Airfish – Rituali in corso

A dieci anni dal precedente album “Anarchy in Italy” gli Airfish, band di culto attiva fin dai primi anni ‘90, chiudono un cerchio lungo tre decadi con la pubblicazione del doppio LP “The Crowleyan Hypothesis” (Qanat Records, 2022). Abbiamo parlato del disco, di underground musicale, di tarocchi, di metal, della vita oltre la musica insieme a Rodan, membro cofondatore della band.

Ciao, sulla vostra pagina Bandcamp ho contato ben 20 release tra il 1992 e il 2011. Come mai, poi, 10 anni di silenzio?
Ciao, e grazie intanto per l’opportunità di fare quattro chiacchiere sul nostro lavoro. Dopo l’uscita di “Anarchy In Italy” abbiamo effettivamente rarefatto il nostro lavoro per svariati motivi, legati tanto alla sfera creativa quanto a quella personale. Pietro iniziò a lavorare sul suo album solista, coinvolgendosi in una serie lunghissima di prove e registrazioni, coadiuvato peraltro da un personale tecnico e musicale in costante cambiamento. Daniele Di Giovanni, all’epoca batterista Airfish e membro effettivo, iniziò a essere coinvolto nel progetto Homunculus Res, rivelatosi da subito impegno di grande spessore. Marco ed io siamo stati, tra le altre cose, reclutati dall’amico Gioele Valenti, suonando nella live band di JuJu per diversi anni. Federico e Domenico hanno dato vita al duo elettronico Fratelli Kolosimo. Come potrai immaginare, col passare degli anni, gli spazi temporali per gestire progetti musicali diversificati si restringe inesorabilmente. Ad ogni modo, nel 2016 ci siamo concentrati sul progetto “No Palermo”, un doppio album antologico sulla scena musicale palermitana a noi affine, e abbiamo messo su una nuova line-up assieme a Claudio, grande amico e batterista. Tra il 2016 e il 2019 abbiamo completato le registrazioni di “The Crowleyan Hypothesis”, de “I Morti” (album ancora inedito, con Giampiero alla batteria), di alcune musiche per i documentari di Salvo Cuccia, e abbiamo fatto una sporadica attività live. Abbiamo collaborato parecchio con gli amici Giorgio Trombino e Simone Sfameli, che hanno contribuito con idee e personalità alle registrazioni di questo periodo. Purtroppo la notizia della malattia di Pietro ci ha frenato, e il suo rapido e drammatico decorso ci ha impedito di sviluppare alcuni propositi già chiari, gettandoci in un lutto impenetrabile dal Febbraio 2020.

Non siete stati affatto fermi! Concentriamoci su “The Crowleyan Hypothesis” allora…  Sarà il fascino del vinile ma credo che questo doppio LP (rilasciato in tiratura limitata di 300 copie) sia il vostro miglior disco, una summa della vostra discografia. Sono l’unico a pensarla così? Che impressioni avete ricevuto da chi, come me, vi segue da tanti anni?
Sono molto lusingato dal tuo giudizio. Devo dirti che anch’io penso sia il nostro disco più maturo e complesso, e la valutazione di tanti amici mi conforta in questo senso. Siamo anche assai soddisfatti dei riscontri critici. Aldo Chimenti, Claudio Sorge e Stefano Cerati hanno recensito il disco in termini lusinghieri, e stiamo parlando di firme tra le più credibili e prestigiose, per chi segue con attenzione il panorama critico musicale italiano. Purtroppo gli spazi di dibattito sulla semantica musicale sono sempre più rari, spesso confinati alla saggistica, e quello che sembra contare, quello che appare importante, anche in ambiti presuntamente underground, sono i numeri che indicizzano il consumo del tuo prodotto: i like su insta, le visualizzazioni su YT eccetera. La discussione vitale sulla popular music è essenzialmente morta, sommersa da fiumi di retorica sul “professionismo” e la musica come “lavoro”, dal dominio assoluto dell’estetica visiva, dalla dissoluzione di qualsiasi relazione tra immagine, anche lirica, e vita reale. Credo che il bivio, per la comunità underground, sia stato oltrepassato in direzione sbagliata tanto tempo fa, e una bella esemplificazione può essere il film “Lords Of Chaos” di Jonas Akerlund, che mi è piaciuto molto.

Grazie per la dritta, cercherò il film di Akerlund. C’è una parola chiave per questo album: postumo. La morte nel 2020 di Pietro Palazzo, anima carismatica della band, ha lasciato Palermo orfana di un vero Artista. Questo evento ha portato a delle revisioni oppure l’album è così come lo avevate costruito tutti insieme?
In linea di massima l’album è uscito in coerenza con i progetti originari. Solo la traccia di apertura, “Sanpietro” è stata aggiunta immediatamente dopo la morte di Pietro. Considera che il disco è stato mandato ad Andrea Merlini per il mastering il 5 febbraio 2020, e il 7 Pietro veniva a mancare. Abbiamo passato un bel po’ di tempo, prima a comporre i tasselli del mosaico-album, e quindi a cercare la giusta quadratura del cerchio in termini di coerenza e sviluppo del flusso sonoro. Costruire un album oggi è un’operazione tendenzialmente desueta, perché ogni epoca sviluppa un modus operandi della composizione e della produzione musicale in genere coerente con i trend di fruizione del prodotto musicale, oggi massimamente rappresentato dai video in bassa qualità su youtube ascoltati con smartphone dozzinali, quando va bene connessi a piccoli altoparlanti bluetooth. Abbiamo cercato invece di costruire un disco che fosse apprezzabile in quanto tale, nella sua completa e coerente complessità, articolata sulle quattro facciate di un doppio album in vinile. Del resto, si tratta del supporto musicale più naturale per musicisti della nostra generazione.

Il disco, come lo stile del vostro gruppo, è multiforme. Negli Airfish coesistono metal, elettronica, folk e tante altre diramazioni. C’è un brano che rappresenta meglio “The Crowleyan Hypothesis”?
Penso che “The Pentagram” sia il brano più rappresentativo, un ritorno alle atmosfere di “Around The Fish” e “MIAO I”, con una consapevolezza nuova data da trent’anni di attività. Il tema crowleyano, il sax in primo piano, i loop industriali, il piglio metal delle chitarre e del basso distorto sono tutti elementi che contraddistinguono il periodo 1992-1994 della band. Con l’insostituibile aiuto dell’amico Vincenzo Lo Piccolo (alias Volgo Productions) abbiamo anche realizzato un videoclip, cosa che per noi, nel 2022, rappresenta una novità assoluta.

In che misura la figura di Aleister Crowley è presente in quest’album?
La figura di Aleister Crowley è centrale nell’album, anche al di là della sintassi dei titoli. Ripropongo qua dei concetti già espressi in una precedente intervista, che mi pare siano particolarmente adatti a descrivere la nostra relazione con lui. Va specificato che Aleister Crowley è una di quelle figure in cui si imbatte per forza un giovane metallaro degli Anni 80 non appena inizia a seguire questo genere di musica. Una cosa per tutte, basti citare il brano di Ozzy Osbourne “Mr Crowley” presente nel suo primo album, con quel magnifico assolo di Randy Rhoads, che resta uno dei vertici della musica estrema e di un certo tipo di immaginare la musica in senso occulto. Quando a sedici anni scoprii che Crowley, il quale non era più solo il personaggio della canzone di Ozzy Osbourne per me, ma era diventato una figura di un qualche interesse, quando scoprii, dicevo, che aveva dimorato ed elevato il suo tempio a Cefalù a pochi chilometri da Palermo, m’interessai definitivamente. Iniziai, con una serie di amici, a fare delle regolari visite all’Abbazia di Thelema. Mi comprai il “Magick” nell’edizione Astrolabio. Villa Santa Barbara, l’Abbazia, era un luogo ancora poco violentato dai nugoli di esponenti della fandom crowleyana, ed era fonte di suggestioni irripetibili.

Effettivamente ho sempre associato gli Airfish ad un occulto rituale…
L’impronta ritualistica nella nostra proposta c’è sempre stata. Inizialmente componevamo dei rudimentali per quanto sentiti omaggi al Mago, intitolandoli in maniera thelemicamente esplicita. Campionavamo la sua voce, recitavamo suoi versi, cose così. Crescendo, la prospettiva è mutata. Abbiamo progressivamente sviluppato un approccio ritualistico alla composizione e all’assemblaggio delle nostre proposte sonore. Nel 2008 abbiamo registrato un lavoro dedicato ai ventidue arcani maggiori del mazzo dei tarocchi di Marsiglia, che si intitola “La Scala Dorata” e che è stato integralmente progettato e poi edificato dal punto di vista sonoro e creativo su base ritualistica. Abbiamo cercato di realizzare un’impalcatura concettuale e atmosferica particolare, riunendoci solo a lume di candela, pungendoci con gli spilli per unire il nostro sangue e distribuendoci su base interattiva e cabalistica i compiti tanto creativi quanto tecnici da svolgere per l’edificazione di quest’opera musicale. Nell’ultimo disco, che è bene ripetere, esce postumo, nel senso che non è più previsto che noi ci si esibisca dal vivo, siamo tornati in parte a questi temi e a queste pratiche a noi care. È una sorta di citazionismo riflessivo. L’ipotesi crowleyana del titolo è l’ipotesi di un mondo nuovo, che gli stolti cercano nello spazio profondo, i volenterosi nella sacra unione tra maschile e femminile. Il conflitto tra tecnica e arte.

Dopo una serie di ascolti, il secondo dei due LP non è più uscito dal mio giradischi. Considero i lati A e B una preparazione ai (più coesi per me) lati C e D, mi sono creato questo filo logico. Si tratta invece di una raccolta di canzoni avulse da questo mio ragionamento?
Come puoi leggere dalle note di copertina, abbiamo selezionato una serie di brani registrati in un periodo di tempo abbastanza lungo, e abbiamo passato molto tempo a immaginare la tracklist più adatta a esprimere il tema centrale del disco, l’ipotesi crowleyana di un mondo nuovo, dato dal conflitto tra arte e tecnica, e che può realizzarsi solo a patto di riconoscere la propria comunione col mondo e la natura ed esaltando il potere differenziale del dualismo maschile/femminile. Penso che il primo disco sia più carnale, e il secondo più orientato all’immaginazione. Trovo molto bello, o ancora meglio, gratificante che una persona come te abbia dedicato un ragionamento, peraltro calzante, a questo nostro lavoro.

Arrossisco! Il testo della traccia “452B” parla di un lontano pianeta abitabile, di vita sconosciuta oltre la vita conosciuta. L’avete messa a fine scaletta per un motivo specifico?
Beh si, l’idea era che il contesto lirico del brano fosse adatto a guardare in avanti, alla prossima reincarnazione della nostra identità artistica, musicale e sociale. Il testo vuole anche suggerire che, se non si risolvono le contraddizioni che hanno fatto concludere la tua parabola esperienziale e creativa, è impossibile ricominciare. Bisogna guardare all’Arcano Maggiore XIII del Tarocco di Marsiglia, lo studio di quella carta permette di comprendere meglio il senso del trapasso e della trasformazione artistica ed esistenziale che noi volevamo rappresentare con la storia del pianeta abitabile e della sua connotazione valoriale. Il brano, tra l’altro, è cantato da Domenico (con me alle seconde voci), quasi una premonizione di un futuro senza Pietro.

Da cosa trae ispirazione l’immagine di copertina dell’album?
Innanzitutto dai Queensryche, la copertina di “Empire”, e anche dal Prince della svolta “TMFKAP”, e dagli Einsturzende Neubauten di “Kollaps” e, in realtà, da innumerevoli altri album. Amiamo l’impatto che hanno i simboli a tutta copertina, e l’identificazione che nasce tra un prodotto musicale che ami fino a farne un tassello identitario ed il simbolo grafico che lo rappresenta. Nel caso del nostro album, il simbolo utilizzato si riferisce a Lilith sotto forma di drago. Penetrare questo simbolo e accoglierlo in sé senza paure è il sentiero che permetterà di superare l’incubo che l’umanità sta vivendo da tempo immemorabile, che ha la forma dell’assurda, autolesionista aggressione sterminatrice del maschile verso il femminile.

Per me gli Airfish sono un monumento monolitico, la feroce traduzione in musica delle innumerevoli sfumature della città di Palermo. Dalla prima volta che vi vidi in concerto, diciassettenne nel 1997, mi avete coinvolto ed accompagnato dall’adolescenza alla maturità. Avete presentato “The Crowleyan Hypothesis” con un dj set, nessun concerto, chiaro segno che qualcosa è andato perduto per sempre. La dipartita di Pietro non sarà mai facile da accettare, però… quali sono i progetti futuri degli Airfish?
Chiaramente comprenderai come le cose siano cambiate per sempre. La nostra band ha in genere privilegiato l’aspetto relazionale rispetto a quello strettamente strumental-performativo. L’amico è sempre venuto prima del musicista. È sempre stato un progetto tanto di cuore quanto di cervello, intenso nell’elaborazione e maledettamente lento nella reificazione. Nel Novembre 2019, esattamente tre anni fa, abbiamo registrato in formazione classica (Pietro, Marco, io, Federico, Domenico, Giampiero) un’ultima sessione di sette tracce, che abbiamo chiamato “I Morti”, con interventi anche di Giorgio Trombino, Roberto Leto e di Manfredi. Prima di pubblicarlo, però, ci occuperemo di stampare l’album solista di Pietro, capolavoro che lo aveva totalmente assorbito negli ultimi anni. Nel frattempo stiamo valutando le possibili forme di una nostra futura produzione musicale assieme. Ho una volontà feroce di tornare a comporre, arrangiare, registrare ed eseguire nuova musica, ma prima bisogna concludere i rituali in corso.

Chino Mortero – Anima nera rock

“Mi presero di sabato” è una raccolta di storie ai limiti della legge, caratterizzate da un sound elettrico, americano e con forti influenze della cultura chicana. Ne abbiamo parlato con Chino Mortero, autore del disco uscito il 1° dicembre 2020 per Qanat Records.

Come è nato “Mi presero di sabato”?
È un album che ho scritto tra l’estate e l’autunno 2019. Avevo lavorato lungo l’anno ad un altro progetto, insieme alla Banda di Palermo, che purtroppo poi non è andato più in porto: si trattava di un concept molto caratterizzato dalla musica tradizionale messicana. Contemporaneamente però avevo scritto una manciata di altre canzoni, sempre storytelling, molto più elettriche però, più “americane” ed è nata la voglia di andare avanti comunque e portare a termine almeno un disco; questo è stato quello più “fortunato”. Siamo entrati con i ragazzi in studio a novembre 2019 e a febbraio 2020 avevamo tutto pronto. Il disco sarebbe dovuto uscire ad aprile scorso, ma la pandemia ha sconvolto un po’ tutti i piani ed abbiamo fatto slittare l’uscita a dicembre.

Perché questo titolo?
Il titolo è tratto dal testo di una delle canzoni del disco, “100 occhi”, e parla di un carcerato. È una frase che identifica bene le tematiche e la narrativa di quest’album: sono tutte delle storie ai limiti della legge o della decenza, caratterizzate da protagonisti che sanno di vivere il lato oscuro della propria vita e che quindi si aspettano prima o poi di dover rendere i conti a qualcuno che, un sabato o l’altro, verrà a prenderli.

Musicalmente tu nasci bluesman, poi scopri l’hip hop e pubblichi due album a nome Ciaka, rappando in italiano. “Mi presero di sabato” è un ritorno alle origini o c’è anche dell’altro?
Sono sempre e da sempre stato attratto ed affascinato da tanti generi e culture musicali diverse; lungo la mia carriera ho spesso cambiato radicalmente genere, a volte forse troppo repentinamente lasciando qualche vecchio ascoltatore un po’ spiazzato. Ma sono sempre stato un grande curioso, e mi è sempre piaciuto confrontarmi con diversi obbiettivi. Ho sicuramente dei generi che fanno parte del mio dna: la black music, la musica latina, la musica chicana. Questo album contiene delle canzoni che risentono sicuramente delle influenze delle origini, ma principalmente è un’opera in cui la musica abbraccia, senza volontà di stilemi, ciò che il testo racconta. Sentivo di volere caratterizzare delle atmosfere un po’ cupe, torbide, a volte pulp, quindi mi era inevitabile portare con me quei riferimenti che dal rockabilly di Johnny Cash arrivassero alle tare psicotiche di Nick Cave o alle bettole fumose di Tito & Tarantula.

So che la lavorazione del disco è avvenuta in diversi studi palermitani, come mai questa scelta?
È una decisione che ho preso da subito: ho tre grandi amici che portano avanti tre studi di registrazione con grande professionalità e grande energia e volevo coinvolgerli nella realizzazione di questo disco. Abbiamo registrato le parti strumentali al Tone Def Studio di Silvio Punzo, che ha capito subito che sound volevamo ottenere e ci ha aiutato molto nel raggiungerlo. Le voci sono state invece registrate presso lo Zeit Studio con Luca Rinaudo, vecchio amico e grande produttore musicale. Al Basement studio di Luca Gambino abbiamo infine registrato i fiati, le chitarre acustiche, contrabbasso, mandolinbanjo e abbiamo effettuato il mix del disco. Luca Gambino è stato molto bravo nel mettere a proprio agio le guest che sono intervenute nel disco e ci ha assicurato un ambiente totalmente amichevole e produttivo, situazione fondamentale secondo me per la buona riuscita di qualunque produzione.

Hai fatto uscire un video live di presentazione dell’album. Come mai questa scelta?
Avevamo in preparazione il video clip di uno dei brani che compongono l’album da fare uscire come primo singolo, ma la pandemia ha messo i bastoni tra le ruote anche a questo progetto. Allora, visto che la stagione dei live sembra ancora parecchio lontana e sono praticamente sicuro che non saremmo riusciti ad organizzare un live di presentazione, abbiamo deciso insieme a I Candelai (storico live club palermitano) di dare l’opportunità a chi volesse godere dell’esecuzione live del disco di poterlo fare con questo video, dove oltre al suonare le canzoni di “Mi presero di sabato” ne raccontiamo un po’ la genesi e la realizzazione. È un periodo molto duro per la musica dal vivo e penso che si debbano trovare delle strade alternative alle solite per la promozione e la divulgazione musicale e culturale. Non potrete venire ad un nostro live? Bene, ve lo facciamo vedere noi anche se con un video e non di presenza, così come siamo abituati a fruirne.

I testi raccontano storie di vite vissute al limite della legalità, ma trasmettono un desiderio di redenzione quasi religiosa. Fai spesso riferimento all’universo chicano dei messicani statunitensi, cosa ti ha portato a rapportarti a questi sentimenti di orgoglio chicano?
Sono sempre stato affascinato dalla cultura chicana perché la trovo incredibilmente vicina a quella mia, quella siciliana: sono entrambe fortemente legate alla famiglia e al credo cattolico, viviamo una storia comune di povertà ed emigrazione, entrambe sono radicalmente segnate da percorsi di criminalità spesso consequenziale all’indigenza e in tutte e due sento forte un senso di volontà di redenzione nonostante la vita faccia a volte scegliere le strade più pericolose. Due culture fortemente legate alla tradizione, alla territorialità, alla necessità di essere ascoltati e riconosciuti. Anche negli aspetti più controversi c’è grande affinità: il machismo, la componente matriarcale della gestione familiare, l’omofobia sono aspetti comuni. Anche nelle cose più leggere non posso che ritrovarmi vicino: sono un grande appassionato della cultura del Lowridring che è un achievement al 100% chicano e adoro la musica ed il cibo messicano, tejano e chicano.

Sulla copertina di “Mi presero di sabato” c’è un uomo armato in attesa, che sta architettando?
Intanto voglio cogliere l’occasione per ringraziare il mio homie Amil Report aka Tha Glocker per avere curato il progetto grafico di tutto il mio percorso sposandone appieno l’estetica. E poi il grandissimo Ciccio “Chronic” Tagliavia, che è il mio uomo copertina: Ciccio è un’icona della musica e della controcultura a Palermo da più di vent’anni, vero protagonista dell’underground di questa città, e mi ha riempito di orgoglio accettando di posare per il booklet di questo disco. La sua estetica poi sposa e rende benissimo il concept di questo album. Rappresenta appieno alcuni dei protagonisti delle canzoni di “Mi presero di sabato”: un uomo controverso dal torbido passato, con uno stile e una personalità ben definite che affondano i piedi nella tradizione, conscio del suo presente da fuorilegge aspetta che le forze dell’ordine appaiano da un minuto all’altro per venire a prenderlo. Ma siamo certi che non sarà una resa facile!

Qanat Records a produrre. Come vi siete incontrati e come avete lavorato assieme?
Sono stato tra i fondatori di Qanat Records dieci anni fa e per un po’ di tempo ne ho curato la sottoetichetta che si occupava prevalentemente di hip hop, reggae e black music (Catacomb Rec). Anche se la mia presenza lungo il corso del tempo non è stata più da protagonista sono sempre stato in contatto con i ragazzi dell’etichetta che sono, tra l’altro, tutti ottimi amici da tantissimo tempo. Con loro avevo già pubblicato il disco dei Pa All Bastardz ed il mio ultimo album rap “Vampiri”. È un’etichetta indipendente per me importante, sempre attenta alle produzioni palermitane con un occhio privilegiato su quei generi che difficilmente avrebbero trovato opportunità produttive pronte a spingerli. L’attitudine poi è quella che mi appartiene da sempre, essendo io ormai una vecchia salma: un piede nel passato, nella cultura DIY, nell’autoproduzione ma lo sguardo rivolto al futuro e al mercato digitale.

Tanti amici hanno contribuito a dar vita all’album. Come ci si sente ad essere il cuore di questo organismo?
Sono enormemente contento di questo aspetto. Da un lato conferma il fatto di avere seminato degli ottimi rapporti con i musicisti ed i tecnici che fanno parte della scena palermitana e di questo sono molto orgoglioso. Dall’altro sono assolutamente cosciente del fatto che Palermo abbia sempre sfornato grandi personalità e grandissimi talenti anche se lontani dai riflettori e non potevo non coinvolgerne alcuni di quelli che potevano aggiungere grande valore a questo mio lavoro. Mi sento parte di un grande scenario cittadino e sono sempre stato convinto che l’autoreferenzialità non sia una strada produttiva, quindi il confronto e la collaborazione non possono che essere un valore in più per qualsiasi produzione culturale. E non solo.

Qualche novità già in cantiere per il tuo futuro musicale?
La pandemia mi sta lasciando molto tempo libero viste le difficoltà lavorative che tutti ben conosciamo, dunque ne ho approfittato per spendere il mio tempo nella creazione musicale. Ho già scritto più di 10 nuovi brani che presto usciranno sul mio nuovo lavoro: sono delle canzoni molto differenti da quelle di “Mi presero di sabato”, non nella narrativa ma nelle sonorità, che sono molto più acustiche, intime, ombrose. Sono dei lavori molto più vicini alla musica mariachi, ranchera, alla musica nortena di Vicente Fernandez e Chavela Vargas; ci siamo quindi spostati più sul Messico vero e proprio che sulla sua anima chicana, senza dimenticare quei riferimenti che in un modo o nell’altro mi appartengono. Se “Mi presero di sabato” è un disco dall’attitudine live, molto d’impatto, questo sarà un lavoro molto più riflessivo e maturo, stiamo curando tutto con molta più attenzione per i dettagli e sono sicuro che verrà fuori un lavoro qualitativamente alto, complementare all’anima più rock, più sporca, che fino ad adesso è venuta fuori.