Menk’ – Noi

Forti di una amicizia pluridecennale, della comune militanza nei Buñuel e dello split album condiviso nel 2020, “Tierra/Maree”, Xabier Iriondo (I Fiumi, Buñuel, Afterhours) e Franz Valente hanno dato vita a un nuovo progetto musicale, Menk’. Dal 27 ottobre è disponibile l’album omonimo di debutto, frutto di una cooperazione tra Overdrive Records, Dio Drone, Dischi Soviet e Wallace Records….

Benvenuti, partirei da dallo split album che vi ha visti coinvolti nel 2020, ai tempi di “Tierra/Maree”, a livello conscio o inconscio i Menk’ già esistevano?
X: Franz ed io ci conosciamo da più di un decennio e negli ultimi anni, oltre all’esperienza condivisa nel gruppo Buñuel, abbiamo consolidato idee ed intenzioni comuni rispetto ad un percorso che esula del rock e pone radici nella sperimentazione di timbri, strutture, spazialità. Questo viaggio è iniziato con la pubblicazione di “Tierra/Maree”, facendo concerti insieme presentando i nostri due “solo” ed un duetto finale a fine spettacolo. L’idea di un nuovo lavoro (che diventerà poi “Menk’”) probabilmente nacque durante alcune conversazioni che facemmo nel tour europeo 2022 di Buñuel, immaginando nuovi territori da esplorare insieme.
F: Già nel primo album dei Buñuel io e Xabier abbiamo inserito degli elementi musicali che sconfinano con il rock e che danno spazio ad un altro tipo di linguaggio. Come in “Cold or Hot” brano che apre il disco. Abbiamo continuato a farlo con i Buñuel nei dischi seguenti. Con il passare del tempo ho approfondito questo aspetto e ho ampliato la mia palette di suoni/colori, ho abbandonato il set-up di batteria tradizionale e ho costruito un tavolo da lavoro dove creare delle nuove sonorità. In “Tierra_Maree” si è consolidato questo approccio di scrittura, adesso con “Menk’” abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti.

Quel lavoro si chiude con il brano comune “Mosaique”, per la composizione dei pezzi di “Menk’” avete avuto lo stesso approccio compositivo oppure avete percorso nuove strade di scrittura?
X: La scrittura di “Menk'”è nata pensando allo spazio che avrebbe accolto le nuove registrazioni, una chiesa armena con un suo naturale e speciale riverbero. Le idee messe in campo riguardavano timbri (strumenti a corda, strumenti a fiato, metalli, pelli, elettronica, etc) ma soprattutto relazioni con lo spazio nel quale avremmo suonato gli strumenti, il silenzio e il paesaggio sonoro che circondava la chiesa (la natura in primis ed i suoi suoni). Un approccio ben diverso dalla composizione di “Mosaique”, brano contenuto in “Tierra/Maree” dal sapore noise/doom.
F: La chiesa dove abbiamo prodotto “Menk’” ha delle caratteristiche acustiche molto diverse da un tipico studio di registrazione. Questo fattore ha tracciato la strada per creare del nuovo materiale. Principalmente in questo disco ho usato rumori metallici volendone mettere in risalto la brillantezza e la ricchezza di armonici. In fase di produzione abbiamo sperimentato molto con i microfoni sulla stereofonia e sul captare il riverbero naturale che la chiesa ci offriva.

Menk’ significa “noi” in armeno. Immagino che sia stato scelto rappresenti un sigillo sul vostro connubio artistico, sbaglio?
X: Esatto.
F: “Noi” lo intendiamo anche come una apertura verso il mondo esterno, nei confronti delle persone, della natura e della spiritualità. Siamo un tutt’uno.

Se c’è un noi, c’è anche un voi. Quando avete scritto un disco così intimo e spirituale, quanto avete pensato al voi, a tutti coloro che l’avrebbero poi ascoltato?
X: Più che a voi abbiamo pensato a noi, a quale sarebbe stata la “nuova fonte” alla quale abbeverarci. A cercare di viaggiare su una strada che avevamo poco battuto sia in “Tierra/Maree” che in altri lavori solisti di entrambi. Mondi principalmente acustici con strumenti e/o tecniche atipiche, nel confine tra folk, ambient e avant-garde. Io nel mio percorso artistico penso raramente a voi, lo faccio nei termini del decidere di pubblicare qualcosa che tutti possano ascoltare.
F:Il limite che mi do quando devo pubblicare un disco è che se piace a me piacerà anche a voi. Il resto del materiale che ho non lo pubblico, lo ascolto da solo in macchina o lo suono per qualcuno di speciale.

Spesso si parla di voi, molte volte si usa il termine “sperimentatore”. Vi sentite degli sperimentatori?
X: Che cos’è la musica sperimentale? Una musica che quando viene composta porta a risultati spesso imprevedibili. Quando iniziamo a suonare/registrare difficilmente “proviamo” prima quindi ci affidiamo a modalità improvvisative e ad un unico obiettivo/fine: stupirci mentre compiamo questo percorso. Sperimentiamo un approccio personale o collettivo (quando suoniamo in duo) che non abbiamo affrontato in precedenza.
F: Noi siamo dei musicisti. Creiamo e organizziamo i suoni in maniera scientifica e lo facciamo con molta precisione. La musica è un mezzo per esprimere delle emozioni, meno il risultato è caotico più l’emozione riesce a penetrare l’anima. Organizziamo le nostre composizioni come una frase poetica, come un racconto, per far lavorare l’ immaginazione e la fantasia di chi ci ascolta. Questa è la cosa più preziosa che possiamo offrire.

Lo status di musicisti affermati vi dà più libertà oppure, in un certo senso, vi limita? Potete fare quello che vi pare oppure a un certo punto dovete fermarvi e rimanere “fedeli” allo stile che vi ha portato al successo?
X: La definizione che usi non ci veste. Noi pubblichiamo dischi in tirature limitate (alcune centinaia di copie) e facciamo pochi concerti. Questa è la nostra condizione, siamo musicisti di nicchia che costruiscono il proprio percorso artistico a seconda dei bisogni che abbiamo, non ci interessa rimanere fedeli a quello che abbiamo fatto e rifare mille volte gli stessi dischi e gli stessi concerti. Vogliamo esplorare nuove territori, se poi troviamo qualcuno che vuole condividere con noi questo percorso bene.
F: Ho sempre seguito il cuore e i miei desideri. Ho sempre fatto la musica che ho voglia di suonare ed ascoltare. Per me fare musica è qualcosa di estremamente vitale.

Tornando al disco, quali strumenti “non convenzionali” avete utilizzato? Ce ne sono alcuni creati da voi per l’occasione?
X: Parlando di strumenti non sentiti o suonati spesso dalle nostre parti, piuttosto che “non convenzionali”, io ho suonato il Guzheng (strumento a 21 corde della tradizione cinese), il Khan (organo a bocca tailandese), il Taisho Koto (cordofono giapponese), un harmonium e la sega musicale.
F: Nella realizzazione di “Menk’” non abbiamo usato strumenti non convenzionali ma piuttosto legati a tradizioni lontane, esotiche. Principalmente ho usato metalli (piatti, campane di varie dimensioni ) colpendoli con battenti diversi o strofinandoli con un archetto di violino. In qualche brano ho usato l’elettronica.

Avete intenzione di portare i Menk’ su un palco?
X: Ovviamente sì, molto presto. Il 18 novembre presenteremo “Menk'” dal vivo nella chiesa armena dove lo abbiamo registrato, all’interno del complesso della Villa Albrizzi (TV). Il 20 gennaio parteciperemo al festival Dio Drone a Firenze, in via di definizione altre date nel 2024.

All’orizzonte si profila un “Menk’ 2” oppure considerate conclusa qui questa esperienza creativa?
X: Ora pensiamo e viviamo il presente, l’uscita del nostro “Menk’” e l’opportunità di portarlo in giro dal vivo.
F: Come in ogni esperienza questo progetto potrà portare con sé delle nuove evoluzioni.

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