena, che ha assoluta libertà di comporre, nel nostro Ep del 2017 e nel nostro album del 2019 i suoi testi parlavano di amore e odio, leggende metropolitane, demoni, angeli, dei, solitudine, ecc. Sono testi interessanti che vi invito ad ascoltare e leggere.

Come vedi l’ambiente rock metal a sudamericano rispetto a quello di altri paesi o continenti? In termini di coesione tra le band, commercialmente, tecnicamente, musicalmente e in termini di opportunità di diffusione della propria arte.
Sappiamo molto bene che in Sud America ci sono band di livello incredibile, molti credono che l’Europa o gli Stati Uniti abbiano le migliori, ma non penso che sia così. Queste band hanno un grande supporto pubblicitario e finanziario, ma se avessimo tutto questo qui non avremmo nulla da invidiare. Vai su facebook, cerca, troverai tante band che ti sorprenderanno.

Oggi, secondo te, Internet, piattaforme, social network hanno aiutato o sminuito l’essenza del metal estremo?
Non ho dubbi che Internet e i social network abbiano aiutato molto a rendere la musica emergente indipendente ascoltata in tutto il mondo ma ha anche il suo lato negativo, i dischi non vengono più venduti. Questo non ha aiutato molto economicamente le band emergenti, a nessuno importa se il metal vende un milione di dischi in più o in meno, ma a noi interessa vendere anche solo 100 dischi per poter pagare le spese e in questo la musica digitale non ci aiuta.

Puoi parlarci del vostro album “Requiem” uscito l’anno scorso? Come è nata l’idea, quale è stato il processo di registrazione e com’è stata la risposta del pubblico?
Il nostro primo album “Requiem” è stato speciale, penso che tutti quelli che suonano in una band si facciano scappare una lacrima quando possono registrare e pubblicare il proprio materiale in formato fisico. Comporre per due anni, registrarlo e montarlo è una di quelle esperienze che ci ha riempito l’anima. Tutto questo è avvenuto quando abbiamo scritto sette nuove canzoni e abbiamo deciso di registrarle, aggiungendo tre canzoni dall’EP precedentemente registrate nello stesso studio.
Con tutto questo materiale abbiamo pensato che fosse una buona idea pubblicarlo fisicamente, dato che non riuscivamo a trovare un’etichetta, lo abbiamo realizzato in modo indipendente e lo abbiamo promosso in prima persona, un’esperienza, come ho detto prima, molto soddisfacente e gratificante. Molte radio ci hanno trasmesso, paesi come il Giappone ci hanno chiesto dischi, amici dalla Scozia, Ucraina, Italia, Francia, Portogallo, Stati Uniti, Guatemala, Cile, Brasile, ecc… si sono congratulati con noi e hanno chiesto i nostri dischi. Un grande saluto a tutti loro.

Dopo questo difficile 2020, pensi che questa pandemia abbia dimostrato che l’arte è essenziale per la vita delle persone? Ancor di più la musica?
Penso che quest’anno sia stato diverso da tutto, abbiamo avuto più tempo per riflettere, per essere uniti… Nel mio caso mi ha aiutato a finire di comporre nuove canzoni ma forse questa pandemia ha aiutato molte persone ad ascoltare musica e cercare di capire un po’ questa particolare arte. Con la depressione derivante da un anno con poco lavoro, molte persone si sono rivolte per un aiuto alla musica. Se è bastato non lo so… spero di sì, la musica nella vita delle persone è fondamentale.

Quali sono gli obiettivi a medio e lungo termine per la band ora che la vostra prima fatica è fuori?
Abbiamo finito di registrare due nuove canzoni per un album. Siamo stati invitati a partecipare a un disco, per un’etichetta discografica boliviana, che ospita l’Argentina insieme ad altri tre paesi, questo ci dà grande gioia, non vediamo l’ora di avere tutto pronto.

Secondo te, quali sono i fattori nell’underground che rendono molto difficile progredire e dare una migliore vetrina alle band?
Indubbiamente la gelosia, l’invidia e l’ego delle band, non c’è unione in questo ambiente, abbiamo bisogno di stare insieme per tirare tutti dalla stessa parte. È quello che proclamo da tempo, dobbiamo esserne consapevoli. Questo e anche i governi che non aiutano da questa parte del continente, non supportano le band metal, qualunque sia il loro sottogenere, è tutto autogestito, tutto indipendente…

Qual è la difficoltà maggiore nel mondo della musica secondo te? I Funeral of Souls sarebbero disposti a spostarsi in un’altra nazione per avere maggiore visibilità?
Penso che la cosa più difficile sia dover investire i soldi per tutto… mantenere l’attrezzatura, viaggiare, affittare locali per suonare dal vivo, pagare i promotor, dobbiamo pagare tutto in Argentina, l’ambiente è solo spazzatura, non abbiamo supporto economico. Indubbiamente andremmo in un altro paese se ci fossero le condizioni per vivere di musica, sarebbe un sogno poterlo fare, se non ti danno opportunità nella tua terra, devi cercare altri orizzonti, ne abbiamo già parlato e abbiamo raggiunto questa decisione.

https://funeralofsouls.bandcamp.com/releases
https://open.spotify.com/album/1KDZJAtCROaQZnUgeSBz53?fbclid=IwAR0pG1hZc409c8_cXUV9dvt3R6W-JkA7xojDYvHhDV6OW3k4ObwWAFs4krY
https://www.facebook.com/FuneralofSouls

Provenientes de Argentina y formado a mediados del 2017, orgullosos de llevar en alto la bandera del Gothic Doom metal, un estilo por demas bastante escaso en el horizonte del Pais donde proceden, Funeral Of Souls es una banda capitaneado por Luis Panteon el cual en esta entrevista Para Il Raglio Del Mulo nos estara hablando sobre su arte, vision de la musica, planes para la banda y que sentimientos les ahonda al saber que son de los pocos exponentes de su Pais en desarrollar y realizar Gothic Doom metal y que panorama ha traido esta pandemia a nivel global a todas las personas y si realmente se confirma que sin arte el hombre podria subsistir en su soledad.

Bienvenido al Il Raglio Del Mulo, muchas gracias por su tiempo para la entrevista chicos, como nace Funeral of Souls? Y porque decidieron hacer el estilo de gothic doom Metal?
Hola como estan, Funeral of Souls nace en 2017 de forma oficial, somos la separacion de una banda que existia anteriormente y que por diferencias nos separamos. Junto a Selva Anzorena, Gonzalo Lugosi y Luis Panteon armamos este proyecto que hoy en dia sigue en pie con mucha fuerza. Cuando nos juntamos para ensayar no habiamos pensado que estilo tocar, simplemente nacio hacer gothic doom metal a medida que Pasaban los ensayos e ibamos componiendo canciones nuevas, nos gusto y le dimos una oportunidad.

Al ser una de las pocas bandas en hacer gothic doom metal en Argentina como se siente tener ese peso diriamos encima de llevar en alto por todas parte un estilo que en el Pais donde ustedes provienen no es muy realizado.
Si, en argentina no hay muchas bandas de este genero musical, sabemos que es dificil, dia a dia peleamos en las redes sociales para que nos escuchen y nos den un espacio, por suerte no me puedo quejar por que tenemos muchas radios amigas que nos dan su apoyo, al igual que amigos que comparten nuestra musica en sus redes. Esto ayuda a que sigamos con fuerza sin bajar nuestros brazos.

De que tratan las letras de Funeral of Souls, y a que situaciones o filosofia evocaban en sus canciones?
En general las letras son escritas por nuestra cantante Selva Anzorena, la cual tiene libertad absoluta para escribir, en nuetro Ep del año 2017 y en nuestro disco independiente del año 2019 sus letras trataban sobre amor y odio, leyendas urbanas, demonios, angeles, dioses, soledad, etc. Son letras interesantes que invito a escuchar y leer.

Como ven el ambiente del rock metal a nivel Sudamericano con respecto a otros países o continentes? En cuanto a unidad de las bandas, comercialmente, técnicamente, musicalmente, y en cuanto a oportunidades para desarrollar el arte que uno gusta.
Nosotros sabemos muy bien que en Sudamérica hay bandas de un nivell increible, muchos creen que Europa o Usa, tienen las mejores bandas y no creo que sea asi. Si, es verdad que tienen un gran apoyo publicitario y economico encima esas bandas, pero si tuvieramos todo eso aqui no tendriamos nada que envidiarles. Entren a facebook, busquen, van a encontrar muchas bandas que los va a sorprender.

Hoy día en la Opinión de Ustedes, el internet, las plataformas, las redes sociales, han ayudado o han hecho diluir la esencia de la Música Extrema? entiéndase por calidad, Y en tu opinión que cosas estas herramientas han fortalecido pero también han debilitado.
No tengo dudas que internet y las redes sociales ayudaron mucho a que la musica independiente – emergente se escuche en todo el mundo pero tambien tiene su lado malo, ya no se venden discos, esto ayudaba mucho a las bandas emergentes de forma economica, a nadie le importa si metalica vende un millon mas o menos de discos, pero a nosotros si nos importa vender aunque sea 100 discos para poder solventar nuestros gastos y en eso…. la musica digital no nos ayuda.

Podrían hablarnos de su primer disco “Réquiem” del año pasado, cómo surgió la idea del disco, como fue el proceso de grabación y como fue la receptividad afuera con el material?
Nuestro primer disco Réquiem fue especial, creo que todos los que tocamos en una banda se nos cae una lagrima cuando podemos grabar y sacar nuestro material en formato fisico. Componer durante 2 años , grabar y editarlo es una de esas experiencias que nos llena el alma. Todo esto surgio cuando compusimos 7 canciones nuevas y decidimos grabarlas, agregando 3 canciones del EP anteriormente grabado en el mismo estudio. Con todo esto creimos que fue buena idea sacarlo de forma fisica, al no encontrar sello lo sacamos de forma independiente y lo presentamos con bandas amigas, una experiencia como dije antes, muy satisfactoria y gratificante. Muchas radios amigas nos difundieron, paises como Japon nos pidieron discos , amigos de Escocia, Ucrania, Italia, Francia, Portugal, Usa, Guatemala, Chile, Brasil, etc….. nos felicitaron y solicitaron nuestros discos. Saludo grande para todos ellos.

En este Difícil 2020, ustedes creen que con esta pandemia se demuestra que el arte es fundamental para la vida de las personas? Más aun la Música?
Creo que este año fue diferente a todo, tuvimos más tiempo para reflexionar, para estar unidos… En mi caso me sirvio para terminar de componer nuevas canciones pero a mucha gente quizas le sirvio esta pandemia para escuchar musica y tratar de entender un poco mas sobre este arte tan particular, con depresion por un año con poco trabajo mucha gente se volco a escuchar mas musica, no lo se… ojala asi sea, la musica en la vida de las personas es fundammental.

Cual son los objetivos ahora a mediano y largo plazo para la banda al ya concretar el primer material discográfico?
Terminamos de grabar 2 canciones nuevas para un album al que fuimos invitados, tenemos el placer de participar en un disco representando a Argentina junto a 3 paises mas, se imaginan que nos da mucha alegria esto, la idea es que este album salgo bajo un sello discografico boliviano, esperamos con ansia tener todo listo.

Cuales son a su criterio las cosas que hacen muy difícil al underground progresar y tener una mejor vidriera y capacidad para que las bandas puedan progresar?
Sin dudas los celos, la envidia y egos de las bandas, no tenemos union en este ambiente, necesitamos estar juntos para tirar todos para el mismo lado. Es lo que vengo pregonando hace tiempo, tomemos conciencia. Esto y tambien los goviernos que no ayudan en este lado del continente, no apoyan a las bandas de metal sea del subgenero que sea, es todo a pulmon, todo independiente…..

Que es lo más duro para ustedes en su opinión Personal con respecto a la música, y En algún momento Funeral of Souls estaría dispuesto a dar el paso de continuar en otro País?
Creo que lo mas dificil es tener que estar poniendo dinero para todo… mantener nuestros equipos, viajar, alquilar los lugares para tocar en vivo, pagar promotores, tenemos que pagar para todo en Argentina, esta muy basureado el ambiente, no tenemos apoyo economico. Sin dudas que iriamos a otro pais si estuvieran dadas las condisiones para vivir de la musica, seria un sueño poder hacerlo, sino te dan oportunidades en tu tierra, tenes que buscar otros horizontes, ya lo charlamos y llegamos a esta desicion. Muchas gracias queridos amigos por entrevistarnos y apoyar nuestra musica, les dejamos nuestras redes para que nos escuchen y sepan mas de nosotros.

https://funeralofsouls.bandcamp.com/releases
https://open.spotify.com/album/1KDZJAtCROaQZnUgeSBz53?fbclid=IwAR0pG1hZc409c8_cXUV9dvt3R6W-JkA7xojDYvHhDV6OW3k4ObwWAFs4krY
https://www.facebook.com/FuneralofSouls

Cadaveria – Il cantico della Matriosca

Ospite a Overthewall Cadaveria. Dopo lo stop causato dalla lunga malattia, l’artista italiana è tornata a fare musica, pubblicando recentemente due singoli “Return” e “Matryoshcada”.

Ciao Cadaveria, come come stai?
Sto bene grazie, ho appena fatto i controlli oncologici e mi hanno promossa! Sono felicissima e posso dedicarmi alla musica con serenità.

Ho ammirato molto il modo in cui hai affrontato la malattia, non nascondendoti ma aggiornando amici e fan passo dopo passo. Credi che questo atteggiamento positivo abbia potuto avere una doppia valenza, rendendo meno impervio il tuo cammino e in qualche modo dando l’esempio a chi ti segue e che magari si trova in un analoga situazione?
Non credo esista un solo modo per affrontare le difficoltà e le malattie, ognuno fa come crede e come può. Personalmente ho sempre avuto un rapporto sincero coi fan e in generale con le persone che mi circondano e non mi sono mai sognata di nascondere a nessuno la malattia. Avrei dovuto mentire per chissà quanto tempo, una cosa per me impensabile e che poi mi sarebbe costata un sacco di fatica. No, no, le energie mi servivano tutte per guarire! Devo dire che questa apertura verso il prossimo mi ha fatto un gran bene, parlarne mi ha resa più leggera e soprattutto mi ha inondata di amore. Ho visto tante mani tese e questa volta le ho semplicemente afferrate, senza chiedermi se erano davvero tutte sincere. E’ stato uno switch non da poco, considerato che non ero abituata a chiedere aiuto e a manifestare apertamente i miei sentimenti. A chi si trova in una situazione simile, sì, consiglierei di fare altrettanto, ma solo se se la sente. Alla fine ognuno deve seguire la propria anima. Ad esempio per me mettere la parrucca era come mentire a me stessa allo specchio, poi era scomoda, una tortura d’estate con 35 gradi. No grazie! E così sono andata in giro pelata. Non è facile. Gli sguardi li hai addosso, sguardi di compassione, di curiosità, di paura. Il cancro è ancora un tabù, la gente ne è terrorizzata, lo chiama “quel brutto male”… Io posso dire che la verità rende liberi. Dopo che mi sono mostrata al mondo pelata non me ne frega proprio più niente del giudizio di nessuno.

Alla luce delle tue recenti vicissitudini, possiamo considerare questo un nuovo inizio e porre “Matryoshcada” sullo stesso piano emozionale del tuo esordio con gli Opera IX e con il tuo progetto solista?
No, quando sono entrata negli Opera IX ero giovanissima e vivevo nell’incoscienza di quegli anni. Quando con Marçelo Santos ho fondato i Cadaveria sì, quello è stato un nuovo inizio, all’insegna dell’indipendenza artistica e della voglia di fare. Questa volta sono fortunata a poter ricominciare di nuovo. Ci sono stati momenti in cui non ero certa che sarei tornata alla musica. La molla sono stati i fan. “Matryoshcada” è dedicata a tutti loro. L’emozione che sto provando ora non ha paragoni col passato. E’ l’emozione di chi sa quanto sia preziosa la vita.

Da un punto di vista simbolico cosa rappresenta la matriosca?
La matriosca sono io durante la chemioterapia, che mi esfolio, perdo capelli, ciglia sopracciglia, un pezzo del mio corpo con la chirurgia. Involucri di me cadono e se ne vanno per non tornare più e io ho dovuto accettarlo e lasciarli andare. E’ restato il nucleo, l’anima, e da lì sono ripartita. Ho attraversato una tempesta, sono stata sulle montagne russe per oltre un anno e mezzo senza mai poter scendere. Ho vissuto una trasformazione esteriore che è sotto gli occhi di tutti e un viaggio interiore profondo, un insegnamento per me rivoluzionario. Un po’ di autoironia non guasta mai così la canzone l’ho intitolata MatryoshCADA perché molti nell’ambiente musicale mi chiamano Cada.

Che ruolo ha avuto la musica in questo tuo percorso? Non mi riferisco specificatamente alla tua musica, ma in generale.
Nei primi mesi ho ascoltato musica come al solito, poi ho cercato solo il silenzio, la meditazione, il camminare, lo yoga. Mi sono disinteressata totalmente del metal.

Qual è l’elemento di novità in “Matryoshcada” e quale invece quello tipicamente Cadaveria che è sempre presente sin dal tuo primo album?
E’ sempre difficile analizzarsi, preferisco siano gli altri a trovare similitudini e differenze. Credo che il marchio Cadaveria sia inconfondibile, soprattutto nel growl. La scrittura musicale e certe tonalità del clean, più acute che in passato, sono probabilmente ciò che gli altri identificheranno come nuovo.

“Matryoshcada” esce in un periodo particolare, senza concerti e caratterizzato dall’impossibilità di avere un contatto fisico con i fan. Come cambia dal punto di vista tecnico la promozione di un brano in questa particolare fase?
Noi abbiamo scelto, a prescindere dal Covid, di far uscire una serie di singoli in digitale e di realizzare anche un videoclip per ciascun singolo. Un lavoro importante ed entusiasmante dal punto di vista creativo. Ci stiamo gestendo in maniera totalmente indipendente quindi decidiamo noi tempi e modi e ci divertiamo parecchio.

Chi ha collaborato con te nella realizzazione del pezzo?
Marçelo Santos in primis, praticamente un fratello che condivide con me ogni passo artistico. La formazione ufficiale al momento include noi due e Peter Dayton al basso. Alla chitarra hanno collaborato Frank Booth e Kris Laurent, chitarristi storici della band, e Pier Gonella, anche in veste di coproduttore.

“Matryoshcada” è il secondo singolo estratto dal prossimo album, quando potremo ascoltare il lavoro intero?
Sì, è il secondo singolo. Il primo, “Return”, cover dei Deine Lakaien, è uscito a ottobre e ha segnato il nostro ritorno alla musica. Per ora abbiamo altri brani pronti che stiamo registrando e che faremo uscire man mano che sono pronti sempre in forma di singoli. Ad oggi non stiamo programmando un album da far uscire in formato fisico. Vedremo più avanti come evolvono le cose e cosa ci inventeremo.

Grazie per l’intervista, ricordiamo dove tenersi aggiornati sulle tue nuove uscite discografiche?
Vi rimando al sito http://www.cadaveria.com e vi consiglio di seguirci su Spotify https://bit.ly/cadaveriaonspotify e di iscrivervi al nostro canale Youtube https://www.youtube.com/cadaveriaofficial. Questi invece sono i link per seguirci sui social: https://www.facebook.com/cadaveria, https://www.instagram.com/cadaveriaofficial

Trascrizione dell’intervista rilasciata a Mirella Catena nel corso della puntata del 30 Novembre 2020 di Overthewall. Ascolta qui l’audio completo:

Helfir – Musica da viaggio

Gli Helfir con “The Journey” (My Kingdom Music) tagliano il delicato traguardo del terzo disco, lo fanno confermando quanto di buono fatto nei due capitoli precedenti e rilanciando le proprie ambizioni. Dietro questo progetto si cela un uomo solo, Luca Mazzotta, ed è con lui che abbiamo discusso del nuovo lavoro.

Ciao Luca, non ci sentiamo da un bel po’, dalla tua data a supporto di “The Human Defeat” nel 2017: cosa è accaduto in questi tre anni?
Ciao a tutti voi! Sì, dall’uscita di “The Human Defeat” ho intrapreso nuove collaborazioni, registrato su alcuni dischi di artisti locali e suonato live in giro con varie band. In tutto ciò mi sono occupato della promozione e delle vendite del disco ed ho iniziato da subito a scrivere il nuovo album “The Journey” ed altro materiale di cui ancora non ne sto parlando. È difficile vedermi fermo e annoiato!

Il terzo disco è una soglia fatidica nella vita di una band, credi di esserci arrivato al massimo del tuo potenziale?
La scrittura di un disco, sia delle musiche che dei testi, è un processo quasi ludico per me. Non mi pongo mai dei traguardi o mi analizzo artisticamente e tecnicamente, semplicemente mi diverto a scrivere, lasciandomi trasportare dalle emozioni. Dall’uscita di “Still Bleeding” sicuramente sono cambiate molte cose, ho imparato tantissimi trucchi ed accorgimenti nella scrittura e nell’uso degli arrangiamenti, ho continuato a studiare, quindi credo proprio che con questo terzo disco ho potuto applicare al meglio tutto ciò che ho imparato fino ad ora.

Il disco in qualche modo è stato condizionato dalla drammatica situazione che viviamo?
Assolutamente sì, non tanto nelle tematiche trattate o nella scrittura della musica quanto nella fase di realizzazione del disco. In piena pandemia, costretto a restare a casa giornate intere, mi sono ritrovato a fare qualunque tipo di ripresa nel mio studio personale senza poter avere l’aiuto di un tecnico del suono o di qualcuno più esperto di me. Quindi la scelta di microfoni ed il loro posizionamento, la selezione di ampli ed effetti, tutto è stato completamente guidato da me, con uno sforzo incredibile in quanto non sono proprio del mestiere. È stata comunque una bella esperienza perché era diventata una sfida tra me e tutta la fase di ripresa, soprattutto delle voci e delle chitarre acustiche.

Se si eccettua il contributo di Tamara My su “Silent Path”, hai fatto tutto da solo: da dove nasce questa esigenza di non avere con te altri compagni di avventura negli Helfir?
In ogni album che faccio mi piace ospitare amici e musicisti con cui ho il piacere di collaborare e che nutro profonda stima. In “Silent Path” avevo il desiderio di una voce femminile molto graffiante e Tamara è stata perfetta! Helfir nasce come esigenza personale di scrivere e divertirmi a suonare tutto. È una valvola di sfogo, un processo catartico ma al tempo stesso mi diverto a sperimentare, ad inventare, sempre con i miei tempi e con le mie esigenze, senza dover dare conto a nessuno. Quindi il non voler avere altri compagni di avventura nasce dalla pura esigenza di intraprendere un viaggio in solitaria, un viaggio introspettivo. Questo è Helfir.

Lavorando da solo, e non avendo un confronto con altre persone, quando capsici che un brano è completo e non ha più bisogno di essere perfezionato?
Quando inizio a scrivere un brano, scelgo i suoni, sperimento con diversi arrangiamenti, sostituzioni di accordi e scale ma è come se avessi già in mente quale sarà il risultato finale. È come se la canzone esistesse già, come se l’avessi già ascoltata e quindi stessi cercando di riprodurla con gli strumenti che ho a disposizione. Ci sono stati casi in cui, dopo vari tentativi, il risultato non mi convinceva, quindi mi sono ritrovato a scartare intere canzoni e casi in cui, al contrario, sono rimasto addirittura stupito dal risultato che si è rivelato essere oltre ogni mia aspettativa.

Un connubio che dura da tanto ormai è quello con la My Kingdom Music, su cosa si fonda questa lunga collaborazione?
La collaborazione con la My Kingdom Music, e quindi con Francesco, è iniziata nel 2013 e continua tuttora. Come succede nei rapporti di amicizia, anche nelle collaborazioni tra musicista ed etichetta, ci deve essere una base di stima e fiducia reciproca. Questi sono gli ingredienti fondamentali per un lavoro di squadra, in cui ognuno ha il proprio ruolo e mette a disposizione le proprie competenze. Io mi trovo molto bene a lavorare con Francesco, chiedo consigli, dritte sulle prossime azioni da intraprendere ed è sempre stato così. Poi c’è un elemento che ci accomuna e che ci fa sentire le cose allo stesso modo: la musica!

Credi che nell’album ci sia una canzone che più di altre rappresenta il vostro sound attuale?
Una caratteristica di Helfir di cui vado molto fiero è l’eterogeneità di stili musicali che ci sono al suo interno. Il mix di stili che si possono ascoltare in un mio disco rappresentano l’anima di questo progetto, i diversi volti di uno stesso lato oscuro della musica, quella che mi piace. Per questo motivo è difficile trovare una canzone che più rappresenta il sound attuale ma credo che sia più giusto parlare di miscela di stili e con questo album penso di aver raggiunto il suono che volevo, la formula che cercavo. 

Il video di “The Past”, con il suo grigio, l’ho trovato molto evocativo: chi ne ha curato lo storyboard e regia?
Bella domanda! Come per tutto l’aspetto musicale, anche per parte video mi sono divertito a fare tutto da solo e senza strumenti troppo complessi. Fin da quando ero bambino, ho sempre amato accostare la musica alle immagini o video perché mi suscitava emozioni fortissime e lo trovavo molto stimolante. Una delle influenze musicali maggiori per me è stata quella dei Pink Floyd e ricordo che quando vidi per la prima volta il videoclip di “Learning To Fly” rimasi scioccato; loro sono i maestri in questa arte. Forse l’amore per questa band mi ha aiutato tanto ad accostare le immagini alla musica.

Ora che il disco è fuori ed è complicato, se non impossibile esibirsi dal vivo, quali sono i tuoi programmi?
Sono molto fiducioso, da questo incubo ne usciremo e spero nel più breve tempo possibile. Nel frattempo mi dedicherò a promuovere il disco con qualche live in zona e via web. Dovrò quindi preparare la scaletta per gli show, studiare i suoni e gli arrangiamenti. Poi sono rimaste fuori da questo disco circa una decina di altri brani che non vedo l’ora di riprendere in mano e proseguire con la scrittura.