Rabid Dogs – Grind ‘n’ roll a mano armata

I Rabid Dogs da quasi tre lustri violentano i nostri padiglioni auricolari, figuriamoci se una pandemia può fermare questa loro attività criminosa. Anzi il recente “Black Cowslip” rilancia le ambizioni del terzetto, forte di un nuovo contratto discografico (con la Time To Kill Records) e nuovi stimoli creativi.

Ciao Doc (chitarra e voce), lo scorso 28 gennaio è uscito il vostro album “Black Cowslip”, è sicuramente presto per fare un bilancio, però ti chiedo: quali aspettative accompagnano questa pubblicazione?
Ciao Giuseppe. Sì, non è nemmeno un mese che l’album è fuori ma abbiamo delle buone sensazioni a riguardo. Il disco piano piano si sta diffondendo, grazie alla promozione continua della Time To Kill, ai due videoclip pubblicati in queste settimane ed alla musica stessa. Crediamo molto in questo disco e vogliamo che arrivi a più pubblico possibile perché lo merita.

“Black Cowslip” è il primo album che pubblicate durante la pandemia, temete che l’attuale blocco dei concerti possa in qualche modo compromettere la promozione del disco?
E’ la nostra paura ma purtroppo non possiamo farci molto. Causa pandemia abbiamo dovuto rallentare un po’ con la registrazione e pubblicazione ma forse è stato un bene dato che finora l’attività live è stata quasi del tutto azzerata. Adesso però siamo in attesa che le restrizioni scompaiano e di poter finalmente suonare dal vivo: è davvero tanto tempo che non calchiamo un palco e la cosa ci ha iniziato davvero a stufare.

Quanto è importante per voi poter suonare dal vivo? Avete già delle date in programma per le prossime settimane?
Per noi è importantissimo. Siamo una band che adora andare in tour e fare festa con il pubblico e con le altre band. E’ bello comporre musica e registrarla ma se non puoi condividerla con altre persone non ha molto senso. Inoltre è un genere  molto “fisico” che può esprimersi al meglio solo dal vivo. Riguardo le date, ci stiamo lavorando proprio in questi giorni. Finora le poche serate trovate sono state tutte annullate o posticipate ma non disperiamo: siamo ottimisti e contiamo di riuscire a portare il nuovo disco dal vivo per primavera/estate.

Quando sono nati i brani di “Black Cowslip”?
I brani hanno avuto una gestazione molto lunga. I pezzi sono stati composti già da tre anni ma con il tempo si sono arricchiti e modificati. Molto ha influito anche il lavoro di Cinghio dei Kick Recording Studio: la sua esperienza è stata preziosa per trovare soluzioni che non avevamo considerato in sala prove. Inoltre, come detto prima, la pandemia ci ha costretto a dei lunghi stop e questo ci ha permesso di ripensare i pezzi e modificarli dove funzionavano meno.

Avete lavorato in modo diverso in studio rispetto al passato?
E’ stata la prima volta per noi  ai Kick Recording Studio e ci siamo trovati subito a nostro agio, in un ambiente sempre costruttivo ed aperto a tante idee. Dopo anni di registrazioni al nostro solito studio qui in Abruzzo, uscire dalla nostra “comfort zone” e passare ad uno studio nuovo, in un’altra città, è stata un po’ una scommessa e non sapevamo come sarebbe andata. Registrare con Cinghio invece è andata benissimo, ci ha dato un punto di vista diverso sui pezzi ed ha arricchito il disco con ottime intuizioni.

Ciò che mi colpisce della musica contenuta in  “Black Cowslip” è che al primo ascolto pare quasi semplice, in realtà è stratificata, complessa e multiforme: come avete fatto a rendere semplici le cose difficili?
In effetti è un disco di facile ascolto, con pezzi che filano via con leggerezza e che non annoiano.  In principio seguiamo solo le nostre intuizioni in sala prove, partendo da riff semplici ma coinvolgenti, per poi arricchirli tutti insieme mano a mano. E’ sempre stato così per noi, siamo tutti coinvolti nella composizione, e non è la prima volta che inseriamo soli di armonica o pezzi meno tirati, ma questa volta è stato determinante anche tagliare alcune soluzioni per rendere tutto più snello. Ad esempio in origine le linee vocali erano differenti, molto più corali, ma come abbiamo provato a ridurle ed ad affidarci ad una voce principale, ci è subito parsa la soluzione migliore, il disco filava via meglio. E così via anche per quanto riguarda strutture dei pezzi ecc…

Niente male neanche la copertina, chi è l’autore?
Se per studio ed etichetta ci sono stati cambiamenti, per l’artwork no: ci siamo affidati ancora a Davide “Dartwork” Mancini e non abbiamo sbagliato. Adoriamo i suoi lavori e volevamo ancora il suo contributo per questo disco, perfetto per il suo stile molto stoner/doom.

Per “Fucking Spaced Out” avete realizzato un grande video, avete degli aneddoti particolari da raccontare sulle riprese?
“Fucking Spaced Out” è il primo di quattro video previsti per questo disco. La forzata mancanza di attività live ci ha permesso di dedicarci di più alla promozione tramite videoclip e, grazie all’aiuto di Enrico della Time To Kill, siamo entranti in contatto con i ragazzi della Thunderslap Productions con cui abbiamo filmato. E’ stato divertentissimo lavorare con loro, sono persone molto professionali ed allo stesso tempo molto alla mano. C’è stato sempre un clima di festa nel registrare il video, aiutato dal fatto che tutte le bottiglie che vedete ce le siamo scolate per davvero (l’unica finzione sono le pilloline… niente roba eccitante, della semplice vitamina C). Il video in questione è collegato al seguente “The Law Of The Strongest”, uscito con la pubblicazione del disco, per cui se ti è piaciuto ti consiglio vivamente di guardare anche quello.

Visto che si parla di riprese: “Cani arrabbiati” è il più grande film della storia?
Il più grande film della storia? Ahhaha forse no, ma è sicuramente il più importante per la nostra storia. Senza quel film non so come ci saremmo chiamati e non so se avremmo avuto la stessa passione per i poliziotteschi anni 70. Dobbiamo molto a quel film.

Dionisium – I discepoli di Dionisio

Un passo alla volta, senza fretta. I Dionisium hanno deciso di non bruciare le tappe e di non partire direttamente con un EP o con un full-length, come capita spesso oggigiorno, ma sono passati da quella palestra che è il demo. Non per mancanza di coraggio, perché il primo parto del gruppo, “Mount Nisa”, è un unico brano della durata della bellezza di 17 minuti e mezzo! Un lento fluire di sonorità doom, stoner, sludge e black metal.

Benvenuti ragazzi, direi di partire con la più classica delle domande da porre a una band di recente creazione: vi andrebbe di presentare i Dionisium ai nostri lettori?
Ciao, innanzitutto grazie mille per lo spazio dedicatoci. Noi Dionisium nasciamo nel giugno del 2020 e siamo un power trio strumentale formato da Niccolò alla chitarra, Davide al basso e Andriy alla batteria. Come genere proponiamo una miscela di doom metal, stoner, sludge e black metal. Dopo otto mesi circa dall’avvio del progetto abbiamo pubblicato la nostra prima demo, “Mount Nisa”, che consiste in un unico brano della durata di 17 minuti e mezzo.

Nascete nel Giugno del 2020, quindi al termine dello stancante e lungo periodo di lockdwon: secondo voi c’è un nesso tra questa esperienza di cattività, seppur momentanea, e la vostra voglia di creare un gruppo?
Molto semplicemente l’idea di creare un gruppo è partita da Niccolò e Davide durante il periodo pre-Covid. Dopo qualche mese alla ricerca di un batterista, ci contattò Andriy, rispondendo ad un annuncio da noi pubblicato: dopo qualche prova tutti assieme riuscimmo a trovare la sintonia che stavamo cercando.

A quanto mi pare di capire, non avevate un genere di riferimento, anzi sentivate la necessità di spaziare tra le vostre influenze musicali, non proprio omogeneo. E’ stato complicato poi arrivare a un sound che soddisfacesse tutti partendo da punti differenti?
Non volevamo porre barriere ai generi che volevamo esplorare nella composizione, siamo riusciti così a trovare il giusto equilibrio tra le varie influenze musicali di ognuno di noi, ragion per cui arrivare ad un sound che ci soddisfacesse è stato abbastanza spontaneo.   

Qualche mese fa, a settembre, avete rilasciato un demo “Mount Nisa”, vi andrebbe di parlarne?
“Mount Nisa” è il primo pezzo che abbiamo scritto tutti assieme e lo definiamo un “Viaggio strumentale, lungo 17 minuti, di blackened sludge/doom con tinte stoner rock e drone”. Sin dalla sua genesi fino a poco prima di entrare in sala registrazione, è passata attraverso un costante processo di evoluzione e aggiunta di nuovi riff e idee.

Non è cosa di tutti esordire con un pezzo unico di 17 minuti, atto di coraggio o di incoscienza?

Sinceramente non ci siamo posti questa domanda: quando siamo arrivati ad avere la versione definitiva e ci siamo resi conto della sua effettiva lunghezza, abbiamo pensato che comunque essendo molto varia, all’ascolto risultava scorrevole e mai monotona.

Altra cosa che mi ha sorpreso è che definite l’uscita “demo”, cosa ormai andata persa. Sempre più band oggi saltano questo passaggio, che per uno vecchio come me è una palestra fondamentale, per tirar fuori un EP o, addirittura, un full-length. Voi come mai avete optato proprio per un demo?
Essendo la nostra prima registrazione abbiamo pensato che pubblicarla sotto forma di demo fosse la cosa più logica da fare, avendo anche noi una visione legata alla vecchia scuola, se vogliamo definirla così.  

Dionisium va a richiamare il periodo delle grandi dionisie, fase dell’anno della durata di circa sei giorni in cui, nell’antica Grecia, era consentito di tutto. Come avete tentato di trasmettere questa idea di massima libertà con la vostra musica?
L’unica idea iniziale che si aveva era di fare qualcosa che ruotasse attorno al mondo stoner/doom/sludge, ma appena iniziammo a suonare ci rendemmo conto che era e continua ad essere troppo poco per noi, per questo ci siamo dati totale libertà, come le grandi Dionisie.

“Mount Nisa” è il titolo scelto per il demo, anch’esso legato al mito di Dioniso. Nel vostro caso, immagino, abbia un valore simbolico, no?
Sì, ha sicuramente un forte valore simbolico: l’immaginario Monte Nisa per Dioniso è stato il luogo in cui ha passato la prima fase della sua vita. Metaforicamente Il nostro Monte Nisa è proprio l’uscita della demo, che segna la prima parte di vita di questo progetto. Quando iniziammo a parlare riguardo al nome da dare al pezzo Mount Nisa fu quello che ci colpì di più, in quanto fu facile e del tutto naturale creare questa metafora.

Avete già presentato dal vivo il brano nella sua interezza?
Sì, abbiamo avuto modo di esibirci dal vivo diverse volte, ed abbiamo riscontrato pareri molto positivi, che ci hanno fatto capire che siamo riusciti a trasmettere le sensazioni che noi stessi proviamo nel suonarla. Speriamo che piaccia anche a voi!

Eye of The Golem – L’occhio del Golem

Intervista collettiva con gli Eye of The Golem, creatura dedita allo stoner\doom di fresca formazione che da poco ha pubblicato il proprio esordio, “The Cosmic Silence”, come duo, ma che oggi si presenta al nostro pubblico in veste di trio…

Ciao ragazzi, inizierei raccontando come nato il terzetto base degli Eye of The Golem…
Ale: In realtà, la storia è molto semplice: a fine lockdown, circa a giugno 2020, ho trovato un annuncio di Hari che diceva di stare cercando due persone per formare un power-trio stoner. Ho risposto subito, ci siamo trovati una volta e c’è stata subito chimica! In seguito abbiamo provato qualche bassista ma nessuno di loro ci ha mai convinti, quindi ci siamo decisi a registrare l’EP “The Cosmic Silence” come duo. Dopo aver riascoltato qualche centinaio di volte le registrazioni eravamo soddisfatti del risultato ma entrambi eravamo concordi che sarebbe stato utile integrare la formazione con un bassista quindi abbiamo iniziato a spulciare Villaggio Musicale. Ed è così che abbiamo aggiunto Emanuele!

Potendo dare delle percentuali, in quali proporzioni dividereste la componente doom e quella stoner del vostro sound?
Ema: Sicuramente la componente doom è assolutamente presente, ma trovo che la componente stoner sia quella che forse ci accomuni e ci rappresenti di più. Inoltre con gli ultimi lavori stiamo aggiungendo anche una componente sludge, tanto per non far mancare niente! E così, se proprio dovessi dare delle percentuali, direi 60% stoner, 30% doom e 10% sludge.

Come è nato “The Cosmic Silence”?
Ale: L’EP è il frutto di sei mesi di prove e duro lavoro! Il nostro modus operandi è quello di chiuderci in sala, fare lunghe jam che poi registriamo e “sbobiniamo” una volta rientrati a casa. Se qualcuno di noi ha qualche idea specifica allora ci si lavora ma in generale nasce tutto suonando assieme.

Vi andrebbe di fare una breve recensione delle quattro tracce?
Ale: Tutte e quattro le tracce hanno influenze ben distinte tra di loro, per esempio l’intro, “The Golem’s Eye”, nasce più come traccia simil-drone che effettivo stoner/doom, oppure “The Cosmic Silence” e “The Cultist” hanno echi più stoner che doom mentre “Conjuring the Golem” è nata con in mente l’obiettivo di comporre una sorta di marcia funebre. Parlando personalmente, quella di cui sono più soddisfatto è proprio la title track: è il frutto di tanti mesi di lavoro, ed è nata proprio da uno dei riff che io e Hari avevamo inizialmente scartato. Un pomeriggio ci è venuto il lampo di genio e abbiamo iniziato a scriverla!

Al momento “The Cosmic Silence” non è disponibile in formato fisico, è una scelta definita oppure in futuro prevedete di pubblicare un CD?
Hari: Al momento sì, quando abbiamo pubblicato “The Cosmic Silence” lo abbiamo fatto con l’intento di dare un primo “biglietto da visita” ai locali per farci suonare e di promuovere la band attraverso le varie webzine, fortunatamente l’Ep sta avendo buoni riscontri quindi in futuro mai dire mai!

L’Ep è nato quando eravate un duo, oggi che siete un terzetto avete riarrangiato i brani per poterli proporre dal vivo?
Ema: In parte. Abbiamo leggermente riarrangiato qualche cosa (ma davvero minima). Più che altro una cosa sul quale abbiamo molto lavorato è sul suono: vista l’introduzione del basso, era fondamentale amalgamare al meglio i suoni al fine di risultare compatti e monolitici come piace a noi!

Quali sono i vantaggi dell’esser passati dalla forma a duo a trio?
Hari: I vantaggi sono diversi l’ingresso di Emanuele ha reso il nostro sound più organico e compatto inoltre in fase di scrittura il suo contributo è molto importante perché tira fuori sempre idee a cui io e Ale non avevamo minimamente pensato, aver aggiunto un terzo componente si è rivelata una mossa azzeccata per la nostra band!

Avete già composto delle canzoni con la nuova formazione?
Ema: Assolutamente sì, e qualcuna di queste le abbiamo già proposte live! Altre sono in cantiere e arriveranno molto presto.

Le vostre prossime mosse?
Hari: Attualmente stiamo scrivendo i pezzi che andranno a comporre il nostro prossimo disco vista l’impossibilità del momento di poter fare concerti ci stiamo concentrando su quello, e già nel corso di quest’anno puntiamo ad entrare in studio per registrare e poi ovviamente quando ce ne sarà la possibilità cercare di suonare in giro il più possibile per far conoscere la nostra band!

Opium/Absinth – L’oppio e l’assenzio

“Nullified Thoughts” è l’EP d’esordio degli Opium/Absinth, power duo piemontese capitanato da Maurizio Cervella (basso e voce) e Mattia Fenoglio (percussioni). Cinque tracce di violentissimo noise/sludge con tendenze grind, ispirate ai grandi maestri del genere come Eyehategod , Unsane e Today Is The Day. Il primo lavoro discografico degli Opium/Absinth è uscito nell’estate del 2021 co-prodotto dalle label indipendenti Vollmer Industries, Brigante Records & Productions, Longrail Records e Tadca Records ed è promosso dalla Doppio Clic Promotions.

Salve ragazzi il vostro Ep d’esordio, uscito ormai da qualche mese, è davvero un crudele pugno nello stomaco. Come sta andando?
Salve a voi e grazie per questa possibilità di fare quattro chiacchiere. Il nostro EP “Nullified Thoughts” è uscito appunto il 14 luglio e i risultati sono per ora molto incoraggianti. Su YouTube ha superato le 1600 visualizzazioni (canale 666MrDoom) e abbiamo avuto molti ascolti e download su Bandcamp. La prima edizione limitata di CD è andata sold out molto in fretta, il che è appagante. A breve uscirà la ristampa ed anche il formato musicassetta. Siamo riusciti a suonarlo dal vivo in tre concerti, che ci hanno fatto sentire nuovamente l’emozione del palco, di cui eravamo stati privati in questi mesi difficili.

Com’è cambiato il vostro approccio musicale rispetto ai demo del 2018?
Il metodo è semplicemente migliorato, l’essenziale è trovarsi in sala prove e definire il riff, oppure la ritmica che ci ispira, costruendo un brano strutturato intorno ad essa. Anche il comparto bassistico è mutato, avendo più possibilità di effetti, gli stimoli creativi aumentano. Rispetto agli inizi stiamo usando anche di più la voce nella costruzione del pezzo.

Non è semplice suonare noise/sludge/grind in duo, come mai questa scelta?
Ci siamo formati nel 2017, grazie ad un’affinità negli ascolti, che nei centri provinciali da cui proveniamo non è così scontata. Inizialmente si suonava buttando giù idee e provando i suoni in modo da ottenere un risultato il più aggressivo possibile. Col tempo abbiamo iniziato a costruire un repertorio abbastanza collaudato. L’idea, allora, era di trovare un terzo elemento in modo da aumentare il “volume” d’aria e incrementare la varietà dei brani; dopo alcune prove con altri elementi, la scelta fu quella di rimanere comunque in due, dato il feeling creativo, nonché personale tra di noi. Il vantaggio inoltre del duo è che ti permette di velocizzare parecchio i tempi, a patto che ci sia c’è una buona coesione tra i membri.

Il vostro disco è frutto di una joint venture di quattro differenti etichette, come siete arrivati a questa produzione?
Le quattro etichette che ci hanno aiutato nella coproduzione (Vollmer Industries, Brigante Records and Production, Longrail Records e TADCA Records) sono ormai capi saldi nella provincia e hanno prodotto molte bands di ottimo livello, riuscendo a districarsi bene anche negli ambienti internazionali. Il nostro EP è piaciuto ed è nata quindi una volontà reciproca di collaborazione. Uno speciale ringraziamento anche a Doppio Clic promotion per l’attenzione al nostro release.

Quali sono le vostre influenze, se ne avete?
In realtà abbiamo molte influenze personali e comuni. Sicuramente il noise rock americano degli anni 90 (Unsane, Helmet, Today is the Day), il death metal (Entombed, Obituary), lo sludge metal (Eyehategod, Meth Drinker, Boris) e ovviamente lo stoner doom metal (Sleep, Electric Wizard, Bongzilla, Weedeater).

Avete qualche band con cui c’è qualche affinità?
Certamente, ci sono molte bands nella scena con cui abbiamo un bel rapporto di amicizia e collaborazione, tra cui Cani Sciorrí, Ape Unit, La Makabra Moka, Flying Disk, Nitrito, Occhi Pesti, Space Paranoids, RiceXfilth. Fuori dai confini regionali Sator (GE), Carcharodon (SV), Evil Cosby (MI), Elastic Riot (BG), Fuzz Populi (RM) e Beesus (RM). All’estero, i nostri amici Llord (Spagna, con cui abbiamo uno split in arrivo), i Kalte Sonne (Spagna) e Gavial Haze (Svizzera). Ci riteniamo molto fortunati ad aver sviluppato dei rapporti così uniti grazie alla musica.

Mi ha abbastanza incuriosito il nome della band, come vi è venuto in mente?
Il nome è nato nelle fasi iniziali del gruppo. L’oppio e l’assenzio in Europa, durante  l‘800, erano l’accoppiata narcotico/sedativa per eccellenza, portata in auge da molti poeti dell’epoca, in primis Charles Baudelaire, che li esaltava in molti suoi scritti. L’alone di mistero che ne deriva ci affascina molto e da qui è nata l’idea, che ben si abbina con le nostre tematiche, prevalentemente oscure.

Avremo modo di vedervi dal vivo? Qualche festival oltre confine?
Siamo molto felici di essere riusciti a tornare sul palco dopo diversi mesi di chiusure, che purtroppo conosciamo tutti. Ovviamente i concerti fatti non ci bastano, abbiamo bisogno di novità. La situazione è ancora incerta e quindi ci vorrà ancora tempo prima di tornare alla normalità. Siamo molto fiduciosi in ogni caso! Sicuramente consiglio a tutti di seguirci sui canali social, le news non tarderanno ad arrivare.

Knowledge Through Suffering (K.T.S.) – La dolorosa strada che porta alla conoscenza

La schizofrenia artistica di Umberto Poncina ha dato vita a una creatura dalle personalità multiple, tanto che si può parlare dei Knowledge Through Suffering e dei K.T.S. quasi fossero due band differenti. In occasione della pubblicazione del nuovo album, “Concealment” (Brucia Records \ Anubi Press), è stato lo stesso Umberto a parlarci di questa dualità.

Ciao Umberto, innanzi tutto come preferisci che venga chiamata la band, K.T.S. o Knowledge Through Suffering?
Ciao! Pur essendo di fatto indifferente, l’idea per una sorta di doppia identità nasce da alcune differenze di sound raggruppate sotto lo stesso nome, e la stessa considerazione vale anche per il doppio logo. Per ragioni di praticità l’acronimo è inoltre ovviamente più rapido e comodo da utilizzare.

Nel luglio del 2020 pubblicavi “Teeth and Claws”, tre brani per una decina di minuti in tutto. Oggi ti ripresenti con “Concealment”, un disco che contiene sempre tre canzoni ma il minutaggio è notevolmente salito, in pratica triplicato. Un cambio di attitudine o una cosa casuale frutto dell’ispirazione del momento?
Rimanendo vicini alla tua precedente domanda si tratta ancora una volta di un processo di espansione e mutamento del suono e dei mezzi con cui porto avanti la mia proposta musicale; non si è dunque verificato un cambio profondo, tantomeno casuale. Il nucleo concettuale rimane sempre fedele a sé stesso, essendo un progetto esclusivamente individuale – in altre parole, le uscite presentano e presenteranno sempre affinità compositive dovute al semplice fatto di avere in comune lo stesso autore. Tuttavia, esse presenteranno a loro volta notevoli differenze, come quelle che hai individuato.

Quali credi siano le caratteristiche della tua musica che possano innescare quel meccanismo di sofferenza che porta alla conoscenza?
Onestamente non credo di poter rispondere a questa domanda: la musica è come giustamente fai notare un mezzo, e l’unico soggetto che può in tal senso decretare l’utilità del mezzo non è il suo creatore, bensì colui che ne usufruisce. 

A questo punto non posso esimermi da chiederti una tua definizione di “conoscenza”…
Posto che chiaramente lo stesso termine assumerà significati diversi a seconda del contesto, per “conoscenza” possiamo intendere in maniera abbastanza neutra l’insieme di informazioni ricevute grazie all’esperienza e assimilate nella loro totalità da un’intelligenza in grado di potervi pervenire. La sofferenza, sia essa personale o altrui, rappresenta purtroppo in tal senso uno dei metodi esperienziali più utili e al contempo terribili, e questo progetto musicale vuole concentrarsi proprio su questa sua duplice natura.

“Concealment” significa occultamento: cosa ci viene occultato e da chi?
Senza scendere troppo nei dettagli, il disco si basa fondamentalmente su alcune interpretazioni mistiche medioevali del testo di Genesi. Queste interpretazioni gravitano attorno a dinamiche di creazione divina che ciclicamente si risolvono in vergogna e rimorso per il risultato. L’assoluto decide in tal senso di nascondere e occultare ripetutamente la sua opera di creazione, di cui l’Uomo è ovviamente il rappresentante più gravoso, fallendo però ripetutamente. La narrazione si basa su tale ciclicità di occultamento e dispiegamento.

Quale è stato quel giorno in cui solo Dio fu esaltato?
Il primo! E a onor del vero anche l’ultimo, quando giungerà…

La seconda traccia, “Let the Earth Sprout”, ha un titolo che quasi lascia trasparire un filo di speranza, è così?
No, purtroppo non è così. Proseguendo nella narrazione del disco, il proliferare sulla Terra di forme di vita rientra in uno dei già citati tentativi insoddisfatti di creazione da parte del divino. Questo è nello specifico il secondo movimento narrativo, a cui ovviamente corrisponde il secondo pezzo del disco. La Terra produce dunque forme di vita vegetali e animali, venendo popolata dal suo stesso frutto. Apparentemente può sembrare un avvenimento positivo, ma il divino reagisce diversamente – per ragioni che lascio scoprire a chi vorrà approfondire il disco e le sue tematiche.

Il disco si conclude con “Of Flesh”, “di carne”, che mi ha fatto pensare subito a quello squarcio, quella ferita aperta, che appare sulla copertina. C’è realmente un nesso o si tratta di una mia errata interpretazione?
Sì, il nesso è realmente presente: lo squarcio, la ferita, più in generale l’apertura è simbolo di violenza e al contempo di nascita, può rappresentare la morte ma anche la vita. Tutto il disco ruota attorno a questa ambiguità di significato e, ovviamente, all’ascoltatore più curioso spetta la libertà di interpretarlo in un senso o nell’altro.

Hai intenzione di, se fosse possibile date le attuali restrizioni, proporre il disco dal vivo?
No, per il momento direi di no. Suono da diverso tempo in altri gruppi dalle modalità e dinamiche più convenzionali, incluso l’aspetto live. Questo progetto nasce proprio per creare uno spazio riservato invece a tutto ciò che non rientra nelle attività standard di un gruppo vero e proprio – non a caso è di fatto una “one man band”. K.T.S. è al momento un’entità per certi aspetti piuttosto privata, e pertanto al momento non prevede apparizioni in pubblico.

Transport League – Criminal energy

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

Gli svedesi Transport League non si sono mai guardati indietro da quando, nel 1994, sono stati formati dall’ex cantante dei B-Thong Tony Jelencovich. La band ha attraversato molte difficoltà nel corso degli anni, ma il groove è sempre rimasto intatto come dimostra il nuovo album “Kaiserschnitt” (Mighty Music).

Ciao Tony, siamo nel bel mezzo di nuova ondata di pandemia come state reagendo tu e gli altri ragazzi?
Bene, siamo ben saldi nella nostra passione per la musica e siamo anche una squadra compatta e forte. Non ci resta che lanciare la monetina e trovare altre opportunità.

Il vostro precedente album, “A Million Volt Scream”, è uscito nel 2019 all’inizio di settembre: siete riusciti a promuovere il disco dal vivo o siete stati bloccati dall’emergenza covid?
Abbiamo fatto appena quattro spettacoli ed è stato un peccato. Non abbiamo avuto altra scelta che metterci a lavoro sui nuovi brani e prenotare lo studio. I nostri fan ci hanno aiutato con i finanziamenti e oltre a questo abbiamo venduto un sacco di merchandising. Amiamo i nostri fan.

“Kaiserschnitt” è nato durante il lockdown? L’album è stato influenzato dal tuo isolamento?
Sì, il titolo ha sicuramente a che fare con l’emergenza, e sembrava perfetto in questi tempi strani.

“Kaiserschnitt” sta per “taglio cesareo”: questo titolo ha un significato positivo o negativo? È un nuovo inizio o una rottura con il passato?
Ha un significato totalmente neutro. Beh, abbiamo prodotto noi stessi l’album, è stata una sfida, ma il risultato è ottimo. Abbiamo usato i Grand Recordings per batteria, voce e mix e El Bastardo Studios (studio Henrik Danhages) per chitarre e basso. Tutto progettato da Dan Johansson (ex Mary Beats Jane) e Henrik Danhage (Evergrey). Il mix è fatto da Svein Jensen.

Avevi un’idea di come volevi che suonasse l’album, o ciascuna delle tracce e l’intera opera hanno preso forma in fase di realizzazione?
Abbiamo parlato con Svein Jensen che ha mixato l’album su come volevamo che fosse il suono e il mix. La nostra idea era di avere più chitarre rispetto ai due album precedenti. Il suono è un colpo diretto in faccia ricco di energia e atmosfera rock’n’roll.

Durante l’ascolto sento un susseguirsi di stati d’animo diversi: è questo il tuo disco più ricco di emozioni?
Forse lo è, le canzoni sono arrivate facilmente e noi abbiamo seguiato il flusso.

Qual è il tuo segreto per mantenere il vostro sound fresco ma fottutamente Transport League?
Hahaha, beh, siamo semplicemente noi. Cerchiamo di mantenere la nostra energia ma cerchiamo di trovare nuovi approcci come sempre. Io sono il principale autore di riff insieme a Peter, ma tutti noi della band svolgiamo una parte molto importante nella creazione del suono e dell’arrangiamento. Siamo ragazzi dalla mentalità aperta.

Trovare Sal Abruscato (ex-Type O Negative, A Pale Horse Named Death) in “March, Kiss, Die” e Christian Sture (Heal) nella title track. Come sono nati questi contributi?
Abbiamo fatto un tour di supporto agli APHND nel 2019 e io e Sal siamo rimasti in contatto da buoni amici. Gli ho chiesto se era interessato a fare da guestvocals, e il resto è storia, il risultato è ottimo. Christian Sture è il grande cantante dei GBG che ammiro, e anche il suo contributo è di prim’ordine.

Sei e sei stato coinvolto in molte band, ma cosa hanno di unico i Transport League per te?
Questa è la mia creatura dal 1994. I Transport League ha subito molti colpi nel corso degli anni, ma non ci siamo mai arresi.

The Swedes Transport League never looked back since, in 1994, they were formed by ex-B-Thong vocalist Tony Jelencovich. The band has gone thru many charges thru the years, but the groove has always remained as evidenced by the new album “Kaiserschnitt” (Mighty Music).

Hi Tony, in the midst of the current new pandemic  wave how are you and the rest of the guys holding up?
Well, we are strong in our passion for music and we are also a tight and strong unit. We just had to flip the coin and look for other opportunities.

Your previous album, “A Million Volt Scream”, was release in 2019 at begging of September:  did you manage to promote the record live or were you blocked by the covid emergency?
We did like 4 shows and it´s a pity. We had no other option than to wrap up the songwriting and book the studio. Our fans helped us with funding  and we sold a lot of merchandise on top of that. We love our fans.

“Kaiserschnitt” si born during the lockdown? Was the album influenced by your isolation?
 Yes, the title has to do with emergency for sure, and it just felt perfect in these strange times.

“Kaiserschnitt” stand for “caesarean section”: does this title have a positive or negative meaning? Is it a new beginning or a break with the past?
It just has a meaning, totally neutral.  Well, we produced the album ourselves to it was a challenge, but the outcome is great. We used Grand Recordings for drums, vocals & mix and El Bastardo Studios ( Henrik Danhages studio) for guitars & bass. Everything engineered by Dan Johansson ( ex Mary Beats Jane) & Henrik Danhage ( Evergrey). Mix is done by Svein Jensen.

Did you have an idea of how you wanted the album to sound, or did each of the tracks and the whole thing take shape as it was being developed?
We had some talks with Svein Jensen who mixed the album about how we wanted the sound & mix to be. Our idéa was to have more guitars upfront than on the previous two albums. The sound is in your face with great energy and rocknroll vibe.

While listening, I feel a succession of different moods: is this your most emotional record?
Maybe it is, the songs just comes along easily, and we go with the flow.

Which is your secret to maintain your sound fresh but fuckin Transport League?
Hahaha, well, it is just us, we try to maintain in our energy but try to find new approaches as always. I am the main riff master along side with Peter, but all of us in the band are a very important part of the sound and arrangement. We are open-minded boys.

We can find Sal Abruscato (ex-Type O Negative, A Pale Horse Named Death) on  “March, Kiss, Die” and Christian Sture (Heal) on the title track. How were born these contributes?
We toured as support to APHND in 2019, and me and Sal stayed in contact as good friends. I asked him if he would be interested in doing to guestvocals, and the rest is history, the outcome is great. Christian Sture is a great vocalist from GBG which i admire, and his contribution is also top notch.

You are and were involved in many band, but what have unique to you Transport League?
This is my baby since 1994. Transport League has gone thru many charges thru the years, but the groove has always remained.

Neker – Louder, slower and Neker

A Neker piace il rumore. A Neker piace la lentezza. A noi piace Neker. A noi piace il suo nuovo album, il secondo, “Slower” (Time to Kill Records).

Ciao Neker, partiamo subito con le domande più intelligenti: è nato prima il tuo amore per i baffi o quello per gli ampli rumorosi?
Direi, decisamente, che è nato prima l’amore per gli ampli rumorosi.

“Slower” è il secondo capitolo a nome Neker, quando hai rilasciato il primo disco avevi intenzione di dare continuità al progetto oppure per te, in quel momento storico, si trattava di una pubblicazione estemporanea?
Ho sempre pensato di continuare, anzi il progetto è nato proprio per continuare. Venendo dalle esperienze con le band nelle quali c’era sempre discontinuità e si finiva inesorabilmente per smettere di suonare ho deciso di andare avanti da solo.

“Slower”, ma più lento di cosa o di chi?
Di niente in particolare. Lento come una colata lavica!

I tuoi brani nascono sempre da riff di basso oppure ti capita anche di comporre partendo dalla chitarra?
In realtà compongo quasi sempre con la chitarra! La chitarra mi da subito l’idea dell’impronta e del colore che può lasciare un riff.

I Neker, inevitabilmente, vengono ricondotti alla tua figura, ma si ci troviamo innanzi a una vera e propria band: mi presenteresti i tuoi due compagni?
Beh credo che vengano condotti alla mia figura perché “i Neker” semplicemente non esistono, Neker sono io. Ma sicuramente ho i miei musicisti di fiducia: come per Jhon Zorn c’è Marc Ribot per me alla chitarra c’è Alessandro Eusebi e come per Ozzy c’era Mike Bordin per me alla batteria c’è Daniele Alessi!

Dopo l’uscita di “Louder” nel 2017, avevate intrapreso un ottimo cammino live che vi aveva portato persino in Canada. Sul più bello sono arrivati i blocchi sanitari e avete dovuto interrompere il vostro percorso. In termini pratici, quanto credi che questa situazione abbia compromesso la crescita della tua band?
Non credo che abbia compromesso la mia crescita o quella della mia band credo solo, in termini pratici, che abbia “rotto i coglioni”.

Questa situazione frustrante ha in qualche modo inciso sui pezzi contenuti in “Slower”?
No, il disco era già stato registrato prima della pandemia.

Nelle note promozionali appare una tua dichiarazione “Non ho grandi messaggi da dare posso solo esprimere ciò che provo o raccontare storie. Credo che la gente sia satura di messaggi e abbia solo bisogno di buona musica in cui perdersi.” Credi di avercela fatta a creare con “Slower” buona musica in cui perdersi?
Lo spero, ma questo forse dovreste chiederlo a chi l’ha ascoltato! Personalmente, “Slower” è un lavoro che mi fa impazzire e in cui mi ci perdo volentieri come non mi era mai successo prima con qualcosa di mio!

In chiusura ti chiedo se hai già individuato l’aggettivo che darà il nome al prossimo disco…
Non sei il primo a farmi questa domanda! Al momento ti direi che sono ancora indeciso su vari nomi, non per forza aggettivi!

Bleeding Eyes – Ai piedi del Golgota

Nicola Anselmi ci introduce nel nuovo album dei Bleeding Eyes, un mondo dalle tinte grigie e poco allettante. “Golgotha” (Go Down Records) è un’opera che si presta in modo perfetto a ricoprire il ruolo di colonna sonora di questi strani giorni post prima ondata Covid.

Benvenuto Nicola, partirei subito con un ammissione: non credevo che l’italiano con certe sonorità potesse sposarsi al meglio, invece voi in questi anni avete dimostrato che mi sbagliavo. Come siete arrivati alla consapevolezza che lo nostra lingua fosse credibile in questo contesto? Frutto di esperimenti andati bene o scelta consapevole sin dall’inizio?
Ciao, subito un grazie per lo spazio concesso. La scelta dell’italiano ci è subito venuta naturale ed è per noi eticamente corretta. Ci offre la possibilità di esprimerci al meglio e musicalmente si amalgama molto bene con il nostro sound. Ci piace molto anche l’inglese in realtà, infatti cerchiamo a seconda del brano di alternare una lingua o l’altra. Alla fine l’urgenza comunicativa non ha linguaggi prestabiliti.

Pian piano avete alternato inglese e italiano nei vostri dischi, nel nuovo “Golgotha” utilizzate quasi esclusivamente il nostro idioma, come mai?
In “Golgotha” utilizziamo la nostra lingua madre maggiormente, ma in due pezzi, sempre per una questione legata al brano e alla sua composizione, Simone Tesser (voce) canta in inglese.

Questa scelta potrebbe penalizzarvi all’estero?
Non crediamo, siamo convinti che la nostra scelta “espressiva” non ci creerà problemi con l’estero anzi, è una caratteristica che potrebbe destare curiosità in molte persone.

Quanto è importante oggi la parola nella vostra musica?
Molto, i testi e la musica sono un tutt’uno e hanno la stessa importanza.

Il Golgota  è uno dei simboli più forti della cristianità: a cosa si deve la scelta di questo titolo e qual è il vostro rapporto con la religione?
È il simbolo del calvario che molte persone affrontano ogni giorno in una società neoliberista dominata dall’unica vera religione, il dio denaro.

Facendo i necessari distinguo cronologici e stilistici, il vostro album, in alcuni passaggi, mi ha ricordato due lavori del passato: “La Bibbia” de Il Rovescio della Medaglia e “666” degli Aphrodite’s Child. Vorrei sapere se in qualche modo questi dischi, così lontani dal vostro sound, vi hanno in qualche modo, conscio o inconscio, influenzato e quali sono le reali muse ispiratrici di “Golgotha”.
Grazie per il complimento, apprezziamo molto queste band. In realtà siamo in cinque e ascoltiamo moltissima musica differente. Dai Sabbath ai Neurosis tutto ciò che è pesante ci piace assai.

Avete estratto un singolo dal disco, “Confesso”, come mai avete scelto questo brano e credete che una singola canzone possa rappresentare questi disco che, di per sé, è una sorta di blocco unico?
Abbiamo scelto “Confesso” perché forse racchiude tutte le nostre sfumature compositive. Dalla psichedelia lieve che sfocia in un crescendo di rabbia e pesantezza.

Dal punto di vista visivo avete collaborato ancora con il fotografo Lorenzo Ferraro, utilizzando alcuni sui scatti relativi ai giorni della Tempesta Vaia. Come siete entrati in contatto con lui?
Con Lorenzo siamo amici da molto tempo, è un artista incredibile e gli siamo molto grati per lo scatto che ci ha donato. L’immagine catturata da Lorenzo subito dopo il passaggio della devastante tempesta Vaia ben si lega con il mood del disco e del nostro modo di concepire la musica
In ogni caso vi consigliamo di guardare i fantastici lavori di Lorenzo Ferraro
http://www.lorenzoferrarofotografo.it/

In qualche modo l’evento nefasto protagonista delle foto si ricollega alle tematiche trattate nel disco?
Assolutamente, il calvario e la devastazione etica e sociale contemporanea per noi è ben rappresentata dalla fotografia di Lorenzo.