Gorilla Pulp – La regina del peyote

In attesa del nuovo album previsto nel corso del 2021, la stoner band viterbese dei Gorilla Pulp – con due dischi usciti per la Retro Vox Records e un’intensa attività live anche al fianco di nomi importanti come Marky Ramone e Ufomammut – ha appena pubblicato “Peyote Queen”, primo di tre singoli frutto di un fortunato ritrovamento di vecchie registrazioni che meritavano di essere diffuse.

Ciao ragazzi e bentrovati su Il Raglio del Mulo, è appeno uscito il singolo di “Peyote Queen” nella versione demo del 2015, raccontateci un po’ come avete ritrovato questi vecchi file?
Grazie cricca de Il Raglio del Mulo per averci invitati a questa intervista, è sempre un piacere condividere la giungla insieme! Il singolo di “Peyote Queen” in versione “Demo Tape” è uscito fuori davvero per caso. Cercavamo dei file nel nostro hard disk comune e dentro una cartella palesemente porn abbiamo notato una sottocartella anomala. Ce n’eravamo davvero dimenticati e invece guarda cosa è uscito fuori? Le prime demo del nostro primo full-length “Peyote Queen”.

Cosa è cambiato da queste versioni e come mai avete deciso di pubblicarlo?
Le versioni sono abbastanza simili nell’arrangiamento ma diverse sia nel playing che nell’intenzione. Sono tre tracce registrate interamente live in due, massimo tre take cadauna. La differenza sta proprio nel fatto che erano nate come “provino” e sentire come giravano i brani da inviare alla nostra produzione. Avevamo poi deciso di salvarle perché ci sembrava un buon prodotto, registrato bene e molto diretto, ovviamente anche molto grezzo. Abbiamo deciso di pubblicarle ora poiché tanti ci hanno conosciuto proprio attraverso questo disco e ci sentivamo in dovere di omaggiare tutti con un bel ricordo in studio di registrazione.

Come nasce un brano dei Gorilla Pulp?
Un nostro brano nasce molto “alla vecchia”. Uno di noi si porta in sala prove un riff che gli è piaciuto, che lo ha ispirato e lo propone alla band. Iniziamo a jammarci su improvvisando e vediamo cosa ne esce fuori. Nel mentre Maurice (vox e chitarre) comincia ad adattarci un testo e una linea melodica finché non troviamo la quadra giusta. L’ispirazione e la voglia finora, fortunatamente, non ci è mai mancata e siamo molto molto affiatati.

Nel 2017 un vostro brano “In Your Waters” è stato inserito in un videogame “Wreckfest” (uscito su Sony Playstation, Xbox e Pc.) raccontatemi un pò di questa esperienza, come ci siete arrivati?
L’esperienza è stata davvero bella perché mai avremmo pensato di finire in un videogame automobilistico e soprattutto fico. Quando ci è arrivata la mail dalla loro produzione non ci credevamo nemmeno ed è stato proprio quello il bello: una notizia improvvisa e molto piacevole. Hanno fatto tutto loro, al direttore della colonna sonora è piaciuta quella canzone e ci ha inviato il contratto da firmare con le varie esclusive sul gioco. Una bella soddisfazione e che gioco potente!

In tempi di pandemia con i live club chiusi ormai da un anno, avete mai pensato a fare uno show in streaming?
Ci abbiamo pensato e l’idea non ci dispiace. Quello che ci dispiace, come tanti nel nostro mondo, è quello di non poter sudare assieme con la nostra gente, tutti accalcati e profumati di rock’n’roll. In ogni caso se lo streaming deve essere fatto, va fatto bene, anzi benissimo. Audio bello, riprese belle e diretta sui social anche di più, ma vedremo.
Parteciperemo a fine febbraio ad un evento molto valido organizzato a Roma in totale sicurezza, il quale vi sveleremo pian piano nei prossimi giorni.

Quando c’è stato il vostro ultimo concerto? Siete riusciti ad esibirvi nel 2020?
I nostri ultimi concerti sono stati a luglio 2020, doppietta di fila venerdì e sabato dai nostri fratelli della Backstage Academy di Viterbo, nella stessa location. Le due date furono sold out e su prenotazione obbligatoria, in totale sicurezza ed alcuni posti a sedere. Fu una sensazione strana e diversa suonare e preparare due concerti così, soprattutto per poter rispettare ogni regola e non rischiare.


Cosa state ascoltando in questo periodo? Da cosa vi lasciate influenzare?
In questo periodo ci siamo soffermati ad ascoltare un bel po’ di Blue Oyster Cult e il perché lo capirete nei prossimi mesi. Di certo non mancano anche gli ascolti attuali per capire come sta andando il mondo della musica, siamo molto aperti alle nuove uscite per poter dare un giudizio fondato. Le nostre influenze rimangono comunque i grandi classici degli anni’70 in ogni sfumatura di questo brillante periodo del blues rock.

Come procedono i lavori per il nuovo disco? Cosa dobbiamo aspettarci?
Il nuovo disco è pronto e siamo in dirittura d’arrivo con la programmazione dell’uscita. Siamo davvero soddisfatti del grosso lavoro eseguito in tandem con la nostra produzione, sia dal punto di vista dell’audio che del prodotto finale che ne verrà. Sarà un disco interattivo, non solo da mettere su in un giradischi. Sarà interazione fisica e mentale in tutto e per tutto, una cosa inedita che non avevamo mai sperimentato prima! Speriamo vi piaccia! Un grosso abbraccio dalla Tufo Rock Army e ancora grazie per averci dedicato il vostro prezioso tempo!

LuZi – Fulminè

Scavando qualcosa di buono e atipico lo si trova sempre, basta non lasciarsi prendere dalla pigrizia o farsi condizionare dai consigli degli algoritmi di turno. Tanto scarna quanto ricca, la musica contenuta in “Fulminè” (Retro Vox Records), il nuovo EP di LuZi, potrebbe essere quello che state cercando se amate le commistioni più audaci tra i generi che, però, non tralasciano un certo attaccamento alle radici popolari.

Ciao LuZi, tra il disco d’esordio e il nuovo EP “Fulminè” è passato relativamente poco tempo. La nuova opera l’hai registrata durante il lockdown nella tua camera da letto, possiamo definirlo più un raptus creativo o una valvola di sfogo?
Ciao Giuseppe, i pezzi di “Fuminè” erano stati composti, in una versione più rudimentale, insieme ai brani del primo Lp del 2019. Non li avevo inclusi in quel disco perché sentivo che avevano una vibrazione diversa dagli altri, che necessitavano quindi di un lavoro a parte. Così la scorsa primavera sono tornato a lavorarci, terminandone gli arrangiamenti e registrandoli nella loro forma definitiva. Quindi possiamo dire che è stata una valvola di sfogo e non un raptus creativo. In quei giorni (ma anche in questi) mettere la testa da qualche parte è stato fondamentale per non perderla.

Quando ti sei reso conto che stava venendo fuori un lavoro pubblicabile e non semplicemente una manciata di brani?
Avevo in mente da subito di farne un Ep, anche se non sapevo ancora se utilizzare tutti e quattro i brani o se al contrario aggiungerne eventualmente altri. Ho valutato anche una proposta di split-album ricevuta da una band americana. A Natale poi ho avuto l’illuminazione: ho capito che “Fulminè” era già pronto così com’era. Quindi, di conseguenza, per l’Epifania è uscito.

Presenti un suono ricco di sfaccettature e variazioni, non temi che il ricorso a una produzione volutamente lo-fi possa far perdere all’ascoltatore la ricchezza della tua proposta?
L’approccio lo-fi è funzionale proprio a creare l’amalgama necessaria tra le varie influenze che si trovano nelle composizioni di LuZi. È un aspetto fondamentale del sound, che in primo luogo deve creare un atmosfera. Da questa atmosfera affiorano poi ritmiche e melodie.

Le note promozionali che accompagnano il disco parlano di una virata su atmosfere più post-metal\post-rock e trip hop, ti ritrovi in questa descrizione della tua nuova musica data dalla Retro Vox Records?
Si, credo sia ciò che è avvenuto. Proprio le atmosfere di cui parlavo prima sono diventate più “aperte”, grazie a melodie un po’ più “luminose” rispetto alla cupezza che contraddistingue il primo album. Anche le dissonanze – che caratterizzano buona parte del sound di LuZi – sono intese adesso più in senso drammatico che non orrorifico. La base ritmica poi ha preso tanto da un certo tipo di elettronica, anche se eseguita da una batteria vera. Ho provato a fare in modo che i brani fossero in qualche modo anche “ballabili”, cercando un punto d’incontro tra le ritmiche punk e l’attitudine dell’elettronica da ballo.

In passato ti sei interessato alle leggende popolari della zona tra Parma e Piacenza, per questo album hai scelto un approccio lirico più intimistico e autobiografico. Nonostante tutto, hai scelto di continuare a cantare nel tuo dialetto: credi che questo idioma riesca ad esprimere meglio la parte più profonda del tuo Io rispetto all’italiano?
Il rapporto col dialetto è un rapporto viscerale. Era la lingua dei miei nonni e affianca l’italiano per i miei genitori. Naturalmente la mia generazione parla l’italiano, ma quando esprimiamo un emozione forte e improvvisa, specialmente se negativa, ecco che esce il dialetto. Ha una forza profonda e ancestrale, liberatoria, anche se i più sembrano non notarlo e continuano ad accostarlo solo a barzellette o alle imprecazioni degli anziani, appunto.

Che origini ha il dialetto parmigiano?
Il dialetto Parmigiano è una lingua gallo-romanza ed è una delle varianti del dialetto Emiliano-Romagnolo, riconosciuto come lingua a parte rispetto all’Italiano e tutelato dall’Unesco. Anche se ha molte caratteristiche proprie, in soldoni ricorda il francese. D’altra parte il nostro territorio ha da sempre molte influenze d’oltralpe: erano qui i Galli poi colonizzati dai Romani; nel Settecento il Ducato è stato retto dai Borbone e in seguito Napoleone lo ha annesso direttamente alla Francia. Queste influenze culturali sono oggi ancora visibili e udibili: la maggior parte dei miei concittadini presenta infatti ancora oggi la tipica erre moscia.

Particolare la scelta della copertina, mi spiegheresti il significato dell’immagine?
Si tratta di una ricontestualizzazione semantica. È il monumento a Filippo Corridoni, martire della prima guerra mondiale, rappresentato nel momento in cui viene colpito a morte sul campo di battaglia. Il corpo ha una torsione in avanti del bacino, le braccia si allargano ai lati e le dita delle mani si raggrinzano terribilmente. La figura è come trafitta. Nella foto di copertina vediamo un sole che fa capolino tra le nuvole alle sue spalle, suggerendo quasi che sia proprio un suo raggio, o un fulmine da una nuvola, a trafiggerlo. “Fulminato” appunto, “Fulminè” in dialetto. Prescindendo quindi completamente dal significato originale, per me rappresenta in qualche modo il dolore “buono” attraverso cui si può giungere all’illuminazione, alla conoscenza, alla consapevolezza. È la rappresentazione visiva del concept di tutto l’Ep, in particolare del pezzo “Fulminè”.

Formalmente i LuZi sono una one-man band, ma nel disco compare al tuo fianco Kyoo Nam Rossi, questa scelta nasce dalla tua volontà di avere un vero batterista con te o dal non sentirti in grado di garantire dietro le pelli una performance di pari livello rispetto a quella avuta con gli altri strumenti?
Per la pre-produzione dei miei brani utilizzo campioni di batteria che mi preparo da solo modificando in modo certosino registrazioni (spesso amatoriali) trovate in rete qua e là. Non sarei in grado di eseguirle poi dietro le pelli. Kyoo Nam Rossi è un mio amico di vecchia data e si è reso disponibile alle registrazioni sia del disco d’esordio che di questo Ep. È un grande professionista che ha seguito innumerevoli produzioni e calcato i palcoscenici di tutta Europa con svariate band del sottobosco metal, nonché membro dei Forgotten Tomb. È stato un piacere lavorare con lui.

Pensi che un giorno porterai il tuo materiale dal vivo affidandoti a una vera band?
Nell’autunno del 2019 mi sono esibito un paio di volte dal vivo con una formazione a tre, grazie a Valentina e Filippo, una coppia di amici polistrumentisti di Perugia. Abbiamo aperto a Parma per i Ronin (in cui militano membri di Bologna Violenta, Gang e Ovo) e a Perugia al Secret Folk Fest, di cui abbiamo curato l’organizzazione. Quindi, quando la situazione generale lo permetterà, non è escluso che LuZi possa di nuovo prendere forma per esibizioni live.