Gengis Khan – La via del lupo

Nonostante un moniker che si rifà a un grande personaggio del passato, i Gengis Khan non stanno lì a rimuginare troppo sul proprio di passato, anzi preferiscono di disco in disco sperimentare nuove soluzioni. L’ultima uscita della band italiana, “Possessed by the Moon”, ha un approccio ben più melodico rispetto alle due precedenti uscite del gruppo, ma non per questo meno epico.

Benvenuto Frank, il vostro album di debutto si intitolava “Gengis Khan Was a Rocker”, sono passati nove anni da quella pubblicazione, ma non direi che l’imperatore mongolo abbia cambiato gusti musicali, stando a quanto contenuto nel vostro nuovo lavoro “Possessed by the Moon”!
Ciao e saluto tutti i lettori di Raglio del Mulo! Beh, direi di no, oserei dire quasi che i suoi gusti si sono un filo estremizzati rispetto al primo album che direi quasi era più un demo che un album. Ma è bello cosi al inizio.

Oltre ai gusti musicali, credi che in qualche modo ci sia una sorta di filo ispiratore che unisca la pianura mongola e la vostra pianura padana?
Per certe angolazioni potrebbe sì assomigliarci. Ma è lo spirito di chi ci abita che assomiglia, a mio parere, molto di più a quello del popolo mongolo per la tenacia di chi non si arrende mai.

Il protagonista del vostro nuovo album è il lupo, lo richiamate nel titolo, fa bella mostra di sé sulla copertina e nel nome del brano “Possessed by the Wolf”. Cosa rappresenta nell’album il lupo? E ha anche un valore simbolico nelle vostre vite?
Siamo stati ispirati dalla grande leggenda del lupo blu. Ho letto recentemente l’epopea del lupo blu della steppa di Homeric pubblicato da Rizzoli e questo mi ha ispirato nel creare un racconto mistico tra leggenda e realtà, con dettagli, tra le righe, che ritraggono anche situazioni di vita reale e quotidiana. Ma allo stesso tempo creano un concept tra “Possessed by the Wolf” e “Possessed by the Moon”. 

Hai dichiarato “Canzoni come “Possessed By The Wolf”, “The Wall Of Death” e la ballata “Eternal Flame” sorprenderanno i nostri ascoltatori. Ci sarà più melodia e le tastiere hanno un suono enorme!”. Avevate programmato questi cambiamenti oppure la mutazione è avvenuta in modo spontaneo?
La mia band metal preferita sono i Vanadium e ho sempre adorato le tastiere, semplicemente però non ho mai incontrato un tastierista con il quale legare. Con l’entrata in formazione di Lee Under tutto è cambiato, lui è colui che diede il nome alla band nel 2012, prima era il nostro merchandiser/roadie, da qualche anno a sta parte si è specializzato nelle tastiere e cosi non potevamo scegliere di meglio, visto che era già della famiglia. Devo dire che ha un ottimo talento nel leggere il ruolo adatto delle tastiere al interno dei nostri brani, siamo molto soddisfatti.

In qualche modo la scelta di Simone Mularoni ha inciso su questa nuova direzione?
No assolutamente, anzi lui ci preferiva senza. “Colder Than Heaven”, il nostro precedente album pubblicato dalla francese Steel Shark Records ne era completamente privo e tirava più sullo speed metal/thrash. Elementi che anche in questo album sono presenti, ma devo ammettere, in maniera nettamente ridotta.

Il pubblico metal non sempre è aperto ai cambiamenti, non temi che la cosa possa infastidire i vostri seguaci?
Sì, questo lo sappiamo bene, ma noi siamo quello che siamo, non amiamo troppo mantenere intatto il nostro sound da disco a disco. Spero che in futuro avremo modo e maniera di dimostrarlo sempre più frequentemente di modo che i fan si riescano ad abituare a questo standard evolutivo.

Da uno dei tre brani da te citati in quella dichiarazione, “Possessed by the Wolf”, è stato tratto un singolo con relativo video. Come è nata la clip?
Tutto è nato da una mia idea di sceneggiatura nel periodo natalizio, abbiamo cercato di far sì che il video potesse rispecchiare passo a passo il contenuto della canzone. Ci sono stati diversi attori che hanno partecipato e fu fantastico che, dopo i festeggiamenti vari, il giorno dopo ci eravamo contagiati tutti di Covid, con incluso un mal di testa da vino rosso: really heavy! 

Lo scorso 23 aprile al Sidro Club Savignano sul Rubicone avete presentato i nuovi brani, cosa avete provato a suonarli davanti al pubblico?
Direi che è stato fantastico, il locale era pieno ed eravamo emozionati, pensa che ho venduto un vinile di “Colder Than Heaven” ad un rapper di passaggio, non lo scorderò facilmente… ahah!

Avete altre date in programma?
Stiamo lavorando per cercare di riuscire a portare in Europa “Possessed by the Moon” dopo l’estate, tra autunno inverno. Ci manca molto il sapore della strada, tra pandemia e nascita della mia bambina nel 2018, è molto tempo che non calpesto i palchi oltre il confine  italiano. Per cui mi auguro che riusciremo nell’intento! Giuseppe,  ti ringrazio infinitamente per la bellissima intervista e mando un saluto a tutti i lettori! Keep the faith!

Aerialis – Il suono del silenzio

Non lasciatevi trarre in inganno dall’immagine e dal moniker futuristico, gli Aerialis di Fabio Tats hanno i piedi ben piantati nel presente e se proprio devono, più che al futuro, strizzano l’occhio al passato, in particolare agli anni 80. Abbiamo contattato il bassista per saperne di più su questa nuova creatura e del suo recente debutto “Dear Silence”.

Ciao Fabio, da qualche settimana i tuoi Aerialis hanno debuttato: dobbiamo considerarli un tuo progetto solista oppure una vera e propria band, dato che ti sei avvalso in studio di Luca Cocconi e Simone Sighinolfi?
Ciao Giuseppe, grazie di cuore per lo spazio che mi concedi. Aerialis nasce dal desiderio di finalizzare un mio progetto musicale, ma è stato un vero e proprio lavoro di team con Simone e Luca, che sono stati indispensabili alla costruzione di questo album. Senza loro sarei ancora ai blocchi di partenza, sono stati incredibili. 

Come definiresti il sound degli Aerialis?
Credo che il sound da noi utilizzato sia una sintesi fra il metal moderno, di ispirazione alternative, e le sonorità degli anni 80 che tanto mi sono care, avendole “vissute” da ragazzino. Abbiamo cercato di portare un po’ di quelle melodie elettroniche, melodiche è un po’ malinconiche, in brani che avessero però un aspetto metal contemporaneo.

Quanto “Dear Silence” si avvicina all’idea di sound che avevi in mente quando hai fondato il gruppo?
Luca e Simone hanno capito fin da subito qual’ era la direzione che volevo prendere per “Dear Silence”, e hanno tirato fuori idee pazzesche e che ho amato dal primo momento. Quando riascolto i brani mi rendo conto che è’ andato tutto come desideravo, e le sensazioni che mi trasmettono sono proprio quelle che volevo provare. 

In passato hai suonato in altre band (Lester Greenowski, Death-O-Matic, Wall Of Palemhor) hai utilizzato qualche idea che avevi abbozzato per quei progetti per gli Aerialis o sei partito da zero?
No, nelle altre band ho fatto esperienze musicali bellissime ma i generi erano diversi, e le idee che avevo non si sposavano con quei progetti. Per questo ho voluto finalizzare Aerialis, desideravo mettere in piedi un qualcosa che mi permettesse di suonare e ascoltare il genere musicale che amavo, e nel quale poter esternare ciò che avevo dentro.

Hai presentato il progetto utilizzando come singolo proprio la traccia che dà il nome al disco, è un caso o credi che sia il brano più rappresentativo dell’intero lavoro?
“Dear Silence” è un brano che adoro, il testo è una sintesi di ciò che è contenuto nell’album: ogni brano parla di un angolo della mia vita, di esperienze personali, e tutte riconducono a un silenzio guaritore, dove ritrovarsi e riordinare idee e progetti. 

C’è un brano che hai deciso, invece, di inserire nel disco all’ultimo momento perché non ti convinceva in pieno?
Direi di no, ogni brano ha una sua collocazione, e ogni brano è una piccola sintesi dei miei ultimi anni, particolarmente difficili, sotto diversi aspetti.

Invece, come sei arrivato alla decisione di coverizzare “Catch The Fox” di Den Harrow? Desideravo coverizzare un brano degli anni 80 perché, come ti dicevo prima, sono stati anni a cui sono particolarmente legato, ma  senza fare una canzone troppo famosa, o già troppe volte coverizzata. Fra i vari nomi, Simone mi consigliò Den Harrow, e a me piacque subito: le hit erano belle, italiane e con le sonorità che cercavo. Ne è risultata una cover che ogni volta mi strappa un sorriso, a noi piace moltissimo.

Hai intenzione di esibirti con gli Aerialis dal vivo appena possibile?
Non lo so, per ora resta una realtà esclusivamente “da studio”, abbiamo tutti progetti diversi e non saprei onestamente dirti se riuscirò a finalizzare anche una band per i live… ma se succederà, ne sarò felice. Never say never. 

In conclusione, quale traguardo raggiunto con “Dear Silence” ti renderebbe soddisfatto?
Che venga apprezzato da chi deciderà di ascoltarlo, e che comunichi delle emozioni al prossimo, che vengano condivise. Per noi sarebbe una grande soddisfazione.

Di’Aul – Sortilegio macabro

I Di’Aul hanno lanciato il proprio sortilegio macabro scandendolo con i tempi gravi del doom. “Abracamacabra” (MooDDoom Records \ NeeCee Agency) è un nenia, che riprende la lezione dei Cathedral più psichedelici, in cui doom e sonorità acide e lisergiche si fondano alla perfezione.

Benvenuti, il vostro nuovo album, “Abracamacabra” è fuori da un mesetto, vi andrebbe di fare un primo bilancio dell’accoglienza ricevuta dai fan e dagli addetti ai lavori?
Ad esser sinceri siamo rimasti molto colpiti da tutte le recensioni positive e dai tanti complimenti ricevuti; abbiamo lavorato duro su questo disco e vedere tutti questi feedback positivi ci rende veramente felici!

Avete tirato fuori sino ad oggi, se non erro, due singoli con relativi video dall’album. Si tratta di “Thou Crawl”, brano d’apertura del disco, e della title-track. Come mai avete scelto di utilizzare questi due brani come biglietto da visita dell’intero lavoro?
“Thou Crawl” è quello che consideriamo il brano più di impatto del disco, motivo per cui abbiamo scelto di utilizzarlo come opener, quindi, per lo stesso motivo è diventato il primo singolo. “Abracamacabra” l’abbiamo scelta in quanto canzone più rappresentativa dell’intero lavoro, perché è molto evocativa, ha parti melodiche e parti pesanti ed è parecchio dinamica.

In un contesto in cui l’attività live è stata bloccata per un paio d’anni, quanto è importante il feedback positivo sui social, YouTube e sui siti specializzati per una band? E quanto di questo parlare di un disco si traduce in vendite e date live?
Bè, sicuramente avere feedback positivi sui social porta più seguito e più visibilità, però non sempre il riscontro con la “realtà” delle vendite e dei live va di pari passo… diciamo che, purtroppo, ma anche per fortuna, il confronto virtuale è divenuto primario in tutti gli ambiti artistici. Se da una parte si corre il rischio di non avere una reale percezione del prodotto e dell’artista che lo ha creato, dall’altra, come ci ha imposto la pandemia, è un ponte invisibile capace di avvicinare tutto il mondo. Bisogna solo capire come usarlo al meglio.

Non mi pare che la pandemia, almeno dal punto di vista delle release, vi abbia bloccato, avete mantenuto inalterati i vostri ritmi che via hanno visto pubblicare dal 2013 ad oggi una mezza dozzina di uscite. Come vi spiegate questa prolificità compositiva abbinata ad un’alta resa qualitativa?
Il nostro segreto sono le jam in sala prove: siamo fermamente convinti che l’improvvisazione aumenti il feeling e produca le migliori idee. Sono 10 anni che suoniamo insieme (4 anni con Rex alla batteria), siamo arrivati al punto di capirci anche senza guardarci. Poi abbiamo imparato a non svilire o sottovalutare mai le idee che ognuno di noi porta in sala, piuttosto le stravolgiamo, ma cerchiamo sempre di ricavarne qualcosa che ci piaccia.

Lo split LP con i Mos Generator (2020, Argonauta Records) ha visto il debutto su disco del vostro nuovo batterista, Andrea “Rex” Ornigotti” (Gunjack e Conviction). Quale novità ha portato il suo ingresso e quale ruolo ha avuto nella composizione di “Abracamacabra”?
Rex ha dato una reale svolta alla band: con il suo drumming è riuscito a dare maggiore groove ad ogni pezzo dei Di’Aul ed ha apportato un sacco di nuove idee. Inoltre, le sue capacità di grafico e la sua intraprendenza sul web, ci hanno permesso di migliorare il nostro modo di lavorare anche al di fuori della sala prove. In questo disco ovviamente ha partecipato alla scrittura di ogni brano e poi, grazie a lui, abbiamo avuto modo di conoscere Marco Barusso, con cui abbiamo registrato.

Possiamo considerare “Abracamacabra” un concept album?
E’ un concept album a tutti gli effetti, sono sette storie parallele che si incontrano in un finale cupo e penso che il tutto sia molto ben rappresentato dall’artwork, curato da Francesca Vecchio.

La settima domanda non può che essere sul numero 7. “Sette storie, sette personaggi, una madre”. Sette brani nella tracklist. Che significato ha per il disco e per voi il numero 7?
Al di là del significato che può avere il numero sette in molte culture o credi, basti dire che lo stesso Platone lo definiva “Anima Mundi”. E’ considerato il numero perfetto: per noi lo è stato nella scelta, in parte voluta ed in parte venuta per caso, delle tracce da inserire in questo lavoro.

Mi piace molto il mood dell’album, mi ha ricordato quello di alcune uscite dei miei amatissimi Cathedral, un mix di doom e suoni acidi di matrice anni 70. Quando siete entrati in studio avevate ben chiaro che sound avrebbe avuto il disco?
Innanzitutto grazie mille per il complimento, i Cathedral sono una delle nostre band preferite! Abbiamo lavorato parecchio suoi suoni e sulle frequenze fino ad arrivare ad un insieme che ci soddisfacesse appieno, poi abbiamo deciso di registrare come si faceva negli anni 70, cioè in presa diretta tutti nella stessa stanza (a parte la voce che è stata fatta separatamente) di modo da ottenere un mood più coerente con la nostra musica. Ne approfitteremmo per ringraziare Marco Barusso (Lacuna Coil, Coldplay, ecc…) che ha curato sia la parte di registrazione che quella di mixaggio.

Avete già ripreso l’attività live oppure state aspettando che le cose si rimettano definitivamente in carreggiata per promuovere dal vivo “Abracamacabra”?
Abbiamo ripreso da poco con un release party al The Old Jesse a Saronno, abbiamo già qualche data e stiamo lavorando sulle date future… è un periodo difficile per la musica live, ma siamo sicuri che si riuscirà a tornare alla normalità in breve tempo!

Comando Praetorio – I sabotatori della luce

Due brani, della durata totale di poco più di 20 minuti, compongono “Sovvertire la tirannia della luce” (ATMF) dei Comando Praetorio. Abbiamo chiesto alla band di anticiparci qualcosa dell’EP in uscita nei prossimi giorni…

Benvenuti, dal 22 aprile sarà disponibile il vostro nuovo EP “Sovvertire La Tirannia Della Luce”, contente due brani. Possiamo considerare quest’opera un concept?
L’aspetto lirico è senz’altro il frutto di un medesimo flusso ispirativo, successivamente suddiviso lungo l’arco di due tracce. Il nuovo EP “Sovvertire la tirannia della Luce” si riferisce a un processo di allontanamento fisico e spirituale dalla tirannia monoteistica del sole, inteso sia come Logos assolutistico della razionalità astratta, inaridente e impositiva; sia come espressione del monoteismo desertico dell’orizzontalità militante.

Nel 2022 La Tirannia della Luce è ancora forte?
Nonostante le liriche siano state redatte nel 2020, riteniamo che queste siano prefigurate da significati atemporali ed eterni che ne garantiscono la validità anche difronte allo scorrere del tempo. Inoltre, in questi due anni l’ipertrofia del Logos assolutistico e solare non si è certamente attenuata; anzi essa è entrata in una fase sempre più oppressiva e totalitaria tramite la dittatura “pandemenziale” le cui conseguenze in termini non soltanto politico culturali, ma ancora di più parareligiosi e assolutistici, paiono evidenti.

In che modo può essere sovvertita?
L’inversione valoriale può avvenire in primo luogo nell’interiorità del proscritto, ovvero di colui che si è dato alla macchia, che, come direbbe Junger è stato espulso dalla società e si appresta ad espellere la società da sé stesso. Rispetto al cambiamento di paradigma avvenuto nel campo della macchinazione del mondo ad opera delle ideologie desertiche, la sovversione è microcosmica poiché avviene in primis nell’interiorità, ove si recuperano preliminarmente le condizioni dell’età dell’oro. A livello macrocosmico il proscritto diviene il custode della natura selvaggia, del silenzio e del lato notturno e nascosto delle cose.

In qualche modo la situazione di cattività nella quale abbiamo vissuto in questi ultimi due anni ha contribuito ad aumentare il vostro desiderio di sovversione?
Il desiderio è frutto di una pulsione, la volontà invece esprime la direzione del dominio anche nei confronti delle pulsioni e dei desideri. Parlerei dunque nel nostro caso di volontà e non di desiderio. I desideri piuttosto, sono quei fattori risultati cruciali nel meccanismo di ricatto operato dalla pandementia: a fronte di libertà negate o sospese, si è stimolato il desiderio insoddisfatto di coloro che non potendosi più divertire, ballare, uscire, hanno barattato i propri diritti fondamentali in cambio di lasciapassare concessi a fronte dell’obbedienza al paradigma del controllore biosecuritario. La volontà di superamento del paradigma assolutistico permette al ribelle di estenuare le forze del sistema dominante, che si trova quindi a sperperare le proprie risorse nel tentativo di coprire interamente lo spazio fisico e cibernetico con i propri sistemi di vigilanza, con la distopica “speranza” di poter verificare la stretta osservanza da parte di tutti i sudditi di tale paradigma. Ma mentre il deserto, determinato dall’ipertrofia del lato solare non bilanciato, permette il controllo totale e totalitario non così la foresta che cela, oscura e filtra la luce intrusiva del potere panottico.

Vi andrebbe di entrare nei dettagli della prima traccia, “Dell’oblio l’ombra siderea”? Come è nata e di cosa parla?
La prima traccia è stata, così come la seconda, in gran parte abbozzata dal nostro nuovo componente Damien, e poi riarrangiata da me per la parte chitarristica all’inizio del 2020. Successivamente si è proceduto ad arricchire e ad armonizzare la composizione in un tutto coerente anche grazie allo sforzo collettivo di tutti i componenti in sede di sala prove.
Abbiamo già affrontato i temi lirici nelle precedenti risposte, non resta che integrare quanto già detto con una breve citazione:

…il cielo stellato ultima guida
degli insonni dalla coscienza purificata
imposizione oltre la massa
palingenesi della materia mercuriale
ignicamente purificata
dominio dell’Artefice ridestato…

Mentre della seconda, “Ritorna il buio dell’origine uranica”, che mi dite?
Il processo compositivo e lirico è avvenuto con le stesse modalità della prima traccia così che ogni elemento si integra vicendevolmente tra i due brani.

…verso incendiari scenari di rivolta
ritorna il buio dell’origine uranica
milioni di enigmi del disinganno
scacciano gli incubi della macchinazione…

Rispetto a questa ipertrofia del lato solare, l’Unico si rifugia dunque all’ombra del cielo notturno, patrocinato dalle divinità Asuriche e Uraniche indoeuropee. Con questo atto si opera un’inversione dei principi cardine rispetto alla massificazione, intesa come conseguenza estrema delle religioni desertiche, che nel deserto sono nate ed al deserto vogliono riportare il mondo, in quanto nemiche di ogni verticalità.

In questo contesto, che significato ha la copertina dell’EP?
La copertina è ricavata da una foto scattata da un componente della band in Bretagna. Essa raffigura il dolmen bretone delle cosiddette “pierres plates” con a lato un menhir. All’interno del dolmen sono presenti diverse raffigurazioni della volta celeste e in particolare del grande carro. In tal senso si abbina in modo coerente con il significato dell’EP non soltanto da un punto di vista meramente grafico.

L’EP ha sancito l’esordio di Damien, quale è stato il suo apporto?
Il sodalizio con Damien nei ranghi di Comando Praetorio è iniziato prima del concepimento del nuovo EP; nonostante alcune idee e riff fossero già stati composti in precedenza, la sua presenza ha apportato un significativo apporto in seno alla band, contribuendo, dal punto di vista compositivo, al completamento delle bozze dei brani, oltre a definire tutte le linee vocali del disco in qualità di nuovo cantante. Inoltre, si è fatto carico anche della produzione di “Sovvertire…”per quanto concerne il mixing e il mastering, pertanto abbiamo potuto seguire in prima persona tutte le fasi di sviluppo e cesellamento dei nuovi brani passo dopo passo. Damien proviene da una lunga esperienza con i Mortuary Drape ed è tuttora il fac totum del progetto funeral doom Tetramorphe Impure; è un musicista creativo e molto capace, siamo inoltre legati a lui da un’amicizia pluridecennale; pertanto, non potremmo essere più soddisfatti della nuova sinergia instauratasi grazie alla sua presenza. Nel 2002 inoltre, Damien è stato coinvolto come voce nel progetto Enthroning Silence. La sua performance fu decisamente degna di nota.

Proporrete le due tracce dal vivo?
Attualmente non abbiamo alcun programma di future date dal vivo. La dimensione live non è mai stata prioritaria per CP; abbiamo sempre ritenuto la nostra musica come un’esperienza, un moto di ricerca interiore dell’ascoltatore che trova il proprio ambito più calzante in un ascolto raccolto ed individuale.

Niamh – Autumn noir

Su Overthewall, ospite di Mirella Catena, Michele Nocentini dei Niamh autori di “Autumn Noir” (Electric Talon Records \ Neecee Agency).

Grazie di essere qui con noi, Mike! Per prima cosa ti chiedo il significato del moniker. Da dove deriva questo nome?
Ciao, prima di tutto, grazie a voi! Potrei inventarmi qualche storia interessante sul nostro nome, mitologia celtica, blabla… ma la verità è che quando stavamo cercandolo, sentimmo una nostra amica chiamare il gatto “Niamh”. E da ciò… beh, eccoci qui.

“Una band è un modo di essere, un modo di vivere” questo il vostro biglietto da visita. Chi sono i Niamh?
Quattro persone che qualche anno fa hanno fatto una scelta; di dedicarsi alla musica, con tutto ciò che ne comporta. E fidati che ci sono momenti dove ci domandiamo “ma chi ce l’ha fatto fare?”. Ma alla fine questo è ciò che ci fa sentire vivi. Che ci fa stare bene. Con purtroppo tutti i compromessi del caso, come guidare notti intere per potere tornare al “lavoro normale” (perché sia chiaro, con la band le bollette non le paghi, nemmeno se hai un contratto discografico e se suoni in bei festival), non andare mai in vacanza, rientrare precisi coi soldi alla fine del mese, etc…

Come nasce la musica della band, intendo le principali influenze stilistiche, e come si è evoluta dal debutto con “Corax”?
Ognuno all’interno della band ha le sue influenze e i suoi gusti. Ci sono ovviamente quelle band che mettono però tutti d’accordo. Io ultimamente adoro Bring Me The Horizon, Suicide Silence e Motionless in White per ciò che riguarda il metal, gli Ulver per ciò che invece gira attorno all’elettronica. Proprio la fusione fra elettronica e metal è il nostro punto di forza, è su questo che abbiamo lavorato da Corax in poi.

Avete condiviso il palco con grandi nomi della scena musicale italiana ed estera quali Lacuna Coil e Placebo, ci sono aneddoti che sono rimasti particolarmente impressi?
Coi Lacuna e i Placebo abbiamo suonato in un festival pazzesco, all’Atlas a Kiev. Ci tenevo a dirlo, abbiamo tanti amici e fans in Ucraina: mi sento con loro quotidianamente quando riescono a rispondere. E’ tutto senza senso… Cito con piacere la sera che ho ci siamo ritrovati in albergo insieme agli Arch Enemy oppure quando prima di un concerto nel backstage ho incontrato Mikael Stanne dei Dark Tranquillity e gli ho detto “Mikael, quando avevo 20 anni presi il treno da Firenze a Goteborg per venirti a suonare il campanello!!” e lui sgrando gli occhi “Oh man, I think you were nuts!”

Il 25 marzo sarà pubblicato il vostro nuovo album “Autumn Noir”. Quali sono i punti di forza di questa nuova uscita discografica?
Sicuramente la nuova etichetta ha giocato un ruolo importante, avere a che fare con una produzione americana ti apre la mente a soluzioni diverse. Il disco suona più intimo, più goth se volessimo dargli un’etichetta, ciò nonostante non perdendo una certa attitudine live.

Abbiamo parlato di live, ci sarà modo di vedervi su un palco?
Oh, non vediamo l’ora di ripartire a suonare anche in Italia. Per ora di fissato abbiamo Torino, Vercelli, Roma e Latina, poi a Maggio un minitour In Croazia e Slovenia. Stiamo anche aspettando il reschedule del tour con gli Ill Nino, noi apriremo per loro nelle date in UK.

Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?
Siamo attivissimi sui nostri canali Instagram e Facebook, date un’occhiata a Niamhthedefinitivemetalband. Che sia chiaro, è un nick ironico eh!

Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 14 marzo 2022.

Over a Barrel – Ferite autoinflitte

Luca Cocconi (The Modern Age Slavery, Browbeat) e Imer Bigi (Ex-Dark Lunacy) sono tornati a lavorare insieme come ai tempi dei Biotech (un paio di demo e un EP, “New World Disorder”, pubblicati verso al fine del secolo scorso). Un death metal ruvido e aggressivo, quello contenuto in “Self-Inflicted Wounds” (Neecee Agency), una vera e propria di valvola di sfogo per il duo durante la cattività imposta dal Covid.

Benvenuto Luca , verrebbe da dire che avete trasformato un momento di crisi come la pandemia in un’opportunità, dando vita a una nuova band, gli Over a Barrel: ti andrebbe di spiegare nel dettaglio come sono andate le cose?
Gli Over a Barrel sono l’unione di due amici con una grande passione per tutto quello che suona estremo che cercano di trasformare questa passione in musica. Sia io che Imer ci conosciamo da tantissimo tempo e abbiamo suonato insieme nella nostra prima band i Biotech dal 1992 al 2000. Durante l’inizio della pandemia Imer aveva alcune idee registrare e dopo avermele inviate mi ha proposto di formare questo progetto che ho trovato fin da subito interessante, data anche la nostra amicizia. Quindi abbiamo cominciato a scrivere e arrangiare le canzoni e successivamente siamo entrati all’Audiocore Studio per registrare “Self-Inflicted Wounds”.

La band nasce come duo ed esordisce come tale con “Self-Inflicted Wounds”, ma avete mai pensato di coinvolgere altri musicisti nel progetto?
Per il momento non abbiamo intenzione in fase di scrittura di coinvolgere altri musicisti. Abbiamo gusti musicali molto affini e questo ci ha portato ad avere idee molto chiare sulla composizione dei pezzi e sul sound che doveva avere questo progetto. Però non siamo persone con i paraocchi e se ci fosse la possibilità di coinvolgere in futuro musicisti che possano portare nuove idee per far crescere e migliorare la band ben vengano!

Avete ambizioni live per gli Over a Barrel?
Assolutamente sì! E’ nostra intenzione farlo il più possibile perché oltre a divertirsi è un ottimo modo per promuovere la tua musica. Vista la situazione speriamo che si possa ritornare a suonare al più presto e che la gente possa andare ai concerti a divertirsi!

Cosa vi siete portati dietro, dalle vostre band precedenti, negli Over a Barrel?
Grazie alle precedenti e attuali band ci siamo fatti molta esperienza, visto che suoniamo da molti anni e abbiamo fatto numerosi concerti sia in Italia che all’estero. Un altro fattore importante, anzi direi fondamentale, è la nostra amicizia! Ci conosciamo da molto tempo e questo ha creato un ottimo feeling musicale e umano che ci permette di lavorare senza grossi problemi e confrontarci in maniera costruttiva!

Invece, questo duo cosa vi ha permesso di sperimentare di nuovo?
Gli Over A Barrel non sono una band che dice “faccio questo perché adesso va di più una cosa rispetto ad un altra”, ma cerchiamo invece di mantenere la nostra attitudine e portare avanti la nostra idea di musica. Semplicemente suoniamo quello che ci piace cercando di farlo al meglio possibile senza seguire le mode. Il disco è stato concepito così, in maniera naturale, e spero che questa genuinità venga percepita dall’ascoltatore.

C’è un brano che possiamo ritenere il più rappresentativo del vostro sound?
Penso che “Distrused Victims” sia il brano più rappresentativo dell’album perché rispecchia in pieno ciò che sono gli Over A Barrel, ovvero un potente mix di velocità e groove il tutto condito dal sound marcio e crudo dell’Hm2! E’ stato strutturato con una dimensione che parte molto brutale e veloce per poi passare ad una parte più pesante e cadenzata. Piccolo spoiler: tra qualche settimana gireremo il video di “Distrused Victims”!

Qual è invece quel pezzo che ci ha messo un po’ convincervi prima della sua stesura definitiva?
“Over A Barrel” è stata la canzone su cui abbiamo avuto più difficoltà, perché è stata la prima che abbiamo composto. Volevamo capire come sviluppare il nostro stile, sia dal punto di vista del sound che delle lyric! E’ stata cambiata diverse volte, aggiungendo e togliendo riff, arrangiamenti, metriche vocali ecc.. Questo ci ha fatto capire che direzione prendere per comporre gli altri brani.

Mentre, cosa vi ha spinto a proporre, “Cyberwaste”, la cover dei Fear Factory?
I Fear Factory musicalmente sono molto lontani da noi, ma è una band che rispettiamo, che ascoltiamo sin dai loro primi album e cha abbiamo visto live diverse volte. Abbiamo scelto “Cyberwaste” perché ha un riffing che permette essere reinterpretato al meglio con il nostro stile e il nostro sound.

Avete dei brani non utilizzati per “Self-Inflicted Wounds” che potrebbero finire in un secondo album o in un prossimo Ep?
Per questo album sono stati composti una dozzina di brani, successivamente dopo una cernita abbiamo deciso di utilizzare gli otto che ritenevamo i migliori e di forte impatto. Sinceramente non so se I brani scartati possono essere riutilizzati. Nel caso ci fosse la necessità verranno sicuramente rivisti e sistemati. Personalmente preferisco scriverne altri per continuare a migliorare e crescere musicalmente.

E’ tutto, grazie…
Ti ringraziamo per averci dato questo spazio. Il 18 marzo esce il nostro album di debutto “Self-Inflicted Wounds”. Siamo carichi e eccitati ma allo stesso tempo speranzosi che possa piacere. Noi ci abbiamo messo molto impegno, anima e cuore per ottenere il massimo e spero che tutto questo possa essere percepito anche da chi lo ascolta!

Nightrage – Abyss rising

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

“Abyss Rising” dei Nightrage (Despotz Records \ NeeCee Agency) è il terzo – dopo “Venomous” (2017) e “Wolf To Man (2019) – di una trilogia di album sull’Inferno di Dante. Scritto e registrato dalla stessa formazione del precedente disco, “Abyss Rising” è un’ulteriore prova di talento e classe.

Benvenuto Marios (Iliopulous), “Abyss Rising” è il capitolo finale della vostra trilogia che include anche i vostri due album precedenti. Questa nuova uscita è musicalmente diversa da “The Venomous” e “Wolf to Man”?
Penso che in questo nuovo album il nostro modo di scrivere le canzoni sia migliorato ancora di più, e abbiamo provato alcune cose nuove: specialmente su alcune voci in diverse canzoni, Ronnie ha aggiunto alcune voci pulite di sottofondo e questo ha reso le canzoni ancora più potenti. Ovviamente il nostro stile musicale caratteristico è presente in tutto l’album, con riff pesanti e melodie eteree, qualcosa che ci definisce come band, e cerchiamo sempre di trovare modi per migliorare il nostro modo di scrivere le canzoni esplorando ancora più a fondo. La mia chimica e quella di Magnus nella scrittura delle canzoni questa volta è ancora più affinata e siamo maturati molto come coppia di chitarre.

Quanto è difficile progettare un’opera in tre dischi? Quando hai iniziato, sapevi già come sarebbe suonato l’ultimo album?
Ebbene, quando Ronnie il nostro cantante ha iniziato a scrivere questo tema oscuro con “The Venomous”, non credo che pensasse che ci sarebbero voluti tre album per completare questa storia oscura, che è iniziata con noi umani che andiamo verso la nostra estinzione e che nell’ultimo album, “Abyss Rising”, ci ritroviamo nell’inferno che ci siamo creati. Per noi scrivere questi album è stata una cosa molto naturale, non sapevamo che questi ultimi tre dischi sarebbero stati una trilogia, è capitato e ne abbiamo seguito il flusso. Facciamo sempre demo complete prima delle registrazioni effettive dell’album, quindi abbiamo sempre in anticipo un’idea molto dettagliata di come suonerà il risultato finale.

La trilogia è uscita come volevi o ci sono cose per le quali vorresti poter tornare indietro per modificarle?
Siamo molto felici di come questi tre ultimi album si siano connessi tra loro, ovviamente quando hai finito con un disco, ci sono sempre un miliardo di cose che avresti voluto fare diversamente, ma mi piace lasciare le cose come stanno quando sono ormai state fatte e non pensarci troppo.

Pubblicherete un cofanetto che include tutti e tre gli album?
Questa è una grande idea ed è un qualcosa su cui la nostra etichetta dovrebbe riflettere, perché per chi volesse esplorare l’intero concept della storia, potrebbe essere fantastico ascoltare questi tre dischi da un bel cofanetto.

Come sono nati i vostri nuovi brani? Avete cambiato il processo di scrittura durante la pandemia?
È sempre la stessa procedura, io e Magnus che mettiamo insieme le nostre idee per i riff e facciamo demo complete con le nostre canzoni, quindi la pandemia non è stata un vero problema per noi, ho dovuto viaggiare diverse volte in Svezia per comporre e registrare l’album e a volte era molto rischioso perché non sapevo se avrei avuto un volo di ritorno. Grazie a Internet ci inviamo di continuo file avanti e indietro ed è così che abbiamo composto tutte le canzoni. È un lavoro di squadra a cui tutti contribuiscono e Ronnie in seguito scrive i propri testi e melodie vocali e Franco e Dino aggiungono le proprie idee, quindi tutti danno il proprio meglio per affinare il materiale.

Questo è il secondo album con la stessa formazione, pensi che ci sia stata una maggiore coesione tra di voi rispetto all’epoca di “Wolf to Man”?
Sì, le cose stanno andando sicuramente nella giusta direzione e l’atmosfera nella band è davvero fantastica, e puoi sentirlo nelle canzoni del nuovo album. Sono felice di aver trovato questi ragazzi fantastici perché stiamo formando una grande squadra e penso che nelle nuove canzoni abbiamo un’intesa ancora migliore e abbiamo fatto un album molto più maturo, perché ora ci conosciamo molto meglio e stiamo lavorando con una mentalità migliore e positiva.

Ispirato in parte dall'”inferno” di Dante, “Abyss Rising” esplora la continua distruzione da parte dell’uomo del mondo in cui viviamo fino a quando l’abisso si apre per ingioiare tutto. Secondo te, i tuoi fan prestano abbastanza attenzione al lato lirico dei Nightrage?
Sì, penso che questo tipo di testi sia molto interessante e spinga le persone a sedersi e leggerli, non siamo predicatori questo è certo, vogliamo solo far riflettere le persone un po’ di più su cosa sta succedendo ed essere più consapevoli. Penso anche che i nostri testi si adattino molto alla musica che stiamo suonando e questo è un altro fattore interessante per fare in modo che chiunque presti un po’ più di attenzione, perché almeno per noi anche i testi sono importanti come lo è la musica. E ci fa piacere quando i fan si interessano a musica e i testi.

Ci sono piani per eventuali tour nel prossimo futuro?
Sì, molto presto annunceremo alcuni spettacoli in Finlandia e Spagna e anche in Grecia e stiamo cercando dappertutto, dal momento che la merda covid sembra stia andando via dalle nostre vite. Abbiamo in programma di suonare in Giappone e Australia più le Americhe. Inoltre stiamo cercando un tour europeo completo e vogliamo visitare il maggior numero possibile di paesi e condividere le nuove canzoni con tutti i nostri fan.

Hai paura di andare in tournée durante l’emergenza pandemica?
È sicuramente un rischio, ma a volte è necessario correre il rischio e vedere cosa succede, penso che il covid sarà presto svanito dalle nostre vite e dobbiamo anche imparare a conviverci. Altrimenti, se vivi sempre in uno stato di paura, stai perdendo te stesso e la tua vita.

Nightrage’s “Abyss Rising” (Despotz Records) is the third – after “Venomous” (2017) and “Wolf To Man (2019) – in a trilogy of albums about Dante’s Inferno. Written and record by the same line-up of the previous album, “Abyss Rising” is a further proof of talent and class.

Welcome Marios (Iliopulous), “Abyss Rising” is the final chapter of your trilogy including your previous two albums. Is this new release musically different from “The Venomous” and “Wolf to Man”?
I think on this new album our songwriting improved even more, and we tried some new things especially on some vocals on different songs, Ronnie has added some background clean vocals underneath and that made the songs even more powerful. Of course our signature musical style its all over the album, with heavy riffing and ethereal melodies, somethings that is defining us as a band, and we always trying to find ways to improve our songwriting with exploring even more deeper. Mine and Magnus songwriting chemistry is even more detailed this time and we have mature a lot as a great guitar team.

How difficult is it to plan a three-disc opera? When you started, did you already know how the last album was going to sound?
Well when Ronnie our singer have started writing this dark theme back on The Venomous, I don’t think he would ever realized that it will took us 3 albums to complete this dark story, that is started with us humans going towards our own extinction and finally on the last album Abyss Rising, we are already in the hell that we have created for ourselves and we are done. For us writing these albums its something that comes very naturally, we didn’t know that these last 3 albums will be a trilogy, it happened that way and we just go with the flow. We always doing full demos before the actual recordings of the album so we always have a very good idea of how the album should sound beforehand.

Did the trilogy turn out the way you wanted it to, or are there things you wish you could go back and alter?
I think we are very happy of how these 3 last albums came together, of course when u are done with an album, there is always a billion things that u could do differently, but I like to let it be and when something its done, you should leave it and don’t over thinking it about it.

Will you release a box-set including all the three albums?
That’s a killer idea and its something for our label to think about, because definitely when u want to explore the whole concept of the story, is great to listen back to back these 3 last albums and why not in a cool boxset.

How are born your new tracks? Did you change your writing process during the pandemic?
Its always the same procedure me and Magnus jamming along with our riff ideas and making full demo songs, so the pandemic it was not a real problem for us, I had to travel several times in Sweden for the composing, and recording of the album and sometimes that was very risky because I didn’t know if I would have a return flight back. Thanks to the internet we always sending files to each other back and forth and that’s how we have composed all the songs. Its a team work that everybody is contributing and Ronnie later writing his own lyrics and vocal melodies and Franco and Dino adding their own ideas, so everybody is giving the best they can to be able to come up with the finished material.

This is the second album with the same line-up, do you think there has been a greater cohesion between you than at the time of “Wolf to Man”?
Yeah things are getting at the right direction for sure and the atmosphere in the band is really great, and you can hear that on the songs on the new album. I’m happy to have found these great guys that we are making a great team and I think on the new songs we have even more better chemistry and we did a much more mature album, because now we know each other so much better and we are working with a better and positive mentality.

Inspired in part by Dante’s ‘inferno’, “Abyss Rising” explores man’s continual destruction of the world we live in until the abyss opens up to consume all before it. In your opinion, do you think your fans pay enough attention to the lyrical side of Nightrage?
Yeah I think these kind of lyrics are very interesting and make people to sit down and read them, we are not preachers that’s for sure, we just want to make people think a bit more, of whats going on and be more aware. I think also that our lyrics fits a lot with the music we are playing and that’s another interesting factor to make anyone to pay a bit more attention, because at least for us lyrics are also important as the music is. And we love it when fans also embracing the whole thing music and lyrics.

Are there any plans to tour extensively in the near future?
Yeah we will going pretty soon to announce some shows in Finland and Spain and also Greece and we are looking all over the place, since covid shit seems to go away from our lives. We have plans to play in Japan and Australia plus the Americas. Also we are looking for a full European tour and we want to visit as many countries as possible and share the new songs with all our fans.

Are you afraid to tour during the pandemic emergency?
Its definitely a risk, but sometimes you need to take the risk and see what happens, I think covid will be soon vanished from our lives and we also need to learn to live with it. Otherwise if you live in a state of fear all the time, you are loosing yourself and your life.




Gunjack – Il terzo impatto

Alfieri del più incontaminato heavy metal old school, gli italiani Gunjack hanno sfornato lo scorso 2 febbraio il loro terzo album in studio, “The Third Impact” (Neecee Agency). Lavoro che sin dal titolo evidenza le intenzioni bellicose del trio rappresentato in questa sede dal bassista\cantante Mr.Messerschmitt.

Benvenuto, è arrivato il momento di “The Third Impact”, che sin dal suo nome certifica che si tratta del vostro terzo album, quello che nella tradizione rock segna la maturità completa di una band. Ritenete che anche nel vostro caso sia così?
Ciao, innanzi tutto grazie per questa intervista. Sì, in effetti siamo molto soddisfatti di questo risultato. Abbiamo voluto definire al meglio il nostro sound – già in “The Cult of Triblade” si può sentire un cambiamento rispetto a “Totally…” – ma credo che questa cosa sia una normale evoluzione.

I vostri primi due album sono usciti quasi ad un anno di distanza l’uno dall’altro, mentre questo ha necessitato di una gestazione più lunga, come mai?
Purtroppo la pandemia non ha giocato a nostro favore: il materiale era praticamente pronto, ma il lockdown e, ovviamente, l’impossibilità di muoversi liberamente, ha fatto sì che optassimo per l’attesa di un periodo “leggermente” migliore. Già con il secondo album, che tra l’altro stava andando alla grande, abbiamo dovuto bloccarci causa Covid. Peccato.

Come e quando sono nati i pezzi che compongono il disco?
Ogni pezzo dell’album è un racconto di ciò che accade intorno a noi o di fatti storici che ci fanno riflettere. Cerchiamo di trattare diversi temi, come i problemi ambientali o quelli sociali, fino alla religione. E ovviamente, in puro stile Gunjack, ci piace maneggiare lo scomodo tema della guerra.

L’impressione generale che ho ricevuto fin dal primo ascolto è quella di un disco più diretto dei precedenti ma anche più oscuro. Voi invece come trovate il sound di “The Third Impact” in rapporto alle vostre precedenti uscite?
Hai centrato in pieno, quello è il risultato che volevamo: un album più oscuro. I temi trattati e le ritmiche che servivano per queste song non potevano essere come per esempio in “Totally”. Anche se poi le fondamenta rock’n roll ci saranno sempre. Cercavamo un sound più “grosso” e cattivo, e credo che ci siamo riusciti.

La triplice lama che vi identifica, e che è stata anche oggetto del titolo del vostro disco precedente, oggi la troviamo trasfigurata nel simbolo del pericolo biologico: quanto la stretta attualità ha inciso sulle canzoni di questa uscita?
Direi tantissimo. Ovviamente questa pandemia ha influito su tutto, ne senti parlare tutti i giorni a qualsiasi orario. E’ quindi normale che volente o nolente ne sei influenzato in molte cose che fai. L’immagine sulla copertina vuole però essere anche un modo per combattere questa negatività mentale: il triblade incarna la musica, che in questo caso è davanti al virus e lo combatte. Quindi mai arrendersi!

Siete degli alfieri della vecchia scuola, ma non dei nostalgici: come è possibile attualizzare l’heavy metal?
Siamo convinti che in primis bisogna suonare ciò che piace a se stessi. Sembra banalità ma non lo è: molto volte si decide su cosa “creare” in base a ciò che va in quel momento o ciò che si crede possa richiamare più persone. In realtà, siamo legati all’old school, questo è innegabile, ma nello stesso tempo non ci diamo dei limiti. Ognuno di noi ha delle proprie influenze che può usare per creare nuovi riff o arrangiamenti, cose magari, non proprio “standard” per il genere.

Di contro, cosa non deve mai mancare in un album heavy metal che si rispetti?
Beh, direi la chitarra tagliente, il basso pesante e la batteria che pesta a più non posso, ahahaha…

Visto che si parla di metal classico e voi siete un power trio, vi andrebbe di citare alcuni terzetti classici che vi hanno influenzato?
Se non dicessi Motörhead, qualcuno riderebbe, ehehe! Ma anche Sodom o Venom!

Torniamo all’attualità, anche se in piena emergenza forse bisognerebbe parlare di futuro che si spera prossimo: avete già dei programmi per la promozione dal vivo del disco?
Sì, ad ora abbiamo in programma il release party al Trani di Belgioioso, Pavia, il 4 Marzo ma stiamo lavorando per il calendario 2022. Incrociamo le dita!

Crohm – Paindemic live

Un album dal vivo è molte volte un’istantanea di un momento particolare nella storia di una band. I Crohm, che la loro storia l’hanno iniziata nel 1985, hanno deciso di immortalare un concerto particolare, quello andato in onda in streaming in occasione della rassegna “Les Hard Griots: narrazioni Metal e poetiche Rap sull’animo umano” in pieno lockdown. Un modo per trasformare la sofferenza in rinascita, come lascia immaginare il titolo “Paindemic Live”.

Benvenuto Sergio, direi di iniziare dalla stretta attualità, il vostro album “Paindemic Live”, registrato in occasione della manifestazione “Les Hard Griots: narrazioni Metal e poetiche Rap sull’animo umano”. Mi dareste maggiori dettagli dell’evento?
La Regione Valle d’Aosta organizza da più di 20 anni una rassegna culturale chiamata “Saison Culturelle” che vede svolgersi per diversi mesi spettacoli teatrali, concerti, danza ecc. Anche la “Saison” ha subito il Lockdown nel 2020 ma a inizio 2021, coraggiosamente, hanno deciso di provare a ripartire con una versione in diretta streaming senza pubblico in presenza, mediante la pubblicazione di un bando per proposte artistiche che non prevedessero un normale concerto o una normale pièce teatrale, ma qualcosa di nuovo. Il progetto da noi presentato prevedeva un doppio concerto metal con l’inserimento di un violino come quinto elemento della band, un concerto rap, la compenetrazione tra i due live, una bravissima ballerina di Pole Dance, che si è esibita durante la nostra performance, e alcuni attori che interpretavano un nostro brano in maniera teatrale. Musica, danza e teatro che convivevano insieme. Il nostro progetto è stato accettato e messo in cartellone.

Il disco si apre con degli applausi, anche se il live è stato trasmesso in streaming in assenza di pubblico. Immagino che questa scelta di inserire dei rumori ambientali abbia un valore simbolico, è così?
Suonare in diretta streaming senza pubblico è molto impegnativo, poiché non hai il riscontro ed il dialogo con il pubblico. E’ stato comunque un concerto in presa diretta, un vero live (se ascolti con attenzione ti accorgerai che alcuni errori ci sono e non sono stati corretti e il suono è bello grezzo) che è stato seguito in diretta streaming da oltre 7400 persone (me lo sono fatto ripetere 3 volte dal gestore della diretta, wow!!!), per cui abbiamo deciso di aggiungere il pubblico in fase di missaggio e l’abbiamo scritto chiaramente sulla copertina dell’album. Quindi vero live e vero / finto (!) pubblico! Ah! Ah! Se di significato simbolico vogliamo parlare possiamo dire che l’intenzione era quella di far sentire come sono veramente i Crohm in concerto e il “suono” del pubblico rende l’atmosfera ancora di più.

Vi siete esibiti con una formazione allargata, impreziosita dalle apparizioni di Flavia Simonetti (violino), Fabio Rean aka Fungo (voce) – Andrea Di Renzo (voce) aka Dj Sago. Come è stato lavorare con artisti provenienti da ambienti musicali diversi?
E’ stato veramente molto interessante e divertente! Flavia è un’amica e una musicista bravissima. Con lei abbiamo già collaborato in passato per “Legend And Prophecy” e ci ha pregiato della sua presenza in diversi concerti successivi. Sempre con l’idea di realizzare lo spettacolo all’interno delle linee guida del progetto per la Saison Culturelle abbiamo pensato al suo coinvolgimento, riscrivendo e riadattando molti brani in modo da rendere il violino un vero comprimario della chitarra e dare un sound unico a quell’evento rispetto al nostro standard. Per quanto riguarda l’incursione dei rapper, siamo in ottimi rapporti di amicizia con Fungo Zio. DJ Sago, a lui molto legato, è un musicista molto bravo con cui ci siamo trovati subito bene. Il resto è venuto molto naturalmente.

Come avete scelto i brani da inserire nella scaletta della serata?
Appena quest’anno ci si è presentata l’occasione abbiamo suonato in live. “Paindemic” è il prodotto di quel concerto. Nel titolo è racchiuso il dramma di tutti per la pandemia e la frustrazione di chi a vario titolo fa o lavora nella musica e ha patito questo lungo stop, soprattutto se è la sua fonte di reddito. In sostanza rappresenta la nostra voglia di tornare a suonare e un’opportunità di ravvivare l’attenzione anche su “Failure In The System”, che purtroppo è uscito a ridosso dell’inizio della pandemia, trovando un modo alternativo di promuoverlo a distanza di quasi un anno e mezzo dalla pubblicazione. Alcuni brani sono estratti dagli album precedenti, brani in cui avevamo già collaborato con Flavia. Il resto è sostanzialmente quasi tutto il nostro ultimo lavoro “Failure In The System” che per l’occasione ha avuto dei nuovi arrangiamenti in diverse canzoni per essere adatto alla presenza del violino come grande comprimario.

Oltre i vostri brani, troviamo anche “Post Fata Resurgo” donatovi da Fabio Rean aka Fungo. Come è nata questa ulteriore collaborazione?
Come ho detto poco fa siamo in ottimi rapporti di amicizia con il rapper/videomaker Fungo Zio e DJ Sago. Abbiamo pensato che la “forma spettacolo” proposta alla “Saison Culturelle” della Regione Valle d’Aosta avrebbe potuto ospitare un crossover di due generi distanti musicalmente ma a volte vicini nei contenuti e nella “rabbia” di esprimerli. Loro erano perfetti. Ecco che durante l’esecuzione di “Failure In The System” si sono aggiunti Fungo e Sago come coristi rap. E’ una canzone che restituisce una visone cupa di ciò che è l’uomo in rapporto alla natura e agli altri esseri umani. Tema intorno al quale ruota , con diversi aspetti, tutto il nostro album che porta lo stesso titolo. Un brano potente, ruvido, rabbioso. Proprio per questo non è stato inserito il violino ma abbiamo pensato di inserire il rap di Fungo e Sago. Noi abbiamo invece musicato in versione metal uno dei brani di Fungo, “Post Fata Resurgo”, aggiungendo una terza voce, la mia.


Il live del release party del vostro album “Humanity” fu registrato e trasmesso interamente dalla sede regionale radiofonica della RAI Valle d’Aosta. Non sono molte le band metal che hanno avuto il privilegio di esibirsi negli studi dell’emittente nazionale, come entraste in contatto con la RAI?
La sede regionale RAI della Valle d’Aosta ha generalmente un’attenzione particolare per la realtà musicale locale. I Crohm (insieme ai Kina) sono la band valdostana più conosciuta fuori dai confini regionali. Credo sia per questo che ci hanno proposto questa collaborazione, che abbiamo accettato con entusiasmo, e di cui ancora gli siamo grati.

Noi qui al sud ci lamentiamo spesso della difficoltà ambientali per chi fa metal, poiché per motivi geografici ci troviamo lontani dalle più grandi e attive città del nord. Voi provenite dalla Valle D’Aosta, una zona altrettanto periferica, questo vi crea problemi logistici o la vicinanza con il confine alla fine si tramuta in un vantaggio, garantendovi opportunità all’estero?
Come giustamente dici, anche noi siamo una zona periferica rispetto ai circuiti principali italiani. Per cui dobbiamo sempre spostarci per suonare verso Milano, Torino e il resto del nord Italia in generale. Per altri versi essendo in zona di confine ci è più facile “espatriare” verso i paesi limitrofi. Abbiamo infatti tenuto ad esempio alcuni concerti in Svizzera, che per noi è vicinissima.

Da osservatori dell’ambiente metallico italiano dal 1985, anno della vostra fondazione, come giudicate la stato di salute della nostra scena nazionale?
Tutto sommato la “scena nazionale” intesa come band mi sembra sempre vigorosa, grazie a tutti gli headbangers che tengono duro. Il vero problema in Italia, come era già negli anni ottanta, è la scarsissima attenzione dei media e del grande pubblico per il metal, con la conseguente quasi inesistente promozione radiofonica, tranne alcune radio specializzate, che determina la conseguente scarsa disponibilità dei locali ad organizzare concerti che non siano di bands già famose. In Italia, purtroppo, le masse sono tutt’ora legate soltanto alla musica melodica ultra-leggera. Non c’è stata mai un’evoluzione del gusto. La costante reiterazione di manifestazioni come San Remo o il Festivalbar lo dimostrano. E il business segue quella strada che, a mio personalissimo giudizio, è molto povera di contenuti musicali, ma fa cassa!

Il disco dal vivo in passato era uno spartiacque tra due fasi della carriera di una band, si chiudeva un’era e se ne apriva un’altra: è così anche nel vostro caso?
Per quanto ci riguarda non direi. La nostra nuova era si è aperta con la reunion del 2014, cui sono seguiti i nostri primi tre album in studio. Per noi il disco Live è stata più l’opportunità di metterci alla prova senza il comfort di uno studio di registrazione. Come dire, buona la prima… E devo dire che, nel nostro piccolo, sono soddisfatto! Inoltre è stato un modo per dare, a chi vorrà ascoltare “Paindemic”, la vera misura dei Crohm in una dimensione totalmente senza filtri.

Thyrfing – The black wolf is back!

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

I Thyrfing sono tornati a otto anni di distanza dalla pubblicazione del loro acclamato album “De ödeslösa”. “Vanagandr” (Despotz Records) – un nome alternativo del lupo mitologico conosciuto dai più come Fenrir – è il primo album senza il membro fondatore Peter Löf, ma la qualità di la musica proposta dagli svedesi ha mantenuto i consueti livelli di eccellenza. 

Benvenuto Patrik (Lindgren, chitarra) il vostro album numero otto, “Vanagandr”, uscirà alla fine di agosto. È passato molto tempo da quando hai registrato il demo “Solen Svartnar” nel 1995. Guardando indietro, come ci si sente ad aver compiuto quasi 25 anni di carriera facendo quello che si ama?
Grazie! Devo dire che in effetti è fantastico. Anche se non siamo sempre stati completamente attivi e impegnati al 100% per tutto il tempo, la band è sempre stata viva in qualche modo, e se non altro ha fatto qualche spettacolo ogni anno. Questo pur mantenendo l’idea e il concetto di base, pur perfezionandosi e progredendo sempre nel rispetto della stessa linea in tutti questi anni. Non credo che siano tante le band che riescono a farlo, quindi sì, direi che ne sono orgoglioso.

Cosa è rimasto intatto dello spirito iniziale della band nel nuovo album “Vanagandr”?
In realtà, direi quasi tutto. Ovviamente potremmo aver perso un po’ dell'”entusiasmo giovanile” e della mancanza di “barriere mentali” che accompagna la tua adolescenza… ma per le idee più basilari della musica e del concept direi che per la maggior parte è ancora tutto qui, anche se abbiamo imparato molto e affinato molte cose lungo la strada.

Questo è il vostro primo album in otto anni, la pandemia e l’assenza di spettacoli quanto hanno influenzato la vostra volontà di pubblicare un nuovo album?
Non direi che ha avuto un grande impatto ad essere onesti. Forse avremmo potuto pubblicarlo durante questa primavera se le cose fossero state “normali”, ma non ha fatto molta differenza per i tempi. Quando finalmente abbiamo messo insieme tutte le canzoni dopo molti lunghi anni era gennaio/febbraio 2020, cioè il momento in cui le cose hanno cominciato ad accadere riguardo alla pandemia… Comunque i piani che avevamo preparato per la produzione potevano procedere senza problemi, quindi sì… da quel momento le cose sono andate secondo i piani.

Quanto è importante per andare in tour per i Thyrfing? Solo pochi mesi fa gli Anathema hanno annunciato la loro fine a causa della difficile situazione economica dovuta alla pandemia di Covid 19.
Non è così importante, e in realtà non stiamo facendo molti tour, principalmente ci dedichiamo a festival e spettacoli selezionati. Fortunatamente, per i Thyrfing non è qualcosa su cui facciamo affidamento da un punto di vista finanziario, quindi possiamo praticamente andare avanti e fare quello che vogliamo, ogni volta che vogliamo… Ovviamente è triste sentire che ci siano band che si sciolgono solo per questo motivo.

Dai tempi dell’album “De ödeslösa” la formazione non è stata mai cambiata, se si esclude l’uscita del membro fondatore Peter Löf. Quanto è stato importante per te lavorare con lo stesso team del precedente full lenght?
Penso che sia una buona cosa finché c’è una buona atmosfera e cooperazione tra tutti. Oltre a fare l’album “De ödeslösa”, abbiamo anche fatto alcuni show in questi anni, quindi direi che ora ci sentiamo una realtà molto solida. E probabilmente, lavorare con gente che ha già prodotto con me un album, ha aiutato a far andare le cose.

Come ti sei sentito a lavorare senza Peter per la prima volta nella storia della band?
Una cosa nuova, sì, e un po’ una sfida su come gestire le tastiere e l’orchestrazione. Peter era (è) un musicista e songwriter di grande talento e secondo me ha apportato alcune cose uniche, non solo ai Thyrfing, ma forse all’intero genere… Abbiamo provato a lavorare con alcune persone, ma non c’è mai stato veramente feeling al 100%. Alla fine la soluzione era proprio davanti a noi, quando Joakim ci ha proposto di farlo lui, abbiamo subito sentito che aveva colto nel segno.

La vostra nuova etichetta, Despotz Records, ha annunciato una nuova edizione dei vostri album classici “Thyrfing” (1998), “Valdr Galga” (1999), “Urkraft” (2000), “Vansinnesvisor” (2002) entro la fine del 2020. Ascolti spesso le tue vecchie uscite?
Oh, non spesso, almeno non così spesso, ad essere onesti. Ogni tanto riesco a godermi un singolo brano dei primi album, e alcuni di essi li suoniamo ancora dal vivo come “Storms of Asgard”, “Mjölner” e “Sweoland Conqueror”. Dei primi quattro, sicuramente mi piace di più “Vansinnesvisor”… Penso che sia lì che abbiamo trovato lo stile attuale sul quale costruiamo ancora oggi le nostre cose, e per molti aspetti penso che suoni ancora alla grande.

Queste nuove edizioni conterranno delle bonus track?
Vedremo come studieremo e rilasceremo le versioni fisiche… speriamo che ci siano degli extra, che siano audio, video o immagini… ma non affretteremo le cose per quelle riedizioni. Penso che sia meglio che attendere il tempo giusto prima che escano di nuovo. Direi che probabilmente non accadrà fino all’inizio del 2022.

Quali brani del nuovo album eseguirte sul palco durante il prossimo tour?
Questa è una buona domanda… ad essere onesti non abbiamo ancora deciso e non ci abbiamo pensato su molto. Naturalmente i singoli brani (“Döp dem i eld”, “Jordafärd”, “Järnhand”) sarebbero scelte ovvie per i primi spettacoli, ma non lo so… dobbiamo vedere cosa rende al meglio e cosa scegliere di provare dal vivo quando inizieremo a testare le canzoni per preparare le scalette.

Thyrfing are back eight years after their acclaimed album “De ödeslösa” .”Vanagandr” (Despotz Records) – an alternative name for the wolf creature known as the more familiar Fenrir – is the first album without founding member Peter Löf, but the quality of the music proposed by the Swedes has kept the usual levels of excellence.

Welcome Patrik (Lindgren, guitars), your album number eight, “Vanagandr”, will be released at the end of August. A lot of time has passed since you recorded the “Solen Svartnar” demo in 1995. Looking back, how does it feel to have accomplished almost 25 years of doing what you love?
Thank you! I must say it feels great actually. Even though we have not always been fully active and 100% busy all the time, the band has always been alive in some way, and if nothing else doing some shows each year. This while still maintaining the basic idea and concept of the band, while always refining and progressing within the same framework throughout all these years. I don’t think it’s every band who manages to do that, so yeah, would say I feel proud about it.

 What has remained intact of the initial spirit of the band on the new album “Vanagandr”?
Actually, I would say most of it. Of course we might miss some of the “youthful enthusiasm” and lack of “mental barriers” that comes with your teenage years… but for the most basic ideas of the music and concept I would say most if is still here, even though we have of course learned a lot and refined many things along the road.

This your first album in eight years, how much have the pandemic and the absence of shows influenced your will to release a new album?
I wouldn’t say it had much impact to be honest. Maybe we could have released it during this spring if things were as of “normal”, but it didn’t make that much difference for the timing. When we finally got all the songs together after many long years it was January/February 2020, i.e.. the time when things started to happen regarding the pandemic … However the plans we laid out for the production could proceed without any problems really, so yeah … from that point, things just went on according to plan.

How is important for Thyrfing touring? Just few months ago Anathema announced their hiatus due the difficult economic situation due the Covid 19 pandemic.
Not that important, and we are actually not making much touring at all, mainly festivals and selected shows. Luckily in this regard, Thyrfing is not something that we are dependable on from a financial point of view, so we can pretty much keep on going and do whatever we want, whenever we want … It is of course sad to hear old and long-running bands breaking up if it’s only for this reason.

From “De ödeslösa” album the line-up was not changed, just the founder member Peter Löf is out. How important was for you to work with the same team of the previous full length?
I think it’s a good thing as long as there is good atmosphere and co-operation between everybody. Apart from doing “De ödeslösa” album, we also did quite some shows in all the years between the albums, so I would say we feel like a very solid unit now. And probably it also helps keeping things smooth if everybody has been onboard before and have some experience in producing a Thyrfing album from before.

How did you feel to work without Peter for the first time in the history of the band?
It was a new thing, yeah, and a bit of a challenge on how we were going to handle the keyboards and orchestration. Peter was (is) a very talented musician and song-writer and in my opinion he brought in some unique things to this, not only for Thyrfing but maybe for the genre as a whole … We tried out working with a few people, but it never really felt 100%. In the end the solution was right in front of us, when Joakim decided to do it and we immediately felt that he hit the spot.

Your new label Despotz Records announced a new edition of your classic albums “Thyrfing” (1998), “Valdr Galga” (1999), “Urkraft” (2000), “Vansinnesvisor” (2002) by the end of the 2020. How often do you listen your old releases?
Oh, not that often to be honest. I can enjoy a single track from the earliest albums now and then, and some of them we still play live such as “Storms of Asgard”, “Mjölner” and “Sweoland Conqueror”. Out of the first four, I surely enjoy “Vansinnesvisor” the most … I think that’s where we found the current style that we still build things on today, and in many regards I think it still sounds great.

These new editions will contain bonus tracks?
We will see how we will package and release the physical releases … hopefully there will be some extras, may it be audio, video or visuals … but we will not rush things with those re-releases. I think it’s better we do something worthwhile once they get out again. I would say it probably won’t happen until early 2022.

Which songs from the new album will you perform on stage during the next tour?
That’s a good question … to be honest we haven’t decided or really thought about it that much yet. Naturally the single tracks (“Döp dem i eld”, “Jordafärd”, “Järnhand”) would be obvious choices for the first shows, but I don’t know … we need to see what feels best and what we think are going to work out live when we start to rehearse the songs and prepare the setlists.