Apogod Project – A prog Bible

Ospiti di Mirella CatenaOverthewallgli Apogod Project Patrick Fisichella e Giovanni Puliafito – per parlare dell’album “A Prog Bible”.

Grazie di essere qui su Overthewall, vi chiedo subito come è iniziata la vostra carriera musicale?
Giovanni: Innanzitutto vi ringrazio per l’opportunità che ci avete dato, di presentare il nostro disco e di spiegarne la genesi e lo sviluppo. Sia io che Patrick abbiamo iniziato la nostra carriera da molto prima rispetto al concepimento di questo album e la formazione di questo duo. Ho iniziato all’età di nove 9 lo studio del pianoforte, conseguendo il Diploma in Conservatorio. A 18 anni ho iniziato anche a studiare Composizione sempre in Conservatorio, conseguendo anche il Diploma. Mi sono avvicinato al mondo della musica per film, studiando con il Maestro Luis Bacalov all’Accademia Chigiana di Siena. Sono attualmente Docente di Teoria Analisi e Composizione presso il Liceo Musicale di Messina, ho anche insegnato Composizione in Conservatorio sempre a Messina, la mia città. Da diversi anni mi occupo di composizione di colonne sonore, con diverse collaborazioni con produzioni indipendenti. Prodotti che hanno vinto concorsi, andati in onda su canali anche internazionali. Mi occupo anche di arrangiamenti per diversi generi musicali e quasi sempre in collaborazione con Patrick. Io e Patrick coltiviamo da oltre venti anni un’ amicizia fraterna, fatta di stima e affetto, che poi è scaturita anche nella nostra prima importante collaborazione, ApoGod Project – A Prog Bible.
Patrick: Mi unisco al “grazie” di Giovanni. Io ho iniziato studiando chitarra, prima da autodidatta e poi seguendo lezioni da privato ed in alcune delle scuole più note in giro per l’Italia. dal 1999 insegno chitarra per varie strutture ed istituzioni private e dal 2009 per i corsi Yamaha Music, per i quali sono esaminatore internazionale dal 2013. Da tre anni insegno chitarra e produzione audio anche per i corsi RSL Rockschool Of London. In ambito audio e registrazione la passione è nata da piccolissimo. Nel biennio 2001/02 ho conseguito il Diploma Tecnico Superiore come “Esperto in Tecnologie Multimediali” presso la facoltà di Ingegneria di Messina, con una tesi sull’audio digitale. Mi sono occupato negli anni di tanti spettacoli teatrali, anche di rilievo nazionale, per i quali ho curato la scrittura delle musiche, il sound design, la fonica e l’esecuzione dal vivo anche in tournée in giro per lo stivale. Ho prodotto album di artisti in ambito pop, rock, metal, orchestre sinfoniche, gruppi corali, spesso lavorando, come già lui anticipava, proprio insieme a Giovanni.

Siete autori di una delle più interessanti produzioni musicali degli ultimi anni, com’è nata l’idea del progetto Apogod?
Giovanni: L’idea nasce nel lontano 2003 da Patrick che è da sempre appassionato di storia delle religioni. Una sera mi disse che il suo desiderio era quello di musicare la storia più appassionante e cruenta di tutti i tempi: l’Antico Testamento. Iniziammo a parlarne ma purtroppo per tanti impegni a cui la vita ci sottopone, ritardammo la lavorazione dell’album per tanti anni fino al 2018. Quella sera del 4 luglio 2018, alla festa del mio compleanno, un nostro caro amico (Marco Giliberto, il nostro fotografo) ci disse: “Avete musicato tanta roba, scritto tanti brani per altri musicisti, avete tutto il necessario e tutte le potenzialità, perché non lavorate a qualcosa di completamente vostro”? Quella notte stessa iniziammo seriamente a lavorare a quella vecchia idea conservata nel cassetto. Dopo 4 anni, il 28 luglio 2022 lo abbiamo presentato ufficialmente, appoggiati dalla casa discografica Metalzone Italia che ci supporta egregiamente in questa nostra impresa.
Patrick: Aggiungo che l’idea è dovuta anche al fatto che Giovanni aveva già messo in musica all’inizio del 2000 (insieme all’amico chitarrista Giorgio Napolitani) la “Divina Commedia” ed aveva musicato anche molti passi dell'”Odissea” ( qualche anno dopo si sarebbe cimentato anche con l'”Eneide”). Io venivo da lunghe letture su Zarathustra ed il mazdeismo ed avevo preso spunto da alcuni passi dell’Avesta (libro sacro del mazdeismo) per comporre svariati brani. Mettere in musica i racconti sul dio di Abramo sarebbe stata la naturale prosecuzione…

Quali sono stati i tempi di realizzazione di A Prog Bible e come si è svolto il processo di composizione?
Giovanni: Il processo di scrittura è stato complesso e lungo 4 anni. Abbiamo iniziato delineando una struttura dell’album, formato da 10 brani, inizialmente strumentali, ma in corso d’opera abbiamo ritenuto di inserire un cantante in 5 brani. Abbiamo scritto tutto noi due, Patrick ha curato oltre alla composizione dei brani, i testi, le chitarre e i bassi che lui stesso ha registrato e tutta la produzione audio, nei suoi Gargamella’s Studios. Io oltre alla composizione, ho curato l tastiere, synth, tutte le orchestrazioni e la programmazione della batteria che poi abbiamo affidato al nostro batterista che ha registrato. Insieme io e Patrick abbiamo scritto le melodie vocali. Un processo lungo, impegnativo, ma anche emozionante, abbiamo creato la musica che a noi piace, con cui siamo cresciuti. Insieme ai miei studi classici in conservatorio, dall’età di circa 13 anni ho sempre ascoltato metal, con tutte le sue ramificazioni e sottogeneri. Ci siamo lasciati ispirare, emozionare ed anche turbare dalla lettura del testo stesso, immaginando la nostra musica come se fosse la colonna sonora di questa grande storia.
Patrick: Vorrei però puntualizzare che nel momento in cui ci accingevamo alla scrittura di un brano avevamo
già in mente l’argomento che avremmo trattato, tanto che quasi tutti i titoli che sarebbero poi diventati quelli definitivi erano già presenti e pronti anche a brani appena iniziati. Po la fase di editing, mix e master è stata un incubo. La massa strumentale era così imponente che sono dovuto scendere spesso a compromessi per tentare di far sentire ogni linea. In alcuni brani mi sono trovato a lavorare su oltre cento tracce.

L’opera vanta la partecipazione di musicisti che hanno contribuito alla sua realizzazione. Ci parlate di queste collaborazioni?
Giovanni: Con noi hanno collaborato numerosi musicisti, di cui siamo estremamente soddisfatti perché hanno sposato la nostra causa, appassionandosi fortemente a questo ambizioso progetto. Salvo Cappellano, ha cantato sui brani “Cyber Abraham and the Massacre of Sodom”, “Egyptian Plagues”, “Promised Land (A prayer of Moses)” e “The Divine Code”. Il “misterioso” Azathoth ha cantato invece “The Great Flood of Blood”. Salvo Pennisi ha registrato tutte le batterie, Silvia Bruccini ha realizzato i cori sul brano Promised Land, Francesco Aiello ha suonato le percussioni nell’intro di “Egyptian Plagues” e “Gabriels” ci ha regalato un bellissimo assolo nel brano “The Divine Code”. Tutti musicisti che hanno un passato musicale alle spalle di un certo rilievo, fra studi, collaborazioni ed esperienze sia live che incisioni. Alcuni di loro provengono anche da generi musicali diversi, come Silvia Bruccini, cantante jazz, pop, fusion e Francesco Aiello, specializzato in percussioni latine e ritmi sudamericani.


L’Artwork della copertina è stato affidato all’artista messinese Domenico Puzzolo, cosa rappresenta?
Giovanni: Domenico Puzzolo è un fantastico artista messinese, anche nostro caro amico. Quando iniziammo a scrivere i brani, ancora in fase embrionale, inviammo alcune demo insieme ad una spiegazione dell’album a Domenico, lasciandolo assolutamente libero di ispirarsi e rappresentare le sue idee ed emozioni. Dopo pochissimo tempo ci ha consegnato la copertina, realizzata a mano con la tecnica della china su un foglio formato A3 circa, ed il nostro logo. Eravamo entusiasti! La copertina rappresenta Salomè con la testa di San Giovanni, un’idea scaturita dall’artista che simboleggia le proprie emozioni derivate dalla narrazione, dalla nostra musica e (forse) un collegamento tra questo album ed una futura continuazione…
Patrick: Domenico è un grandissimo amico ed uno straordinario artista. Ci ha fatto un regalo dal valore incommensurabile per “A Prog Bible”!

Siete già al lavoro su altre opere che riguardano gli Apogod? Qualche anticipazione per i nostri ascoltatori?
Giovanni: Gli Apogod Project avranno sicuramente un seguito. Io e Patrick stiamo già lavorando al nuovo disco, che non riguarderà la “Bibbia” (almeno per il momento), posso solo dire che sarà sempre ispirato da argomenti culturali e letterari.
Patrick: Shhh! Non dire troppo, non dire troppo che scema l’hype!

Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?
Giovanni: Potete seguirci sulla nostra pagina Facebook ed instagram e ascoltarci praticamente ovunque, Spotify, Youtube e tutti i social cercando ApoGod Project – A prog Bible.

Grazie di essere intervenuti su Overthewall!
Giovanni: Grazie a tutti voi!
Patrick: Grazie a te Mirella ed a tutti gli amici di Overthewall!

Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 23 Gennaio 2023.

Voivod – Synchro anarchy

Grande attesa per venerdì 9 dicembre al Demodè Club di Bari, arrivano i canadesi Voivod, band seminale nel mondo del thrash metal sperimentale, con una carriera ormai quarantennale, iniziata ufficialmente nel 1984 con l’album “War and pain”, pubblicando successivamente una serie di dischi fondamentali per il genere tra cui “Dimension Hatröss” e “Nothingface”, rispettivamente del 1988 e del 1989. Nel 2022 pubblicano il loro quindicesimo album in studio “Synchro Anarchy” e da poco hanno dato alle stampe un EP dedicato alla serie televisiva giapponese “Ultraman”. Sul palco del Demodè venerdì a partire dalle ore 21 in attesa del grande show dei Voivod avremo sul palco due tra le band più note del panorama metal nostrano, i Dewfall e i Cruentus.

I primi sono pronti a festeggiare i vent’anni di carriera il prossimo anno, Flavio Paterno, chitarrista della band, ci dice orgoglioso:
I Dewfall nel 2023 si apprestano a celebrare la seconda decade di militanza nel vasto panorama del metal e se mi avessero chiesto nel lontano 2003 se ancora oggi avrei visto la band tenere banco in un orizzonte temporale così lungo, senza indugi avrei risposto di sì, perché come tutti siamo partiti con la voglia e il sogno di suonare la nostra musica preferita su di un palco. Oggi siamo il risultato di quello che siamo riusciti a sognare insieme nonostante sia rimasto l’unico della band originale. Abbiamo esordito nel 2003 con l’EP “Legacy of Souls” con Valerio Lorè al basso e Giuseppe Carnimeo alla chitarra, per poi firmare il primo full lenght “V.I.T.R.I.O.L.” nel 2009. Oggi la band è il risultato di un’evoluzione naturale di un progetto musicale che si è nutrito dei vari interpreti che si sono avvicendati nel tempo, fino all’arrivo nel 2011 di Vittorio Bilanzuolo alla voce, Niko Lucarelli alla chitarra, Saverio Fiore al basso e Ambrogio Locardo alla batteria. Nel 2013 abbiamo pubblicato un altro EP “Painful Death Lake” e nel 2018 il secondo album “Hermeticus”, un personale tributo simbolico al mito occulto ed esoterico di Federico II di Hohenstaufen, Puer Apuliae per antonomasia. Sarà proprio questo lavoro il protagonista del live-set che proporremo venerdì allo show di supporto ai Voivod, dove confermeremo la line-up che vede Nico Lassandro affiancarmi, ormai da un po’, alle sei corde e con la quale stiamo ultimando un fine tuning sul nuovo disco, un “codex” che sta emergendo ancora più oscuro negli intenti e nelle sonorità con un songwriting veloce, minimalista e progressivo al tempo stesso le cui tematiche attingono da raccolte di leggende, romanzi e trattati su luoghi, personaggi ed epoche narranti la tradizione storico-culturale della nostra terra.

A seguire i Cruentus, band ancora più longeva, Antonello Maggi ci racconta in breve la storia della sua band:
Attivi dal 1989, i Cruentus sono sempre rimasti fedeli alla vecchia scuola thrash-death metal, ma sapientemente mescolata con le più disparate influenze, dall’hardcore-punk al prog rock di matrice ’70, e rivisitata con sperimentazioni e strumenti non convenzionali per il genere (tastiere, sintetizzatori, percussioni, fiati, etc.). Nel 1996 arriva il debutto discografico con “In Myself”, per molti divenuto un cult e ancora distribuito in tutto il mondo attraverso canali web. Per il trentennale, nel 2019 abbiamo pubblicato l’album “Fake”, che ottiene un buon riscontro di critica e pubblico, da cui è tratto il primo singolo “Everspace”. Come band prediligiamo la dimensione live, che ci ha portato a calcare e condividere centinaia di palchi in Italia e all’estero con nomi prestigiosi del panorama metal mondiale (Coroner, Entombed, Arch Enemy, Flotsam & Jetsam, Destruction, Necrodeath, Sadist, Dew Scented, etc.), e l’apertura per i Voivod, band ispiratrice per i Cruentus, è la migliore occasione per testare questa nostra attitudine. In cantiere abbiamo un nuovo album dalle coordinate ‘cruente’, la cui uscita verrà annunciata nel 2023.

Alle 22.50, dopo l’esibizione delle due band baresi, è prevista quella dei Voivod, per l’ultima delle loro quattro date italiane, in attesa del concerto abbiamo intervistato il loro chitarrista, Daniel Mongrain, meglio conosciuto come Chewy.

Come è cambiata la scena metal negli ultimi vent’anni?
La scena metal è in continua esplosione. Si sono creati tanti sottogeneri che sono diventati come il jazz con tutte le loro diverse estetiche, epoche e attitudini. E non sembra affatto rallentare, per cui lo trovo molto stimolante.

Come è stato ritornare a suonare dopo due anni di chiusura e cosa ne pensi delle restrizioni che abbiamo dovuto vivere nel mondo e nel vostro paese?
Siamo molto felici di essere tornati sui palcoscenici, di certo non sapevamo quando e come sarebbe andata a finire, le restrizioni sono state qualcosa a cui ci siamo dovuti adattare, ma ci siamo mantenuti attivi in maniera differente, realizzando spettacoli in streaming, scrivendo musica. Ci siamo tenuti occupati e l’abbiamo presa come una sfida creativa, abbiamo imparato a lavorare insieme a distanza e a utilizzare la tecnologia come un ottimo strumento per creare. Probabilmente viviamo nella migliore era della comunicazione per poter far sì che funzionasse anche durante una pandemia, l’umanità non aveva un lusso tale nel 19° secolo. Ti adatti e trovi la tua strada, altrimenti impazzisci.

Avete mai pensato a dei tour commemorativi di alcuni vostri album classici?
In realtà lo abbiamo fatto durante la pandemia, abbiamo suonato tre spettacoli chiamati “The Hypercube Sessions”, il primo incentrato sulla nostra setlist del 2019. Gli altri due, rispettivamente, una sera abbiamo suonato per intero “Dimension Hatröss” e la successiva “Nothingface”. Rivisitare questi album è stato davvero divertente. Per me personalmente fanno parte dei miei album preferiti di tutti i tempi, se consideri che quando uscirono ero un giovane fan adolescente non ancora nella band. Un sogno che si è avverato. Probabilmente faremo di più in futuro, portarli in tour sarebbe fantastico.

Nel panorama musicale metal i Voivod sono una band dal sound unico, il tempo vi ha dato ragione, qual è secondo voi la ragione della longevità della band e di una seconda giovinezza?
Perseveranza, creatività, lavoro di squadra, il desiderio di superare noi stessi ad ogni album, il bello di organizzare i tour, incontrare i fan in tutto il mondo, fare amicizia e divertirsi nel farlo!

Il vostro ultimo lavoro, “Synchro Anarchy”, ha un suono più pulito e meno distorto, differente dal sound dei primi Voivod. Avrete lo stesso suono anche sul palco?
In verità gli accordi sono così densi e le dissonanze sono ovunque, la distorsione rende tutto troppo sfocato quando ce n’è troppa. Una minor distorsione rende gli accordi con un suono migliore e ne puoi apprezzare maggiormente l’armonia e la dissonanza, perché la dissonanza crea distorsione in modo naturale. Inoltre una distorsione minore fa sì che il basso sia più chiaro e pulito nel mix. Suona più ampio ed efficiente. Lo studio e il palco sono due cose diverse, perché suoniamo canzoni di album differenti, ci assicuriamo che la band suoni bene insieme e che usiamo gli effetti appropriati. Il giusto mix è suonare bene insieme, compatti.

Come è nata l’idea di dedicare un EP alla serie TV Ultraman? Possiamo aspettarci qualcosa di simile in futuro?
Quando eravamo adolescenti, c’era una serie TV che era differente da qualsiasi cosa avessimo mai visto prima. Veniva dal Giappone, ma era tradotta in francese, dato che siamo franco-canadesi. Siamo rimasti tutti stupefatti dal personaggio e dalle storie. Era super fantascientifico, Ultraman era diverso dagli altri supereroi che conoscevamo. Conoscevamo la musica della colonna sonora, e durante la pandemia, molto prima di scrivere i brani per “Synchro Anarchy”, in studio ho giocato un po’ con la canzone, ho fatto un arrangiamento, usando anche una canzone della scena di battaglia chiamata “Victory”, dello stesso compositore. Ho composto così un medley in tre parti diverse. La versione giapponese ha tre versi differenti, ma la versione inglese o francese avevano un solo verso. Quindi aveva senso fare una versione in tre lingue e una interamente in giapponese. Ho cantato i versi giapponesi perché l’ho imparato un po’, ho così capito i testi e permesso di pronunciarli correttamente. Snake era terrorizzato alla sola idea di imparare tutto questo, per cui mi ha lasciato cantare la parte giapponese, e per me è stato davvero molto divertente. Siamo cresciuti con la versione francese, ma sapevamo dell’esistenza della versione in inglese, per questo motivo abbiamo realizzato una versione in tre lingue. Inoltre è disponibile anche una “instrumental mix version”’ “oltre all’intera versione in giapponese.

Avete attraversato tanti generi rimanendo sempre “Voivod”, quanto è cambiato il vostro modo di concepire la musica e la composizione?
Che io sappia, a parte “Synchro Anarchy”, dove non abbiamo potuto suonare insieme a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, generalmente improvvisiamo insieme registrando le jam. Filtrando le parti buone creando una struttura e un’atmosfera solida. Penso che sia stato sempre così nei Voivod nel corso degli anni. E coinvolge subito tutti nel processo”.

Quello di sabato è il vostro primo concerto al Sud Italia, cosa ci aspetteremo quella sera sul palco?
Siamo molto entusiasti di venire nel Sud Italia, suoneremo brani di diversi album, di epoche diverse della band, alcune della vecchia scuola, altre più recenti, ognuno avrà la sua preferita.

Quali band attuali vi piacciono? Che tipo di musica ascoltano i Voivod oggi?
Ascoltiamo diversi tipi di musica sul tourbus, dal prog anni 70 come Tempest e Allan Holdsworth, ma anche P.I.L., Frank Zappa, Journey, Beatles, alcune cose jazz come Pastorius, o cose completamente differenti. Away ha sempre il suo Ipod. Recentemente abbiamo ascoltato il nuovo lavoro di Ozzy Osbounre, con chitarristi come Clapton e Jeff Beck. Anche la musica dei Cardiacs mi piace molto.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA IN VERSIONE RIDOTTA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 7 DICEMBRE 2022

Tommy Talamanca – Flussi sonori

Dopo ben nove album pubblicati con i Sadist – in attesa che il decimo, “Firescorched”, esca a maggio – Tommy Talamanca si lancia in una nuova avventura, questa volta solista. “Atopia” (Nadir Music), pur mantenendo quei tratti unici che caratterizzano da sempre il sound dei Sadist, presenta ai fan del musicista genovese nuove, e forse anche inaspettate, sonorità.

Ciao Tommy, cosa provi quando leggi il tuo nome sulla copertina di un disco e non quello dei Sadist?
Non mi reputo tanto più egocentrico della media delle persone, alla luce anche del lavoro che faccio, ma certo l’ego gioca un ruolo determinante nelle scelte di vita, e forse è spesso un motore molto importante. D’altro canto, anche far parte di un’entità condivisa con altri, come può essere un gruppo rock, come una qualsiasi altra persona giuridica, può risultare altrettanto stimolante per il proprio ego. Nel mio caso, 30 anni di vita pieni di alti e bassi, grandi soddisfazioni e grandi delusioni, non sono pochi.

Credi che non avere il logo pesante della tua band sul disco ti lasci maggiore libertà oppure ti responsabilizzi maggiormente?
Non avere altri referenti se non se stessi può essere anche molto spiazzante, voglio dire, l’unico giudice vero che abbiamo è il tempo, credere che il giudizio degli altri sia altrettanto autorevole quanto il giudizio della storia, rientra nel difetto antropologico di ritenerci così importanti. Condividere le scelte con altri, soprattutto quando poi si potrebbero rivelare sbagliato, è un segno di debolezza più che di forza.

Cosa c’è in “Atopia” che non hai mai proposto nelle tue uscite precedenti?
Il mio amore per l’hard rock anni 80, più che altro in alcuni episodi cantati da Gloria. Spero comunque che il disco risulti all’ascolto per come l’ho concepito: una raccolta di composizioni interessanti e, sperabilmente, gradevoli.

Quando e come sono nati questi brani?
Le composizioni dei brani sono andate parallelamente alla scrittura del nuovo Sadist, o, più prosaicamente, in “Atopia” sono confluite tutte le idee meno marcatamente metal. Anche se Sadist è una band che spesso si lancia in territori avanguardistici, è giusto porsi dei paletti: la componente metal deve essere sempre preponderante.

Quando hai scritto i brani in cui compare, avevi già in mente di affidarti alla voce di Gloria Rossi?
Forse è più giusto dire che alcuni brani sono nati di conseguenza alla collaborazione con Gloria, che lavora già da qualche anno in Nadir Music in qualità di vocal coach ed insegnante di canto. Scrivo spesso musica per altri, per lo più solisti pop, ma è stato molto stimolante poter comporre brani smaccatamente poppeggianti per piacere e non solo per esigenze lavorative.

“Darlking Glades” è stato scelto come singolo di presentazione dell’album, credi che sia il brano più rappresentativo del disco?
Il brano più rappresentativo dell’album è sicuramente il secondo singolo “The Flow”, la cui uscita è coincisa con la pubblicazione stessa dell’album: un mix di pop e rock con incursioni nella world Music.

Forse per la presenza di una voce femminile e per alcuni suoni, questo disco mi ha fatto pensare a “Crisis” di Mike Oldfield. Paragone troppo azzardato il mio?
Non so se il paragone sia azzardato, è di certo lusinghiero. Prima di essere un chitarrista, ancorché un chitarrista rock, sono un musicista: il rock per me è un vestito, ne più ne meno come qualsiasi altro tipo di scelta stilistica. Ci sono brani così belli che possono vestire qualsiasi abito: prendi per esempio “Yesterday”. Ecco, scrivere un bel brano è per me l’aspirazione più grande; questo è il motivo principale della cover, riarrangiate, di “Fog”, un pezzo dal potenziale enorme.

Mi hai anticiparto, stavo giusto per chiederti: come mai hai pensato di riproporre “Fog” e “Holy” dei Sadist in una nuova versione?
Mi ricollego a quanto appena detto a proposito dell’importanza del giusto arrangiamento di un brano. Ritenevo che “Fog” meritasse una seconda occasione, alla fine la sua unica colpa era stata quella di essere finita su un brutto disco. “Holy” invece è secondo me un brano che non richiede grandi riarrangiamenti, e l’aggiunta della voce non stravolge un brano che di per sé funzionava già nella sua versione originale. Pensavo comunque potesse essere presente anche in questo album.

Proporrai le canzoni di “Atopia” dal vivo o resterà un progetto da studio?
Navighiamo a vista, più del solito: difficile fare progetti in tal senso. Ora torno a concentrarmi su Sadist, che esce tra pochi mesi. Alla fine io sono un artigiano della musica, lascio che le cose procedano in base alla necessità del momento, e se nel mentre riesco a scrivere della musica interessante, alla fine il mio viaggio non sarà stato infruttuoso.

Luca Di Gennaro – Il secondo avvento

Luca Di Gennaro ha legato il proprio nome a quello dei progster nostrani Soul Secret e ha collaborato con svariate band – Subsignal, Seven Steps To The Green Door e TDW – durante tutto l’arco della propria carriera. Dopo questo cammino, che è stato particolarmente formativo, ha deciso di compiere il fatidico passo dell’album solista, rilasciando nei primissimi giorni del 2022 per la finlandese Lion Music Records il lavoro autografo “The 2nd Coming”.

Ciao Luca, dopo diversi album con svariate band arrivi al tuo esordio solista con “The 2nd Coming”. Cosa ti ha spinto a questo passo?
Ciao Giuseppe e grazie innanzitutto per lo spazio dedicatomi. Mi è sempre piaciuto scrivere musica: lo trovo stimolante, divertente e gratificante. L’idea di creare un disco solista risale quasi all’inizio del mio percorso musicale, ma la spinta a pubblicarne uno – e quindi a formalizzare il progetto – è stata del mio amico Davide Guidone, manager della mia band Soul Secret. Composi “Chasing Next” e gliela feci sentire. Lui mi chiese quanti brani di questo tipo avessi a disposizione ed io risposi che al momento era l’unico. La sua risposta fu: “Fanne altri 6 o 7 e li pubblichiamo”. Aggiungici il fatto che amo le sfide, ed ecco qui “The 2nd Coming”.

I brani che sono entrati nel disco provengono da registrazioni e bozze precedenti, accumulate negli anni, o sono abbastanza recenti?
Sono quasi tutti brani i cui primi provini risalgono al 2008/2009. Quello di “Into the Rainfall” risale a qualche anno prima, non ricordo di preciso ma forse addirittura ai primi anni del 2000. Il perché ci siano voluti anni e anni è presto detto: volevo occuparmi personalmente dell’intera catena di produzione del disco ed inizialmente tutto suonava come una demo. Capii che per acquisire le competenze che mi permettessero di far suonare i brani così come desideravo ci sarebbero voluti tempo ed esperienza. Ho quindi studiato passo dopo passo tutti gli aspetti che ritenevo opportuni, come ad esempio missaggio e mastering, ed ho immagazzinato svariate esperienze durante questi anni, tra cui la collaborazione con Moog Music, i lavori con band straniere, la produzione di 5 dischi della mia band e di colonne sonore per videogiochi. Oltretutto, la musica non è il mio lavoro principale ma la mia più grande passione, quindi i tempi sono stati più lunghi. Alcuni brani hanno subìto modifiche anche importanti nel corso degli anni e, alla fine, solo oggi li sento così come volevo all’inizio. È stato un percorso lungo e soddisfacente che mi ha arricchito moltissimo.

Come cambia il tuo modo di comporre ed eseguire i brani quando lavori “in proprio” e quando lo fai in una band?
Nella scrittura solista si ha il vantaggio principale di avere una sola linea guida dettata dal proprio gusto, dovendo avere a che fare soltanto con la persona che dovremmo conoscere meglio e cioè noi stessi. Ovviamente hai più libertà ma anche più responsabilità perché tutto è sulle tue spalle. Nella scrittura di gruppo, invece, interagisci con altre persone che hanno le loro ispirazioni, i loro momenti e le loro convinzioni. Se tutti questi venti soffiano nella stessa direzione, il prodotto finale è più ricco, e l’ascolto critico di più persone aiuta la scrematura.

Quali musicisti hanno collaborato con te nel disco?
Li cito in ordine di apparizione. Alfonso Mocerino, batterista fenomenale dei Temperance e Starbynary, ha registrato tutte le parti di batteria acustica in sei degli otto brani. Sapevo che affidargli il compito sarebbe stata una mossa vincente, conoscendolo da tanti anni, ma non potevo immaginare che addirittura avrebbe fatto tutto in due giorni! Un vero professionista. David Wise, straordinario compositore inglese di fama mondiale per i suoi contributi nell’ambito dei videogiochi (Donkey Kong Country, Starfox Adventure, Battletoads etc.), ha registrato un assolo di sassofono contralto sul brano “Into the Rainfall”. Ogni volta che lo ascolto ho la pelle d’oca, pensando a quanto la sua musica abbia influenzato i miei gusti ed il mio stile. Nella title-track del disco sono presenti tre fantastici assoli di chitarra da parte di Maria Barbieri, chitarrista eccezionale che vanta citazioni da parte di capisaldi del genere come Robert Fripp, Franco Mussida e Steven Wilson, Stefano Festinese, chitarrista dei The A-renella Team e mio grandissimo amico, e Frank Cavezza, chitarrista dei Soul Secret, compagno di avventura e musicista di primissimo livello.

Facciamo un gioco: immaginando, un secondo disco solista e potendo contare su un budget illimitato, quali musicisti ti piacerebbe avere sul tuo album?
Devo necessariamente aggiungere una regola al gioco: escludo dalla lista i musicisti con cui suono attualmente nei Soul Secret perché sono tra i miei preferiti in assoluto e le risposte sarebbero troppo ovvie (ride, ndr)! Detto questo, vediamo… alla batteria chiamerei Gavin Harrison, al basso Tony Levin, alla chitarra Marco Sfogli, alla voce Russel Allen e, ovviamente, l’intera Orchestra Sinfonica di Londra!

Domanda a bruciapelo: ti consideri un virtuoso?
No, perché lo considero un punto di arrivo. Ho ancora un’infinità di cose da scoprire e imparare. Al momento, possedere la tecnica per eseguire ciò che di volta in volta ho in mente e canalizzare il resto delle forze nella creatività e nella scoperta di nuova musica è ciò a cui mi sto dedicando.

Il disco è molto vario, questo risultato è una scelta voluta o è il frutto dell’istinto?
Frutto dell’istinto, in quanto mi piace suonare ed ascoltare di tutto. Come dicevo prima parlando di David Wise, i videogiochi hanno avuto una grande influenza sui miei gusti musicali. Quelle colonne sonore contengono davvero di tutto, poiché devono adattarsi a miriadi di situazioni diverse, e questa ricchezza di ascolto nella mia “adolescenza musicale” mi ha permesso l’ascolto dei generi più disparati senza alcun pregiudizio.

Mi incuriosisce il titolo “The 2nd Coming”, lascia più pensare a un secondo disco che a un esordio (anche se da solista). Mi spiegheresti questa scelta?
Il titolo fa riferimento al mio approccio alla musica. A casa c’erano vari strumenti musicali ed un giorno per scherzo imbracciai la chitarra classica. I miei genitori mi incoraggiarono a prendere lezioni, che però non portarono a risultati immediati. Mi avvicinai allora al pianoforte, ma persi l’interesse dopo un anno. Con il senno di poi ho capito che queste due esperienze erano dei semi giusti che non attecchivano perché il terreno era sbagliato. Fu quando un amico del liceo mi prestò un album strumentale prog metal che ebbi la rivelazione: ecco dove mi sarebbe piaciuto applicare tutte quelle conoscenze acquisite! Ripresi lezioni di pianoforte e mi interessai da autodidatta allo studio degli altri strumenti. Il mio ingresso nel mondo della musica è quindi riconducibile ad un primo tentativo blando e poi ad un “secondo avvento”: la chitarra e poi il pianoforte, la musica classica e poi la musica rock. La copertina del disco e la title-track giocano su metafore attinenti a questa storia personale.

Hai intenzione di proporre questi brani dal vivo o resta un progetto da studio?
Non ci ho ancora pensato, sicuramente dipenderà dall’interesse che ci sarà attorno al disco. Di sicuro posso dirti che i brani non sono stati pensati per un’esecuzione fedele dal vivo e ci sono talmente tante tastiere in contemporanea che la gente chiamata a suonare sul palco sarebbe davvero troppa (ride, ndr). Vedremo! Spero innanzitutto di poter tornare sul palco quanto prima: come diceva il mio maestro di pianoforte, “suonare significa suonare dal vivo”.

Druknroll – Druknrolling metal

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

I Drunkroll, dopo aver pubblicato nel 2020 l’album “Freakingface” (Metal Scrap Records) stanno sfruttando il lockdown per produrre il nuovo materiale che finirà sul prossimo album. Abbiamo contattato i russi per fare il punto della situazione.

Benvenuti ragazzi, quando avete formato originariamente la band e questa è la formazione originale?
Druknroll: La band è nata nel 2006 con Horror alla voce, Jester alla batteria e io che suonavo tutto il resto. Nel 2013, Jester ci ha lasciato per portare avanti altri progetti ma rimanendo nostro amico. Dopo il 2017 abbiamo preso a bordo il chitarrista Denis e il polistrumentista Oleg. Questa è la nostra formazione più recente ed è questa che registrato lil nostro album

Quali obiettivi sperate di raggiungere con i Drunkroll?
Oleg: Attualmente, il nostro obbiettivo è fare musica quanto più interessante e straordinaria possibile. Può sembrare arrogante, ma vogliamo arrivare a un livello superiore. Ben più interessante!
Denys: Il nostro obiettivo principale è rendere il nostro seguito molto più grande! Vogliamo attirare quanti più fan possibili e far conoscere loro la nostra musica.
Druknroll: Banging, thrashing, kicking, punching and druknrolling metal music! Preferiamo il come ai modi!

Vi state stai esibendo attualmente o siete fermi a causa della pandemia?
Oleg: Stiamo ragionando sul nuovo materiale. Molte band lo stanno facendo ora. Penso che questa sia una buona via d’uscita in questo momento di crisi.
Druknroll: La pandemia non ci ha spaventato affatto. Ci stiamo facendo il culo come è sempre!

Quanto è importante l’attività live per una band underground come la vostra?
Denys: Penso che non sia un segreto che ogni musicista vorrebbe concentrarsi al 100% sulla musica e farne un lavoro. Se sei una band underground significa, allora, che hai una vita normale con la sua routine. L’attività dal vivo e le esibizioni sono estremamente importanti ma a volte non ha la forza per mettercela tutta.
Oleg: Penso che non sia così importante. I Darkthrone non si sono mai esibite e sono delle leggende.
Druknroll: Penso che i concerti siano molto importanti per ogni band. Ma dal momento che non ne abbiamo mai fatto uno, non posso dirtelo con certezza.

Il vostro ultimo album è “Freakingface” (2020), siete ancora soddisfatti?
Denys: Sì, perché guardando indietro, possiamo dire con certezza che eravamo al massimo del nostro potenziale in quel momento. Come possiamo non essere soddisfatti di noi stessi? Non è megalomania, per questo stiamo ancora esplorando i nostri limiti.
Oleg: Penso che sia molto buono. Penso che troverà un posto nelle collezioni dei metallari
Druknroll: Certo che lo siamo! Abbiamo fatto del nostro meglio durante la registrazione dell’album. Quindi, sì, siamo pienamente soddisfatti di ciò che ne è venuto fuori.

State già lavorando alle nuove canzoni?
Denys: Certo, lo siamo e speriamo che vi piacerà!
Oleg: Abbiamo quasi finito il nuovo album. Vi farà esplodere la testa.
Druknroll: Sì, il nostro lavoro non si è mai fermato. Tutte le nuove canzoni verranno registrate entro la fine dell’anno. Poi pubblichiamo un EP all’inizio del prossimo anno, come ho detto, e poi arriverà un full lenght. Rimanete sintonizzati.

Ascolteremo un nuovo album in linea con “Freakingface” o il vostro sound è cambiato in questi mesi?
Denys: Avevo un’ossessione per i giri armonici, quindi ci saranno un sacco di cose da sballo.
Druknroll: Vorremmo modificare un po’ il suono, ci stiamo pensando parecchio in questi giorni. Ma l’idea di base un potente attacco metallico rimarrà invariata.

Il nuovo disco uscirà su Metal Scrap Records?
Druknroll: Sì! Amiamo la nostra etichetta e siamo convinti che continueremo a lavorare con lei ancora per molto.

Drunkroll, after releasing the album “Freakingface” in 2020 are taking advantage of the lockdown to produce the new material for the next album. We contacted the Russians to take stock of the situation.

Welcome, when did you originally form and is this the original line-up?
Druknroll: The band came to exist in 2006 with Horror on vocals, Jester on drums and me playing everything else. In 2013, Jester left us to pursue other projects but remaining our friend. After 2017 we got guitarist Denis and multi-instrumentalist Oleg on board. This is our most recent line-up and this is who record our music.

What new goals do you hope to achieve with Drunkroll?
Oleg: Currently, our task is to make as interesting and extraordinary music that we can. It may sound arrogant, but we want to take it to the next level. Be more interesting!
Denys: Our main goal is to make our musical community much bigger! We want to attract as many fans as possible and introduce them to our music.
Druknroll: Banging, thrashing, kicking, punching and druknrolling metal music! We prefer the process to the results.

Are you currently performing or are you stopped due to the pandemic?
Oleg: We are thinking about a stream where we can present new material. Many bands are doing this now. I think this is a good way out at this time.
Druknroll: Pandemic didn’t scare us at all. We are working our asses off as it always was and is.

How important is live activity for an underground band like you?
Denys: I think it’s not a secret that every musician wants to be 100% focused on a music as a lifework. If you’re an underground band or a musician it means that you have regular life with routine. Live activity and performances are extremely important but sometimes you don’t feel the strenght to pust it hard enough.
Oleg: I think it’s not that important. Darkthrone never performed and they remain legends.
Druknroll: I think gigs are very important for every band. But since we never played one I can’t tell you for sure.

Your last album is “Freakingface” (2020), are you still satisfied?
Denys: Yes, ‘cause looking back there were the best versions of us at this moment. How can you be unsatisfied with yourself? I mean it’s not a megalomania and we are still exploring our limits of possibilities.
Oleg: I think it will turn out to be very good. I think it will take a place in the collections of metalheads.
Druknroll: Of course we are! We tried our best and put the best of us in while recording the album. So, yeah, we are fully satisfied with what it appeared to be.

Are you already working on the new songs?
Denys: Sure, we are and we’re hope you’ll gonna like it!
Oleg: We have almost finished the new album. he should blow your head off.
Druknroll: Yes, this work never stopped actually. All the new songs are to be recorded till the end of the year. Then we release an EP early next year, as I said, and then a full-length comes. Stay tuned.

Will we listen to a new album in line with “Freakingface” or has your sound changed in these months?
Denys: I had an obsession with harmonic squeals so there will be a lot of whammy bar stuff.
Druknroll: We wanted to alter the sound a bit, we are thinking about it right now. But the idea of powerful metal-attack will remain unchanged.

Will the new record be released on Metal Scrap Records?
Druknroll: Yeah! We love our label and are willing to work with it again and further.

That’s all, thanks!
Druknroll: Cheers! And don’t forget to grab our new music next year!

Eldritch – Sogni sommersi

Tornano gli Eldritch con un disco, “EOS” (Scarlet Records), che al contempo rappresenta un passo indietro – la band ritrova lo storico tastierista, Oleg Smirnoff, dei primi tra album – e un passo in avanti in quel percorso di ricerca e mutazione, che da sempre caratterizza il camminano del gruppo italiano.

Se non ho fatto male i calcoli con “EOS” tagliate il traguardo del dodicesimo album in studio. In una nazione come la nostra, dove occasioni ce ne sono poche,  le strutture sono inadeguate e il mercato è quasi inesistente, come si fa ad andare avanti fregandosene di tutto e tutti?
Il motivo è sicuramente uno solo: la grande passione per la musica che facciamo da sempre. Quella ci farà sempre andare avanti. Se un giorno dovesse esaurirsi, allora sarà la volta che di questa band non sentirete più parlare. E non mi riferisco solo a me e Terence che siamo i fondatori. Negli anni abbiamo quasi sempre avuto la fortuna di trovare persone che si sono unite a noi con la stessa voglia condividendo momenti belli ed altri meno belli. E’ anche vero che essendo nati più come band internazionale, non guardiamo soltanto la situazione italiana. Non a caso infatti abbiamo forse più seguito all’estero.

Eos è la divinità dell’alba, ben raffigurata nella copertina, in qualche modo questo disco rappresenta l’alba di una nuova fase della vostra carriera?
Assolutamente sì! Possiamo definirlo un nuovo inizio dal momento che parecchie cose sono cambiate da un paio di anni a questa parte. Il ritorno di Oleg Smirnoff, nostro storico tastierista dei primi tre album, è stato indubbiamente accolto da tutti noi con grandissimo entusiasmo. Stesso discorso per il nuovo bassista Dario Lastrucci, autentico pezzo da 90 con una mostruosa padronanza dello strumento e ad una grande personalità anche in sede live. Dario è anche polistrumentista e sa cantare, infatti i cori su “EOS” sono opera sua al 90% così come le parti di violino su “I can’t Believe It”. La loro presenza è stato un deciso passo in avanti per noi e infatti, come speravamo, si è sentito anche in termini di sound.

In tema di divinità, il nucleo portante degli Eldritch proveniva da una band chiamata Zeus, c’è una qualche connessione tra l’attuale titolo e il vostro vecchio moniker oppure ci troviamo innanzi a semplice amore per la cultura classica che ciclicamente torna?
Escludo senza dubbio la prima che hai detto, niente a che vedere col vecchio monicker! In realtà, la nostra idea è sempre stata quella di un titolo composto da una sola parola ma non volendo ripeterci con un gioco di parole, abbiamo optato per “EOS” che, oltre ad essere immediato, rappresenta in pieno quello che siamo adesso.

Guardandovi indietro, vi sembra di aver raccolto quanto seminato? Magari dopo due album importantissimi come “Headquake” ed “El Niño” non avete avuto molta fortuna…
Avremmo voluto e potuto fare di più ma in tutta sincerità, non sempre tutto è andato per il verso giusto. Per ottenere un certo tipo di successo tante componenti devono andare nella stessa direzione e purtroppo non sempre è stato così. Un po’ perché non abbiamo mai accettato compromessi artistici, un po’ per nostre scelte sbagliate, un po’ perché forse in alcuni momenti della carriera avremmo avuto bisogno di altro tipo di supporto… non tutto è andato come forse speravamo. In ogni caso considerando ogni aspetto, siamo orgogliosi di essere ancora qui a fare la nostra musica ed essere apprezzati. Il genere stesso non è facilmente assimilabile e da un punto di vista commerciale è considerato un po’ d’élite.

Proprio con “El Niño” si è interrotta la vostra storia con Oleg, abbiamo dovuto attendere 23 anni ed “EOS” per risentirlo su un vostro album. Cosa ha reso possibile tutto questo?
Gli scazzi del passato furono già chiariti più di 15 anni fa e infatti realizzammo insieme anche il doppio album live “Livequake” nel 2008. Già ai tempi di “Gaia’s Legacy” valutammo una reunion ma per varie ragioni non fu possibile. Poi tre anni fa dall’idea di celebrare i 20 anni di “El Nino” (suonato integralmente al Ready For Prog Fest a Tolosa), abbiamo manifestato entrambi la volontà di tornare a fare musica insieme ed eccoci qui…

La presenza di Oleg in qualche modo vi ha fatto tornarne indietro nel tempo, magari riattivando dinamiche compositive all’interno del gruppo che all’indomani della sua uscita si erano perse?
Oleg ha un modo unico di suonare e intendere le tastiere sia nei suoni che sul piano armonico. Il suo stile nel tempo si è sicuramente evoluto ma senza snaturarsi e di conseguenza questo ha influito in modo determinante a far riassaporare gli echi del passato al nostro sound attuale. Ed è quello che noi tutti volevamo. Anche in fase compositiva ha dato ovviamente il suo contributo visto il suo background e le sue idee. Tuttavia nessuno di noi avrebbe mai voluto rinunciare alla nostra evoluzione compositiva e ricreare copie dei primi dischi.

Ritengo che abbiate mantenuto sempre degli standard altissimi nella vostra produzione, riuscendo anche a mutare – alcune volte con scelte coraggiose – ma mantenendo sempre una coerenza di fondo che vi rende riconoscibili. “EOS” da questo punto di vista mi sembra perfetto, perché in qualche modo contiene tutti gli elementi della vostra passata produzione, rivisitati in chiave attuale: una scelta ponderata o è il frutto di un processo compositivo spontaneo?
Direi entrambe le cose. Ovviamente ci siamo confrontati come sempre per capire se eravamo tutti della stessa idea, ovvero ricreare l’atmosfera dei primi dischi cercando però di non fare passi indietro rispetto alla maturità compositiva che abbiamo raggiunto col precedente “Cracksleep”. Abbiamo capito da subito che sarebbe stato del tutto naturale andare in quella direzione senza bisogno di confronti. Abbiamo degli elementi che ci caratterizzeranno sempre e ci rendono riconoscibili nonostante la nostra propensione al non ripeterci. Però cerchiamo sempre qualcosa di nuovo rispetto al passato…Credo che il punto di forza di “EOS” sia proprio quello di aver ricreato il nostro sound e le nostre soluzioni degli esordi ma in chiave attuale e con un approccio decisamente più moderno. L’elemento che più ci ha reso soddisfatti di questo album, oltre alla qualità dei pezzi, è proprio quello di cui ti ho appena parlato.

Non ho i testi dei brani, in qualche modo sono stati condizionati dalle recenti vicissitudini dovute alla pandemia?
No, della pandemia si parla già abbastanza. Si tratta come sempre di situazioni di vita vissuta in cui tutti possono identificarsi. Per quanto possa apparire indubbiamente un filo conduttore che lega anche i nostri precedenti lavori, riteniamo siano argomenti che non stancano mai perché rispecchiano quello che un po’ tutti viviamo quotidianamente. Solo nel caso di “The Cry Of A Nation” affrontiamo in maniera un po’ più diretta lo stato d’animo di un paese stanco di convivere costantemente con elementi negativi legati ad una situazione sociale/politica che tende a sfruttare, corrompere e sopraffare. Non vuole essere assolutamente un testo politico ma piuttosto solidale con chi soffre questa situazione. E non è riferito soltanto all’Italia… anzi.

Restando in tema pandemia, contate di poter promuovere il disco in giro per l’Europa a breve o se ne parlerà dalla prossima primavera in poi?
Credo proprio che di suonare dal vivo ne riparleremo non prima della primavera prossima. Speriamo davvero di riuscire a fare anche promozione live perché il palco ci manca tantissimo.

3 Dreams Never Dreamt – Dettagli musicali

Ospite di Mirella Catena ad Overthewall, Gianluigi Girardi dei 3 Dreams Never Dreamt, band autrice dell’album “Another Vivid Detail” (My Kingdom Music).

Benvenuto Gianluigi Girardi su Overthewall! Ti chiedo immediatamente le origini della band e i vostri precedenti trascorsi musicali…
La band nasce nel 2007 dalla volontà del nostro chitarrista Andy e mia, di formare una band nella quale suonare il genere musicale che amavamo, che unisce le nostre influenze gothic, doom e p
rog. Volevamo scrivere da subito musica originale e imparare a pre-produrla nel migliore dei modi così da arrivare in studio di registrazione con le idee chiare su quello che volevamo ottenere.

Citiamo la line up attuale?
La line up attuale che è la stessa da ormai sei anni è formata da Andy Signorelli e Andrea Rendina alle chitarre, Maria Torelli al Basso, Davide Martinelli alla batteria e me, Gianluigi Girardi, alla voce.

Avete battezzato la vostra band con un nome veramente interessante, ma quali sono questi tre sogni mai sognati e che tipo di sensazione vi trasmette il fatto di non averlo potuto o voluto fare?
Questo nome deriva dalla strofa di un testo che scrissi per una vecchia band (I feel like a dream that no one ever dreamt) che in seguito sarebbe dovuto diventare il titolo di un mio progetto solista (4 Dreams Never Dreamt). Quando fu il momento di pensare ad un nome per la band lo proposi ai ragazzi pensando di modificare il quattro in tre, numero positivo associato al giullare e derivante dall’unione dei numeri del maschile, associato al numero uno e femminile, il due. Il sogno della band è l’unico possibile per ogni musicista, ovvero riuscire a far conoscere la nostra musica e a condividere ciò che vi riversiamo dentro a quanti più ascoltatori possibili.

“Another Vivid Detail” è un bellissimo intreccio di sonorità, si percepiscono influenze di grandi band come Blackfield, Porcupine Tree, Katatonia, Paradise Lost ma sapientemente miscelate da musicisti innegabilmente maturi e consapevoli delle proprie potenzialità, come è il vostro approccio alla stesura di un brano?
I nostri brani nascono solitamente da dei demo strumentali scritti da Andy, ai quali mi occupo di aggiungere melodie vocali e testi. Successivamente con tutta la band arrangiamo le musiche fino a farne spesso qualcosa di sostanzialmente diverso grazie alle influenze di ognuno di noi cinque.

Mattia Stancioiu e gli Elnor Studio di Magnago sono riusciti a donare all’album un suono potente, nitido e di assoluto livello internazionale, quando siete entrati in studio di registrazione avevate già le idee chiare sul risultato da ottenere o vi siete affidati totalmente alla perizia tecnica del produttore?
Avevamo idee abbastanza chiare, ma ci siamo comunque lasciati guidare dai suggerimenti dati da Mattia, al quale anche in questo caso abbiamo affidato la produzione artistica dei pezzi. Abbiamo completa fiducia in lui, tanto che abbiamo lasciato che lavorasse autonomamente sui mix dei brani. Ormai lui è diventato uno di noi, sa esattamente cosa ci aspettiamo di raggiungere e sa come portarci a quel risultato.

La My Kingdom Music anche in questa situazione si è dimostrata etichetta discografica in grado di scegliere sempre band di livello molto alto, come siete entrati in contatto con Francesco e il suo staff e quali sono le ragioni che vi hanno portato a collaborare con loro?
Eravamo in contatto con Francesco da diversi anni, infatti gli avevamo proposto di pubblicare anche il nostro primo CD, che però non ha ritenuto ancora sufficientemente maturo per una pubblicazione. Inoltre ho lavorato con lui in precedenza, visto che sempre lui ha pubblicato due dischi dei Crown of Autumn, nei quali occupo il ruolo di cantante. Per questo motivo conoscevamo già la sua professionalità, oltre a conoscere bene le band che pubblica, che sono sempre, come dici tu, di altissimo livello!!!

Gli ultimi due anni sono stati molto difficili per il mondo musicale, al calo drastico delle vendite degli artisti si è aggiunto lo stop dei live causa pandemia Covid-19, pubblicare un album a Febbraio dimostra una grande fiducia della ripresa dell’intero movimento, come anche noi di Overthewall d’altronde, come pensate di promuovere “Another Vivid Detail” e come vi sta aiutando la MKM da questo punto di vista?
Dal momento che la promozione è stata un po’ complicata da realizzare in questo periodo, abbiamo pensato di pubblicare vari singoli ad ognuno dei quali abbiamo legato un video. Per la precisione abbiamo pubblicato un lyric per “The Poet”, primo dei singoli pubblicati, e due video nei quali abbiamo avuto l’ardire di recitare, il primo per “Save Me From Myself” ed il secondo ed al momento ultimo per “The Ballad of A”.

State già lavorando a qualcosa di nuovo? Avete delle anticipazioni per gli ascoltatori di Overthewall?
Stiamo già scrivendo da qualche tempo quelli che saranno i pezzi che andranno a formare il terzo capitolo della nostra storia. Preparatevi ad un nuovo “AVD”!

Quali sono i vostri contatti sul web?
È possibile trovarci su Facebook all’indirizzo https://m.facebook.com/3dreamsneverdreamt oppure su Instagram https://www.instagram.com/3dreamsneverdreamt/

Grazie di essere stati con noi…
Grazie di cuore a te per averci ospitati e a chi ha avuto voglia di arrivare a leggere fin qui.

Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 20 Settembre 2021

Stefano Panunzi – Oltre l’illusione

“Beyond the Illusion” è il nuovo lavoro del tastierista Stefano Panunzi, musicista romano attivo in proprio ormai da più di un decennio. Nel suo terzo album solista (distribuito da Burning Shed / Metaversus PR) è accompagnato da artisti di fama internazionale tra cui spiccano i nomi di Tim Bowness (No-Man) e Gavin Harrison (Porcupine Tree, King Crimson e tanti altri). “Beyond the Illusion” è un collage lunatico di influenze progressive: un’opera che affonda le sue radici tra l’art rock (con una dedica al compianto Mick Karn dei Japan che suonò nei primi due album solisti di Panunzi), l’ambient jazz e l’alternative rock.

Salve Stefano, i miei complimenti per il tuo nuovo disco. In “Beyond the Illusion” sei circondato da numerosi – e direi prestigiosi – ospiti, è stato difficile riuscire a coinvolgerli e soprattutto a coordinare il tutto nella lavorazione dell’album?
Non ho avuto difficoltà a coinvolgere gli artisti presenti nell’album, anzi, devo dire che c’è stata una bella coesione e un grande entusiasmo da parte loro. Inizialmente pensavo che Tim Bowness potesse cantare in tutti i brani scritti in forma canzone, ma per una serie di sue ragioni personali, alla fine, ha cantato solo su “I Go Deeper” però mi ha proposto alcuni cantanti in alternativa, tra cui Grice, che contattato, ha aderito al mio progetto e alla scrittura di tre tracce. A parte Grice, conoscenza dell’ultimo momento, tutti gli artisti partecipanti sono conoscenze di lunga data, Tim Bowness e Gavin Harrison, tanto per citarne un paio, appaiono già sui miei album dal 2005!

Ho trovato molte affinità nel sound con i primi lavori dei Porcupine Tree (soprattutto nei brani strumentali) e No Man, quali sono le tue influenze?
Probabilmente ci sono atmosfere dei Porcupine Tree, nelle quali mi ci ritrovo, ma non ho mai pensato a loro quando le ho composte, ci sono delle strade che si intraprendono, e che in molti prendiamo perché è il genere che ci piace, è l’uso degli strumenti e delle ritmiche che ci esaltano, che ci intrigano, a volte si creano delle somiglianze, a volte no. Se somiglianze ci sono, sono casualità. Anche per quanto riguarda i No Man, ho letto un commento lasciatomi su YouTube in merito al video “The Portrait”, dove appunto si alludeva alla somiglianza con la band del duo Bowness/Wilson, ebbene, a me sembrano di più i Talk Talk!

Ci sarà modo – a emergenza pandemica conclusa – di vederti dal vivo magari accompagnato da qualche ospite del disco?
Non credo. Fino ad oggi, i miei progetti e i miei orientamenti sono stati rivolti solo alla realizzazione di album, e credo che questa sarà la strada anche per il futuro.

Nei tuoi lavori ci sono sia brani strumentali che cantati, è una decisione che prendi a priori quando componi un brano o è un qualcosa che viene sviluppato più avanti nella composizione?
La nascita di un brano strumentale o di una canzone non è sempre programmata, a volte è casuale. Parto con un’idea, una serie di accordi, una ritmica e pian piano che cresce realizzo se può tramutarsi in una canzone o rimanere strumentale, cerco di percepire il mood del fluido musicale, se l’atmosfera si adatta ad un cantante, se il giro d’accordi può essere funzionale ad un cantato, mi immagino un po’ il suo futuro…

Ho notato una particolare cura nelle grafiche (e nel packaging), ce ne vuoi parlare?
Trovo importante “incorniciare” le musiche e i testi in un packaging “giusto”, fatto di immagini, di colori e di trame grafiche adatte allo spirito e al sentimento dell’album. Per quanto riguarda “Beyond The Illusion”, ho avuto la collaborazione e il contributo artistico dell’inglese Stephen Dean Wells. Casualmente vidi delle elaborazioni grafico-digitali da lui fatte e mi impressionò perché rispecchiavano quel modo di vedere un po’ velato della realtà che sento mio, quella visione e percezione tra il sogno e la realtà. Mi piace quando l’arte è bellezza, non solo per la sua essenza, la sua intrinsecità, ma perché permette di aggiungere a chi la fruisce qualcosa di proprio, e apre porte su mondi infiniti di sensazioni e creatività.

La traccia “I Go Deeper” è cantata da Tim Bowness dei No Man, in che maniera sei venuto a contatto con lui e come mai la scelta di inserire il brano in versioni differenti dei vostri rispettivi album?
Conosco Tim da più di quindici anni, con lui ho avuto diverse collaborazioni, sia per i miei album come solista e sia per i progetti Fjieri, ma con lui anche anche altri grandi musicisti come Richard Barbieri, Gavin Harrison, Mick Karn (r.i.p.), Theo Travis, Robby Aceto, ecc. ecc. Lo contattai proprio per proporgli questo brano perché lo scrissi su invito della produzione del cortometraggio “Deep”, poi vincitore del 73esimo Film Festival Internazionale di Salerno. Tim fu entusiasta di partecipare e colse l’occasione di utilizzarlo, sotto altro arrangiamento, perché sentiva che mancava qualcosa di “fresco” all’album che stava realizzando in quel momento, cioè “Flowers At Scene”, così lo riarrangiò, lo fece missare da Steven Wilson e concluse felicemente quel suo progetto discografico. 

I tuoi lavori sono frutto di una ricerca musicale che raramente troviamo nella musica attuale, in che maniera pensi di collocarti nella scena odierna e c’è un futuro per il pop (per dare una definizione il più ampia possibile) di qualità?
Amo utilizzare quelle sonorità che già ascoltandole aprono praterie di sensazioni (ricordi il discorso sopra che feci sull’arte e della sua importanza a coinvolgerti con l’immaginazione?). Devo dire che crescendo con pane e Japan, british band del (mio) passato, qualche semino è stato depositato nella mia sfera creativa ed emozionale, e ringrazio di buon cuore Richard Barbieri (con lui ho una conoscenza personale quasi trentennale) per la ricerca di sonorità che sempre lo ha contraddistinto. Credo oramai che in un ambito musicale di nicchia un mio posticino, dopo 15 anni, lo abbia conquistato, non mi sento di appartenere ad un genere vero e proprio, spazio in quelle latitudini dove il senso estetico, la ricerca del suono, la melodia e lo schivare la banalità provano ad affacciarsi e a coesistere. Mi chiedi del futuro del pop? Io mi autoproduco, con sforzi porto vanti il mio mo(n)do di pensare e di creare, non devo rendere conto a nessuno. Più che altro, in una visione generale e di prospettiva, ci sarà il futuro per la musica indipendente? Non schiava di contest televisivi che alla fine creano cloni e schiavi di target mercificati e di edonismo?

A quali progetti stai lavorando in questo momento?
Ho messo in cantiere già diversi brani per il mio prossimo (quarto) album, sto contattando gli artisti ai quali affidare alcune sezioni strumentali e sto valutando quali cantanti coinvolgere nel progetto. Vorrei inserire nel futuro album anche dei piccoli racconti che accompagneranno l’ascoltatore nel nuovo percorso musicale. Insomma c’è da lavorare, ma sono molto fiducioso nella buona realizzazione di qualcosa di piacevole.

Geometry of Chaos – Soldati del Nuovo Ordine Mondiale

Nati dalle ceneri degli Alchemy Room, per volontà di Fabio Lamanna, i Geometry of Chaos sono arrivati all’esordio con “Soldiers of the New World Order” (NeeCee Agency), un complesso concept album di progressive metal.

Ciao Fabio (La Manna – chitarrista, bassista e compositore), inizierei facendo un passo indietro: come mai è finita l’avventura targata Alchemy Room, band in cui militavate tu e Davide Cardella?
Dopo l’EP successivo al primo disco come Alchemy Room, la band vide il bassista e la cantante lasciare il gruppo per motivi legati al genere musicale da seguire… ( grande paradosso dato che io ero sempre stato l’unico compositore)… A quel punto, provai a riformare la band con Andy, il batterista, passare alla voce, e Davide, che conobbi in quel periodo, alla batteria. Effettivamente, la band si rivelò completamente snaturata in quel modo, e  successivamente io e Andy decidemmo di sciogliere gli Alchemy Room. Decisi di seguire il mio progetto solista più incentrato sulla chitarra, sempre con lui alla batteria; nel contempo, formare un nuovo progetto con Davide con un’impostazione più metal e sperimentale.

Cosa vi portate dietro di quella esperienza e cosa, invece, avete tagliato definitivamente del vostro passato?
Fondamentalmente ci portiamo dietro l’esperienza di tanti live, le tante persone conosciute, i molti luoghi visitati, le tantissime ore di sudore e lavoro in sala prove, di studio sullo strumento, e anche tanto divertimento ovviamente! Chiaramente io e Davide siamo qualcosa di diverso ormai da quella band: siamo maturati, cresciuti, come musicisti e persone.

Il promo in mio possesso non riporta la line-up, fa giusto un riferimento alle varie voci ospiti nel vostro esordio “Soldiers of the New World Order”: come dobbiamo considerare i Geometry of Chaos, una vera band oppure un progetto esclusivamente di voi due nel quale si alternano vari ospiti?
È molto strano che non abbiate riportata la line-up. Il progetto ruota intorno alla mia figura. Io compongo, scrivo la musica e scrivo i testi e mi occupo di chitarre, tastiere e basso. Davide si occupa della batteria e ha collaborato compositivamente con alcuni riff. Gli altri collaboratori sono Marcello Vieira, Elena Lippe e Ethan Cronin. Sono da considerare ospiti molto coinvolti dalle loro parti, ma comunque rimangono dei guest vocalist all’interno  dell’album, non membri effettivi della band.

Parliamo di questi ospiti, alla voce troviamo Marcello Vieira, Ethan Cronin e Elena Lippe: come siete entrati in contatto con loro?
Marcello l’ho conosciuto tramite YouTube, in un filmato che mi è capitato di vedere, (una cover band dei Dream Theater). Allo stesso modo, Ethan l’ho contattato dopo averlo ascoltato su YouTube in una cover di una canzone dei Linkin Park. Ho visto questi  video delle loro performance in modo casuale, in mezzo alle tante cose che si vedono su internet, e ho provato a contattarli.  E’ stato tutto, in realtà, veloce e facile con loro, perché sono delle grandi persone. Sono rimasti subito entusiasti della mia proposta e del mio progetto. Mentre Elena, amica storica torinese che suona nei Feronia, si è rivelata subito contenta di partecipare e collaborare per una traccia, che successivamente abbiamo registrato a Torino insieme negli studi della Rocklab. Marcello si trova in Portogallo, Ethan è inglese. Le cose sono state gestite, come si dice, “a distanza”… è stato un po’ più complicato dell’avere il musicista sempre accanto durante la produzione, ma in realtà tutto ha funzionato perfettamente. La collaborazione è stata molto proficua.

Il disco è un concept, tra un po’ ne approfondiremo i contenuti, per il momento vorrei sapere:  le canzoni sono state cucite sulle voci ospiti oppure sono stati gli ospiti a dover adeguarsi ai brani già scritti?
Le canzoni, comprese anche delle parti vocali, oltre a quelle strumentali, erano già complete prima della decisione sulle voci. Quando ho descritto ai vocalist ospiti i pezzi, era già tutto studiato, perfezionato  ed editato precedentemente, sulla base della mia voce registrata.

Il concept di cosa parla e chi lo ha scritto?
Il concept è opera mia. L’idea iniziale è partita dall’analisi della situazione attuale del mondo e della società tutta. L’elaborazione di questa analisi è una visione distopica di un futuro non precisato, in cui la situazione attuale si estremizza, il mondo è davvero controllato da una élite ristretta di persone… Una stretta cerchia di governanti che determina ogni parte, ogni aspetto della vita del singolo individuo, fino a privarlo delle libertà principali individuali… rendendo i cittadini quasi alla stregua di soldati,  di robot, di macchine… L’ unico scopo esistenziale di queste persone sembra essere quello di svolgere un lavoro, una missione, un compito per conto dei potenti, dei loro capi. Il concept si è sviluppato nell’arco di un lungo periodo. Ho deciso di dare a ogni canzone una diversa storia, con un differente personaggio con compiti e missioni specifiche. Nel disco si affrontano alcuni temi dell’esistenza, come appunto il lavoro, il tempo, la religione, la fede, i disturbi mentali. La tecnologia, la scienza e l’intelligenza artificiale si fondono in tutti questi aspetti della vita. Verso la fine dell’album, nel pezzo “Premonition”, un personaggio del concept, dotato di poteri (nel futuro distopico più persone hanno sviluppato capacità mentali fuori dal comune, con il  progredire anche della tecnologia e come parte naturale dell’evoluzione), visualizza un futuro ulteriore oltre la linea temporale del concept. Un futuro in cui avverrà una guerra totale fra le varie persone, i militari, i governanti e i robot. Essi saranno tutti parte in causa di una rivolta che porterà sicuramente dei cambiamenti radicali. Questa rivoluzione farà cadere, non si sa  per quanto, il potere del Nuovo Ordine Mondiale.

Come descriveresti, invece, la musica su cui si regge la trama?
Siamo fondamentalmente un duo che suona progressive e metal, ma all’interno di un concept e di diverse storie, atmosfere mutevoli, situazioni, si è sviluppato un percorso quasi cinematografico che segue il flusso degli event descritti. Nello sviluppo delle varie storie, quindi, si delinea una sorta di colonna sonora. Il nostro sound è concepito come un insieme di vari generi e di varie influenze che hanno contraddistinto sicuramente il mio gusto musicale, ma anche quello di Davide, nel corso degli anni. Dall’ hard rock, il vecchio progressive, al metal nei vari suoi sottogeneri, alla musica cinematografica. Il tema è molto drammatico. È stato naturale, nei punti salienti, dare un’atmosfera più cupa, più profonda e claustrofobica, poiché queste atmosfere e tematiche sono parte integrante del mio gusto e del mio “sentire”.

Sarò sincero, quando ho ricevuto il promo, non conoscevo il gruppo, così, guardando la copertina ho pensato a una band estrema, qualcosa tipo i Melechesh. Ovviamente, dopo pochi secondi di ascolto, ho capito di aver preso un abbaglio. Ma come si inserisce la copertina all’interno del concept?
Nella copertina viene ritratto un soldato, i suoi tratti non sono chiaramente distinti, perché volevo rendere questo aspetto della intelligenza artificiale, del soldato e dell’uomo civile, fusi insieme. All’interno del concept, queste figure sono quasi indistinte, sono esclusivamente esecutrici di compiti. Quello che vedi, appunto, è la figura di un personaggio che compie una missione per conto del Nuovo Ordine Mondiale.

Avete intenzione di proporre il disco dal vivo appena sarà possibile?
La natura complessa del disco, la presenza di diversi vocalist, l’auspicabile utilizzo di video e effetti luce, sono elementi che contribuiscono a rendere complicata l’esecuzione dal vivo in questo momento… È molto più probabile, che l’attività live di questa band, per quanto mi riguarda, verrà intrapresa solo nel momento in cui realizzeremo il secondo disco. Dovranno esserci tutte le condizioni ideali, perché valga la pena intraprendere un discorso live ben organizzato. La situazione nei locali, le location in cui esibirsi, la formazione ideale da portare dal vivo in primis, sono punti essenziali. Non voglio lasciare nulla al caso!

Vexovoid – Deep space sounds

Nel 2017 “Call of the Starforger” dei Vexovoid fu una delle uscite più belle della scena italiana. Da tempo ormai il disco è del tutto esaurito, fortunatamente la Black Tears Label ha deciso ristamparlo, aggiungendo anche l’EP del 2014 “Heralds of the Stars”.

Ciao Mattia (batterista della band), direi di iniziare dalla stretta attualità: a chi è venuta l’idea di ristampare “Call of the Starforger”, il vostro primo full-length del 2017?
Ciao a tutti. Beh, “Call of the Starforger” era andato esaurito già da un bel po’ di tempo e dato che in seguito la ETN Records, l’etichetta che lo aveva pubblicato nel 2017, ha chiuso i battenti, non è più stato ristampato. La domanda c’è sempre stata, perché fan da più o meno tutto il mondo ci chiedevano nuove copie del disco, ma per ristamparlo aspettavamo il momento in cui ci saremmo mossi alla ricerca di una nuova etichetta, magari in vista del prossimo album. Poi il tempo è passato, il covid ha bloccato tutto rallentando ulteriormente i lavori e noi eravamo ancora lì senza un disco. Abbiamo tamponato un pochino con la pubblicazione dell’album in formato tape per la Reborn Through Tapes Records, anche quelle andate esaurite in poco tempo, finché quest’inverno non ci ha contattati Daniele di Black Tears Label che si è detto interessato a prendersi carico del disco e ripubblicarlo, quindi noi abbiamo colto volentieri la palla al balzo, così da dare una seconda vita a “Call of the Starforger”, ma soprattutto per accontentare tutti quei fan che continuavano a chiederci quando avremmo ristampato l’album.

Questa versione, al di là della presenza del vostro EP “Heralds of the Stars”, quali sostanziali differenze presenta?
Non ci sono grosse differenze, è lo stesso album del 2017, oltre al formato che sarà in digipack due ante, abbiamo solamente aggiunto quattro bonus track che erano le tracce che componevano “Heralds of the Stars”, l’EP del 2014 che il nostro chitarrista Leonardo ha remixato e rimasterizzato per l’occasione nel suo studio di registrazione.

Come è stata accolta dai più la notizia di questa ristampa? Avete notato un maggiore fermento, segno di un più grande interesse di pubblico e addetti ai lavori, rispetto a quando venne pubblicata la prima versione?
Ovviamente, quando l’album era uscito la prima volta c’era molta attenzione verso di noi, venivamo da un periodo di abbondante attività live, in un contesto in cui la scena thrash viveva ancora di ottima salute e in cui noi eravamo considerati la promettente novità, quindi è ovvio che l’hype che si era creato attorno all’uscita di “Call of the Starforger” nel 2017 era molto più alto. A distanza di quattro anni però, in cui l’album ha girato, è stato assimilato ed è andato esaurito, è diventato un po’ un piccolo cult nel genere, merito anche di riviste/webzine, sia italiane che estere, che lo hanno più volte citato fra le migliori uscite di quell’anno accanto a nomi di grande rilievo. Quindi la richiesta non è mai mancata e con questa ristampa si è rimesso in moto e sta nuovamente facendo parlare di se.

Soffermiamoci ora proprio su “Heralds of the Stars”, come mai avete deciso di inserirlo come bonus track e non ristamparlo singolarmente?
Bella domanda, in effetti avremmo potuto anche stamparlo singolarmente, sarebbe stato bello riaverlo sul banco del merch, ma non eravamo sicuri dell’interesse che ci fosse a riguardo. Quando è uscito “Heralds of the Stars”, nell’ormai lontano 2014, era poco più di una demo home-made per noi, da distribuire ai concerti per pochi spiccioli o per una birra offerta, ma in realtà ha riscosso un notevole interesse della gente, girando per molto nella scena su cd masterizzati e scarabocchiati, quasi fossimo tornati ai tempi del contrabbando di demotape piratati di band sconosciute haha. Quindi in realtà non abbiamo mai pensato ad una ristampa “ufficiale” di “Heralds of the Stars”, ma allo stesso tempo ci è sempre dispiaciuto abbandonarlo all’oblio del tempo. Quindi abbiamo deciso di inserirlo in questa versione di “CotS”, così da dare anche un qualcosa in più a chi acquisterà questa ristampa: vuoi il collezionista che aveva già la vecchia edizione, ma non aveva l’EP; vuoi il nostalgico che vuole riascoltarsi “The Great Slumberer” dopo anni con una resa audio migliore; o semplicemente quello che finora non è riuscito ad acquistare il disco, causa penuria di scorte, ma che ha continuato comunque ad aspettarci.

Ascoltando di seguito i brani delle due opere, quale sono le differenze che avvertite tra i vostri pezzi più recenti e quelli più datati?
L’EP essendo uscito nel 2014 è sempre stato un po’ acerbo, come è normale che sia nelle prime fasi di una band, ma non per questo è un’uscita di minor rilievo, fa comunque parte del nostro percorso di crescita quindi per noi è importante quanto gli ultimi lavori. Su “CotS” abbiamo sperimentato un po’ con sonorità più complesse, pur mantenendo la vena che c’era già anche in “HotS”.

Quando vi si descrive, i nomi che vengono fuori sono Voivod e Vektor. Dopo tutti questi anni il paragone vi lusinga ancora o vi inizia a pesare perché preferireste che venisse riconosciuta la vostra identità artistica?
E’ sempre un onore incredibile essere accomunati alle nostre band preferite, quelle che maggiormente ci hanno dato l’ispirazione fondamentale per iniziare questo progetto. Quindi siamo sempre lusingati da tali paragoni, anche se non nascondiamo che vorremmo trovare la nostra dimensione artistica pur mantenendo salda questa ispirazione primordiale. Stiamo infatti lavorando per trovare un sound più nostro ma che affondi sempre le radici in quello che ci ha fatto nascere come band.

Da questo punto di vista, avete già dei nuovi brani e in che direzione vi state muovendo?
Siamo già avanti con la stesura di un nuovo disco e la maggior parte dei pezzi è stata scritta. Ci stiamo comunque prendendo il tempo necessario per non lasciare nessun dettaglio al caso e curare tutto al massimo del nostro potenziale, sia per quanto riguarda la musica quanto per amalgamare al meglio tutte le nostre influenze, che sono sempre state diverse da un membro ad un altro. Ma in fondo è questa amalgama che poi tira fuori il mix giusto per creare qualcosa di unico. Purtroppo c’è da dire anche che le tempistiche si sono ulteriormente allungate anche a causa delle limitazioni imposte dall’emergenza covid e dal fatto che ognuno di noi abita molto distante dall’altro, anche in regioni diverse

Qual è la componente del vostro sound che, al di là della vostra evoluzione, vorreste mantenere intatta nel tempo?
Sicuramente quella vena alla Vektor/Voivod. E’ stata la scintilla che ha acceso il fuoco, quindi ci sentiamo di mantenerla sempre presente nella nostra formula. Nonostante l’evoluzione che abbiamo avuto negli anni dopo “CotS”, manterremo sicuramente questo elemento intatto il più possibile anche se mescolato a stili diversi, in modo da renderlo sempre fresco e personale.

A seguito della pubblicazione della ristampa andrete in tour – condizioni sanitarie permettendo – o preferite rimandare a quando avrete fuori del materiale nuovo?
Sicuramente se la situazione covid lo permetterà faremo delle date per supportare la ristampa di “CotS”, ma comunque vogliamo concentrarci molto per finire il nuovo album, che, come dicevamo, a causa della distanza tra i membri della band e le varie limitazioni è rimasto in stand-by per diverso tempo. Ma appena il nuovo disco vedrà la luce, ci butteremo a capofitto sul fronte live.