The Ossuary – Devils in the night sky

Venerdì, 23 dicembre, all’Extreme Academy di Bari si terrà il concerto degli The Ossuary, una delle realtà più importanti che la nostra città abbia partorito in ambito musicale prettamente metal. Gli Ossuary, giunti al loro terzo lavoro discografico, “Oltretomba”, ottengo sin dai loro esordi ottimi riscontri anche a livello internazionale, proponendo un personalissimo heavy occult rock, come loro stessi definiscono il loro sound. Abbiamo intervistato il loro batterista, Max Marzocca, già noto agli appassionati del genere, per la sua lunga militanza nella band altrettanto storica, i Natron.

Max, con gli Ossuary siete arrivati al terzo album, quali sono le differenze che avete trovato nel modo di concepire questo lavoro rispetto ai due precedenti?
Abbiamo diretto il nostro sound “doom and gloom” ulteriormente verso territori psichedelici ma il processo compositivo è rimasto sempre lo stesso. Per “Oltretomba” è cambiato il modo di registrare un album, stavolta abbiamo deciso di incidere tutti gli strumenti separatamente per avere un risultato più definito e per questo ci siamo presi più tempo rispetto ai due dischi precedenti.

Ci sono stati cambi di formazione recentemente?
All’inizio dell’estate del 2021 ci siamo separati da Dario e Domenico che hanno deciso di intraprendere altri percorsi personali e musicali. Alex era il nostro chitarrista session e video maker con cui collaboriamo sin dal 2017 ed ora è in pianta stabile da giugno 2021. Dal vivo abbiamo ripreso a suonare con un bassista session, dopodiché Francesco si è unito a noi ad agosto di quest’anno.

State portando il vostro tour in diverse città in tutta Italia, ci sono secondo te, delle città più “ricettive” dal punto di vista musicale o il pubblico metal o rock generalmente ha lo stesso tipo di impatto ovunque?
Il feedback verso la nostra musica in genere è sempre uguale, abbiamo un manipolo di follower un po’ dappertutto nelle principali città in Italia e all’estero, poi molto dipende dal lavoro di promozione delle serate. Se i promoter lavorano bene allora ci sono buone possibilità che la gente venga a vederci dal vivo. Ad ogni modo non vediamo l’ora di tornare ad esibirci nella nostra città dove non suoniamo dalla fine del 2019.

Tu suoni metal da tantissimi anni, nota la tua carriera con i Natron, è ancora difficile suonare questo genere in Italia?
Per quanto possa essere appetibile ad una fascia di pubblico più ampia rispetto a quella dei Natron, gli Ossuary sono comunque una band che suona un genere di nicchia. Questo significa che avremo sempre difficoltà qui in Italia dove l’interesse verso un certo tipo di sonorità è un fenomeno relegato all’ underground. Non abbiamo accesso ad un circuito che ci permetta di suonare in club più grossi o di ricevere supporto dalle strutture preposte al supporto della cultura e della musica. Così come per Natron, gli Ossuary sono degli outsider che hanno feedback maggiore fuori dai confini patrii, la nostra casa discografica è tedesca, il nostro distributore è internazionale e la maggior parte del pubblico che ci segue è in U.S.A e in Europa. La pandemia e la crisi economica hanno avuto un impatto pesante sull’economia e di conseguenza su tutto il settore dell’industria discografica e della musica dal vivo, quindi ovunque è diventato difficile portare in giro la propria musica. Noi comunque ci riteniamo sodisfatti di aver suonato nell’arco di circa un anno diciotto concerti in giro per l’Italia.

Che tipo di set ci aspetteremo il 23?
Sarà il nostro show speciale di fine anno! La setlist sarà la stessa che portiamo dal vivo da un po’ di tempo: tutto “Oltretomba” e un paio di brani per ognuno dei due dischi precedenti ma avremo come ospiti sul palco le Scarlet Mandrake, un trio di danzatrici di tribal fusion di Bari che per l’occasione allestiranno uno show teatrale in tema con le nostre sonorità e danzeranno durante il nostro live set. In più avremo l’onore di ospitare gli amici Grendel, la storica prima heavy metal band di Bari fondata verso la fine degli anni ’70”.

E proprio la voce dei baresi Grendel, Gennaro Verni, ci racconta:
La band nasce nel 1980, ma è nel 1981 che prende forma con Vito Milella alla chitarra, Oliviero Spinelli al basso, Gaetano Pierno alla batteria, sostituito da Onofrio Mantuano in seguito al suo abbandono per motivi di studio, e me alla voce. A cavallo tra il 1981-1982 i Grendel si sono esibititi in circoli culturali baresi e della provincia e proprio dopo in un’esibizione a Capurso, nel cinema cittadino, la band si sciolse e io con Vito Milella insieme ai fratelli Bruno di Castellaneta formiamo gli Hellbound band che ha partecipato all’Italian Massacre nel 1983, evento che viene considerato il come il primo festival metal italiano. La nuova formazione dei Grendel vede solo me alla voce della formazione originale, gli altri due purtroppo non sono più tra noi, e si completa con Angelo Errico alla batteria, Michele Langiulli (Mitch Allen) alla chitarra, Gino Gentile (Ataniel) al basso. Proprio grazie al lavoro incredibile di Langiulli che da una registrazione telefonica ritrovata su una cassetta dispersa è riuscito a rievocare i pezzi di quel repertorio inedito in pieno stile metal anni 80, e nel risuonare questo repertorio sembra quasi che si materializzino sia Oliviero che Vito. L’invito degli Ossuary ad aprire l’ultima data del loro incredibile tour finale del 2022 è una specie di magia e rende tutto eccezionale.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 21 DICEMBRE 2022

The Coventry – La città delle ambizioni soffocate

The Coventry è il nome di un trio barese di ragazzi giovanissimi che propongono musica elettronica, synth-pop con influenze darkwave. La band è composta da Mario Manfredi alla voce, Adriana Colella ai sintetizzatori e Valerio Rivieccio, chitarrista, polistrumentista. Hanno pubblicato da poco il loro terzo album in studio in formato CD, “City of Smothered Ambitions” per l’etichetta Swiss dark Nights. Il quarto, se consideriamo l’album “Unspoken” del 2020 che conteneva brani che non avevano trovato posto nei primi due, “The Art of Survival” del 2018 e “Deep Detachment” uscito l’anno successivo. Sabato 17 dicembre suoneranno presso il locale Cabaret Voltaire 1916, in Via Volta a Bari, abbiamo intervistato due terzi della band.

Mario, raccontaci in breve la storia della band e perché avete scelto il nome Coventry e quali sono le sonorità che hanno ispirato questo progetto.
Mario: Come da tradizione la band è nata per puro caso, io e Giammarco (chitarrista dal 2017 al 2018) suonavamo insieme in un progetto ancora in fase di sviluppo chiamato Reasonance, che aveva sonorità ispirate al post punk di gruppi come The Birthday Party e Joy Division, mentre Valerio e Adriana formavano un duo industriale con sonorità vicine a quelle di Skinny Puppy, Front Line Assemby e Front 242, dal nome Terminal Front. Il nome The Coventry deriva dalla HMS Coventry, un cacciatorpediniere della Royal Navy che affondò durante la guerra nelle Falkland e che abbiamo scelto di utilizzare come simbolo dell’inutilità della guerra e tutte le sue conseguenze peggiori. Le nostre influenze musicali sono molte e tutte diverse; io ho un background letterario e le principali fonti di ispirazione sono Morrissey, Daniel Ash e Nick Cave. Adriana, che si occupa delle grafiche della band riferite a varie correnti artistiche, dalla Bauhaus al futurismo, si ispira a gruppi come The Cure, Depeche Mode e la new wave degli anni ’80 per i suoi sintetizzatori. Il lavoro di Valerio invece è più tecnico e pratico, infatti oltre al suo ruolo come polistrumentista si occupa della produzione musicale. Le sue influenze sono principalmente Skinny Puppy, Nine Inch Nails ma anche artisti come Simple Minds e Duran Duran.

Siete arrivati al vostro terzo lavoro discografico, “City of Smothered Ambitions” . Che significato ha questo titolo, vi sentite soffocati nella città in cui vivete? È una città che offre opportunità?
Mario: È una città che offre pochissime opportunità e tutte richiedenti compromessi di vario tipo. Il titolo infatti è venuto fuori proprio mentre stavamo discutendo su questo, sul fatto che in questo settore, e qui in particolare, c’è molta arroganza, molta brutalità e soprattutto molta “discriminazione” per così dire. E come si legge nella sinossi del disco, viviamo in un mondo dove il bene degli altri non significa niente; l’unica cosa importante è il potere, e quando il potere e l’egoismo dominano, l’unica cosa che puoi fare è cercare la libertà nella “Città delle Ambizioni Soffocate”.
Valerio: Il concetto di città si estende ad ogni contesto sociale, e in un’era in cui la sovraesposizione di un singolo concetto domina l’interesse, è praticamente impossibile creare altri punti di vista, come nella musica così nella vita, ed è per questo che si sta assottigliando anche il confine tra il libero pensiero ed il senso comune.

Quanto gli ultimi due anni di stop a livello musicale hanno influito sui progetti della band e quali sono i futuri?Mario: Questi due anni sono stati difficilissimi per noi, nonostante non ci fermassimo mai perché abbiamo sempre continuato a lavorare al nuovo disco ci sono stati molti momenti bui, anche a livello personale e familiare per ognuno di noi che ci hanno portato sul baratro più volte, ma ne siamo venuti fuori e ora l’unico progetto per il futuro è suonare live il più possibile e soprattutto fuori Italia.
Valerio: Questo disco è stato pensato in più anni e ricostruito più volte perché sono accadute tante cose, abbiamo visto il mondo cambiare e assieme ad esso anche i nostri punti di vista, che da sempre sono l’elemento centrale dei nostri brani. Infatti se il nome è quello che è, è in funzione della disperazione che aleggia nell’indifferenza altrui.

Che tipo di concerto porterete sabato al Cabaret Voltaire?
Daremo sicuramente molto spazio al nuovo disco, ma suoneremo brani da tutto il nostro repertorio, ci saranno anche delle sperimentazioni a livello di formazione, porteremo nuovi strumenti e cercheremo di offrire qualcosa di nuovo sia a chi ci vedrà per la prima volta, sia a chi ci conosce già.

Qualcuno della band ha progetti paralleli al progetto Coventry, se sì, quali?
Valerio: Kurs, è il mio progetto solista che si differenzia da The Coventry in quanto più legato a sonorità elettroniche industrial al quale si affiancano altri settori artistici come graphic design e racconto: infatti il nostro discografico, Valerio Lovecchio, scrive delle vere proprie graphic novel e costruisce i testi, io mi occupo di tutto ciò che riguarda la musica e disegnatori (fumettisti, graphic designers …) e di tutto ciò che riguarda l’aspetto grafico. Nella realizzazione di “Muter”, il titolo dell’album del progetto Kurs, ci siamo avvalsi anche di grandi nomi come quello di Daniele Serra. Mi piacerebbe portare live questo progetto ma è estremamente difficile sia trovare musicisti che siano in grado di gestire questa musica in contesto live che rispettare layer su layer vocali e sonori senza dare l’impressione di trovarsi nel bel mezzo di un karaoke dell’orrore”.

Il vostro nuovo lavoro dove è possibile acquistarlo?
Tramite la band stessa, basta contattarci, nel catalogo Bandcamp della nostra label Swiss Dark Nights dove è disponibile anche tutto il resto della nostra discografia, e a breve anche da Wanted Record a Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 15 DICEMBRE 2022

Voivod – Synchro anarchy

Grande attesa per venerdì 9 dicembre al Demodè Club di Bari, arrivano i canadesi Voivod, band seminale nel mondo del thrash metal sperimentale, con una carriera ormai quarantennale, iniziata ufficialmente nel 1984 con l’album “War and pain”, pubblicando successivamente una serie di dischi fondamentali per il genere tra cui “Dimension Hatröss” e “Nothingface”, rispettivamente del 1988 e del 1989. Nel 2022 pubblicano il loro quindicesimo album in studio “Synchro Anarchy” e da poco hanno dato alle stampe un EP dedicato alla serie televisiva giapponese “Ultraman”. Sul palco del Demodè venerdì a partire dalle ore 21 in attesa del grande show dei Voivod avremo sul palco due tra le band più note del panorama metal nostrano, i Dewfall e i Cruentus.

I primi sono pronti a festeggiare i vent’anni di carriera il prossimo anno, Flavio Paterno, chitarrista della band, ci dice orgoglioso:
I Dewfall nel 2023 si apprestano a celebrare la seconda decade di militanza nel vasto panorama del metal e se mi avessero chiesto nel lontano 2003 se ancora oggi avrei visto la band tenere banco in un orizzonte temporale così lungo, senza indugi avrei risposto di sì, perché come tutti siamo partiti con la voglia e il sogno di suonare la nostra musica preferita su di un palco. Oggi siamo il risultato di quello che siamo riusciti a sognare insieme nonostante sia rimasto l’unico della band originale. Abbiamo esordito nel 2003 con l’EP “Legacy of Souls” con Valerio Lorè al basso e Giuseppe Carnimeo alla chitarra, per poi firmare il primo full lenght “V.I.T.R.I.O.L.” nel 2009. Oggi la band è il risultato di un’evoluzione naturale di un progetto musicale che si è nutrito dei vari interpreti che si sono avvicendati nel tempo, fino all’arrivo nel 2011 di Vittorio Bilanzuolo alla voce, Niko Lucarelli alla chitarra, Saverio Fiore al basso e Ambrogio Locardo alla batteria. Nel 2013 abbiamo pubblicato un altro EP “Painful Death Lake” e nel 2018 il secondo album “Hermeticus”, un personale tributo simbolico al mito occulto ed esoterico di Federico II di Hohenstaufen, Puer Apuliae per antonomasia. Sarà proprio questo lavoro il protagonista del live-set che proporremo venerdì allo show di supporto ai Voivod, dove confermeremo la line-up che vede Nico Lassandro affiancarmi, ormai da un po’, alle sei corde e con la quale stiamo ultimando un fine tuning sul nuovo disco, un “codex” che sta emergendo ancora più oscuro negli intenti e nelle sonorità con un songwriting veloce, minimalista e progressivo al tempo stesso le cui tematiche attingono da raccolte di leggende, romanzi e trattati su luoghi, personaggi ed epoche narranti la tradizione storico-culturale della nostra terra.

A seguire i Cruentus, band ancora più longeva, Antonello Maggi ci racconta in breve la storia della sua band:
Attivi dal 1989, i Cruentus sono sempre rimasti fedeli alla vecchia scuola thrash-death metal, ma sapientemente mescolata con le più disparate influenze, dall’hardcore-punk al prog rock di matrice ’70, e rivisitata con sperimentazioni e strumenti non convenzionali per il genere (tastiere, sintetizzatori, percussioni, fiati, etc.). Nel 1996 arriva il debutto discografico con “In Myself”, per molti divenuto un cult e ancora distribuito in tutto il mondo attraverso canali web. Per il trentennale, nel 2019 abbiamo pubblicato l’album “Fake”, che ottiene un buon riscontro di critica e pubblico, da cui è tratto il primo singolo “Everspace”. Come band prediligiamo la dimensione live, che ci ha portato a calcare e condividere centinaia di palchi in Italia e all’estero con nomi prestigiosi del panorama metal mondiale (Coroner, Entombed, Arch Enemy, Flotsam & Jetsam, Destruction, Necrodeath, Sadist, Dew Scented, etc.), e l’apertura per i Voivod, band ispiratrice per i Cruentus, è la migliore occasione per testare questa nostra attitudine. In cantiere abbiamo un nuovo album dalle coordinate ‘cruente’, la cui uscita verrà annunciata nel 2023.

Alle 22.50, dopo l’esibizione delle due band baresi, è prevista quella dei Voivod, per l’ultima delle loro quattro date italiane, in attesa del concerto abbiamo intervistato il loro chitarrista, Daniel Mongrain, meglio conosciuto come Chewy.

Come è cambiata la scena metal negli ultimi vent’anni?
La scena metal è in continua esplosione. Si sono creati tanti sottogeneri che sono diventati come il jazz con tutte le loro diverse estetiche, epoche e attitudini. E non sembra affatto rallentare, per cui lo trovo molto stimolante.

Come è stato ritornare a suonare dopo due anni di chiusura e cosa ne pensi delle restrizioni che abbiamo dovuto vivere nel mondo e nel vostro paese?
Siamo molto felici di essere tornati sui palcoscenici, di certo non sapevamo quando e come sarebbe andata a finire, le restrizioni sono state qualcosa a cui ci siamo dovuti adattare, ma ci siamo mantenuti attivi in maniera differente, realizzando spettacoli in streaming, scrivendo musica. Ci siamo tenuti occupati e l’abbiamo presa come una sfida creativa, abbiamo imparato a lavorare insieme a distanza e a utilizzare la tecnologia come un ottimo strumento per creare. Probabilmente viviamo nella migliore era della comunicazione per poter far sì che funzionasse anche durante una pandemia, l’umanità non aveva un lusso tale nel 19° secolo. Ti adatti e trovi la tua strada, altrimenti impazzisci.

Avete mai pensato a dei tour commemorativi di alcuni vostri album classici?
In realtà lo abbiamo fatto durante la pandemia, abbiamo suonato tre spettacoli chiamati “The Hypercube Sessions”, il primo incentrato sulla nostra setlist del 2019. Gli altri due, rispettivamente, una sera abbiamo suonato per intero “Dimension Hatröss” e la successiva “Nothingface”. Rivisitare questi album è stato davvero divertente. Per me personalmente fanno parte dei miei album preferiti di tutti i tempi, se consideri che quando uscirono ero un giovane fan adolescente non ancora nella band. Un sogno che si è avverato. Probabilmente faremo di più in futuro, portarli in tour sarebbe fantastico.

Nel panorama musicale metal i Voivod sono una band dal sound unico, il tempo vi ha dato ragione, qual è secondo voi la ragione della longevità della band e di una seconda giovinezza?
Perseveranza, creatività, lavoro di squadra, il desiderio di superare noi stessi ad ogni album, il bello di organizzare i tour, incontrare i fan in tutto il mondo, fare amicizia e divertirsi nel farlo!

Il vostro ultimo lavoro, “Synchro Anarchy”, ha un suono più pulito e meno distorto, differente dal sound dei primi Voivod. Avrete lo stesso suono anche sul palco?
In verità gli accordi sono così densi e le dissonanze sono ovunque, la distorsione rende tutto troppo sfocato quando ce n’è troppa. Una minor distorsione rende gli accordi con un suono migliore e ne puoi apprezzare maggiormente l’armonia e la dissonanza, perché la dissonanza crea distorsione in modo naturale. Inoltre una distorsione minore fa sì che il basso sia più chiaro e pulito nel mix. Suona più ampio ed efficiente. Lo studio e il palco sono due cose diverse, perché suoniamo canzoni di album differenti, ci assicuriamo che la band suoni bene insieme e che usiamo gli effetti appropriati. Il giusto mix è suonare bene insieme, compatti.

Come è nata l’idea di dedicare un EP alla serie TV Ultraman? Possiamo aspettarci qualcosa di simile in futuro?
Quando eravamo adolescenti, c’era una serie TV che era differente da qualsiasi cosa avessimo mai visto prima. Veniva dal Giappone, ma era tradotta in francese, dato che siamo franco-canadesi. Siamo rimasti tutti stupefatti dal personaggio e dalle storie. Era super fantascientifico, Ultraman era diverso dagli altri supereroi che conoscevamo. Conoscevamo la musica della colonna sonora, e durante la pandemia, molto prima di scrivere i brani per “Synchro Anarchy”, in studio ho giocato un po’ con la canzone, ho fatto un arrangiamento, usando anche una canzone della scena di battaglia chiamata “Victory”, dello stesso compositore. Ho composto così un medley in tre parti diverse. La versione giapponese ha tre versi differenti, ma la versione inglese o francese avevano un solo verso. Quindi aveva senso fare una versione in tre lingue e una interamente in giapponese. Ho cantato i versi giapponesi perché l’ho imparato un po’, ho così capito i testi e permesso di pronunciarli correttamente. Snake era terrorizzato alla sola idea di imparare tutto questo, per cui mi ha lasciato cantare la parte giapponese, e per me è stato davvero molto divertente. Siamo cresciuti con la versione francese, ma sapevamo dell’esistenza della versione in inglese, per questo motivo abbiamo realizzato una versione in tre lingue. Inoltre è disponibile anche una “instrumental mix version”’ “oltre all’intera versione in giapponese.

Avete attraversato tanti generi rimanendo sempre “Voivod”, quanto è cambiato il vostro modo di concepire la musica e la composizione?
Che io sappia, a parte “Synchro Anarchy”, dove non abbiamo potuto suonare insieme a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, generalmente improvvisiamo insieme registrando le jam. Filtrando le parti buone creando una struttura e un’atmosfera solida. Penso che sia stato sempre così nei Voivod nel corso degli anni. E coinvolge subito tutti nel processo”.

Quello di sabato è il vostro primo concerto al Sud Italia, cosa ci aspetteremo quella sera sul palco?
Siamo molto entusiasti di venire nel Sud Italia, suoneremo brani di diversi album, di epoche diverse della band, alcune della vecchia scuola, altre più recenti, ognuno avrà la sua preferita.

Quali band attuali vi piacciono? Che tipo di musica ascoltano i Voivod oggi?
Ascoltiamo diversi tipi di musica sul tourbus, dal prog anni 70 come Tempest e Allan Holdsworth, ma anche P.I.L., Frank Zappa, Journey, Beatles, alcune cose jazz come Pastorius, o cose completamente differenti. Away ha sempre il suo Ipod. Recentemente abbiamo ascoltato il nuovo lavoro di Ozzy Osbounre, con chitarristi come Clapton e Jeff Beck. Anche la musica dei Cardiacs mi piace molto.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA IN VERSIONE RIDOTTA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 7 DICEMBRE 2022

Manuel Agnelli – Ama il prossimo tuo come te stesso

Manuel Agnelli, storico leader degli Afterhours, ha pubblicato circa due mesi fa, il suo primo lavoro da solista, “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Un album che sta riscuotendo molto successo in tutta Italia e che stasera 03 dicembre 2022, proprio da Bari, al Demodè Club di Modugno, inizia la sua promozione dal vivo. Abbiamo raggiunto Manuel al telefono.

Manuel, complimenti per questo tuo nuovo album, molto bello, parte con un brano altrettanto bello, “Tra mille anni mille anni fa”. Parlaci del disco, di questo brano, dei testi…
Ho cercato con quest’album di recuperare il pianoforte e con questo brano in particolare. Il pianoforte è lo strumento che suono bene perché l’ho studiato, mentre con la chitarra mi sono sempre ‘arrabattato’ a suonarla, anche se con la chitarra alla fine faccio quello che mi interessa fare realmente. Il disco ha due o tre facce musicali differenti, da un lato c’è la parte più rock n’roll, un po’ avanguardistica, come nel brano “Proci”, ad esempio, e dall’altro c’è la parte più classica, quasi antica. Il brano da te citato è un brano quasi rinascimentale come melodia. Durante il periodo del lockdown sono rimasto come tutti isolato in casa e mi son messo a suonare senza progettualità, per cui mi venivano fuori delle cose molto diverse una dall’altra, non necessariamente coerenti, però per me musicalmente erano belle, quando le ho riascoltate tutte insieme ho pensato che volevo lasciarle così. Dopo trent’anni di percorso di alcuni dischi fatti con un certo tipo di carattere, è una libertà che mi sono preso e ho lasciato questa parte più antica, classica, perché è una parte di me, della mia creatività.

Nei testi e nel disco in generale, sembri più ispirato che mai…
Sicuramente ho scritto e suonato per passione e divertimento. Non avendo un progetto specifico e nessuna scadenza mi sono messo a scrivere come un ragazzino con la gioia di poterlo fare senza dover avere nessun tipo di risultato e forse per questo l’ispirazione è così sincera ed istintiva e si sente così tanto. Non ho cercato sovrastrutture, né cercato di dare al disco una chiave di lettura forzata, sono stato particolarmente attento a mantenere e conservare l’istinto iniziale di quando ho iniziato a comporre per questo disco a cui tenevo molto.

Al di là, o a partire dal titolo, è un disco pieno di amore, concordi?
Non c’è sicuramente la vergogna di parlare di amore e lo faccio senza dover necessariamente trovare delle frasi intelligenti o parafrasi per mascherare la parola stessa amore. Avevo delle urgenze, per delle cose che mi sono capitate in questi anni, e ho voluto scrivere a cuore aperto.

Hai suonato tutti o quasi gli strumenti del disco, vero?
Sì, il 90% . Gli arrangiamenti di archi sono a cura di Rodrigo D’Erasmo in quattro pezzi. Metà delle batterie, quelle doppie, sono suonate una da me e una da DD dei Little Pieces of Marmelade. Poi nell’album ci sono brani che erano stati pubblicati precedentemente, come “La profondità degli abissi”, incluso nella colonna sonora del film “Diabolik”, lì la batteria la suona Fabio Rondanini e Rodrigo suona il synth.

Il tour parte stasera proprio da Bari, che tipo di spettacolo dobbiamo aspettarci rispetto a quelli con gli Afterhours, più intimista?
Al contrario. Questo tour segue quello estivo con cui ho suonato con i due ragazzi dei Little Pieces of Marmelade, duo che avevo a X Factor tre anni fa. Loro vengono dall’hardcore e da un certo tipo di stoner per cui sono molto aggressivi come sound. Inoltre ci sarà il bassista dei Negrita Giacomo Rossetti e la polistrumentista e cantante Beatrice Antolini che suona principalmente le tastiere ma non solo, anche le percussioni e le doppie batterie. Il concerto riprende anche alcuni pezzi che non facevamo più con gli Afterhours e suonano ancora più violenti nel senso che con gli Afterhours alcune cose erano diventate quasi di “repertorio”, pezzi come “Lasciami leccare l’adrenalina”, “Veleno” e “Dea”, erano pezzi che, nonostante i musicisti degli Afterhours siano dei bravissimi musicisti, non venendo da sonorità così dure come l’hardcore, questi pezzi, risuonati oggi con questa formazione attuale hanno riacquistato una vita pazzesca. Nel concerto quindi ci saranno le due anime del disco, quindi la parte più spinta, più avanguardista e quella più classica e delle ballate, arricchito il tutto da alcuni pezzi degli Afterhours. Un concerto che durerà un paio d’ore.

Hai ricevuto recentemente un riconoscimento prestigioso, quello di Dottorato in Editoria e Produzione Musicale, ce ne parli?
Sì, è stato un grande onore. L’ho accettato perché il terreno per il quale me lo hanno conferito è il mio. Se mi avessero dato un premio simile in filosofia, nonostante sia un appassionato, non ritenendomi di certo un dottore non avrei avuto il coraggio di accettarlo. Invece in editoria musicale ho 30/35 anni di scuola, per cui anche presuntuosamente potrei dire di essere all’altezza di questo riconoscimento. Il bello è stato vedere riconoscere una professionalità ai musicisti, a cui si nega sempre il fatto che sia un vero lavoro, siamo considerati degli “intrattenitori”, non è così, sappiamo quanto è difficile, quanta gente ci lavora in questo settore ed è un mestiere come tutti gli altri imprenditoriali, molto rischioso e molto difficile e va ugualmente rispettato e valorizzato.

Tanti anni di carriera sui palchi, la TV, adesso un programma su Radio 24, quali sono le differenze tra questi due canali così importanti?
Rispetto alla TV lavorare in radio è più leggero, non dico più facile, ma non dovendo apparire, tranne per chi fa radio con dirette video, può sembrare più semplice. Magari è più difficile arrivare alla gente, perché in TV ci sono le smorfie e la fotografia che ti aiutano a trasmettere un messaggio o un emozione, però hai meno cose su cui doverti impegnare e l’immagine è una di queste. Nel mio caso faccio radio pura, senza immagine, tranne quella per promuovere sui social, solo voce, suono anche, l’ho già fatto con diversi ospiti come Brunori Sas, Motta, Vasco Brondi e un po’ da solo anche, così come avevo fatto con la trasmissione “Ossigeno” su Rai 3. Mi piace raccontare aneddoti legati all’attualità e la mia idea di musica.

Nel disco parli della città di Milano, una città che ha dato moltissimo al rock italiano, c’è anche un libro di Elisa Russo, “Uomini” (Odoya Ed.), che è incentrato principalmente sulla band dei Ritmo Tribale, ma parla della Milano che ha prodotto molto a livello musicale…
E’ vero, perché è, o era una città industriale, sicuramente questo contraddistingue le produzioni con un sound più duro, prendi ad esempio città come Detroit o Sheffield, quando la città offre poco svago a livello di atmosfera, chissà come mai le sonorità suonano più dure e aggressive. La Milano degli anni 80/90 in effetti ha avuto una scena hardcore / punk notevole, che ha condizionato un po’ tutta la scena italiana di quegli anni, però allo stesso tempo è difficile che a Milano nascano delle cose, generalmente nascono in provincia e si realizzano a Milano, un po’ come succede anche a Londra, spesso non ce ne rendiamo conto, nelle grandi città ci sono le strutture, i soldi, i luoghi, ma spesso la creatività arriva dalla provincia.

Hai in cantiere un progetto in cui sei coinvolto con “tema Bowie”…
Sarò il protagonista di “Lazarus”, il musical che David Bowie ha scritto prima di lasciarci insieme a Enda Walsh, uno sceneggiatore di primo livello. Questa è l’edizione italiana e devo ammettere che sono particolarmente orgoglioso di questo, Walter Malosti, il produttore di questo spettacolo, mi ha scelto perché Bowie aveva dato delle indicazioni precise sulla scelta dei protagonisti, ossia quelli con una forte personalità sia musicale che personale, Bowie per me è sempre stato un punto di riferimento, mi è piaciuto come artista in tutte le sue epoche, per cui credo di poter entrarci nella parte molto bene, e inoltre mi piace il fatto che non sia uno spettacolo revival, come può essere un “Rocky Horror Picture Show” o un “Jesus Christ Superstar” ma uno spettacolo contemporaneo, scritto oggi per oggi.

Che ne pensi del ritorno del supporto vinile e di come si usufruisce la musica oggi, non sono troppi i “sistemi” di diffusione della stessa?
Per me basta che si ascolti. Il problema è se sparisse tutto, nel senso che ho visto periodi peggiori per quanto riguarda la produzione musicale. Negli anni 80 quando non avevamo Internet bisognava cercare i dischi nei negozi ed era molto difficile riuscire a capire cosa accadeva musicalmente, e si faceva probabilmente in maniera forse approssimativa ma certamente con grandissima passione. Adesso abbiamo vantaggi e svantaggi. Dobbiamo imparare ad utilizzare i mezzi che abbiamo a disposizione, cosa che non abbiamo fatto ancora. Internet sì, ci aveva promesso una sorta di democrazia orizzontale, non solo a livello musicale, ma anche sociale, poi questa promessa non è stata mantenuta per niente, perché è vero che c’è troppa roba in giro, il fatto che tutti possano produrre qualcosa ha fatto sì che tutti producono qualcosa, senza filtri, Quindi gli spazi che abbiamo disponibili sono saturi e occupati da gente che in altri tempi lì non ci sarebbe stata. Tutto questo non fa bene alla musica, si, sembrava una grande opportunità all’anizio, ma quante band realmente sono uscite da sole dal web, a parte gli Arctic Monkeys? Non arriviamo a contarne neanche dieci di band.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 3 DICEMBRE 2022

Edda – O capitano! Mio capitano!

Nuovo album solista per Stefano Rampoldi, meglio conosciuto come Edda. Ex-cantante dei Ritmo Tribale, storica band tra le più rappresentative per quel che riguarda il rock italiano fine 80, inizio 90. Giunge al suo sesto lavoro solista, settimo se si considera la collaborazione di due anni fa con Gianni Maroccolo, “Noio; volevam suonar.”, album registrato a distanza durante il lockdown del 2020. Ed è proprio sotto la produzione dello stesso Maroccolo che nasce questo “Illusion”, disco che sta riscuotendo molto successo. Per saperne di più ne abbiamo parlato direttamente con il cantautore milanese.

Edda, ascoltando i tuoi album, ad esempio “Graziosa utopia”, “Fru fru”, per nominare i più recenti, viene da chiedersi, come fai a fare un disco così differente ogni volta?
Premetto che non è una cosa ricercata, la “colpa” è dei produttori e degli arrangiatori. I dischi che hai citato sono però il frutto di lavoro di un team simile, cioè Luca Bossi, Fabio Capalbo. Non saprei onestamente. Non è proprio un bene sempre eh…. con “Fru Fru” mi son spostato in campi molto lontani dai miei…A volte va bene, a volte meno, è che non è facile mettere a fuoco le mie canzoni, a volte io più che servire ai produttori sono per loro un disservizio, perché do a loro delle direzioni un po’ sbagliate. Io in definitiva non partecipo, porto la canzone, voce e chitarra, poi esco dallo studio e torno quando la canzone è fatta, completata.

Un po’ come succedeva già con i Ritmo Tribale…
Sì, in parte sì. Portavo le mie canzoni e loro le rivestivano, vero, sì.

E’ un pregio fare un disco differente ogni volta, anche se a volte non si è compresi da tutti.
A volte il tutto viene spontaneamente che non te ne accorgi neanche, il fatto dell’arrangiamento è veramente difficile per uno come me che le canzoni non le sa arrangiare. Faccio fare il lavoro agli altri.

Come son andati i primi concerti a Roma e Bologna la scorsa settimana?
Bene. Lo scorso tour forse non partì con il piede giusto, successivamente ebbe uno stop un po’ brusco, invece qui sembra che abbiamo iniziato abbastanza bene, ai concerti c’era parecchia gente, siamo soddisfatti di questo buon inizio.

Di spalla ha suonato Umberto Maria Giardini, da tanti conosciuto meglio come Moltheni, avete suonato qualcosa insieme dato la vostra collaborazione alcuni anni fa?
No, insieme no. Mi ammazza con la sua voce. Però lui ha fatto un concerto pazzesco, ha cantato benissimo, voce e chitarra. Davvero con lui ti rendi conto ti cosa significa quando hai davanti un artista che sa sia cantare che suonare, poi ha anche le canzoni belle, è il non plus ultra. E’ talmente bravo che potresti andare ad un suo concerto, non conoscere neanche una canzone, ma ne rimani totalmente affascinato. Lo stimo tantissimo, è molto bravo.

Lui è molto bravo sì. Ma adesso non buttarti troppo giù.
Ma sai, con il gruppo son bravo anche io, ma voce e chitarra lui è pazzesco.

Indubbiamente, ma anche i tuoi live voce e chitarra erano dei bei pugni nello stomaco, nel senso molto molto intensi..
(non lo sento tanto convinto ma…)

C’è un brano o una cover che ti piacerebbe suonare un giorno?
A me piace tantissimo la musica, credo di aver iniziato a cantare proprio perché affascinato dalla musica degli altri, poi io magari non so fare neanche le mie di canzoni, ma degli altri ce ne sarebbero migliaia da fare. Io sarei un crooner perfetto per le crociere, passerei da brani dei Ricchi e Poveri a brani tipo “Ti amo” di Umberto Tozzi fino a dischi come quello degli Area “Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano…” che contengono un paio di canzoni molto belle. Già il panorama italiano è vastissimo, se sapessi cantare poi in inglese sarebbero infinite, ci sono talmente tanti gioielli musicali in giro.

Magari fai un tour con tutti questi pezzi un giorno.
Magari, sarebbe bellissimo.

Ci sono momenti in cui vedi tutto nero… cosa ti fa andare avanti in quel momento?
La vita non è uno scherzo, non è uno spot della pubblicità, sembra banale ma è così. Io non so dare un consiglio, perché potrei sembrare il perfetto esempio di fallito. Non puoi pensare che la vita è bella e diventa bella, la vita è anche abbastanza brutta, ma bisogna lottare, è come se ti mettessero in prigione e a un certo punto la pena finisce, non perché muori eh… non voglio essere troppo pessimista. Il mio modo di salvarmi è spiritualizzarmi, per me è molto importante credere nel “mio Dio”, che è Krishna. Ho i miei libri, adesso son dieci anni che ho ripreso a spiritualizzare la mia vita e questo mi fa andare avanti, mi fa respirare, ma questo vale per me, per gli altri non posso parlare.

Il titolo “Illusion” cosa è esattamente?
“Illusion” è una parola che deriva dal fatto che i sogni che facciamo la notte son convinto che sono sogni che facciamo ad occhi chiusi poi la mattina quando ci svegliamo facciamo un altro sogno ma ad occhi aperti, ma la realtà non la vediamo. Come se guardassimo un film, ti sembra tutto reale ma in effetti è solo della luce proiettata su un muro, e questo è il senso di “Illusion”, è una mia visione della vita in cui credo abbastanza e vado sempre più in quella direzione. Anche se poi nella canzoni non parlo prettamente di questo.

Parlaci del retrocopertina del disco.
L’idea è di chi ha ideato la copertina, a essere onesto non sapevo neanche che mio padre ci andasse a finire lì. Il senso di quella foto è il fatto che tra me e mio padre non c’è mai stato un rapporto di gioco e prima che sia troppo tardi è giusto giocare adesso. Mio padre nella foto assume una posizione equivoca, ma in verità non è altro che un papà che gioca con il proprio figlio a cavalluccio e quindi una cosa molto innocente. Abbiamo colmato una lacuna. Avevo in precedenza fatto una copertina con tutta la mia famiglia ma non c’era mio padre perché era lui che fotografava, ed era giusto inserirlo in questo. Ma in realtà non è stata una cosa voluta, io non lo sapevo neanche finisse in copertina questa foto.

Comfy Pigs – Maiali annoiati

Sabato 28 maggio presso la Club House degli Indian Bikers di Matera si esibiranno i Comfy Pigs, band che propone delle sonorità che vanno dal post punk, noise pop al garage punk. Per l’occasione abbiamo intervistato Ivan Piepoli, cantante e chitarrista della band e il batterista Vanni Sardiello.

Avete pubblicato un paio di anni fa un 45 giri, state progettando un album intero?
Ivan: Abbiamo pubblicato il nostro singolo d’esordio, “Bored” sul finire del 2019, poco prima dei fatti noti legati alla pandemia, purtroppo le copie fisiche del disco riuscimmo ad averle solo dopo il primo lockdown, nell’estate del 2020. Questo ovviamente ha inciso negativamente sulla promozione dello stesso. Oggi, che la situazione sembra migliorata, abbiamo iniziato a registrare le tracce del nostro primo album. Attualmente abbiamo approntato tutta la parte strumentale dell’intero repertorio, successivamente ci dedicheremo alla registrazione delle voci e al missaggio. Parallelamente ci stiamo guardando attorno per riuscire a trovare un contatto con qualche etichetta discografica che ci aiuti nella pubblicazione e distribuzione del nostro lavoro.
Vanni: Sì, abbiamo registrato 17 brani scritti in questi tre anni di attività, brani dalle molteplici influenze ma che comunque si spera abbiano il nostro marchio di fabbrica. Siamo in continua evoluzione sonora, immagino che si possano sentire delle notevoli di differenza a livello di scrittura e di arrangiamento tra le nostre prime cose e le ultime scritte. Al momento mancano solo da registrare le parti vocali, non abbiamo ancora idea di quando potrà uscire su vinile, e di sicuro faremo una cernita di tutto il registrato, per tornare a fare i dischi come si faceva una volta, 45 minuti massimo, in modo tale da poterlo duplicare agevolmente su una audiocassetta da 45 minuti, del resto siamo o no figli degli anni 80/90?

Ci sono voci di cambiamento/ampliamento line-up? Qualche anticipazione?
Ivan: Sì, dopo 3 anni di attività ho deciso di allargare l’organico della band ad un quarto elemento che mi sostituisca addirittura nel ruolo di cantante e chitarrista, in modo tale da potermi dedicare prevalentemente alla parte compositiva e strumentale, suonando sia la chitarra che il synth, una delle novità assolute per i Comfy Pigs, e che stravolga prepotentemente l’impatto scenico della band durante i live, ed il sound generale del nostro progetto musicale. Gli altri della band hanno accettato la mia proposta con grande entusiasmo, e insieme abbiamo cercato la soluzione più consona al nostro modus operandi. Ad oggi abbiamo provinato qualche “candidato”, ma il risultato per ora rimane “top secret”. Di sicuro entro l’anno i Comfy Pigs vivranno una nuova vita artistica.
Vanni: Abbiamo pensato e ripensato ad una soluzione possibile per un ampliamento della line-up, in particolare per un’esigenza primaria di avere un frontman con una forte presenza scenica, con una voce particolare e che potesse lasciare libero Ivan di potersi concentrare sulle chitarre, soprattutto live. Stiamo facendo delle audizioni attualmente, ma forse abbiamo già trovato la persona che può fare al caso nostro. Ma è ancora tutto volutamente “top Secret”, penso che se tutto andrà come immaginiamo, potremmo essere pronti per suonare dal vivo con la nuova formazione a partire da settembre.

Che concerto ci aspetteremo sabato, quindi?
Ivan: Sabato a Matera ci esibiremo ancora nella nostra forma storica a tre, con me alla voce e alla chitarra, Danilo Villafranca al basso e Vanni Sardiello alla batteria. Avremo l’occasione di proporre tutti i nostri brani, compreso un inedito che suoneremo per la prima volta, e un paio di cover. Mi sembra strano pensare che questo live potrà essere l’ultimo per me come cantante della band.
Vanni: Il classico concerto infuocato dei Comfy Pigs, nella classica line- up power trio batteria basso chitarra, avendo molto tempo a disposizione, di sicuro non ci risparmieremo, probabilmente suoneremo anche un pezzo nuovissimo ed un paio di cover provate per l’occasione e che abbiamo decisamente Comfyzzato.

Come è nato il vostro gruppo? Avete alle spalle ognuno di voi un proprio background.
Ivan: La nostra band è nata dall’amicizia e la passione comune per la musica che lega me e Vanni Sardiello. Vanni veniva da un lungo periodo di stop artistico, io invece stavo accantonando la mia esperienza con i Baby Screams, tribute band dei Cure, per tornare a lavorare alla musica inedita, che non ho mai abbandonato. A noi poi si è aggiunto il bassista Danilo Villafranca, permettendoci di metter su un power trio di matrice post punk, genere che proprio in quel momento stava tornando fortemente in auge, grazie all’affermazione di band internazionali come Idles o Fontaines DC, per citarne alcune.
Vanni: I Comfy Pigs sono nati principalmente dall’amicizia tra me e Ivan e dal desiderio di suonare insieme qualcosa di inedito e che in qualche modo potesse far confluire tutto il nostro background di ascoltatori e musicisti. Danilo al basso è stata una scelta più che azzeccata perché ha portato dentro il nostro suono post-punk, quell’elemento più lercio tipico del garage punk. Per quanto mi riguarda, ero fermo con la batteria da circa dieci anni, completamente dedicato altresì al lavoro. Nel mio passato, le esperienze più importanti sono state i Veronika Voss all’inizio degli anni ’90 e poi i Lillayell a Pisa negli anni 2000, insieme a quello che contemporaneamente è diventato il batterista dei ben noti Zen Circus, che però nel nostro power trio si occupava di chitarre e voci.

Suonando da tanti anni, che differenze notate nella possibilità di suonare nei locali oggi rispetto a 20/30 anni fa? È più facile e/o quali sono le differenze invece?
Ivan: Dopo due anni di blocco forzato per la musica in generale, sembra che ci sia una grandissima voglia di live. Questo ci sta portando a vivere una “nuova era” in cui paradossalmente stiamo tornando a fare musica in tanti luoghi diversi, dalle sale concerto ai piccoli bar, dai club alle librerie, e la cosa bella è che ci sia una grande richiesta di musica inedita. Il panorama delle band emergenti è molto attivo e interessante, sarebbe sprecato non dare la possibilità a questi talenti di esibirsi davanti ad un pubblico per farsi conoscere ulteriormente. Per noi musicisti “di vecchia data” in parte è un bel ritorno al passato, quando si suonava live molto spesso e nei posti più disparati.
Vanni: Domanda complessa, difficile da risolvere nelle poche righe a disposizione. A rischio di essere scontato, la situazione è piuttosto complicata in quanto da troppi anni mancano i posti i cui gestori siano appassionati di musica e non solo commercianti il cui interesse è solo quello di vendere le birre per un pubblico generalista amante delle cover band. Sembra quasi si debbano elemosinare i concerti per i gruppi non allineati alla massa. Forse qualcosa sta cambiando ora che c’è molta fame di concerti, soprattutto dopo questi due maledetti anni di “quasi” stop. Ma siamo ben lontani dagli anni 80 e 90 in cui le situazioni venivano anche create in totale autogestione, pur di far suonare le band che meritavano di salire su un palco perché avevano qualcosa da dire. Vedremo…

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 25 MAGGIO 2022

Violent Scenes – La via della rinascita

I Violent Scenes sono una band pugliese attiva da cinque anni, da poco hanno pubblicato l’EP “Rebirth”, il seguito del loro debutto discografico “Know By Heart” del 2017. Per conoscere meglio la band e il loro punto di vista abbiamo intervistato il cantante e bassista Giorgio Cuscito.

Nel comunicato stampa esordite con la frase “band costruita su una profonda amicizia”, ci racconti in breve la genesi della vostra band e di come si può fondere l’amicizia con il suonare musica, è sempre facile?
La band nasce ufficialmente nel 2017 quando Gianfranco Maselli (chitarra) incontra Gianvito Novielli (chitarra) una sera fuori da un pub. Fino ad allora eravamo in tre, con un disco già pronto ma fermi da un po’. Gianfranco era appena tornato dall’Erasmus a Bucarest e io, con Antonio Iacovazzi (batteria ed elettronica), avevamo bisogno di un nuovo scatto, nuova linfa! Come quando le note musicali girano e c’è bisogno di un nuovo semitono per ricominciare, atterrando su una nuova ottava! Essere una band significa essere una piccola famiglia! Noi condividiamo tutto: il lavoro, gli studi, i sentimenti, i pensieri, la politica, le amicizie. Fare musica insieme è vedere la vita insieme, dialogando non solo con gli strumenti. Quando creiamo un brano e poi un disco, lì c’è il nostro pensiero, il nostro punto di vista, non è solo musica.

Sempre dal comunicato stampa la frase: “Violent Scenes è il Nuovo Teatro Greco”. Cosa vorreste dire esattamente con questa affermazione e quali sono i contenuti che vorreste comunicare con la vostra musica?
Violent Scenes è il nostro punto di vista e, direi, la nostra filosofia! Nei suoni e nei testi c’è una ricerca costante che attinge all’umanità degli Antichi Greci. È catartico per noi l’atto del suonare, soprattutto dal vivo. Le nostre performance ci permettono di raggiungere lo stato di trance e di connetterci con l’anima. Interpretare la vita con gli occhi di un artista è una grande responsabilità e crediamo che i greci avessero raggiunto un alto senso artistico. Loro non mostravano le scene più violente durante le tragedie perché urtavano e soprattutto non erano utili al ‘sentire’ e quindi alla catarsi dello spettatore. Oggi la scena dell’omicidio è quella che si attende di più durante uno spettacolo oppure in un film, per non parlare dei videogiochi dove addirittura uccidere è un gioco. Il Teatro è diventato un’arena e dovremmo chiederci perché.

Il titolo ‘Rebirth’ che significato ha per voi? I titoli dei brani sono anche abbastanza singolari, ce li spieghi?
Il titolo dell’album, “Rebirth”, è un riferimento a “Neon Genesis Evangelion”, manga giapponese post-apocalittico uscito nel 1994, in seguito diventato serie tv con la regia di Hideaki Anno. L’opera, ambientata nella futuristica Neo Tokyo-3, è un vero e proprio cult che affronta, con un linguaggio psicoanalitico tipico dei personaggi della Tragedia di Euripide, la difesa dell’umanità, minacciata dagli Angeli, per mano di robot pilotati da esseri umani. Il regista non è mai riuscito a separarsi da Evangelion, continuando a rimaneggiarlo e riassemblarlo, così noi abbiamo fatto con “Know by Heart”, album d’esordio del 2017, grembo della nostra poetica. I brani di “Rebirth” non sono altro che tre brani tratti da questo album riarrangiati in chiave elettronica. Anche i titoli dei brani “Unit 01/02/03” sono un riferimento alle Unità Mecha: Eva 01/02/03.

Avete in programma date live imminenti?
Stiamo programmando un tour a giugno che ci porterà in giro per l’Italia, dalla Sicilia al Piemonte. Date sparse sono attese anche nei prossimi mesi.

Dove è possibile reperire il vostro nuovo EP ed eventualmente anche il disco precedente di cui parlavi prima?
Sia “Know By Heart”, il nostro debutto del 2017, che l’EP “Stimmung”, uscito sotto forma di poster nel 2019, sono al momento sold out ma li stiamo ristampando, insieme alla cassetta di “Rebirth”, per portarli ai concerti. Non è possibile reperirli online.

Avete girato diversi videoclip con Antonio Stea e vinto anche alcuni premi, giusto?
Sì, il nostro regista Antonio Stea è un membro aggiunto della band! Senza le sue immagini la nostra visione sarebbe incompleta. “Grim July” ha vinto diversi premi in tutto il mondo tra cui, quello che ricordiamo con grande orgoglio, il primo premio della quarta edizione del Cineconcerto Music Film Festival a Montecarotto (AN), nel 2019; festival unico nel suo genere, in Italia e non solo. “Nope Face” ha vinto, tra gli altri, una menzione speciale come miglior film sperimentale al Tokyo International Short Film Festival 2020 e il primo premio come miglior videoclip musicale al Paris Film Art 2021.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 29 MARZO 2022

Bari New Rockers – Resistenza melodica

Esordio discografico per Bari New Rockers. Lo scorso 4 febbraio è uscito il loro primo album distribuito in digitale su etichetta Quadraro Basement e stampato su doppio vinile in edizione limitata. Contemporaneamente all’uscita del loro primo long playing è in rotazione il videoclip di “Convivo”, primo singolo dell’album. Abbiamo contattato la band barese per saperne di più su questo interessantissimo progetto.

Ragazzi, ci spiegate la genesi della vostra band, come e quando è nata e come siete arrivati alla pubblicazione del vostro primo album?
Bari New Rockers nasce nel 2016 come un collettivo di selecters, dj e mcs con l’esigenza di riproporre vibrazioni musicali autentiche che caratterizzavano le dancehall reggae negli anni ’90, utilizzando in maniera rigorosa il supporto su vinile e un sound system autocostruito. Dopo anni di dancehall tenute in giro per l’Italia, con una proposta musicale caratterizzata da testi conscious, antagonismo sociale e spiritualità, dal 2018 il collettivo ha iniziato a produrre la propria musica, con delle sonorità che via via si sono rivelate influenzate sempre più da svariati generi, grazie anche alla provenienza da diversi ambiti musicali dei componenti del gruppo subentrati successivamente nel 2020. L’album è il coronamento di un lavoro iniziato in questi anni e soprattutto in corrispondenza della prima pandemia, durante la quale i componenti del gruppo hanno condiviso un flusso creativo che ha permesso di ideare ben 14 tracce in qualche mese, sviluppate poi l’anno successivo, così da arrivare il 4 Febbraio 2022 a pubblicare il nostro primo omonimo lavoro.

Che vuol dire per voi “Bari New Rockers”?
La parola “Rockers” rappresenta il genere musicale che costituisce la matrice prima del progetto, un genere musicale giamaicano in voga sul finire degli anni 70 nel quale è preponderante l’utilizzo delle chitarre elettriche, di poderosi giri di basso e di incalzanti ritmi sincopati, che sono tipici della roots reggae music. Bari è la nostra città, a cui siamo legati da un forte senso di appartenenza. La parola “New” è rappresentativa della mentalità del collettivo, che, pur conservando le proprie radici strettamente legate alla cultura dei sound system, non vuole barriere né di stile, né di provenienza musicale.

Quali sono le vostre influenze musicali e come definireste la vostra musica?
In primis la musica giamaicana dagli anni 60 in poi, con tutte le sue sfaccettature che partono dallo ska, dal rocksteady e dall’early reggae fino al digital dancehall e arrivando al dub più contemporaneo di matrice anglosassone. L’altra grande influenza è il conscious rap old school e più in generale la cultura hip hop. Inoltre, nelle produzioni ci sono altri tipi di influenze, con suoni e synth che provengono dalla musica elettronica e dalla dubstep, e tracce in cui sono forti anche sonorità provenienti dal mondo rock e crossover.

Nonostante il periodo, avete in programma delle date dal vivo?
Fortunatamente da pochi giorni sembra si sia tornati a poter ballare, inizieremo da venerdì 18 al Fluxus club di Bari, con una dance hall in stile Bari New Rockers, con giradischi e microfoni; poi venerdì 4 marzo saremo al Wild & Free, un pub di Bari in zona Carrassi, con un esibizione live accompagnata da selezioni musicali; sabato 12 marzo stiamo organizzando la presentazione ufficiale dell’album all’Officina degli Esordi, nella quale inviteremo tutti gli artisti che hanno collaborato con noi alla realizzazione dell’album.

Infatti nel disco ci sono diversi ospiti, come è stata la collaborazione con loro e chi sono?
Un’altra caratteristica di Bari New Rockers è quella di voler creare connessioni artistiche e musicali con tutti coloro propensi a condividere idee e passioni comuni e che hanno la stessa esigenza di rivendicare dissenso e controcultura. Gli artisti che hanno collaborato sono in totale 18, abbiamo sia featuring vocali che strumentali. Ai microfoni ringraziamo SkinUp, Tensione, Lady B, TOP, Valeria Upbeat, Shanti Kranti, Giuan, Skreeba, Tony Tek; alle chitarre Nicola Quarto e Valeria Upbeat; al basso SkinUp e Joe Leali; al Sax Dario “Mr.Bogo” Divella; al flauto Bob Wild Deer; al violino Pino Di Lenne; agli scratch dj Argento, Tuppi B e dj Jawal. La collaborazione è avvenuta con alcuni direttamente in studio, mentre chi era impossibilitato ad essere in presenza ci ha regalato il suo contributo ascoltando le basi che gli avevamo inviato.

Dove è possibile reperire il vostro disco?
Il disco in formato digitale si può ascoltare su tutte le piattaforme principali come Spotify, YouTube, Amazon Music, iTunes, Deezer. Inoltre, coerentemente con le nostre idee e le nostre radici, abbiamo stampato una quantità limitata di LP in formato doppio, che può essere acquistato contattandoci direttamente a barinewrockers@gmail.com o nei principali negozi di dischi qui a Bari.

Il progetto Bari New Rockers è formato da: Friend Sunshine (Melodica, percussioni, dj selecter, sound system operator), Giovanni Kiace (Producer, Sound engineer, dj selecter), Sfogo Lirico (Producer, voci) e Dread Pit (voci).

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 16 FEBBRAIO 2022

Claudio Trotta – Il silenzio forzato della musica dal vivo

Claudio Trotta è il fondatore di Barley Arts, una delle realtà indipendenti europee più importanti per l’organizzazione di concerti e spettacoli dal vivo. Fondatore anche di Slow Music “Movimento dedicato alla Bellezza, all’eccellenza e al rispetto e alla cooperazione in ambito musicale”, è il primo organizzatore di eventi musicali che ha ricevuto nel 2020 l’“Ambrogino d’oro”, onorificenza conferita dal comune di Milano per civica benemerenza. Per fare solo qualche nome, grazie a Trotta e a Barley in Italia abbiamo potuto seguire per anni le tournée di Springsteen, Cure, Bowie, Kiss, Iron Maiden, Zappa, una lista infinita di star nazionali ed internazionali. Da un paio di anni però questo settore per ragioni che ormai tutti conosciamo è fermo, tranne qualche rara occasione. Abbiamo contattato il promoter per conoscere meglio la sua opinione.

Claudio, quanto tutto ciò è ancora sostenibile soprattutto dal punto di vista economico?
Non lo è più già sostenibile. Il problema principale è ovviamente economico. Parliamo soprattutto del mondo indipendente, di chi non lavora per le multinazionali e/o che non ha un lavoro garantito, fisso. Ci sono problematiche enormi per tutto lo spettacolo dal vivo, per le maestranze, per i musicisti, cantanti, attori, artisti, ballerini, creativi di vario genere e per le imprese. I ristori hanno sicuramente aiutato ma oltre a non essere stati sufficienti non sono stati distribuiti in maniera equilibrata, soprattutto quelli relativi ai concerti riprogrammati e/o cancellati, sono stati assegnati con sistemi sbagliati che hanno privilegiato le multinazionali, ma il tema è molto più ampio, non è solamente economico, parliamo di un ambito che ho definito sin dall’inizio del 2020 “il mondo dello stare insieme” e che non riguarda solo gli eventi della musica live e meno che meno solo quelli di massa, e che comprende teatro, danza, circo, orchestre da ballo, intrattenimento, produttori di strumenti musicali, giornalisti e fotografi dediti allo spettacolo dal vivo senza dimenticare anche gli eventi privati che sono anche essi linfa vitale per le maestranze, le imprese, per tutti. Stare insieme significa anche andare a scuola, mondo che invece ha aperto e chiuso ad intermittenza, e va anche ricordato il mondo della giustizia, perché anche i tribunali hanno lavorato a singhiozzo. Insomma necessità primarie e libertà individuali e collettive che sono state messe in secondo piano rispetto ad attività commerciali considerate più importanti. Ci si chiede per quale motivo a molti mondi sia stato consentito di non fermarsi applicando protocolli organizzativi, operativi e sanitari, vedi la grande distribuzione, la televisione, i giornali, i tabaccai, i grandi cantieri edili, la vendita in rete mentre al mondo dello spettacolo dal vivo sia stato impedito, nonostante questo mondo di protocolli ne abbia partoriti in abbondanza, penso a quelli realizzati con Slow Music e con Ricominciamo ma anche a quelli di Agis e di altri. Di protocolli operativi per la riapertura degli spazi dello spettacolo dal vivo con Slow Music ne abbiamo creati due con mesi di lavoro di gruppo con medici, professionisti del settore organizzativo, creativo e produttivo e responsabili alla sicurezza sul lavoro. Il primo nel 2020 per gli spettacoli al chiuso dal nome “Vengo anch’io… per sentire l’effetto che fa” e il secondo nel marzo 2021 per gli spettacoli all’aperto con “Ricominciamo”, questi protocolli seppure riconosciuti più che validi da molte istituzioni sanitarie e governative non sono mai stati seriamente considerati.

Per quali ragioni?
Non ho una risposta. Mi chiedo se tutto questo è casuale, se è frutto di ignoranza e di mancata considerazione da parte di chi ci governa e da parte di chi il governo ha messo a prendere decisioni in questo settore, il CTS, quindi se c’è una mancata considerazione della sfera umana, sociale, culturale, dell’equilibrio delle persone che per natura propria sono fatte per stare insieme e non da sole oppure se c’è dell’altro. Non ho mai pensato a nessun genere di complotto, di fatto tuttavia c’è che questo mondo dello Stare Insieme è stato umiliato, vilipeso, poco considerato e in sostanza devastato. Ci sono centinaia di migliaia di persone, non solo in Italia, che hanno dovuto cambiare mestiere, che in un mondo normale potrebbe anche essere una cosa buona se voluta dalla propria volontà, ma non lo è quando attraverso e dopo anni di studi, lavoro, esperienze hai costruito qualcosa nella tua vita creando una propria identità, artistica umana e professionale e sei costretto ad abbandonarla per fare altro, come lavorare per Amazon o consegnare pizze allora il problema diventa enorme.

Vedi una possibilità di ripresa nell’immediato?
È un problema che ci porteremo avanti per anni, non è limitato solo ad oggi. Prendiamo in esame le tournée del 2022, alcune non si potranno svolgere anche per motivi apparentemente impensabili, penso ad un caso che mi ha toccato direttamente dove un artista internazionale ha cancellato il tour europeo perché non ha potuto reperire tour bus disponibili. Non tutti i tour si svolgono con aerei e limousine, anzi. Se ci saranno i tour programmati per l’estate 2022 che per il momento sono ancora confermati, temo che ci saranno seri problemi nel reperire figure professionali e maestranze in campi importanti come l’allestimento e la sicurezza degli spettacoli, questo significa che è stata letteralmente buttata via una storia di persone e aziende territoriali, locali e nazionali di un certo peso, in un paese come il nostro che negli anni 70 in questo settore aveva molta meno professionalità di oggi, ma che prima di questi due terribili anni aveva raggiunto ottimi livelli professionali e organizzativi, rientrando tra i paesi meglio organizzati nel mondo. Sto parlando della musica popolare contemporanea (la parte della lirica che vive da sempre con denari pubblici ha continuato a riceverli anche a porte chiuse) ma anche del teatro non finanziato, così come il circo, la danza se non finanziata con denaro pubblico. Parliamo di tantissime persone senza attualmente più alcuna identità e dal futuro incerto. Un dramma come si può comprendere non solo economico ma anche culturale, psicologico, sociale. Non vedo miglioramenti in questo paese a breve termine, siamo uno degli unici paesi dove si pensa di mantenere il Green Pass fino a fine giugno, invece in altri paesi si sta togliendo, vedi in Inghilterra, in Austria, dove c’era il lockdown ma dove ora stanno togliendo il Green Pass, in Germania non c’è mai stato, gli unici due paesi dove si sta continuando con questo metodo mantenendo delle limitazioni enormi, spesso discriminanti e astruse sono peraltro credo fra i paesi con più vittime e contagiati: Italia e Francia. Qui si apre un altro argomento, quello del calcolo dei contagiati e delle vittime, che dall’inizio ormai sappiamo tutti che è stato fatto in maniera abbastanza “bizantina” e molto anomala. Si è sbagliato o si è voluto sbagliare? fin dall’inizio a narrare il tutto. I media hanno creato disagi, paura, spinto a dividere e isolare le persone, cercando di individuare gli untori di turno e recentemente questa divisione è sfociata tra chi ha deciso di vaccinarsi e chi legittimamente ha deciso di non farlo alla luce della non obbligatorietà della vaccinazione. La situazione non è delle migliori e viene da chiedersi se di fatto non sia stata calpestata la Costituzione anche dallo stesso Presidente della Repubblica, che dovrebbe essere il tutore della Costituzione stessa. Non vedo nell’immediato delle speranze, delle indicazioni di positività e di ottimismo nel presente, né nell’immediato futuro o per il futuro prossimo ancor meno per chi è più giovane e più debole.

Parlavi dello “stare insieme”. Sembra che la gente si sia un po’ “rinchiusa”, che abbia paura.
La situazione degli spettacoli dal vivo è messa molto male, ci hanno riaperto in maniera teorica, ma con tante limitazioni. Inoltre il decreto ristori firmato da Mattarella recentemente non prevede alcun ristoro per il nostro settore, almeno nell’immediato. È anche vero che Franceschini aveva annunciato 111,5 milioni di euro per il nostro settore che al momento non si vedono, ragion per cui si spera che nell’immediato si rimedi a questo con dei ristori e bandi specifici da parte dei Ministeri di competenza. Al momento si lavora con tante limitazioni e un clima generale di paura e di poca fiducia che porta a cancellare diverse tournée anche per mancanza di vendita di biglietti.

Come vedi lo svolgimento dei concerti estivi? Ammesso che tutto fili liscio, sarà ancora limitato alle attuali restrizioni?
Non sono mai stato un sostenitore del Green Pass, prima che venisse adottato mi sono espresso in maniera critica e ancor più quando ne ho conosciuto le modalità, ancor meno con questa adozione discriminatoria del Super Green Pass, più tutte le bizzarre modalità annesse e connesse che rasentano la follia e inutilità più totale. Ribadisco l’ignoranza di chi ha fatto queste scelte, nessuna attenzione alla sfera umana mondo considerata secondaria in un contesto internazionale che già prima del Covid già disgraziatamente principalmente esaltante la realtà virtuale rispetto alla realtà fisica reale. Il Green Pass non è uno strumento sanitario e questo mi pare sia assodato e chiaro. C’è gente che ha il Covid e con il Green Pass funzionante allo stesso tempo. Quindi mi auguro che quanto prima e almeno per tutti gli spettacoli da maggio in poi possano cadere tutte le limitazioni e discriminazioni correnti inclusa quella dell’utilizzo all’aperto di mascherine.

La voce degli artisti è stata silente in questo periodo?
Gli artisti sono stati estremamente deludenti, quei pochi sia italiani che internazionali, che si sono espressi in maniera critica sono stati violentemente dileggiati. C’è stato un affermarsi sempre più evidente di retorica e ipocrisia senza fine da ogni direzione e gli artisti troppo silenti non hanno fatto la loro parte che dovrebbe essere anche quella di esprimere criticità e disagi comuni, sociali, umani.

Alcuni settori sembrano non aver subito lo stesso trattamento, vedi il calcio o il Festival di Sanremo in questi giorni con la capienza al 100%. Ci sono canali preferenziali?
Il Festival di Sanremo ormai da anni è un evento televisivo che non ha niente a che fare con lo spettacolo e la qualità musicale, però è il programma televisivo più importante della Rai dal punto di vista di gettito pubblicitario, per cui viene sempre preservato. Per molti rappresenta la vetrina del degrado artistico e sociale dei nostri tempi.

Alcuni anni fa hai scritto un interessantissimo libro “No pasta, No Show”, hai in mente un nuovo libro?
Sì, in realtà durante questi due anni ho scritto tantissimo. Sto mettendo insieme vari pensieri, non ho trovato una linea precisa ancora a dire la verità, ma mi piacerebbe fare un libro diverso dal precedente, ho immaginato anche di provare a scrivere insieme ad autori televisivi una serie televisiva. Mi piace esprimermi, quindi troverò la maniera di farlo oltre alla mia presenza nei canali social e le interviste. Lo avevo fatto in precedenza anche con un libro intitolato “Dizionario enciclopedico musicale di Milano” scritto con Paolo Zenoni negli anni 80.

Quanto l’industria della musica oggi è diventata più importante della stessa musica?
Purtroppo questo è un processo che era già partito negli anni 80. La grande capacità creativa delle case discografiche e di alcuni produttori illuminati degli anni 60/70 e anche un po’ degli 80 si è andata progressivamente perdendo, è un dato di fatto. Oltre al fatto che delle sette multinazionali discografiche ne sono rimaste solo due o tre il che ha accelerato i processi omologativi verso il basso del largo consumo. Le indipendenti nel mondo fanno spesso un buon lavoro, ma sono spesso penalizzate mediaticamente e finanziariamente e purtroppo spesso gli artisti e i loro manager sono indipendenti fino a quando non li vuole nessuno, ma poi quando passano dall’altro lato diventano parte convinta del “mainstream”. L’impressione è che purtroppo tutti vogliano passare in TV, essere ospiti o coach nei talent. La verità è che c’è ancora tanta buonissima musica e ci sono tanti imprenditori nella musica di qualità, ma non è così semplice quando le classifiche si fanno con gli streaming, diverso è quando con i tuoi soldi investi in un disco o un CD. Merito a tutti i negozianti di dischi, di strumenti musicali, ai produttori di tali strumenti e di dischi fisici, perché la musica senza gli strumenti rimane solo nella mente delle persone e la Musica riprodotta senza fisicità non alimenta Memoria e quindi Storia. Uno strumento è anche la voce, ma non certo con l’auto-tune. La musica deve essere creazione e questo avviene con il lavoro, passione, lo studio e il talento. Non ce l’hanno tutti ma in tanti fanno musica, e a un certo punto ciò diventa un’offesa per chi la musica la fa davvero.

Parlavamo di talent e TV. Al momento a parte programmi con approfondimenti musicali come quelli di Red Ronnie, cos’altro c’è?
Non mi pare ci siano. A parte il programma di Stefano Bollani è evidente che la musica popolare contemporanea, il jazz, la world music, il rock non siano rappresentate, men che meno rispettate propriamente nelle televisioni generaliste sia pubbliche, e questo è particolarmente grave, che commerciali. Nelle reti tematiche e in quelle in wi-fi ci sono invece alcune “isole felici” per fortuna.

L’underground o quello che viene definito il “sotterraneo” a livello musicale ha sempre qualcosa da dire, ci sono tante splendide realtà italiane che non hanno la possibilità di esprimersi, ci sono nuove realtà musicali nazionali o internazionali che consiglieresti?
Credo che in campo blues, jazz, world music la musica Italiana sia di altissimo livello e che alcune etichette discografiche, management, festival e promoter indipendenti facciano un lavoro straordinario. In campo cantautoriale e pop credo che ci sia un gap davvero difficile da colmarsi con la scena anglosassone ed europea ma sono ovviamente opinioni le mie.

Sei un grande appassionato di vinili, da diversi anni un supporto che è tornato nelle case della gente. Nostalgia, miglior qualità sonora? “Moda” o durerà nel tempo questo “ritorno”?
Credo semplicemente che il vinile sia un oggetto di straordinaria qualità e che nella storia della musica riprodotta, che ricordiamo ha meno di 150 anni, resti la soluzione migliore per ascoltare, conoscere, godere e studiare della diversità della creatività umana. La storia della creatività comprenderà certamente quella del vinile, mentre la musica digitale diventerà sempre di più parte della storia del consumo che è un’altra cosa. Quello che reputo sia importante fare è trasmettere alle nuove generazioni la sostanza e la qualità del vinile senza farlo apparire vintage o “vecchio”, il paradosso è che per molti il vinile è una tecnologia sconosciuta e se intelligentemente si è capaci di presentarlo in maniera “sexy” ai giovani essi potrebbero appassionarsene limitando la adesione spesso acritica alla realtà virtuale e digitale. Non è semplice ma è necessario.

Le foto di Claudio Trotta sono di Michaela Berlini.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA IN VERSIONE RIDOTTA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 2 FEBBRAIO 2022

RæstaVinvE – Di uomini e di donne

RæstaVinvE è un duo pugliese che ha pubblicato un album dal titolo “Bianlancia” lo scorso maggio. Per conoscerli meglio e saperne di più li abbiamo contattati in occasione di un loro concerto a Roma domenica 30 gennaio presso il club Let it Beer.

Partiamo dal significato del vostro nome, RæstaVinvE, così singolare, cosa vuol dire esattamente?
Il nome non è che l’accostamento dei nostri due moniker, Raesta, per Stefano Resta, e Vinvè per Vincenzo Vescera. Un nome che però negli ultimi tempi ha iniziato ad indicare una realtà abbastanza corale. Dietro di noi e accanto a noi ormai c’è una band ormai sempre più consolidata: Francesco Argentati (basso), Federico Curto (batteria), Andrea Allocca (chitarre). Ovviamente c’è l’onnipresente Maurizio Loffredo degli Artigiani Studio come produttore artistico. Il nome unico indica che nell’intero percorso creativo, dalla scrittura, all’arrangiamento, così come nell’ esecuzione, i pezzi vedono l’intervento di entrambi. Inoltre il gusto un po’ francese della “è” finale ed il dittongo iniziale denotano la nostra esterofilia, dimostrata anche dal featuring presente nell’album con Clio.

Come è nato il vostro duo? Come vi siete conosciuti e siete arrivati ad oggi alla pubblicazione del vostro primo album “Biancalancia”?
Galeotto fu un concerto, quello di Riccardo Sinigallia, dove Stefano cercava un produttore ed ha trovato un coautore. Vincenzo conosce l’artista romano, il quale non potendo produrre Stefano ha ‘passato la palla’ a Vincenzo che ha iniziato una graduale collaborazione. Uno dei primi risultati è stato il buon piazzamento al premio Lunezia, edizione del 2019. Scrivendo abbiamo pensato di iniziare a cantare i pezzi insieme. Nella traccia “L’amore è un fiore” di Stefano già c’era una collaborazione con Vincenzo seppur unicamente come produzione artistica. Quando siamo entrati in studio abbiamo iniziato a lavorare su due EP diversi ma a quel punto ci è venuto naturale creare un’unica entità per dividerci l’enorme mole di lavoro che si cela dietro un progetto che in quasi assoluta autonomia cerchi di affacciarsi tra il big dell’oceano discografico. Ci siamo divertiti, ci divertiamo ed eccoci qua.

Che significato ha il titolo “Biancalancia” e cosa vorreste trasmettere attraverso i testi delle vostre canzoni?
“Biancalancia” nasce dalla consapevolezza giunta dopo la nascita dei primi brani che l’album sarebbe stato incentrato sulle donne che avevano in qualche modo ispirato la produzione delle canzoni. Il tema è quello dello scontro uomo/donna in tutte le declinazioni. Ispirati dalla vita nostra e da quella di chi ci è vicino, abbiamo parlato d’amore: dell’amore tossico, dell’amore perduto, di quello omosessuale, e di quello tra persone anagraficamente distanti. Ovviamente la scelta di intitolare l’album ad una delle mogli di Federico II di Svevia, forse quella che secondo la leggenda lo ha fatto più tribolare, è stata un omaggio alla nostra terra d’origine, la Puglia: Vincenzo è di Vieste, Stefano è di Corato.

Nel brano “Rien Va Plus” avete un featuring di Clio, come è stato collaborare con lei e come è nata questa collaborazione?
Durante il lockdown Stefano ha iniziato a convivere con la sua compagna ed attuale moglie, Chloè. Con lei hanno ripescato e elaborato un vecchio testo di Stefano nato come uno sfogo di cinque pagine, ridotte sapientemente da Vincenzo che ha avuto un approccio più tecnico essendo meno coinvolto emotivamente. Contestualmente abbiamo imparato a conoscere il pop francese e Clio è stata una scoperta illuminante. Così abbiamo provato a contattare il suo management. Sono stati gentilissimi nonostante la nota cantante fosse alle prese con l’uscita del suo terzo album ed una collaborazione con Iggy Pop. Strano ma vero, è stato più facile che collaborare con altri nomi del panorama musicale italiano. L’eccezione è stata la preziosa collaborazione con Cesare Pastanella, noto percussionista jazz pugliese, oltre che la presenza della penna di Francesco Di Bella su “Senza Cuore”. Che dire? È importante collaborare con chi senti di avere feeling, senza spaventarsi di alzare lo sguardo anche oltre il proprio orizzonte più prossimo.

Avete a breve un live a Roma, che tipo di set porterete sul palco e dove esattamente?
Da maggio del 2020 abbiamo provato a mettere su un live che non compromettesse troppo il sound dell’album così come prodotto. Nell’album hanno registrato Andrea Pesce (Fish) alle tastiere, Ivo Parlati, noto session man partenopeo e batterista di Riccardo Sinigallia, lo stesso Maurizio Loffredo e Daniele Sinigallia alle chitarre. Quindi ci è toccato studiare a fondo, riprendere dimestichezza con ampli, piano, pedaliere e il live in generale ed oggi suoniamo i brani così come sono stati incisi. Non disdegniamo piccoli set acustici ma questa è un’altra storia. Al momento stiamo suonando in locali e pub, e non c’è mancato un teatro a Viterbo dove peraltro abbiamo registrato il videoclip di “Verdiana”, al momento in rotazione.

A proposito di esibizioni live, qual è il vostro parere su questo “lungo fermo” della musica a causa della pandemia? La musica e lo spettacolo in genere sembra il settore più colpito.
I rischi legati alla diffusione ci sono. Un’idea che si potrebbe realizzare è mettere su un pool, un servizio di professionisti per assistere e guidare gli esercenti di attività che prevedano l’aggregazione di gente, in quelle zone dove il virus si è scontrato su una realtà magari già in difficoltà. Non si può fingere che il virus non ci sia, ma come una patologia, non si possono ignorare nemmeno gli effetti iatrogeni che nella società si traducono nella crisi di tante realtà più delicate benché di fondamentale importanza, se vogliamo dire così.

Il vostro singolo ‘Verdiana’ questa settimana è nella classifica ‘Indie Music Like’ tra i primi 50 posti, è una soddisfazione, bel traguardo…
È una grande soddisfazione, specie per una realtà totalmente indipendente come la nostra. Ci fa ben sperare nel futuro di questo progetto e ci dà anche una linea da seguire nelle prossime produzioni.

Il vostro album è reperibile in CD per il momento, ci sarà un’edizione in vinile?
Ascoltare sul CD l’album dà soddisfazioni che altri supporti digitali non permettono. Tuttavia aspettiamo un po’ per i vinili che arriveranno sicuramente anche se in limited edition. 

Fate vostro il CD dei RæstaVinvE, ordinabile online presso i loro canali social, e se siete in zona Roma venerdì non perdetevi il loro live-set. Disco consigliato da Wanted Record, Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 26 GENNAIO 2022