Due chitarre si intrecciano in un costante dialogo tra effetti elettrici e scambi di emozioni nell’immaginario musicale del compositore Vincenzo Tusa, all’esordio solista con “Our Leaves” (Autoproduzione, 2020). Un disco al passo coi tempi attuali, autunnali e un po’ malinconici, ma che, traccia dopo traccia, si accende di luci cariche di primavera.
Come è nato “Our Leaves”?
Nasce dall’esigenza di volere esternare determinati stati d’animo, personali e non, attraverso un album da solista, mettendo a nudo quelle che sono le difficoltà quotidiane.
Perché questo titolo?
Volevo dare una sorta di sunto ai titles track all’interno del disco, che poteva accomunarsi alle cosiddette sonorità emozionali, e per certi versi naturali, partorite per l’album stesso. “Nostre foglie” intende un elemento naturale e vitale che cela, difende e ad un tempo nutre il suo sostegno, anima del tronco.
Prima di pubblicare “Our Leaves” hai suonato parecchio in giro per l’Europa. Quanto questa esperienza ha influenzato la realizzazione dell’album?
Ahimè, l’album era già pronto… Ed ha viaggiato con me. Però è stato proprio lui ad influenzare il mio viaggio in Europa. Musica strumentale ed ambient si affacciano e allo stesso tempo si associano bene con i contesti nordici, paesaggi naturali e suoni che si mescolano bene col tran tran quotidiano delle stesse metropoli. Ho preferito suonare in strada… L’esperienza è stata forte. In due parole, ho cercato di dar veste ai miei brani grazie ai paesaggi che ho attraversato, cercando di restituirne l’emotività con la musica stessa.
Nel disco c’è un dialogo costante fra due chitarre, che sentimenti vogliono comunicarsi fra loro?
Bella domanda… Le due chitarre si intrecciano, si ritrovano per poi ricominciare un percorso e un fraseggio ritmico diverso. Allo stesso tempo si bilanciano facendo da sostegno l’una all’altra, l’ambiguità dei passaggi… Vi è un eterno accostamento a ciò che lo stato d’animo momentaneo, del brano, del flow, delle note, si approccia. Più sentimenti o stati d’animo si alternano all’interno di un brano, il botta e risposta dei 2 strumenti risulta necessario a volte per trasmettere rabbia, isteria, tormento… Ma anche serenità nelle poche note lunghe, o nell’astenia delle pause. Dipende anche e molto dallo stato d’animo di colui che lo ascolta… Bravo, mi hai leggermente messo in difficoltà!!
Copertina minimalista con luci sfocate su sfondo bianco, chi l’ha realizzata e a cosa è ispirata?
Grazie per la critica… La copertina è realizzata interamente da me. Sono legatissimo all’astrattismo e al minimalismo concettuale, come hai caparbiamente detto anche tu. L’immagine scattata con luci sfocate, rappresenta un ipotetico traguardo, dove le luci in lontananza trasmettono un miraggio. La foto è sfocata perché il momento dello scatto deve risultare metaforicamente, come dicono gli inglesi “drunken” ovvero leggermente falsato, non reale. Per intenderci esteticamente un po’ “psychedelic”. Il fondo bianco, invece da quel senso di purezza ed austerità che richiama il lavoro stesso, di matrice compositiva.
Autoproduzione integrale, dalla registrazione alla distribuzione. Come ti sei trovato a fare tutto da solo?
Difficilmente al primo lavoro hai un’etichetta, e quindi necessariamente ti trovi a fare un lavoro tanto creativo quanto stimolante. Era fondamentalmente la mia prima esperienza con strumenti di mastering e mixing. Per la registrazione non c’è stata né notte né giorno. Essendo brani strumentali, per dare carattere, ho cercato di creare più registrazioni del brano stesso, per poi sceglierne l’essenziale. Per la distribuzione non ho mai smesso di lavorare… Essenzialmente ho distribuito e caricato su Bandcamp, Discogs e Spotify.
So che hai suonato con diverse band prima dell’esordio da solista. Questo album ha un legame col tuo percorso musicale o se ne distacca?
L’influenza che ne deriva è quella dei passati progetti. Musicalmente il genere è ambient, quindi se ne distacca. Ho suonato in passato in gruppi “prog-strumentali” con formazione di chitarra e batteria, volgarmente alla White Stripes per intenderci. Oltretutto uno dei brani inseriti nell’album faceva parte di una mia vecchia scaletta prettamente da cover band, che aveva come inediti alcuni brani tra cui una ballata con testi e parole che si prestava bene per la sua costruzione metodica nel percorso classico verso/coro/bridge.
Come presenti dal vivo il disco?
Suonandolo, non amo molto la presentazione, che tende a relegare un album il più vicino possibile ad una sorta di prodotto, quindi disco. Trovo il termine lavoro molto più romantico. Ragion per cui il live, almeno credo, serve a “sintetizzare”, rendendo accattivante un lavoro per fini, naturalmente commerciali.
Qualche anticipazioni su progetti futuri?
Continuerò a lavorare, promuovendo “Our Leaves” e i brani da me composti, cercando anche la possibilità d’inserimento in lavori filmici e nell’accostamento ad immagini, perché si sa che la musica strumentale trova il suo terreno fertile in questo. Scaramanticamente, dico solo che sto iniziando a registrare un nuovo album da solista pensando a nuovi progetti, con brani ancora nel cassetto. L’attuale periodo per la musica, e in particolar modo per la discografia, non è dei migliori… Quindi anticipare forse sarebbe poco corretto. Sai cosa intendo!
