“Krononota” (My Kingdom Music) il nuovo album degli In Tormentata Quiete è tra noi con un carico di certezze e di dubbi. Certezze derivanti dall’ennesima conferma della qualità della musica del gruppo, ancora una volta capace di scrivere un’opera di altissimo livello. I dubbi, non fugati nella nostra chiacchierata, riguardano il proseguo della vita della band…
Ciao Antonio, con “Krononota” siete attivati al quinto disco, possiamo definirla un’opera che, tra le altre cose, guarda anche indietro nella vostra storia?
Sì, “Krononota” è un viaggio nei ricordi di un uomo che ha riscoperto sé stesso e che decide di dismettere gli abiti di Non Vivente, nella speranza di una vita priva di sofferenze, per vestire invece gli abiti di Uomo Consapevole, capace di vivere a fondo la vita e di percepire la necessità comunicativa del creare (è ciò che chiamiamo Arte). La sensazione è che ora sia necessario fermarsi per ripensare alla propria crescita e al proprio percorso “misurando” il proprio tempo trascorso! Questa sensazione viene raccontata anche con le note e la musica, con la sua narrativa, ricalca ciò che viene detto attraverso i testi.
Nelle note che accompagnano l’album c’è scritto che “Krononota” è il finale di un racconto lungo cinque dischi: come dobbiamo interpretare quel “finale”? Come il raggiungimento di un traguardo nella vostra carriera oppure, in modo più spaventoso, come la parola fine sull’avventura In Tormentata Quiete?
Come abbiamo sempre detto, noi comporremo fintanto che avremo la necessità di raccontare. Ho scritto delle cose, ho delle melodie ma gli ITQ sono animali da sala prove. È dentro a quelle mura che nutriamo la creatura. In questo periodo non abbiamo potuto sfamarla. Noi non usiamo la tecnologia perché abbiamo bisogno di guardarci, spiegarci, litigare, sentirci per poter creare la giusta armonia. Per quanto le idee iniziali possano venir fuori anche dal singolo componente, è lavorando insieme che troviamo le giuste soluzioni, le quali devono essere soprattutto emozionali. Perciò io non so dirti ora se la necessità di raccontare sia ancora unanime. Se così sarà un nuovo racconto ITQ sarà registrato!
Le canzoni sono introdotte da piccoli monologhi del protagonista del concept, perché avete ritenuto necessario ricorrere a questa soluzione narrativa?
In realtà non sono “monologhi” ma “letture” di ciò che il protagonista scrive su un quadernetto (letture che saranno ascoltabili SOLO nella versione fisica del CD, non nelle versioni DIGITALI). Lui, sul quadernetto, disegna delle bozze di ciò che ricorda (i disegni presenti nel booklet del CD) e descrive le immagini che gli tornano in mente. Mi sembrava logico far “leggere” all’Uomo ciò che lui scrive sul quadernetto.
Il disco è diviso sostanzialmente in due parti, vi andrebbe di descriverle ai nostri lettori?
Sostanzialmente sì! La prima è ciò che lui scrive e prende il nome di “memoria del tempo”. Sono i cinque ricordi a lui più cari insieme alle motivazioni che lo spingono a scrivere le conclusioni a cui è giunto. È la parte fredda, un semplice riportare su foglio, una cronaca di quello che è stato vissuto (ecco perché è quasi letto con distacco). Scrive cercando di essere il più dettagliato possibile ma non riesce a riportare su carta quello che veramente prova e sente nel ricordare quei momenti. La seconda parte, rappresentata dalle canzoni, è l’intimità di ciò che vive, la parte emozionale, il subbuglio interno che i ricordi gli provocano. Voglio sottolineare ancora una volta che solo chi comprerà il CD fisico sentirà la prima parte (quella delle letture). In digitale sarà presente solo la seconda parte, quella emozionale (le canzoni). Questa scelta è stata fatta perché chi vuole vivere appieno il viaggio emozionale di “Krononota”, deve prendersi un’ora di tempo della sua vita, sedersi, prendere il booklet e immergersi nei disegni e nelle parole. “Krononota” non può essere un “mordi e fuggi” o almeno non al primo ascolto. So che una tale scelta è oggi “anticommerciale” ma, per fortuna, abbiamo trovato un’etichetta discografica che ci supporta in tutte le nostre scelte artistiche e che non ci ha mai ostacolato nel nome di un più facile guadagno (pezzi corti, look figo e cose del genere) ed è per questo motivo che da anni collaboriamo con Francesco Palumbo della My Kingdom Music.
La copertina di “Krononota”, così come quella dei suoi predecessori, è divisa in due parti, una contenente un’immagine e l’altra uno sfondo bianco con il vostro logo. A cosa è dovuta questa scelta?
La scelta è dettata da una necessità di creare un qualcosa che sia nostro e solo nostro, anche visivamente, e che facesse capire che tutti gli album sono legati fra loro. L’idea è del responsabile del progetto grafico, nonché grande fan della band sin dai primordi e nostro caro amico, Luca Antoniazzi. Ogni volta abbiamo chiesto ad un artista di tradurre in immagini le nostre note e i nostri testi. Così per “InTormentataQuiete” e “Teatroelementale” abbiamo avuto le creazioni fotografiche di Alex Mercatali, per “Cromagia” le visioni oniriche di Eugenia Trotta, per “Finestatico” il viaggio astrale di Giovanna Pugliano e per “Krononota” abbiamo chiesto a Federica Suriani di portarci nel suo mondo fatato.
Che ruolo hanno i colori nella vostra musica?
L’Uomo trae ispirazione comunicativa da tutti i suoi ricettori, fisici e non! I colori vengono percepiti in modo differente da ognuno di noi. Mi spiego meglio: scientificamente il rosso è ben definito (una radiazione elettromagnetica con uno specifico range di lunghezza d’onda), ma cosa sviluppa all’interno dell’Uomo è cosa personale. Questa personalizzazione ci permette di creare opere che sono distinte le une dalle altre e anche se prendiamo il miglior imitatore di un artista avrà un uso del colore differente dall’originale perché una cosa specifica come un colore, diventa personale e irripetibile quando passa attraverso la poetica di un Uomo. Questa cosa è applicabile anche alle note e ogni colore ha una capacità di risvegliare determinate note e condizioni. Questo è il forte legame che musica e colori hanno per me.
I vostri brani hanno una durata superiore alla media che va dai sei minuti ai nove, una scelta apparentemente insensata nell’epoca della musica mordi e fuggi. Nonostante ciò, avete estratto due singoli sino ad ora, “Color Daunia” e “Sapor Umbro”: come riuscite a far convivere esigenze artistiche e necessità promozionali?
Semplicemente sbattendocene. Le canzoni per noi devono avere una loro narrativa, una loro evoluzione. Se per raccontare servono 7 minuti, il pezzo durerà 7 minuti, se ne servono 11 ne useremo 11, se ne servono 3 ne useremo 3. Noi non forziamo il pezzo che ci dice in automatico quando è giunto alla sua fine. Se avessimo pensato a come fare per vendere avremmo fatto tante altre scelte oltre alla riduzione della durata dei pezzi.
La vostra musica è sempre stata di difficile catalogazione, senza apparente legacci imposti dai dogmi di genere. In questa completa situazione di libertà come è possibile evolversi non essendoci delle vere e proprie basi da cui distaccarsi?
Vedi, questi sono problemi che si crea chi è esterno alla band. Noi non ci mettiamo a comporre dicendo: “ora facciamo un pezzo innovativo” oppure “facciamo un pezzo classico”. Noi componiamo e basta. Ognuno di noi ha un bagaglio che si porta dentro e, ovviamente, nella composizione lo mette a disposizione del pezzo.
Avete in programma il rilascio di un box unico contenente tutti gli album su cui dipana tutto il racconto?
Al momento no.
