Rovescio della Medaglia – Nel segno della contaminazione

Il 20 Novembre è stato pubblicato per la Jolly Roger Records il live celebrativo “Contaminazione 2.0” della storica band italiana Rovescio della Medaglia, incentrato sul loro album “Contaminazione” (1973), considerato un capolavoro del rock progressivo italiano. A parlarci di questa nuova ed attesa uscita discografica, torna su Overthewall, il grande Enzo Vita!

Quando è nata l’idea di proporre il vostro terzo album, “Contaminazione”, dal vivo?
Prima di fare il concerto avevamo stabilito che registravamo perché era la prima volta che si suonava dal vivo dopo le prove, sentito il risultato ho deciso che era possibile farne un live.

Perché proprio “Contaminazione” e non un altro classico come “La Bibbia”?
Perché “Contaminazione” ce lo chiedevano per intero.

Probabilmente con “La Bibbia” avete aperto le porte all’hard rock in Italia, pian piano avete
iniziato a sperimentare cose nuove, come il flauto in “Io Come Io”, sino ad arrivare alle
contaminazioni di “Contaminazioni”. Oggi siete considerati uno degli act classici del progressive italiano, ma all’epoca voi come vi consideravate? La vostra è stata una mutazione voluta o inconscia? Vi sentivate una band prog o facevate semplicemente quello quello che vi sentivate di fare in quel momento?

E’ vero con “La Bibbia” abbiamo aperto all’hard rock ma non è stato qualcosa di pensato prima. Sai, sono cose belle che accadono quando pensi solo a suonare ciò che ti piace. Così è venuto fuori “La Bibbia”, con delle variazioni prog. Aggiungo, dietro a tutto questo si cela il desiderio di esistere senza indottrinamenti vari.

Come è stato lavorare con il Maestro Bacalov?
E’ stato proficuo ed eccezionale, perché, come aveva intuito il direttore artistico della RCA, noi avevamo bisogno di una guida, e Bacalov lo è stata.

All’epoca Bacalov ha curato gli arrangiamenti, chi se ne è occupato invece in occasione di questa rivisitazione?
Ho la responsabilità del RdM in tutto, anche se ascolto i miei collaboratori.

Quanto è difficile contaminare oggi?
C’è cosi tanta musica al giorno d’oggi, che è difficile mettere insieme i vari stili musicali! Però si può fare, è un’idea in questo momento…

Ci sono stati elementi di contemporaneità che hanno contaminato i vostri brani in occasione del concerto a San Galgano?
Sono passati molti anni dall’originale, siamo andati avanti con lo studio e quindi qualcosa è stato modificato. E’ stato normale attualizzarlo.

L’abbazia di San Galgano è un luogo mitico, legato alla leggendaria Spada della Roccia: la scelta di quel posto magico come si è concretizzata?
L’idea è nata da Nicola Costanti (tastierista\cantante) che abita lì vicino, io l’ho accettata volentieri.

Vi siete avvalsi dell’aiuto di un quartetto d’archi e di Vittorio De Scalzi dei New Trolls, come sono nate queste collaborazioni?
Era un concerto in onore di Bacalov e quindi gli archi era giusto inserirli, con Vittorio invece la spinta è arrivata dal desiderio comune di improvvisare qualcosa insieme… così lo abbiamo fatto.

Le vostre prossime mosse? Porterete dal vivo lo stesso show appena sarà possibile riprendere l’attività live?
Penso di cambiare qualcosa, eseguiremo le parti migliori di “Contaminazione”, faremo “La Bibbia” con le dovute modifiche (lo stiamo realizzando in inglese, altre notizie seguiranno). Spero di suonare sia qualcosa da “Microstorie” che da “Tribal Domestic”, che molti ritengono difficile da realizzare. Però è un mio sogno, vedremo più in là.

Trascrizione dell’intervista rilasciata a Mirella Catena nel corso della puntata del 23 Novembre 2020 di Overthewall. Ascolta qui l’audio completo:

Godwatt – Nessuna redenzione per i vivi

I Godwatt hanno dipinto con il nuovo “Necropolis” scenari decadenti e oscuri. L’hanno fatto alla loro maniera, con riff grassi e pesanti che annichiliscono l’ascoltatore. Un mondo senza luce e senza speranza quello in cui viviamo? Forse, ma finché escono dischi come questo, sopravvivere è sicuramente più piacevole.

Benvenuti su Metal Hammer Italia, ragazzi. Direi di iniziare dalla fine, quindi dal nuovo “Necropolis”. Cosa lo distingue dai suoi predecessori?
Moris: Ciao! Il nostro nuovo e ultimo lavoro “Necropolis” si distingue dagli altri sicuramente per il sound molto più aperto e deciso, meno oscuro ma non per questo meno pesante. Mi riferisco solo al suono perché testi e atmosfere rendono il disco nero come la pece!

Come sono nati i brani? C’è n’è stato uno che v’ha fatto ammattire prima di arrivare alla stesura definitiva?
Mauro: Le strutture portanti dei pezzi, più o meno complete, sono nate dalla mente malata e paranoica di Moris, poi tutta la band li ha arrangiati, cercando di farli suonare al meglio.
Moris: Un brano che ci ha fatto ammattire? Forse uno che non è finito sul disco! Era molto lungo e abbastanza complesso e al quale tenevamo molto, ma per vari motivi, tra i quali l’eccessiva durata, ci ha fatto decidere per la sua esclusione.
Mauro: Forse finirà su un ep o uno split, magari. E’ un brano comunque interessante e forse più cervellotico degli altri, quindi buono per ammattire!

Il titolo ha un significato metaforico?
Moris: Il titolo è venuto fuori alla fine, dopo che ci siamo accorti che quasi tutti i testi parlavano della morte, vista da prospettive diverse e accompagnata da decadenza, pessimismo e negatività. Tutte caratteristiche del mondo di oggi, che io immagino nel futuro come una grande necropoli.

“Necrosadico” ha qualcosa a che fare con “Necrosadistdei Necrodeath?
Moris: No,no. I Necrodeath non rientrano nei miei ascolti! In quel brano ho solo descritto i momenti in cui un uomo, in maniera molto semplice, si diverte ad “esaminare” il corpo di un morto…

Alcuni dei concetti che tornano spesso nelle liriche sono quelli di colpa e peccato. Quasi sempre “senza redenzione”, parafrasando il titolo di un vostro precedente album. Sembra quasi che i vostri testi siano pervasi da un’etica cristiana. Qual è il vostro rapporto con la religione?
Moris: Io non sono credente, ma penso che in certi momenti della vita abbiamo bisogno di credere in qualcosa di più grande di noi. E’ nell’indole umana, penso. Il senso di colpa di cui parli tu è rivolto alle responsabilità che abbiamo per la decadenza e la distruzione di questo mondo. Siamo diretti verso la fine inesorabilmente. Non vedo vie d’uscita, vedo solo l’oscurità che ci aspetta.

Prima ho citato “Senza Redenzione”, l’album della svolta, che ha portato al cambio di nome (prima era Godwatt Redemption) e di idioma per i testi. Facendo un passo indietro, vi siete mai pentiti di quei cambiamenti radicali?
Moris: Assolutamente no! Con l’italiano abbiamo trovato la nostra dimensione e il nostro marchio di fabbrica! Non sono molte le band che utilizzano l’italiano nel nostro genere e ne siamo orgogliosi.
Mauro: Penso che l’italiano ci dia più padronanza di espressione, riusciamo a rendere meglio l’idea. Poi credo che per certe tematiche la nostra lingua sia molto interessante da utilizzare, ha un suono, come dire, più organico.

Dal punto di vista tecnico è più facile costruire e cantare una canzone con i testi in inglese o in italiano?
Moris: Forse con l’italiano è un po’ più’ difficile, soprattutto per quanto riguarda la metrica e il trasmettere aggressività e potenza, in quanto di base tende a essere più’ morbido rispetto all’inglese. Ma una volta sistemato a dovere, penso che ci dia quel qualcosa in più’. E poi devo dirlo: con l’inglese ci sentivamo sempre un po’ troppo cloni di altri gruppi.

Ma i vostri album dobbiamo contarli da “The Hard Ride of Mr. Slumber” o da “Senza Redenzione”?
Moris: I nostri album dobbiamo contarli dal demo precedente a “The Hard Ride…” del 2007 , in quanto ritengo che ogni lavoro che abbiamo fatto dalla nostra “nascita” nel 2006 in poi ci ha permesso di arrivare a quello che siamo oggi e quindi ai Godwatt di “Necropolis”. In definitiva le sonorità’ di base e l’indirizzo della band più o meno sono rimasti quelli degli inizi. Siamo solo maturati, penso. E comunque ci tengo a sottolineare che dall’inizio ad oggi i Godwatt sono immutati come formazione! Da ben dodici anni che ci sopportiamo!

Al di là dei testi in italiano, vi ho sempre definito la meno italica delle band doom nostrane. Il vostro sound affonda le proprie radici nel rock pesante britannico, cosa che vi distingue dalle altre band di casa nostra più vicine a suoni di matrice Death SS\Paul Chain. Mi sbaglio?
Moris: Massimo rispetto per i nomi “di casa nostra” da te citati ma non rientrano tra le nostre influenze. Abbiamo sempre avuto come fonti d’ispirazione altre band come Cathedral, Black Sabbath, Candlemass, Spiritual Beggars e Witchcraft.
Mauro: Di base, come tu dici, la nostra matrice viene dall’heavy rock britannico e principalmente dalle band che ha citato Moris, poi chiaramente ognuno di noi ha diverse preferenze e background leggermente differenti l’uno dall’altro. Questo può venire fuori più sottilmente nelle dinamiche ed in certi arrangiamenti di ogni pezzo. Per lo più parliamo sempre di ispirazione da vecchia musica, più estrema e moderna, ma che si rifà ad essa.

Con “Necropolis” siete giunti al secondo album con la Jolly Roger Records, il precedente “L’Ultimo Sole” è una sorta di raccolta con brani reincisi per l’occasione: come è stato rimettere mano a vecchie canzoni?
Moris: Siamo felici di aver continuato la collaborazione con la Jolly Roger Records poiché siamo molto soddisfatti del lavoro svolto finora per quanto riguarda promozione e distribuzione. Rimettere mano a vecchie canzoni non mi fa impazzire come idea, preferisco sempre lavorare su materiale nuovo, ma è stato necessario per rendere i pezzi più simili a quelli del disco che dovevamo pubblicare all’epoca. Penso che alla fine il risultato sia stato molto buono.

Prossimi progetti?
Moris: Per ora vogliamo solo suonare il più possibile e cercare di far conoscere la nostra proposta dove possiamo. Anche perché siamo stati fermi più di un anno per la “gestazione” di “Necropolis” e vogliamo solo suonare. Poi si vedrà per un nuovo eventuale disco.

Intervista pubblicata originariamente su Metal Hammer Italia in occasione dell’uscita di Necropolis.
http://www.metalhammer.it/interviste/2018/03/14/godwatt-nessuna-redenzione-per-i-vivi/