Dreariness – The hedgehog’s dilemma

Alessandro Concu (Grìs) ci ha condotto nell’affascinante universo di note creato dai Dreariness con “Before We Vanish” (My Kingdom Music). Un album, che segna alcune novità stilistiche e di formazione, nato l’ambizioso progetto di tradurre in musica il “Dilemma del porcospino” del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer.

Benvenuto, direi di iniziare con gli avvenimenti che hanno preceduto la pubblicazione del vostro terzo lavoro completo, “Before We Vanish”, mi riferisco in particolare agli ingressi in pianta stabile di ky e Roberto Mascia, già vostro produttore: come sono andate le cose?
Nel corso degli anni abbiamo avuto la necessità di far alternare diversi musicisti con noi sul palco per poter portare live la nostra musica. Con alcuni di loro ci siamo trovati benissimo ed è nato un rapporto di fiducia e collaborazione. In particolare ky, nonostante in un primo momento suonasse la chitarra live, è un bravissimo bassista. Abbiamo ritenuto opportuno arricchire la nostra proposta con qualcuno che potesse ricoprire meglio di chiunque di noi quel ruolo, e inoltre sapevamo già della sua propositività in fase di scrittura, cosa che si è rivelata fondamentale già con “Closer” ma soprattutto poi con “Before We Vanish”. Per quanto riguarda Roberto Mascia invece è stata la naturale evoluzione del nostro rapporto, da ormai quasi 10 anni è il nostro produttore e condividiamo tutto quello che ruota attorno alla nostra musica, è anche un talentuoso cantante e per noi è stato naturale accoglierlo anche attivamente nella band quando abbiamo sentito la necessità di aggiungere qualcosa che fino a quel momento mancava, in questo caso delle voci che potessero accompagnare quelle di Tenebra.

Che contributo hanno dato i due nuovi membri alla realizzazione del disco?
Ky è stato estremamente rilevante già quando abbiamo creare le fondamenta del concept sul quale si basa “Before We Vanish”, inoltre ha collaborato alla stesura dei testi e delle loro metriche oltre che alle linee di basso di tutto l’album. Nel disco sono presenti anche delle sue backing vocals. Roberto invece ha curato tutta la produzione dell’album nei minimi dettagli, dando all’album un sound potente e con una resa sonora per noi senza precedenti. Potete anche sentire distintamente la sua voce nell’album che si alterna con quella di Tenebra, pensiamo che le loro voci funzionino molte bene assieme.

Quali sono le sostanziali differenze fra “Before We Vanish” e i suoi predecessori?
Tutti i nostri lavori differenziano l’uno dall’altro in maniera anche molto forte, sicuramente questo è stato un album scritto in maniera più ragionata dei precedenti, a partire dall’averlo concepito prima come idea che come musica, fino ad arrivare alla cura che abbiamo messo nei dettagli, cercando di limare ad esempio ogni piccola sfaccettatura dei testi per renderli più “musicali” ma soprattutto più profondi per certi versi di quelli degli album precedenti. Il sound è sicuramente più scuro di tutti gli altri nostri lavori, e a livello di produzione è sicuramente quello che abbiamo curato di più e che ci soddisfa di più.

Il disco è un concept album ispirato a Schopenhauer e al suo “The Hedgehog’s Dilemma”. Come mai avete deciso di affrontare questo tema?
E’ un tema che ci sta a cuore e che abbiamo ritenuto interessante snocciolare da un nostro personalissimo punto di vista. Il rapporto con gli altri sta alla base della vita, non possiamo pensare di portare avanti un esistenza in solitudine, e questo comporta delle conseguenze, talvolta anche molto dolorose, ma sicuramente necessarie.

Ti andrebbe di delineare i tratti dell’opera?
L’album alterna tracce percettive a tracce emotive per rappresentare il lato fisico (corpo) e riflessivo (mente) di ogni fase. Il percorso lineare inizia con il primo incontro che culmina nell’avvicinamento, momento di massimo dolore e piacere. Il trauma dovuto alla coesistenza di sentimenti profondamente contrastanti conduce ad una condizione di negazione inconsapevole. Il secondo brano descrive il meccanismo autoprotettivo di rimozione dei ricordi, che interviene a seguito della condizione post-traumatica da stress. La fase di caduta interna si conclude con il ritorno dei ricordi tramite flashback che ricostruiscono le cause della condizione di disagio e sofferenza permettendo una presa di coscienza del trauma e delle sue conseguenze. Successivamente, la fase malattia, o di stagnazione, inizia con il dialogo interiore tra le due anime, razionale ed irrazionale, della persona traumatizzata: l’accusa reciproca è di non essere stati in grado di prevedere, di resistere o di limitare i danni causati dall’incontro con l’altro. Inoltre il bisogno di un nuovo contatto genera ulteriore confusione e divisione interna in nichilismo ed iperattività, che degenerano in ansia. Il quarto brano descrive la reazione a questa condizione di ansia come una negazione consapevole del problema, attraverso un’ossessiva ricerca di attività fisiche e stati mentali che occupino il tempo in modo da non lasciare la possibilità ai pensieri e i ricordi di occupare la mente. Si ricorre a socialità, utilizzo di sostanze, attività fisica ed ogni mezzo possibile per cercare di lasciar fuori dal resto della giornata i pensieri e il bisogno di contatto, che comunque riaffiorano dopo ogni risveglio. Il fallimento di questo metodo conclude la fase di stagnazione ed apre la fase di espulsione del problema, nella quale si cercherà di attuare una reazione concreta. Il quinto brano descrive come il coltivare il dolore sulla propria pelle sia la strada più semplice che viene percorsa da chi ha bisogno di riprendere contatto con la realtà per ricominciare a vivere. Il senso di colpa diventa bisogno di punizione, l’iperattività diventa allenamento, la divisione interna diventa cooperazione tra lato razionale ed irrazionale, il dolore diventa vendetta, l’ansia sfida, il nichilismo percezione. La strada si conclude con la riappacificazione con la realtà in tutte le sue sfaccettature, piacevoli ed orribili. È possibile proseguire un’esistenza nonostante il dolore che è stato superato e che si incontrerà nuovamente. Il prezzo della resilienza è la desensibilizzazione totale dai sentimenti così come dal dolore.

E’ stato complicato tramutare in suoni le idee del filosofo tedesco?
Non volevamo fare un lavoro raffazzonato, piuttosto per la prima volta ci siamo presi molto tempo per ragionare prima di scrivere. Abbiamo steso una mappa concettuale con degli ampi spazi vuoti da dover riempire con la musica partendo da delle semplici parole, spesso emozioni. Abbiamo scartato tantissimo materiale per poter arrivare a far combaciare ogni tassello di ciò che volevamo esprimere e sicuramente è stato interessante e stimolante approcciarsi in un modo nuovo a alla scrittura di un album.

Non temete che il disco possa risultare particolarmente ostico?
Non lo temiamo perché non pensiamo ci potesse essere un modo diverso per noi di esprimerci, questa è la nostra visione, non pretendiamo che sia semplice da assimilare, e non è sicuramente nostro interesse renderla più fruibile. E’ un tema complesso e lo abbiamo concepito come un percorso doloroso, sappiamo che non è semplice approcciarsi ad esso senza la giusta curiosità e indubbiamente non è un album che vuole lasciarsi ascoltare in maniera spensierata, anzi, l’esatto opposto. Ma siamo certi che con la giusta attenzione ai particolari, ricercando nei testi e nella musica il significato di ogni passo di questo percorso, non è qualcosa che possa lasciare totalmente indifferenti.

Avete già sperimentato dal vivo la resa dei nuovi brani?
Non dopo l’uscita dell’album, ma speriamo di poterli portare presto sui palchi dopo l’estate: siamo pronti.

Prima di scomparire, quale messaggio volete lasciare ai nostri lettori?
Grazie per lo spazio concessoci, speriamo di poterci vedere al più presto dal vivo!