La voce di Vittoria Ipri ci ha condotto nei meandri più impervi dell’ultima foresta oscura descritta nell’ultimo album dei Desert Twelve, “The Last Dark Wood” uscito per Orzorock Music lo scorso giugno.
Benvenuta su Il Raglio del Mulo Vittoria. Il vostro secondo album ,“The Last Dark Wood”, è ormai fuori da qualche mese: come sta andando?
Grazie mille per l’invito, Giuseppe, e un saluto a tutti i lettori de Il Raglio del Mulo. Siamo molto contenti di come sta andando “The Last Dark Wood”. L’album è fuori da qualche mese e sta ricevendo un’ottima accoglienza, sia in Italia che all’estero. Le recensioni sono positive e il riscontro dei fan ci sta dando grande soddisfazione.
L’impressione che ho ricavato durante l’ascolto è che rispetto al suo predecessore omonimo, “The Last Dark Wood” sia meno “terreno”, con suoni più dilatati e una dimensione più onirica, è così?
Sì, è proprio così. Rispetto al nostro primo album, con “The Last Dark Wood” abbiamo voluto spingere su sonorità più dure e articolate, pur mantenendo quella componente atmosferica che caratterizza il nostro stile. I suoni si sono fatti più dilatati e le strutture delle canzoni spaziano tra momenti più liberi e altri più rigidi, proprio per riflettere la varietà di emozioni e scenari che volevamo raccontare. Questa dimensione onirica di cui parli è centrale per il disco: il “bosco oscuro”, che dà il titolo all’album, è un luogo immaginario che abbiamo creato da zero e che rappresenta uno spazio simbolico dove si svolge gran parte della narrazione. È un mondo sospeso tra il reale e l’immaginario, e abbiamo cercato di tradurre questa sensazione nei suoni e nelle atmosfere del disco. Volevamo che l’ascoltatore si sentisse trascinato in questo viaggio, un’esperienza che è allo stesso tempo inquietante e affascinante, proprio come il bosco oscuro che abbiamo creato.
Pensate di essere arrivati al vostro sound definitivo, quello che magari immaginavate al momento della creazione del gruppo, oppure il futuro è tutto da scrivere?
No, non credo di poter dire che abbiamo raggiunto il nostro sound definitivo, anche perché la ricerca di uno stile e di un suono “perfetto” è un processo continuo e molto complesso. Siamo ancora in una fase di sperimentazione, sempre alla ricerca di nuovi modi per esprimersi musicalmente. Ogni disco rappresenta un capitolo diverso del nostro percorso artistico, e non escludo che il prossimo lavoro possa prendere una direzione completamente diversa rispetto a “The Last Dark Wood”.
Ne hai già accennato prima, “The Last Dark Wood”, a cosa fa riferimento il titolo?
Il titolo “The Last Dark Wood” fa riferimento all’ultima oasi di natura rimasta sulla Terra, una foresta oscura che rappresenta l’unico rifugio verde in un pianeta ormai dominato dal deserto. Al di fuori di questa foresta, infatti, c’è solo aridità e desolazione. All’interno della foresta vivono gli ultimi abitanti del pianeta: un insieme di creature straordinarie come un drago, un echidna, un lupo e alcuni sparuti esseri umani. Questa foresta non è solo un luogo fisico, ma simboleggia anche l’ultimo bastione di vita, speranza e mistero in un mondo ormai in declino. I suoi abitanti rappresentano ciò che è rimasto di un’epoca passata, dove magia e natura erano in equilibrio. La foresta è “oscura” non solo per la sua densa vegetazione, ma anche per i segreti che custodisce e le sfide che i suoi abitanti devono affrontare per sopravvivere in un ambiente ostile e in costante trasformazione. In definitiva, “The Last Dark Wood” è l’ultimo baluardo di vita in un mondo che sta morendo, un microcosmo di resistenza in mezzo al nulla.
Possiamo parlare di concept album, anche se in un senso abbastanza ampio del termine?
Sì, possiamo considerare “The Last Dark Wood” come un concept album, anche se in un senso più ampio. Sebbene i brani non siano completamente interconnessi narrativamente, condividono elementi chiave che li uniscono sotto un unico tema. L’aspetto centrale che accomuna tutte le canzoni è il luogo della narrazione, la foresta oscura, che funge da sfondo comune e conferisce coerenza all’album. Questo ambiente crea una cornice evocativa che dà unità all’insieme, anche se ogni brano esplora storie e personaggi distinti.
La copertina del disco, però, mi lascia più pensare al deserto richiamato nel nome della band che non a una foresta…
È vero, la copertina del disco richiama fortemente l’immagine del deserto, ed è una scelta intenzionale. In primo piano, infatti, vediamo il deserto, che rappresenta la realtà predominante sulla Terra dopo gli eventi catastrofici che l’hanno trasformata. Tuttavia, se si guarda bene in lontananza, si scorge il verde dell’oasi: quella è la “Last Dark Wood”, l’ultima foresta rimasta, un piccolo frammento di vita in un mondo ormai dominato dall’aridità. Il nome della band, Desert Twelve, è scolpito su una grande pietra nella copertina, un simbolo potente che ricorda come la Terra sia stata rinominata dopo la catastrofe che l’ha trasformata in un vasto deserto. La statua centrale, scolpita anch’essa nella roccia, rappresenta il tempo che si ferma. In questo scenario desolato, dove la vita sembra essersi fermata, la statua diventa un monumento alla resistenza, alla memoria e alla fragilità dell’esistenza. È un’immagine che si oppone al dinamismo del passato, un simbolo di ciò che resta in un mondo ormai immobile. Quindi, anche se la foresta è lontana, è proprio questa tensione tra il deserto e l’oasi che racchiude il messaggio del disco: un mondo in bilico tra la fine e l’ultimo barlume di speranza.
Dove è stato girato il video di “The Dragon”?
Il video di “The Dragon” è stato girato in Lomellina, in una villa abbandonata che ha un’aura particolarmente suggestiva, conosciuta anche come “la villa degli innamorati maledetti”. Un luogo carico di mistero e perfetto per riflettere l’atmosfera del brano. I ragazzi di Emme Attitude hanno fatto un lavoro straordinario nel catturare la bellezza decadente di questo posto, che ha dato, secondo noi, profondità visiva alla storia raccontata nel video.
Mi spieghereste il titolo “Bikini Since 1946”? Devo ammettere che salta subito all’occhio rispetto agli altri inseriti nella tracklist.
Il titolo “Bikini Since 1946” si riferisce ai test atomici che furono condotti sull’atollo di Bikini nel 1946. È uno dei brani che si discosta dalla narrazione centrale legata al “bosco sacro”, ma vuole essere una riflessione su ciò di cui l’umanità è stata, e purtroppo è ancora, capace. Il pezzo rappresenta il potenziale distruttivo dell’uomo, sia verso la natura che verso se stesso. Abbiamo scelto un titolo apparentemente contrastante rispetto agli altri della tracklist proprio per attirare l’attenzione su questo evento storico devastante, che incarna perfettamente l’idea di distruzione e follia. È un richiamo simbolico alla capacità umana di rovinare tutto ciò che tocca, in contrasto con la dimensione più onirica e intangibile del resto dell’album.
In chiusura, la domanda consueta: impegni live?
Abbiamo già fissato alcune date e speriamo che il calendario si riempia ulteriormente di nuove occasioni per incontrare il nostro pubblico dal vivo. Il 28 settembre: abbiamo suonato al Circolo Disaster, aprendo il concerto dei Dobermann, che hanno partecipato l’estate passata al Festival della nostra etichetta Orzorock Music. Il 5 ottobre abbiamo giocato in casa, nella nostra amata Piacenza, dove abbiamo avuto l’onore di esibirci insieme al leggendario Pino Scotto. Un concerto speciale, carico di significato per noi, visto che è stato nella nostra città natale e con un’icona del rock italiano. Stiamo anche lavorando per organizzare una presentazione ufficiale del nostro nuovo disco dove suoneremo ogni brano del nuovo album e ci prenderemo il tempo per spiegare il significato di ogni pezzo. Infine, uno dei nostri grandi desideri è quello di portare la nostra musica oltre confine. Suonare all’estero è un sogno che coltiviamo con passione, e speriamo che presto si crei l’occasione giusta per farlo diventare realtà.
