I Di’Aul hanno lanciato il proprio sortilegio macabro scandendolo con i tempi gravi del doom. “Abracamacabra” (MooDDoom Records \ NeeCee Agency) è un nenia, che riprende la lezione dei Cathedral più psichedelici, in cui doom e sonorità acide e lisergiche si fondano alla perfezione.
Benvenuti, il vostro nuovo album, “Abracamacabra” è fuori da un mesetto, vi andrebbe di fare un primo bilancio dell’accoglienza ricevuta dai fan e dagli addetti ai lavori?
Ad esser sinceri siamo rimasti molto colpiti da tutte le recensioni positive e dai tanti complimenti ricevuti; abbiamo lavorato duro su questo disco e vedere tutti questi feedback positivi ci rende veramente felici!
Avete tirato fuori sino ad oggi, se non erro, due singoli con relativi video dall’album. Si tratta di “Thou Crawl”, brano d’apertura del disco, e della title-track. Come mai avete scelto di utilizzare questi due brani come biglietto da visita dell’intero lavoro?
“Thou Crawl” è quello che consideriamo il brano più di impatto del disco, motivo per cui abbiamo scelto di utilizzarlo come opener, quindi, per lo stesso motivo è diventato il primo singolo. “Abracamacabra” l’abbiamo scelta in quanto canzone più rappresentativa dell’intero lavoro, perché è molto evocativa, ha parti melodiche e parti pesanti ed è parecchio dinamica.
In un contesto in cui l’attività live è stata bloccata per un paio d’anni, quanto è importante il feedback positivo sui social, YouTube e sui siti specializzati per una band? E quanto di questo parlare di un disco si traduce in vendite e date live?
Bè, sicuramente avere feedback positivi sui social porta più seguito e più visibilità, però non sempre il riscontro con la “realtà” delle vendite e dei live va di pari passo… diciamo che, purtroppo, ma anche per fortuna, il confronto virtuale è divenuto primario in tutti gli ambiti artistici. Se da una parte si corre il rischio di non avere una reale percezione del prodotto e dell’artista che lo ha creato, dall’altra, come ci ha imposto la pandemia, è un ponte invisibile capace di avvicinare tutto il mondo. Bisogna solo capire come usarlo al meglio.
Non mi pare che la pandemia, almeno dal punto di vista delle release, vi abbia bloccato, avete mantenuto inalterati i vostri ritmi che via hanno visto pubblicare dal 2013 ad oggi una mezza dozzina di uscite. Come vi spiegate questa prolificità compositiva abbinata ad un’alta resa qualitativa?
Il nostro segreto sono le jam in sala prove: siamo fermamente convinti che l’improvvisazione aumenti il feeling e produca le migliori idee. Sono 10 anni che suoniamo insieme (4 anni con Rex alla batteria), siamo arrivati al punto di capirci anche senza guardarci. Poi abbiamo imparato a non svilire o sottovalutare mai le idee che ognuno di noi porta in sala, piuttosto le stravolgiamo, ma cerchiamo sempre di ricavarne qualcosa che ci piaccia.
Lo split LP con i Mos Generator (2020, Argonauta Records) ha visto il debutto su disco del vostro nuovo batterista, Andrea “Rex” Ornigotti” (Gunjack e Conviction). Quale novità ha portato il suo ingresso e quale ruolo ha avuto nella composizione di “Abracamacabra”?
Rex ha dato una reale svolta alla band: con il suo drumming è riuscito a dare maggiore groove ad ogni pezzo dei Di’Aul ed ha apportato un sacco di nuove idee. Inoltre, le sue capacità di grafico e la sua intraprendenza sul web, ci hanno permesso di migliorare il nostro modo di lavorare anche al di fuori della sala prove. In questo disco ovviamente ha partecipato alla scrittura di ogni brano e poi, grazie a lui, abbiamo avuto modo di conoscere Marco Barusso, con cui abbiamo registrato.
Possiamo considerare “Abracamacabra” un concept album?
E’ un concept album a tutti gli effetti, sono sette storie parallele che si incontrano in un finale cupo e penso che il tutto sia molto ben rappresentato dall’artwork, curato da Francesca Vecchio.
La settima domanda non può che essere sul numero 7. “Sette storie, sette personaggi, una madre”. Sette brani nella tracklist. Che significato ha per il disco e per voi il numero 7?
Al di là del significato che può avere il numero sette in molte culture o credi, basti dire che lo stesso Platone lo definiva “Anima Mundi”. E’ considerato il numero perfetto: per noi lo è stato nella scelta, in parte voluta ed in parte venuta per caso, delle tracce da inserire in questo lavoro.
Mi piace molto il mood dell’album, mi ha ricordato quello di alcune uscite dei miei amatissimi Cathedral, un mix di doom e suoni acidi di matrice anni 70. Quando siete entrati in studio avevate ben chiaro che sound avrebbe avuto il disco?
Innanzitutto grazie mille per il complimento, i Cathedral sono una delle nostre band preferite! Abbiamo lavorato parecchio suoi suoni e sulle frequenze fino ad arrivare ad un insieme che ci soddisfacesse appieno, poi abbiamo deciso di registrare come si faceva negli anni 70, cioè in presa diretta tutti nella stessa stanza (a parte la voce che è stata fatta separatamente) di modo da ottenere un mood più coerente con la nostra musica. Ne approfitteremmo per ringraziare Marco Barusso (Lacuna Coil, Coldplay, ecc…) che ha curato sia la parte di registrazione che quella di mixaggio.
Avete già ripreso l’attività live oppure state aspettando che le cose si rimettano definitivamente in carreggiata per promuovere dal vivo “Abracamacabra”?
Abbiamo ripreso da poco con un release party al The Old Jesse a Saronno, abbiamo già qualche data e stiamo lavorando sulle date future… è un periodo difficile per la musica live, ma siamo sicuri che si riuscirà a tornare alla normalità in breve tempo!
