Stilema – La concretezza dell’utopia

Laziali d’origine, irlandesi di elezione, gli Stilema, dopo aver editato nel 2017 l’EP “Ithaka”, sono tornati con il loro primo album nel 2020. “Utòpia” (Hellbones Records) presenta una compagine ancora più attratta dalle sonorità folk irlandesi, ma, nonostante questo, cuore e lingua restano orgogliosamente italiani.

Ciao Gianni, nel giro di qualche anno siete passati da Itaca, la casa per antonomasia, il luogo del ritorno al non luogo dell’utopia. Questa contrapposizione tra i titoli dei vostri due ultimi lavori – “Ithaka” del 2017 e “Utòpia” del 2020 – è causale oppure nasconde un cambio di filosofia all’ interno alla band?
Ciao Giuseppe, è stato casuale, poi ci abbiam giocato su, per unire dal punto di vista visivo i due mondi.  E’ casuale perché “Ithaka” è ispirata all’omonima poesia di Kavafis, da un’idea della nostra ex flautista Alessia Oliva, che mi fece leggere la poesia diversi anni prima dell’effettiva pubblicazione del disco, chiedendomi se riuscivo a farne una canzone. “Ithaka” parla del viaggio, dell’esperienza che cresce ad ogni angolo di mondo scoperto, fino al ritorno a casa, quell’Itaca che si identifica con la fine della vita. Quindi è un testo molto introspettivo oltre che celebrativo dell’opera originaria. “Utòpia” ha un’origine più sociale e politica, il testo punta il dito contro la società che pensa al popolo solo come capitale e non dal punto di vista umano, che si erge a giudice che esclude invece di includere. A tutto questo si contrappone la città di “Utòpia”, un non luogo ben scolpito nelle nostre menti. Seguendo l’idea dell’artista dei due artwork, Elena Bugliazzini, abbiamo pensato di legare i due lavori attraverso le copertine. “Ithaka” è parte del mondo greco, di un mondo greco di cui ha fatto parte Platone e la sua “Atlantide”, dall’utopia greca arriviamo a quella rinascimentale, alla “Nuova Atlantide” di Bacon ad esempio. Se unisci gli artwork dei due dischi vedrai che sono come due tessere di un puzzle, un unico grande disegno, il primo rappresenta il mondo greco con la sua architettura ed i suoi strumenti musicali, che si trasformano per continuità nel secondo, nell’architettura e nei strumenti musicali propri della società rinascimentale.

Al netto del discorso ideologico, quale credi che sia il segnale più evidente di crescita tra i due lavori?
“Ithaka” è stato un primo esperimento di diversi musicisti che ad un certo punto si sono incontrati, o meglio, nuovamente incontrati, visto che c’è stata una prima fase in cui la band era totalmente acustica, cantautoriale e molto Irish, per provare a fare qualcosa di nuovo. “Utòpia” è la naturale evoluzione, soprattutto il risultato di un lavoro come una band unita. A prescindere dall’autore di un brano, remiamo tutti nella stessa direzione, ed il fine è quello di essere liberi di cambiare continuamente prospettiva, pur rimanendo sempre riconoscibili. Ci autodefiniamo una folk metal band, ma la varietà è alla base di “Utòpia” e della nostra musica. In questo disco passiamo dall’epic/power al symphonic, dal folk metal più classico al gothic, con accenni al prog, e c’è una parte persino in blast beat, per finire con una canzone d’amore con piano, voce e violino. I nostri pezzi puntano sull’emotività, i testi pesano molto in questo senso, quindi è anche giusto che i brani si esprimano nei modi più disparati. Il fine è non avere confini musicali di sorta, questa è la più grande crescita.

Dal punta di vista tecnico, il cantare in italiano non vi crea problemi di metrica?
L’italiano è la nostra lingua madre, ciò rende tutto più facile. Sono anche molto abituato ad ascoltare cantanti italiani: De Andrè, Branduardi, Battiato, fino a Caparezza, quindi questo mi aiuta molto, più ascolti cose, più accresci la tua esperienza e sai gestire meglio le cose per le tue esigenze.

Restando sempre in tema, non avete paura che una musica di così ampio respiro come la vostra possa essere penalizzata oltreconfine dall’uso dell’idioma italiano?
Anni fa cantare metal in una lingua che non fosse l’inglese era forse un’eresia più grande rispetto ad oggi. Adesso direi che sia un semi problema. Dall’estero ci hanno effettivamente chiesto il tema dei nostri testi, ecco perché nei nostri due lyric video montati per “Il Volo Eterno” e “Tra Leggende E Realtà”, abbiamo aggiunto anche una traduzione inglese. Ma siamo in buona compagnia, molte folk metal band e non, cantano ormai in lingua madre. Pensa ai Korpiklaani, ai Mago De Oz, agli Arkona, o ai Rammstein. In ogni caso, non mettiamo alcun veto, abbiamo un paio di canzoni nuove anche in inglese, ma penso sempre che si debba conoscere bene una lingua, oltre che la pronuncia, la grammatica, ci si deve convivere quotidianamente per non rendere il tutto banale o anche peggio. Non so se hai mai sentito “Frutto Del Buio” dei Blind Guardian? Se uno di madre lingua inglese deve soffrire così ogni volta che ascolta un cantante non inglese, penso sia meglio cantare nel proprio idioma.   

Siete attratti della filosofia greca, amate il folk irlandese e cantate in italiano: facendo una sintesi cosa rappresenta per voi la musica e perché sentite la necessità diffonderla?
Siamo attratti da tutto ciò che può avere un significato in un determinato momento della nostra vita, che lo si trovi nella filosofia, nella poesia, nella politica, o in “Star Wars”. Penso che ognuno di noi abbia il suo miglior modo di esprimere i suoi pensieri. Per quel che mi riguarda, la musica è il modo per me più congeniale per comunicare con gli altri. Tutti abbiamo bisogno di un dare ed un avere dall’esterno, c’è chi lo fa parlando, chi scrive un libro, noi lo suoniamo. 

E’ passato un anno e più dalla pubblicazione di “Utòpia”, in questo lasso ti tempo la percezione di questo lavoro da parte vostra è cambiata? Oggi lo rifareste uguale?
Ovviamente tutto è infinitamente migliorabile, ma siamo abbastanza soddisfatti di “Utòpia”. In gran parte lo rifarei uguale. In questo lasso di tempo abbiamo giusto equilibrato meglio “Mondi Paralleli”, che nel cd ha un’intro davvero troppo lunga ed una parte folk troppo sacrificata.

Il disco è uscito nel pieno della pandemia, siete riusciti a proporre qualcosa dal vivo tra una chiusura e l’altra?
Purtroppo la fortuna non è stata dalla nostra parte. Siamo riusciti a fare una serata a fine estate al Traffic di Roma, ed è stata l’unica data che non abbiamo dovuto annullare. Ad oggi quindi non abbiamo ancora portato in giro il disco in un tour vero e proprio. Stiamo pensando, sperando ovviamente che si possa tornare al più presto a calcare i palchi veri, almeno ad un live in streaming. Per saperne di più vi invitiamo a seguire la nostra pagina ufficiale di facebook: www.facebook.com/stilemaofficial 

Qual è il vostro maggior rimpianto legato ad “Utòpia” e alla situazione in cui stiamo vivendo?
Ovviamente non aver ancora potuto portare in tour “Utòpia” è avvilente, anche perché il feedback della critica e dei ragazzi che lo hanno ascoltato è stata positiva oltre ogni aspettativa. Ma questo non è niente rispetto a questa pandemia che ha davvero distrutto il mondo come lo conoscevamo. Il Covid ci ha semplicemente sottolineato quanto tutto ciò che siamo come essere umani, tutto ciò su cui si basa la nostra esistenza quotidiana, sia terribilmente fragile e facilmente annientabile. Noi come musicisti non facciamo che ripetere il mantra di sperare di tornare a calcare i palchi al più presto, ma il nostro è semplicemente un frammento di ciò che tutti sperano per se stessi, tornare a vivere la propria vita.

Prossimi progetti?
Abbiamo già molto materiale nuovo su cui stiamo lavorando. Dovevamo pur sfruttare questo tempo in mancanza di live. Speriamo di riuscire ad avere anche qualche ospite speciale in qualche brano. Ma per ora non ti posso dire altro.