Tra le cose più belle ascoltate lo scorso anno c’è l’esordio di Carlo Masu e Le Ossa, “Ombre di un Corpo Estraneo” (Seltz Recordz, ViceVersa Records, Bare Bones Productions, Metaversus Pr). Si tratta del progetto (semi) solista di Carlo Masu, celebre per la sua militanza dei CUT, che in una dozzina di tracce si mette nudo per mostrare muscoli, ossa e anima.
Ciao Carlo, le note promozionali partono con una citazione da “Q” di Luther Blisset: “Qualcosa che aspetta da vent’anni. Quando i muscoli cominciano a irrigidirsi e le ossa fanno male, i conti rimasti aperti diventano più importanti delle battaglie e delle strategie”. Quali sono i tuoi muscoli irrigiditi e le tue ossa doloranti che ti hanno spinto all’azione?
Innanzitutto vorrei precisare che la frase estrapolata da “Q”, un libro che adoro, è decontestualizzata ma descrive magnificamente quello che mi ha spinto a portare a termine questo disco. I semi di quanto è stato trasposto su disco sono stati piantati più di venti anni fa. Il tempo e le esperienze hanno fatto perdere di tonicità sia alle energie fisiche che alla capacità di adattamento emotivo alla contemporaneità, per cui fanculo la battaglia del voler essere a passo coi tempi e fanculo a tutte le strategie che stanno dietro alla comunicazione ipertrofica di questa contemporaneità. Per rispondere alla tua domanda, i muscoli irrigiditi sono quelli dello scatto in avanti e le ossa che fanno male sono le sedimentazioni che questi appunti sonori e scritti hanno lasciato nella mia anima senza trovare uno sfogo fino al momento della produzione di questo disco.
Ragionando per inverso, si potrebbe anche evincere che le tue uscite con i CUT siano state delle battaglie approcciate in modo strategico: è così? E perché hai deciso di cambiare metodo per il tuo esordio da solista?
I CUT sono nati per pura passione. Nei primi anni siamo stati parecchio impegnati nella strategia per affrontare le battaglie che la nostra provincia dell’Impero ci imponeva. Abbiamo dato vita ad un’etichetta, Gamma Pop, che aveva l’intento di essere un’alleanza per affrontare al meglio le battaglie che ogni gruppo coinvolto avrebbe trovato nel suo percorso. Per qualche anno riuscimmo a fare questo in Italia, il rammarico più grande è stato non riuscire a fare sistema con altre realtà italiane nostre sorelle nel superare la dimensione prettamente nazionale. Dopo quell’esperienza abbiamo lasciato, solamente, che la nostra passione e l’etica dell’impegno verso ciò che facciamo ci guidassero e ci portassero avanti, consentendoci di continuare a godere ogni volta che abbiamo la possibilità di coinvolgere il pubblico nei nostri concerti. Da questo punto di vista, non penso di avere cambiato metodo di “approccio alla battaglia”, fondamentalmente non mi interessa molto di vincere o non perdere. Mi interessa riuscire a vuotare il sacco delle mie passioni e delle mie tensioni interiori ogni volta che affronto la materia musica e quando per qualche motivo questo non avviene mi assale una sensazione amara di frustrazione.
Ma possiamo parlare di Carlo Masu e Le Ossa come un progetto solista o si tratta di una vera e propria band?
Inizialmente diedi al progetto un nome da band con un rimando al mio cognome, ma non mi sembrava adeguato. Ho pensato, così, all’immagine delle ossa che sorreggono quell’ammasso di muscoli, nervi, sangue e bile che sono i nostri corpi. Per questo disco ho tenuto il mio nome perché sia il materiale sonoro che l’immaginario di riferimento sono quasi interamente proposti o sviluppati da me. Ma se questo progetto, come mi auguro, andrà avanti, a quel punto potrebbe mutare forma e diventare maggiormente corale e quindi, come avviene in natura, l’individuo si dissolve e rimangono solo Le Ossa.
Ci presenteresti Le Ossa?
Più che volentieri… Inizio da Mariagiulia Degli Amori, non solo per galanteria ma per l’apporto decisivo che ha dato nel suo discreto evidenziare dei difetti di forma e nel restituire, con la sua sconfinata musicalità, tutta quella gamma di colori di cui avevo bisogno nel realizzare il disco. Ha suonato le percussioni e cantato nella Mandria, la band che accompagna Iosonouncane in IRA e avrebbe dovuto suonare anche nei concerti che dovevano accompagnare l’uscita del disco se non si fosse messa di mezzo una pandemia mondiale. Avevo bisogno di un batterista che si mettesse a disposizione nel produrre un drumming percussivo ma minimale e così ho coinvolto Stefano Orzes che ha assolto in maniera eccelsa a questo compito. Per un batterista non è semplice trattenere la fisicità che lo strumento richiama, ma Stefano ha avuto molta pazienza e mi ha aiutato a dare ordine alle mie idee ritmiche spesso naif. D’altronde, le sue esperienze con Eveline, The Crazy Crazy World Of Mr. Rubik e le sue capacità di mettersi a disposizione per tanti altri progetti musicali lo hanno reso materiale solido ma duttile. Peppe Randazzo è una di quelle persone che, nel momento in cui è coinvolto in qualsiasi cosa, che sia una conversazione o la progettazione di un programma di ricerca sperimentale per l’educazione delle nuove generazioni del pianeta, non si risparmia nell’amalgamare il gruppo e dare solidità al contesto, tutto ciò di cui avevo bisogno quando in fase di arrangiamento ci siamo accorti che avremmo avuto la necessità di un basso. Basso che suona egregiamente negli Entrofobesse da svariati anni.
Ho anche letto che il tema dell’album gira attorno al concetto “Ogni uomo uccide ciò che ama” (Oscar Wilde). Come dobbiamo interpretare questa frase, come sacrificio propiziatorio (mi viene in mente Abramo) o necessità figlia di un raptus?
Penso sia della condizione umana vivere un rapporto ambivalente con tutto ciò che ci nutre, sia dal punto fisico che spirituale e così l’amore che ci muove e per il quale ci arrabattiamo, diventa anche ciò che uccide il nostro egocentrismo (accezione positiva) o che siamo pronti ad uccidere per soddisfare la nostra voglia di potere e di controllo (accezione negativa). Inoltre, non nascondo il ruolo centrale avuto dall’album Each Man Kills The Things He Loves di Gavin Friday nella realizzazione di Ombre di Un Corpo Estraneo. Naturalmente, non voglio minimamente paragonarli ma la sua fonte d’ispirazione sfocia nel ritornello di On Air, dove la frase di Wilde viene citata come già era stata citata dall’ex Virgin Prunes nel suo disco solista.
Abbiamo parlato di cosa ti ha spinto a creare questo disco, ma i pezzi, dal punto di vista procedurale, come sono nati?
E’ stato un processo molto lento e disarticolato. Gran parte del materiale affonda le sue radici nei miei primi anni di università a Bologna, quindi la prima metà degli anni novanta. Poi li avevo abbandonati alle correnti dei destini temporali. Un anno dopo la separazione dalla mia ex compagna e madre dei miei due figli, ho pensato di digitalizzare quegli appunti sparsi in varie cassette, rendendomi conto che mi parlavano e parlavano di me ancora in maniera più vera e coerente di allora e quindi ho pensato fosse giunto il momento di “rendergli giustizia”, sistemandoli, sottraendo ed aggiungendo, dandogli una veste coerente e più a fuoco, facendomi aiutare dai musicisti con cui ho registrato il materiale e da Bruno Germano che ha prodotto il tutto in modo egregio, rendendo questo “disordinato taccuino” un’esposizione di anime agitate.
I riferimenti letterari di cui abbiamo parlato in precedenza li hai colti dopo aver ascoltato il lavoro finito o erano già ben presenti nella tua mente prima di iniziare?
Per quanto riguarda la frase tratta da “Q”, il suo utilizzo l’ho pensato a posteriori, in quanto esemplificativo del motivo che mi aveva spinto a rielaborare il materiale accumulato in precedenza. La frase di Wilde, invece, descrive bene le tematiche che ricorrono più frequentemente nei testi del disco.
Ciò che traspira durate l’ascolto è una sensazione di intimità, di qualcosa che è diretta espressione del tuo più profondo. Non ti dà fastidio, o qualcosa del genere, sapere che lì fuori c’è gente che scruta questo tuo lato più nascosto?
Effettivamente questa è la parte più difficile da affrontare rispetto ai concerti con i CUT. In questo caso mi sento nudo e fragile ma fondamentalmente, noi che abbiamo questa necessità irrefrenabile di fare musica e farla per un pubblico, stampando dischi e suonando live, lo facciamo per soddisfare anche una più o meno sana necessità di esibizionismo narcisista. A volte riusciamo a controllarlo e a volte prende il sopravvento e allora sono dolori. Senso di onnipotenza e senso di inadeguatezza sono due estremi che ti possono stritolare….spero di uscirne vivo!
Carlo Masu e Le Ossa avranno anche un futuro fuori dalle quattro pareti di uno studio?
Spero proprio di si! Malgrado il periodo di allucinazione negativa che stiamo vivendo, ci piacerebbe portare in giro questo disco e, magari, anche qualche idea nuova su cui stiamo lavorando. Per cui seguiteci sui nostri canali social, contattateci per suonare nel vostro locale preferito scrivendo alla mail barebonesbooking@gmail.com oppure, se avete un’agenzia che organizza concerti e pensate che possa essere il momento di promuovere degli adolescenti adulti, contattateci!
