Fra le nuove leve del sottobosco cantautoriale italiano già da qualche anno si fa strada Federico Bonanno, prima in gruppo col progetto Hash ed ora da solista con lo pseudonimo di Deric. Abbiamo parlato insieme dei suoi esordi e del nuovo singolo “Le stesse parole” (autoproduzione, 2021).
Scrivi canzoni fin dalla prima adolescenza, come è nata la passione per il cantautorato e quali sono stati i primi artisti di riferimento?
È nata insieme alla passione per la chitarra e la musica rock, scrivere ha sempre fatto parte della mia vita e in qualche modo mi è sempre piaciuto. Penso che sia un modo anche per mettere in ordine i pensieri e fare un po’ di introspezione. Direi che le due cose si sono fuse in modo abbastanza naturale. Un momento importante di sicuro è quando ho avuto in regalo la mia prima chitarra e ho cominciato a prendere lezioni, poi a scrivere le mie canzoni. Dopo con la band le cose sono diventate anche più serie. In quel periodo andavo scoprendo i primi gruppi punk, i Ramones, i Pixies, i Nofx che mi ricordo di avere visto in uno storico/disastroso concerto all’ex Bier Garten qua a Palermo. Incredibile. Degli italiani ascoltavo spesso i Prozac+, Le Luci della Centrale Elettrica, Cremonini, oppure Battiato.
Parallelamente al percorso cantautoriale, portato avanti col gruppo Hash, hai cominciato a produrre musica elettronica con lo pseudonimo di Deric. Dove finisce Hash e dove comincia Deric? Perché non hai rilasciato il singolo “Le stesse parole” come Hash?
Hash era il nome del gruppo che si è sciolto più di un paio di anni fa. È stata una bella esperienza durata tanti anni, insieme abbiamo pubblicato due EP, anche se la formazione era cambiata diverse volte. Dopo ho continuato a scrivere e mettere online sul mio Soundcloud qualche brano di musica elettronica. Essendo un grande appassionato di tecnologia e delle sue conseguenze sulla musica e avendo anche studiato l’argomento, non vedevo l’ ora di fare i miei primi esperimenti. Mi ricordo che quando ho scoperto alcuni gruppi come i Massive Attack, i Portishead, gli Alt-J è stato un momento di grande maturazione dal punto vista musicale per me. Tornando alla domanda, quello che mi rappresenta oggi è questo progetto, sarebbe stato incoerente per me proseguire con lo stesso nome visto anche che non sarebbe semplice riproporre quei brani dal vivo oggi.
Con la musica elettronica, in termini di lunghezza dei brani, c’è più libertà espressiva rispetto al cantautorato attuale, mi pare. La breve durata del nuovo singolo, due minuti e mezzo, è casuale o dovuta a necessità radiofoniche? Oppure nessuna delle due?
Non c’è stata nessuna necessità radiofonica in realtà, il brano è nato così ed è volutamente diretto e conciso, punta di più sulla voce e sul groove che sullo strumentale. Mi piaceva l’idea di puntare sulla semplicità, credo sia il modo migliore per arrivare alle persone. Senza trascurare il sound ma creando un’atmosfera che si sposasse con le parole. Nel frattempo la durata del brano mi ha permesso anche di entrare in qualche playlist in più, quindi direi esperimento riuscito!
Il testo della canzone, scritto in piena pandemia, parla di alienazione senza però fare riferimento ai problemi sanitari dell’ultimo biennio. Da musica e parole emerge una gran voglia di voltare pagina, ma rispetto a quale ambito della società attuale?
Sono tante le riflessioni che si potrebbero fare a proposito del brano. Una sicuramente è quella sulla monotonia e la ripetitività che a tutti capita di vivere, per vari motivi come il lavoro, la famiglia, problemi personali e altro. Un’altra riguarda la tecnologia, i social-network, la televisione, penso che siano tutti strumenti che bisogna conoscere e saper utilizzare per avere il controllo della situazione e non venire controllati noi stessi in qualche modo. Lo diceva anche Pasolini molti anni fa in una famosa intervista alla Rai, che si trova anche su YouTube. Oggi tutti conosciamo gli scandali sui big data di Facebook, non è molto diverso secondo me. Per questo bisogna conoscere le cose e avere spirito critico, altrimenti l’illusione e la possibilità di venire influenzati è dietro l’angolo. C’è una frase tristemente famosa che dice “a forza di ripeterla una cosa diventa vera”, secondo me a forza di ripeterla si diventa stupidi.
Come è nata la collaborazione con Luca Rinaudo e Marco Nascia allo Zeit Studio?
Con loro ci siamo conosciuti qualche anno fa. Luca e Marco hanno organizzato un corso di produzione musicale nel loro vecchio studio di registrazione, a quel corso durato circa un anno ho partecipato anche io insieme ad altri. Dopo abbiamo anche scoperto di avere qualche amico in comune.
Cosa hanno aggiunto Luca e Marco in termini di produzione?
Il loro contributo è stato importante per dare alla canzone il sound e il groove giusto. Con Luca e Marco, dopo avere fatto una pre-produzione registrando le varie parti di chitarra e voce, abbiamo pensato agli arrangiamenti insieme. Marco suona diversi strumenti fra cui chitarra e percussioni e riesce a farlo in modo unico e personale vista anche la sua esperienza. Luca si è occupato di più del missaggio e del mastering, direi che è stato davvero bello lavorare insieme.
Hai in programma dei concerti a breve? Altri progetti futuri?
Non ho concerti in programma, anche se ci sto pensando. Al momento mi sto concentrando su altro dovendomi occupare un po’ di tutti gli aspetti del progetto che richiedono tempo e risorse, sto anche lavorando in studio ad altre canzoni, una delle quali uscirà a dicembre.
