Chi fa da sé fa per tre, e qualche volta realizza anche i propri sogni, come nel caso di Vito F. Mainolfi. Il musicista italiano, ma di base in Olanda, in un solo colpo è riuscito nell’impresa di pubblicare l’ottimo esordio omonimo dei suoi Pentesilea Road e di collaborare per la realizzazione dello stesso con alcuni dei suoi idoli…
Ciao Vito, i Pentesilea Road nascono come solo project nel 2014. All’epoca fu una soluzione voluta o fu una scelta figlia delle circostanze che non ti portarono ad individuare degli artisti con cui formare una vera e propria band?
Ciao Giuseppe e grazie per l’ospitalità. Effettivamente si, ho viaggiato molto negli ultimi anni, per questo motivo trovare una band vera è stato sempre complicato. Ho suonato in varie band in Italia, Olanda e UK, ma essendo stato costretto a spostarmi per ragioni di lavoro, ho dovuto sempre ricominciare da capo. In ogni caso, non mai smesso di comporre e registrare musica. Nei due anni precedenti al 2020 ho militato in una band prog rock olandese, anche se l’idea di fare cover non mi allettava molto, in ogni caso mi ha permesso di restare in forma con l’attività di gruppo. L’arrivo della pandemia e il conseguente isolamento forzato è stato uno stimolo per concretizzare un progetto musicale solista: l’idea era quella di pubblicare un album suonato completamente da me, in gran parte strumentale, registrato completamente a casa e con budget limitato. Le linee vocali erano presenti e in ogni caso mi sarei affidato a un cantante (o una cantante) per la registrazione ultima.
Nel 2020 finalmente metti su una vera e propria band, ti andrebbe di presentare i componenti della line up?
Certo. Ho cominciato a cercare un cantante durante le registrazioni del primo demo. Dopo qualche tentativo infruttuoso, ho avuto la fortuna di conoscere online Lorenzo Nocerino, il quale ha registrato una versione della title-track che mi ha convinto immediatamente. A quel punto era chiaro che sarebbe stato lui a registrare il resto dell’album. Lorenzo è un cantante eclettico ed è una persona con cui si lavora con benissimo. Ezio è una vecchia conoscenza, abbiamo militato nella stessa band, molti anni addietro, è un vero professionista ed è stato di grande aiuto negli arrangiamenti, a mio parere ha un gusto musicale invidiabile. E’ stato lui a presentarmi Alfonso, il batterista. Alfonso è molto conosciuto nel panorama metal nostrano ed ha fama (meritata, devo dire) di essere un musicista eccellente.
Sei passato dall’essere l’unico membro del gruppo a un band dalla formazione allargata, in cui collaborano nelle vesti di special guest alcuni personaggi celebri del metal. Lascio a te l’onore di svelare questi nomi e ti chiedo: come sei entrato in contatto con queste stelle?
Sì, alla batteria c’è Mark Zonder (Fates Warning, Warlord, Chroma Key): Mark è da sempre uno dei miei punti di riferimento dal punto di vista compositivo, io sono fan di lunga data dei Fates Warning. Ho deciso dunque di contattarlo, visto che, ovviamente, l’idea di collaborare con lui mi allettava parecchio. Ha ascoltato quello che gli ho mandato, gli è piaciuto e mi ha confermato che si poteva partecipare. Ovviamente il punto di vista è cambiato completamente ed è stato chiaro da quel momento l’album necessitava di produzione (e budget) adeguato. Michele Guaitoli (Visions of Atlantis, Temperance) mi è stato presentato da Lorenzo e da Alfonso. Michele è un artista straordinario, quando lo ho conosciuto, però, le parti vocali erano già state completate. Ho definito le linee vocali e il testo di “Stains” in un paio di giorni, con il proposito di avere un pezzo per Michele e credo sia stata una ottima decisione. Michele ha fatto un gran lavoro su “Stains”, il pezzo è stato trasformato completamente, da “filler” strumentale con inserti acustici, è diventato uno dei due singoli. Tutto merito della sua interpretazione profonda e teatrale. Paul, invece, ha registrato un breve cameo, è un amico è un eccellente chitarrista Jazz. Infine, in un paio di pezzi c’è Ray Alder dei Fates Warning: Ray è sempre stato uno dei miei idoli musicali. A parte la band principale, di lui ho seguito anche i vari progetti alternativi, i sottostimati Engine, il recente album solista e, soprattutto, i Redemption. Lo ho conosciuto tramite Mark, averlo sull’album è stata una soddisfazione enorme, anche, a parte la questione sentimentale, alla luce del risultato. Uno dei migliori cantanti sulla scena prog, a mio parere.
Con questa line up hai inciso l’album d’esordio, come sei riuscito a coordinare così tanti artisti sparsi per il globo?
La pandemia ha provato che il telelavoro è possibile. La musica non fa eccezione, almeno per quanto riguarda le collaborazioni non in tempo reale. Le registrazioni si sono svolte in maniera non molto dissimile da quanto accade normalmente in studio, ognuno ha registrato la sua parte in base al click e a un riferimento musicale. Naturalmente la parte più difficile è stato il coordinamento di tutti gli artisti e la gestione sequenziale delle registrazioni: è stato un lavoro intenso che ha richiesto parecchi mesi. Se a questo si aggiunge il commissionamento dell’artwork, di mixaggio e post-produzione e della preparazione del prodotto finale, è abbastanza chiaro che mi sono trovato a gestire un carico di lavoro non trascurabile, che, per passione, ho fatto di buon grado.
Vivendo tutti a una certa distanza, probabilmente il Covid dal punto di vista operativo non vi ha molto condizionato, comunque avreste interagito a distanza. Ma sotto altri aspetti la situazione attuale ha in qualche modo influito sulla resa finale del disco?
In realtà non credo che abbia contribuito in modo determinante, io sono in Olanda, Mark in USA, Ray in Spagna, Alfonso a Napoli, Ezio a Bari e Michele e Lorenzo dalle parti di Udine… se anche ci fosse stata libertà di movimento, non credo che il budget ci avrebbe consentito di lavorare in modo differente. Soprattutto considerando che è un album di debutto.
C’è qualcosa che ti manca del lavorare da solo?
Di sicuro la composizione ne risente, ho avuto il privilegio di lavorare con artisti straordinari. Se ci fosse stata collaborazione anche in fase compositiva, credo che il prodotto finale ne avrebbe tratto grande giovamento. E, poi, fare musica insieme è molto più bello, diciamoci la verità.
Hai fatto una scelta ben precisa, quella di autoprodurti e di autopromuoverti, come mai? Non temi che il disco possa passare inosservato?
E’ una scelta precisa. Non sono un musicista in senso stretto. Non vivo di musica e questo mi pone in una situazione di invidiabile vantaggio, la questione economica mi interessa relativamente poco. Il mio obiettivo era quello di pubblicare un album. Obiettivo, direi, raggiunto e, lasciamelo dire, superato abbondantemente, mai avrei pensato di suonare con i miei idoli musicali. Mi sto occupando personalmente di promuovere l’album e conto sulla collaborazione di persone come te, Giuseppe, che aiutano moltissimo. Se i proventi della distribuzione di questo album dovessero essere sufficienti per finanziare il prossimo in maniera più adeguata, sarei già molto soddisfatto. “Pentesilea Road” è un album che ho composto durante svariati anni e che, fino alla sua completa registrazione, non ho mai smesso di comporre. E probabilmente non è ancora finito, magari per il prossimo la promozione sarà gestita in modo diverso.
Il nome Pentesilea Road trae ispirazione da “Le città invisibili” di Calvino, scrittore che io amo. Il disco è un concept a lui dedicato o in qualche modo la sua opera ha influenzato i contenuti lirici?
Assolutamente sì. Pentesilea è il nome di una delle Città Invisibili di Calvino, il capitolo che amo di più, di un libro che amo molto (in particolare la versione narrata di Moro Silo). L’album prende ispirazione non tanto dal tomo in sé, ma da ciò che rappresenta: una metafora del vivere comune e dell’orrore che spesso ne consegue. I contorni indefiniti di Pentesilea, rappresentano, nell’album, l’archetipo del villaggio globale, con le sue iperconnessioni, il senso di insofferenza alla condizione apolide, il potere intimidatorio del politicamente corretto. C’è molto di Calvino nell’album, ma non è un concept in senso stretto. Dal punto di vista lirico, l’album è pervaso da una filosofia di rivolta al mondo post-moderno, quello del capitalismo della sorveglianza e del fast-food, ed è prettamente autobiografico.
Non so perché, ma la copertina mi ha ricordato, invece, Hayao Miyazaki. C’è qualche collegamento tra il vostro esordio e il cineasta giapponese?
Se dici Miyazaki, quelli della mia generazione rispondono Conan… in realtà non c’è alcuna connessione con il Castello Errante (non in maniera cosciente almeno), ma devo ammettere che la copertina ricorda molto almeno un paio di opere del maestro giapponese.
Hai intenzione di portare dal vivo i Pentesilea Road e, in caso affermativo, con quale formazione?
Difficile fare previsioni, visti i tempi. Mi piacerebbe molto suonare dal vivo e dividere il palco con i gentiluomini che mi hanno accompagnato sarebbe grandioso. Attendiamo la risposta al disco, la fine della pandemia…poi chissà…
