Tony Tears – Pains

Antonio Polidori, in arte Tony Tears, è un personaggio che ha contribuito in modo importante alla creazione del mito della scena doom italica, sia con la creatura che porta il suo nome, sia con realtà quali Zess, Abysmal Grief, Soul Of Enoch ed Helden Rune. Il suo sound oscuro, pur rifacendosi alla lezione impartita decenni fa da Paul Chain, è sicuramente tra i più riconoscibili del darksound. In occasione della ormai imminente pubblicazione per la BloodRock Records del nuovo album “Pains”, abbiamo fatto con Antonio un lungo excursus sulla sua carriera, non tralasciando, ovviamente, neanche la prossima uscita…

Ciao Antonio, o preferisci che ti chiami Tony?
Ciao Giuseppe, è lo stesso, sono due nomi di un’anima.

C’è un momento preciso in cui Antonio Polidori diventa Tony Tears?
Sì, all’ età di 12 anni. Quando sentii il bisogno di esternare le mie sensazioni, se pur “acerbe”, sensazioni legate anche ad una bisnonna guaritrice di campagna (Strega).

Facciamo un balzo indietro nel tempo, qual è il tuo primo ricordo legato alla musica e quando, invece, hai imbracciato il tuo primo strumento?
Ricordo che da bambino mi spaventava l’ album “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd, ma era una droga. Lo mettevo sempre e ricordo che sono nato da un padre musicista e con vinili dei Pink Floyd, Iron Batterfly, Led Zeppelin ecc. La musica, e soprattutto il rock, hanno suonato in me fin dalla tenera età. Lo strumento me lo ricordo benissimo: fu la chitarra acustica a sei anni, se pur non sono mai stato un chitarrista acustico, passai all’ elettrica dopo qualche anno e poi alla tastiera.

A quando risale il tuo esordio in una vera e propria band?
Risale agli stessi Tony Tears, poiché la prima timida formazione, composta da amichetti dell’epoca, risale al 1989 (un anno dopo la fondazione degli Anthony Tears).

Prima di addentrarci nella tua discografia, mi soffermerei un attimo sul genere che hai proposto principalmente in questi anni, una musica oscura che si muove tra doom e darksound di scuola italiana: come mai hai scelto questa precisa, e ben definita, linea stilistica per le tue uscite?
In realtà le band che mi/ci piacevano (e mi/ci piacciono) e a cui ci ispiriamo, anche se erano orgogliosamente italiane (Death SS, Paul Chain, The Black, Goblin, ecc.), secondo noi proponevano heavy metal oscuro a 360°. Quindi, non ci accostammo al darksound italiano, e tanto meno al doom, con l’intenzione di esserne fossilizzati. La realtà è che in quel genere sentiamo esserci una totalità musicale che riscontriamo nel nostro modo di comporre. Ovviamente, però, abbiamo anche guardato all’estero, non solo in Italia, anche se il dark metal italiano non ha rivali. Nei Tony Tears Band prevale il dark metal (preferisco chiamarlo così), mentre nel “solista” prevale l’aspetto un po’ più tipicamente italiano vecchio stile, ma che poi in realtà sono sempre i Tony Tears (i due aspetti non sono divisi). La lieve differenza sta che mentre per la band c’è più un aspetto musicale anthem da presentare sul palco, il “solista” da libero sfogo realizzando gli album totalmente da solo o al massimo con il cantante storico David Krieg (o con sporadiche ospitate). Le canzoni del “solista” volendo possono essere suonate live anche dalla band. Sono la faccia della stessa medaglia. Anche se è la band ha ed avrà sempre la priorità.

La musica è l’aspetto principale e più evidente delle tua proposta, ma quanto conta la componente filosofica e religiosa?
Tanto! Non riesco a concepire un album dei Tony Tears se non vivo le mie esperienze. Non riuscirei mai ad essere ispirato solo nella musica, se prima non lo sono passando attraverso vicissitudini spirituali/esoteriche. Ogni uscita dei Tony Tears rappresenta delle vicissitudini sentite e le uscite seguono un filo logico.

La carriera discografica dei tuoi Tony Tears parte ufficialmente con “Fears And Sensations In The Claustophobic Mirror” e “The Reality Before All”, che ricordi hai di quelle uscite pionieristiche e di quel periodo della tua vita?
In realtà, la prima demo ufficiale risale all’ anno di fondazione 1988, si intitolava “Strane sensazioni”, seguita da “Luna nera” del 1989 ed altre demo degli anni ’90. Però, sì, il primo album con un po’ più di “pubblicità” e che incorona il tragitto Tony Tears è “Fears and Sensations …”. Ad oggi “Fears…” non lo rifarei, o meglio, curerei di più l’ aspetto sonoro. Ammetto che fu registrato maluccio, anche se è l’ unico album dei Tony Tears ad essere registrato così. Ciò nonostante è un disco che ha il suo perché sia sul lato compositivo che creativo, dove vi sono tantissime astuzie musicali (riscontrate anche dalla maggior parte dei nostri fan). D’altronde molte band hanno esordito con album non proprio perfetti nelle registrazioni, eppure , sono ritenuti dei capolavori. Mi viene in mente “Into the Macabre” dei Necrodeath (che adoro) secondo me registrato anche peggio di “Fears and Sensations…” eppure è il loro album d’esordio a cui siamo tutti affezionati. “The Reality Before All”, invece, suona dark/doom ma con atmosfere elettronic/rock. Strumentale e allucinato, fu un viaggio interiore dimostratosi poi profetico sulle brutture del mondo e di ciò che sarebbe diventato di li a poco. “The Reality…” fu uno degli album “solisti” che battezzò la linea/stile profetica dell’aspetto più solista, non è facile etichettarlo, ne sono molto orgoglioso.

Poi si passa alla coppia di album con la “V”, “Voci dal Passato” e “Vortice”, due dischi che probabilmente definiscono ulteriormente il tuo sound, rendendolo più maturo, ma che tra di loro poi non sono proprio così simili. Concordi con me?
Sì, assolutamente. “Voci dal passato” è un ottimo album a mio avviso, sia a livello musicale/compositivo che come qualità audio, anche se un po’ vecchio stile. Fu anche l’ ultimo dove utilizzai la mia voce, già in quegli anni non l’allenavo più e iniziava a non piacermi (nonostante i fan ne andassero matti). Forse l’ unica cosa che rifarei di “Voci del passato” è la mia voce, ma questo non vuol dire che sono insoddisfatto, tra l’ altro “Voci…” è l’ album più ristampato dei Tony Tears, è il nostro “Life and Death” anche per tematiche. “Vortice” è il “proseguo” di “The Reality…” però con più riff dark/doom e con il cantato del mio amico, e cantante storico dei Tony Tears, David Krieg. “Vortice” è un dark metal elettronico prog oscurissimo, forse uno dei più oscuri per certi versi. Quindi, sì, due album diversi ma c’è sempre una coerenza tra i due stili proposti negli anni dai Tony Tears, da un lato il metal da palco con la band, e dall’altro il metal contaminato dall’ elettronica oscura di Goblin, Antonius Rex e qualcosa di Klaus Schulze con assoli da guitar hero oscuro.

E’ arrivato il turno delle due uscite targate Minotauro Records – “Follow The Signs Of The Times” e “Demons Crawl At Your Side” – etichetta che ha ospitato le opere di uno dei tuoi miti, Paul Chain. Che mi dici di questi due dischi?
Da qui decisi che bisognava fare il salto definitivo; ovvero avere un sound ancora migliore e iniziare ad avere oltre un cantante vero anche musicisti stabili per tornare live non solo con le band in contesti diversi ma anche (e finalmente) con i Tony Tears. Per “Follow…” andammo in studio dal nostro amico Regen Graves che, oltre realizzare il master, si prestò a suonare batteria e basso. “Follow…” è molto roboante come produzione ma è fottutamente heavy dark e le composizioni sono sublimi così come le parti più da colonna sonora stile Goblin. “Demons…” è più misterioso e pieno di finezze tecniche, più “precisino” rispetto a “Follow”, anche se comunque ne ricalca alcuni aspetti. “Follow” è il viaggio di un medium che sente la diversità tra lui ed un mondo che non gli appartiene. “Demons…” è la percezione reale delle possessioni moderne, dei veri demoni e non dei demoni narrati dalla chiesa. Con Minotauro questi due album ci aiutarono a diffondere in maniera stabile la creatura Tony Tears, ne saremo sempre riconoscenti. La rottura con la stessa fu per situazioni un po’ ambigue ma non per colpa nostra, peccato perché era un bel sodalizio, anche se oggi siamo altrettanto soddisfatti. Comunque massimo rispetto per la Minotauro.

Possiamo definire “The Wail of the Elements” l’album più atipico dei Tony Tears?
Non saprei, il giudizio è sempre individuale. Effettivamente è quello più rock “normale”, quando lo riascolto ci sento assoli molto eleganti, forse anche troppo. Però è allo stesso tempo molto darksound. Non saprei definirlo, ma poi perché definirlo? Comunque è il primo album solista, registrato, mixato e prodotto da me nel mio studio personale ad avere un’ottima produzione (non inferiore a quelli della band negli studi).

Per il momento, ci fermiamo a “The Atlantean Afterlife (…Living Beyond)”, ultima uscita ufficiale: lo consideri il tuo disco migliore, o quantomeno, quello più maturo?
Assolutamente sì! E’ l’album consacrazione dei Tony Tears. Sia a livello filosofico testuale, sia a livello musicale (compositivo e audio): è il miglior album dei Tony Tears Band in assoluto!

Prima di proiettarci sul futuro, ti andrebbe di fare una carrellata veloce sulle tue altre pubblicazioni con Zess, Abysmal Grief, Soul Of Enoch, ecc ecc?
Zess è stata una bellissima esperienza che mi fece conoscere maggiormente e a cui devo molto, così come a Renato “Mercy” e a Diego Banchero. Abysmal Grief: oltre ad aver inciso “Black Mummy” nel primo tributo dei mitici Death SS, esiste una cassetta ufficiale dove ci sono altre track con me al basso. Con gli Abysmal oltre esserci da sempre una bella amicizia, c’è da sempre una grande empatia musicale, gli uni con gli altri. Soul Of Enoch è stato (con l’ album “Neo Locus”) un coronamento della vecchia amicizia tra me ed il cantante storico dei Tony Tears Band, ovvero David Krieg. Infatti, anche se “Neo Locus” è del 2013 la maggior parte delle canzoni sono nostre vecchie song degli anni ’90 risuonate e riarranggiante meglio per l’ occasione. Tra l’altro non sono le uniche cose incise negli anni ’90 da me e Krieg che, come coppia chitarra/voce, penso di poter dire che siamo stati secondi in Italia solo alla coppia Sylvester/Chain. Comunque “Neo Locus” è un album di cui andiamo entrambi fieri. Vorrei citare anche l’ album con gli Helden Rune, che è stato il primo disco di gothic rock Italiano nel vero senso della parola. Un’esperienza che è rimasta nel mio cuore e nel cuore di molti fan.

Eccoci arrivati a “Pains”, disco che ho avuto modo di ascoltare in anteprima e che ho trovato grandioso. Non vedo l’ora di avere tra le mani la versione definitiva. Ti va di anticipare qualcosa ai nostri lettori?
“Pains”, come si intuisce dal titolo, è stato realizzato in un periodo della mia vita molto doloroso. Appena dopo l’ondata peggiore del covid, persi il lavoro, caddi in una specie di depressione (fortunatamente in forma lieve e presa in tempo), dimagrii anche abbastanza. Ero avvilito, non so nemmeno io per che cosa precisamente, piangevo fisso (non mi vergogno a dirlo. Oltre queste cose, la causa del mio “Pains” furono altre questioni non di minore importanza. Fortunatamente, l’amore per la musica, l’arte e i pochi amici mi aiutarono a superare questa fase. Ma il fatto “strano” fu che mentre “uscivo” piano piano da quella situazione, intuivo che le Entità/Energie, che mi circolavano attorno, stavano trasmettendomi qualcosa (tanto per cambiare). Sentivo che una guerra sarebbe iniziata e che avrebbe fatto diversi morti, ovviamente mi riferisco al conflitto in Ucraina. Non è un caso che la maschera da me utilizzata per le grafiche di “Pains” sia simile a quella per coprirsi le vie respiratorie (covid), però fatta di filo spinato, simbolo dei confini territoriali nelle guerre. Questi sono solo alcuni aspetti dei tanti segni arrivatemi. Questi dialoghi, segni, e altro tra me e certe Entità sono una costante nella mia vita e non ci posso fare niente. Per quello che riguarda la musica, “Pains” è un “ritorno” al darksound più tradizionale italiano, fortemente influenzato da Antonius Rex e Goblin, ma con una serie di riff più tirati che a tratti sfiorano il simil thrash dei Requiem e/o dei Death SS più duri. Infatti, è l’ ennesimo disco “diverso”, qui più incazzato. Non ce la faccio più a vedere le cose nel mondo che vanno come stanno andando e ho voluto tirare fuori tutta la “rabbia” che avevo. Forse non l’ho tirata fuori nemmeno tutta. Ho cercato di unire il darksound tradizionale ad un heavy più tirato comunque sempre oscuro. In “Pains” sono tornato dopo anni alla voce, cercando di curarla e di migliorarla il più possibile, sia nel recitato, infatti ho più recitato/declamato che cantato, sia nel cantato. Credo (spero) di esserci riuscito. L’ unica pecca (ma non è colpa mia) è che purtroppo questo album deve ancora uscire ed è fortemente in ritardo, peccato.

Al di là del nuovo disco, altri progetti all’orizzonte?
Stiamo lavorando e siamo già entrati in studio per alcune parti del nuovo dei Tony Tears Band (“Pains” fa parte più del “solista”), e posso dire che sarà un ulteriore passo avanti a “The Atlantean Afterlife”, anche grazie all’ ingresso in band del nuovo batterista Gianni “Coroner” Queirolo (batterista degli amici Damnation Gallery) , un vero mostro di bravura, tecnica e gusto. Sarà molto particolare a livello esoterico, poiché realizzato con un potente Mago/Esoterista, con il quale stiamo facendo combinare musica ed altro per la sua uscita. Sarà una “Pietra Filosofale”. Oltre questo, c’è il ritorno dei Soul Of Enoch che sarà un po’ più gothic metal \ new wave abbinato al darksound (io e Krieg vorremmo orientare più verso questo stile i Soul Of Enoch). Infine, sto cercando di portare a termine il nostro, mio e di David, “The Story Of…”, con varie cose inedite che vanno dai primissimi anni ’90 fino alla fine dei suddetti (unico periodo rimasto un po’ scoperto discograficamente eccezion fatta per “Neo Locus”). Ci sarebbe anche il disco solista di Sandra Silver, storica vocalist ex Paul Chain e seconda voce ufficiale dei Tony Tears, però l’album in questione dipende molto da lei (la musica è pronta). Ovviamente, a partire dal 10 giugno all’ Angelo Azzurro (Genova) si torna a suonare dal vivo, sperando di dare un seguito a questa data.

Madness of Sorrow – Il discepolo del maligno

Su Overthewall, ospite di Mirella Catena, il polistrumentista MuriHell con la sua creatura horror Madness of Sorrow, da poco fuori con l’Ep “666: The Disceple” (Ad Noctem Records).

Ciao MuriHell, com’è nata l’idea della band e quali sono le tue esperienze musicali antecedenti ai Madness of Sorrow?
I Madness of Sorrow sono una naturale evoluzione dei Filthy Teens, band hard rock con venature horror esistita tra il 2005 e il 2010. Con la fine di questo progetto, ho deciso di lavorare a qualcosa che ne evolvesse i concetti più oscuri e da qui è nato Madness of Sorrow (la pazzia dell’oscurità) ove non vi è spazio per la luce, la speranza ma solo l’oblio dell’oscuro e della dannazione.

Con all’attivo ben 5 album, seguiti da un singolo e questo nuovo Ep di cui parleremo stasera, la band si è ritagliata in questi anni un pubblico assiduo ed entusiasta e ottimi risultati anche da parte della critica. Ti aspettavi questi consensi?
Quando tutto è fatto col cuore, senz’altro non si ha la percezione di “costruito” o “plasticoso”, questo fa acquisire fiducia in chi ascolta. C’è anche da dire che la proposta non è mai stata la stessa, e ad ogni disco abbiamo cercato di aggiungere sempre quell’elemento in più che differenziava dall’album precedente.

Le tematiche della band trattano spesso i lati oscuri della chiesa. Ultimamente è tornato alla ribalta il caso di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori oppure il caso Claps, simbolo degli occultamenti che avvengono in quell’ambito. Pensi che possiamo veramente ritenerci in un Paese laico?
No assolutamente, la chiesa ha ancora la sua mano nera e sporca ovunque, nelle decisioni politiche come in tutto il resto. Per fortuna, anche se tardi secondo me, quest’influenza anno dopo anno si sta affievolendo, perché la gente
ha capito che un potere basato su una favola non ha senso.

L’Ep è stato concepito durante la pandemia, un periodo cupo e orribile che purtroppo ci è toccato di vivere. La musica può servire come terapia d’urto? Un modo per liberarsi dalle angosce e dalle paure?
Certo che sì, io stesso ho sempre composto per tirare fuori la rabbia e tutti i sentimenti negativi che la vita e le interazioni naturalmente portano a dover affrontare. In questo Ep invece di trattare apertamente di temi personali, ho incanalato il tutto nella creazione del mini concept (la dannazione del protagonista, il mio alter ego MuriHell). In “Confessions From the Graveyard” avevo apertamente trattato della morte di mio padre, ma capisci anche da te che ogni volta dal vivo portare certi pezzi risultava emotivamente complicato. Durante il 2020/21 ho vissuto la fine di un rapporto sentimentale molto lungo ed anzichè scrivere qualcosa da dover poi ricantare e riaffrontare ogni volta ho semplicemente incanalato tutto il “nero” che avevo dentro nella mini-storia di MuriHell e nel suo percorso di dannazione: “Possessed”, “Damned”, “Metamorphosis” ed infine “Disciple”, il discepolo del maligno.

Sei su Overthewall come musicista ma sei tantissimo altro; ti ho visto in veste di fotografo, ameramen,videomaker e non contento di tutto ciò hai fondato un’etichetta discografica la Ad Noctem Records. Com’è nata quest’idea?
Sono nato in povertà, ed ho sempre cercato di imparare le cose da me e da qui la mia passione per il videomaking (oltre che per Madness ho girato qualche video per altre band, oltre a fare il videomaker in altri ambiti). Ad Noctem esiste ora da quasi cinque anni e continua a crescere; il tutto è nato per aiutare una persona in difficoltà con un’altra label, portando le mie visioni delle cose. Ma dopo essere stato scaricato, è scaturito il definitivo impulso a tornare in pista con una mia creatura, da qui Ad Noctem Records… l’altra persona dopo aver fatto figuracce in tutta Italia ha saggiamente capito che era meglio finirla lì…

Dopo l’Ep cosa ci riservano i Madness of Sorrow?
Quest’anno ci si vuole concentrare a trovare sbocchi live per presentare i pezzi assieme al resto del repertorio, abbiamo già cominciato con due date nelle zone limitrofe (Valle d’Aosta ed Ivrea) e il 24 saremo al Vicolo Schilke a Vercelli, poi Milano a marzo e Rovellasca a settembre. Speriamo di poter aggiungere altro presto.

Dove i nostri ascoltatori possono seguire la band?
Sul sito ufficiale https://www.madnessofsorrow.com da dove potrete poi accedere a Facebook, Instagram, Tik Tok, Youtube e il sito per acquistare del merch.

Grazie di essere stato con noi, ti lascio l’ultima parola…
Grazie per lo spazio e non dimenticate che neanche due anni fa eravamo tutti chiusi in casa, per cui uscite, tornate a vivere e sostenete l’underground italiano che è vivo e florido più che mai.

Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 20 Febbraio 2023.

Damnation Gallery – Enter the fog

La nebbia ha sempre suscitato grandi e contrastanti emozioni nell’uomo: curiosità, paura, senso di isolamento e straniamento. Con “Enter the Fog” (Black Tears Label) i Damnation Gallery hanno sfruttato questo archetipo per descrivere situazioni di abbandono, dolore e senso di perdizione, senza però dimenticare che in fondo alla “galleria” c’è una possibilità di rinascita e redenzione anche per i dannati.

Benvenuti, con “Enter the Fog” avete realizzato il vostro terzo disco, risultato che ha sempre un valore simbolico. Rispetto all’idea di band che avevate al momento della nascita dei Damnation Gallery, “Enter the Fog” quanto è vicino a quello che desideravate in qui primi giorni?
Lord of Plague: Ogni album ha un suo significato e soprattutto i pezzi sono composti in maniera diversa, a seconda dei sentimenti e del periodo che stiamo vivendo in quel momento. Cerchiamo di sentire come un pezzo possa esprimere al meglio noi stessi e diventare nostro a tutti gli effetti, senza dargli per forza una direzione per seguire un genere. Possiamo dire che noi cresciamo insieme alla nostra musica.

Siete partiti con un’idea di sound che comprendesse al proprio interno più genere, direi che dall’ascolto dell’album questo appare evidente. Non temete, però, che il non potervi catalogare in modo netto e preciso in una nicchia possa essere controproducente presso un’audience sempre più chiusa nelle proprio segmento stilistico di ascolti?
Low: Sinceramente siamo consci di un rischio di questo tipo ma non crediamo che possa accadere, sarebbe come sottovalutare chi ci ascolta e non ci permetteremmo mai. La realtà è che ognuno di noi ha tantissime influenze musicali diverse e, dato che tutti partecipiamo attivamente alla composizione in maniera molto democratica, senza che nessuno tenti di impuntarsi e far prevalere il proprio stile, non facciamo altro che assemblare tutti i nostri gusti fino a trovare un buon lavoro che soddisfi tutti. Inoltre, suonare sempre la stessa cosa alla lunga diventa noioso, non trovi?
Scarlet: Aggiungo che quando componiamo non cerchiamo soltanto un equilibrio tra i nostri gusti e influenze, ma anche tra i nostri sentimenti e mood del momento. E’ un modo di fare musica e contemporaneamente conoscerci nel nostro profondo e crescere insieme oltre che come band anche come persone. È come imparare costantemente gli uni dagli altri. La nostra miglior soddisfazione e anche il nostro obiettivo è che chi ci ascolta non senta “ soltanto” musica o un genere musicale, ma anche tutto ciò che siamo e che cerchiamo di esprimere di noi.

Altra scelta cardine è stata quella di interessarvi a tematiche horror. Alla luce degli ultimi anni, che hanno stravolto la vita di tutti, come è cambiato la vostra percezione dell’orrore e come questi fatti hanno influito sulla band?
Lord of Plague: Spesso e volentieri le tematiche horror vedono protagonisti demoni, possessioni, morte, sangue, ecc… però per quanto ci riguarda basta semplicemente guardare dentro noi stessi per trovare ansia, paranoia, malattia, cattiveria e tutti i sentimenti negativi che fanno parte di ogni essere umano. Sentimenti che si annidano, vengono covati e infine si schiudono anche per i più insignificanti motivi. E quando si arriva a quel punto, quando si sente che qualcosa è cambiato, si fa fatica a riconoscersi in quello che ai nostri occhi è diventato un mostro.
Scarlet: Questo è ciò che noi intendiamo con il vero “orrore”. Abbiamo voluto metterlo nella nostra musica cercando di farne qualcosa di costruttivo, accettando anche quella parte di noi che è socialmente sbagliata e di cui nessuno parla mai.

E’ arrivato il momento di addentrarci nella nebbia, quando e come è nato il disco?
Low: “Enter the Fog” ha iniziato a prendere forma una volta finito il periodo del lockdown, appena abbiamo potuto ricominciare a vederci con regolarità. Questo perchè noi come band componiamo in sala prove in diretta e non ci è mai piaciuta l’idea di essere un gruppo che compone “ via mail”… non fa proprio per noi. Sicuramente il fatto che sia nato dopo uno stop forzato lo ha portato a essere un lavoro più diretto dei precedenti perchè c’era molta voglia di ripartire e di creare qualcosa senza troppi “ fronzoli”. Dobbiamo segnalare che dopo le registrazioni Lord Edgard ha lasciato la band a causa di insanabili divergenze sia personali che stilistiche, ovviamente condivise da tutti noi. Essere rimasti in quattro ci ha resi ancora più forti, uniti e compatti come non mai.

Qual è il brano che, secondo voi, è maggiormente rappresentativo dell’opera?
Low: Citerei due brani, il primo è “Fog” perché rappresenta il nostro lato più anthemico e “accessibile”, mentre il secondo è “Old Cemetry” che rappresenta invece il nostro aspetto più oscuro e malefico.

Mentre, qual è quello in cui avete osato di più?
Scarlet: Direi assolutamente “Erased”. E’ una ballad, uno stile molto lontano dalle nostre influenze che abbiamo tentato per la prima volta in questo brano. E’ un pezzo che ha per me un significato molto profondo, è un’ accettazione di un periodo molto brutto che ho vissuto e che dovevo “urlare lentamente”. Devo dire che che gli altri hanno perfettamente colto quell’espressione, creando insieme un brano di cui personalmente vado molto fiera.

Nelle note promozionali viene ribadito che questo disco non è un concept, ma mi pare di capire che comunque ci sia un filo che lega tutti i brani, è così?
Scarlet: Sì, esatto! Non è una cosa che costruiamo a tavolino o ricerchiamo a tutti i costi, però in tutti i nostri album, incluso ovviamente “Enter the Fog”, abbiamo notato che c’ è sempre un filo conduttore che lega i brani e la nostra espressione e ne abbiamo fatto un tratto distintivo. In “Black Stains” abbiamo dato risalto al tema del dualismo dell’essere umano, secondo il nostro significato di horror di cui abbiamo parlato prima; in “Broken Time” il tema ricorrente era l’incubo, il sogno come catalizzatore delle nostre paure e nel nostro ultimo lavoro invece parliamo di abbandono, del dolore e del senso di perdizione che ne consegue ma che porta poi a una lenta rinascita che ci trasforma in qualcosa di diverso, non necessariamente migliore ma sicuramente più forte.

Per la copertina avete deciso utilizzare un’immagine molto scarna, quasi old school, in controtendenza rispetto a quelle iper-patinate che vanno per la maggiore ora: come mai?
Low: Proprio a proposito di ciò che dici nella tua domanda, ho notato che ultimamente si guarda solo il “pacchetto”, la produzione iper-patinata e pompata e così via… Invece, occupandomi io degli artwork della band, noi abbiamo cercato di andare in direzione opposta andando a parare su una copertina volutamente scarna e old school, a suo modo un omaggio ai lavori estremi dei primi anni 90, quando una cosa apparentemente semplice e handmade odorava seriamente di male. Come in tutti i lavori precedenti, anche qui la copertina e il booklet hanno molte simbologie e riferimenti nascosti, ma quelli lasciamo che vengano notati solo dai più attenti.

Avete programmato delle date a supporto del disco?
Lord of Plague: Abbiamo fatto il nostro concerto di release di Enter the Fog a Genova, all’ Angelo Azzurro. Saremo a Imperia, al Babilonia, il 14 di gennaio e stiamo lavorando per altre date in giro per l’Italia che verranno via via comunicate sui nostri canali. Vi ricordiamo che potete trovarci, seguirci e ricevere informazioni e aggiornamenti su Facebook, Instagram, Youtube, Bandcamp, dove potete trovare il disco e tutto il nostro merch!

Blood Thirsty Demons – Spiritual seanse

Cristian Mustaine dal 1997 con i suoi Blood Thirsty Demons non si è limitato a pubblicare dischi, ma ha anche svolto una sorta di eretica opera di evangelizzazione, toccando temi di stampo religioso, spirituale e magico. Però, mai come con il nuovo “Esoteric” (The Triad Record), aveva parlato in modo così esplicito del proprio cammino nelle scienze oscure e del ruolo che queste rivestono nella sua vita. Un’occasione così particolare meritava un approfondimento, per questo, oltre alla nostra intervista, ne troverete un’altra, in formato audio, rilasciata a Mirella Catena per Overthewall!

Ciao Cris, hai scelto un titolo, “Esoteric”, per il tuo album che forse, anche se superficialmente non appare così, è il più intimo tra quelli dei Blood Thirsty Demons. Mi sbaglio?
Ciao, proprio cosi: questo è il disco più personale e anche più oscuro tra tutti quelli che ho pubblicato fino a questo momento. Tra le righe vengono raccontati, anche se non esplicitamente, molti riferimenti al mio cammino spirituale.

Quando è iniziato il tuo cammino nell’esoterismo e quanto ha contribuito la musica ad accendere questo interesse?
E’ iniziato tutto circa 25 anni fa, nel periodo in cui decisi di formare la band. Sicuramente, il genere musicale che ascoltavo in quel momento, ha contribuito molto ad aumentare il mio interesse nell’esoterismo, perché cercando di capire i testi delle mie band preferite, entravo in un mondo che mi spingeva a farmi domande, sapendo che proprio li avrei trovato risposte importanti per la mia vita.

Quali sono, secondo te, gli album “esoterici” per eccellenza della musica?
Cavolo, possono essere davvero a decine! Posso dirti quali sono quelli che hanno caratterizzato e indirizzato la mia vita, o perlomeno te ne cito alcuni: i primi due album dei Death SS ( “…in Death of Steve Sylvester” e “Black Mass”), sono quelli essenziali per chiunque si avvicini a questo genere. Così come i primi due dei Mercyful Fate (“Melissa” e “Don’t Break the Oath”) che a mio parere han cambiato tutto il modo di vivere l’heavy metal. Io ho sempre pensato che ci siano due ere: una pre “Don’t Break the Oath” e una post”Don’t Break the Oath”, che ha portato un cambiamento epocale ispirando innumerevoli band. Molto esoterico è sempre stato anche Paul Chain; due dei suoi dischi mi han trasmesso proprio quell’oscurità e quell’ispirazione che mi serviva in alcune composizioni; questi sono “Alkahest “(con il grande Lee Dorrian) e “in the Darkness”. Un altro album che mi ha forgiato, ricco di alone esoterico, è “Sacrifice “dei Black Widow, band capace di catapultarti davvero in un rituale ad ogni ascolto. Stessa cosa vale per i primi lavori dei Goblin. Ci sono poi tantissimi album di impronta davvero oscura che mi hanno ispirato, ma non li metterei nella categoria di album esoterici.

Torniamo al tuo di disco, credi che l’aver messo in musica questi tuoi interessi, in qualche modo ti abbia fatto fare una sorta di check sul tuo cammino iniziatico? E se così fosse, quanto è cambiato il tuo approccio alla materia in questi anni?
In realtà ho sempre lo stesso approccio con questa materia, perché fortunatamente questi studi mi hanno portato a trovare un ottimo equilibrio interiore e molte risposte che cercavo. Erano anni che avevo in mente di mettere in musica tutto questo, ma non era ancora arrivato il momento giusto; non è semplice già creare un concept album, cosa che faccio in ogni disco, spalmare questo argomento su ben dieci canzoni è stata una cosa non semplicissima. Diciamo che il check sul mio cammino spirituale lo faccio praticamente ogni singolo giorno della mia vita, riflettendo su ogni mia singola azione e su quali forze possono smuovere.

A proposito di cambiamenti, quali sono le novità strettamente musicali contenute in “Esoteric”?
Sono diverse: in questi tre anni ho iniziato ad avvicinarmi a generi molto tecnici, progressive metal e affini; questo mi ha spinto anche a cercare di aggiungere qualcosa al mio sound, sentendo che mi faceva crescere come musicista e compositore. Molte ritmiche sono più ricercate, gli assoli sono più lunghi e spesso più di uno nella stessa canzone e nelle voci ho provato a sperimentare un po’ di più. Credo che in futuro tutti questi cambiamenti saranno accentuati, almeno stando alle idee che ho in testa per il prossimo disco.

Più che come musicista, come mente creativa dei BTD quali limiti non supereresti mai?
Innanzi tutto, se volessi fare qualcosa di molto distante da ciò che posso definire horror metal, farei un progetto a parte, e su questo non mi darei limiti; ho comunque un limite che non mi fa sconfinare troppo fuori dal metal. Con i BTD eviterei sicuramente l’introduzione di suoni elettronici e di sonorità troppo moderne, che andrebbero a coprire quell’alone occulto che un certo sound di questo genere richiede.

Come sono nati i pezzi?
I miei brani nascono tutti da una base di chitarra e spesso in acustico; generalmente, i miei ascolti del momento tendono ad influenzare ciò che scrivo, nonostante la base esca sempre da ciò che in maniera naturale nasce appena tocco lo strumento. I testi vengono pensati successivamente, a parti strumentali finite e incise, dopo giorni di riflessioni e scelte sull’argomento da trattare.

Credi che ci sia un brano più rappresentativo dell’intero lavoro?
I brani per un musicista sono come dei figli, difficile sceglierne uno; ma ce ne sono un paio che sono più personali, come “Guardian of My Soul”, traccia dedicata al mio spirito guida, a cui tengo particolarmente, e “The Wickedness of Men”, brano molto riflessivo sull’animo umano e su quanto le forze negative possano incidere nel corso delle nostre vite, pur pensando che sia sempre e solo colpa nostra.

La prossima mossa che dobbiamo aspettarci da te sarà a nome BTD o Human Degrade?
Bella domanda! Ho ben otto brani incisi dal 2013 ad oggi e non ancora pubblicati come Human Degrade, ma non ho ancora un minutaggio sufficiente per pubblicarne un album. Ancora non so se, per questo progetto preferirò fare un’uscita solo in digitale. Sicuramente, durante la pausa natalizia, mentre tutti saranno impegnati a sentirsi più felici e più ipocritamente buoni, inizierò a incidere le prime note del prossimo lavoro marchiato Blood Thirsty Demons.

BONUS TRACK
Il 7 Novembre Cristian Mustaine è stato ospite di Mirella Catena a Overthewall, ascolta qui l’audio completo:

Alex Nunziati – Il divoratore di anime

In Alex Nunziati convivono una moltitudine di personalità artistiche. In passato lo abbiamo visto all’opera con Malamorte, Theatres des Vampires, Cain, Lord Vampyr, Nailed God e Shadowsreign, per questo fa un certo effetto ascoltare un disco, “Il divoratore di anime” (Moribund Records), con in bella mostra non un nom de plume, ma il suo vero nome…

Bentrovato su Il Raglio del Mulo, Alex. Profeticamente avevo intitolato la nostra precedente intervista, uscita in occasione della pubblicazione ufficiale in formato fisico di “God Needs Evil” dei tuoi Malamorte, “Il divoratore di anime”. Oggi ci ritroviamo per parlare de “Il Mangiatore di Peccati”, il tuo debutto con il progetto a tuo nome! Come mai hai scelto di far partire questa tua nuova avventura utilizzando il tuo nome e non un moniker particolare?
Dopo tanti anni volevo prendermi la soddisfazione di avere qualcosa con il mio nome, soprattutto alla soglia dei 50 anni

Il fatto che questo disco esca come Alex Nunziati in qualche modo lo rende più intimo e personale rispetto a quanto da te pubblicato in precedenza?
Principalmente parlerei di libertà, intesa come libertà compositiva, senza vincoli, ne sul modo di cantare, sul genere e ne sugli argomenti trattati. Questa in generale è stata sempre una mia caratteristica, ho fatto sempre quello che sentivo in quel momento. Per questo progetto ho mantenuto la componente heavy già presente nei Malamorte, ma ho usato un cantato differente e ho dato al tutto una connotazione tra horror e grottesco.

Ti sei preso dei rischi in fase di songwriting che magari in passato con i tuoi altri progetti non ti sei mai preso?
Più che di rischi, come ti dicevo, mi prendo la libertà di fare la musica che voglio, l’ossessione di tante band e musicisti di dover per forza compiacere il pubblico o i giornalisti, non fa parte del mio modo di intendere la musica. Quello che faccio deve piacere a me principalmente, altrimenti non avrebbe senso.

Grandiosa la copertina firmata da Adi Dechristianize, il soggetto è una tua idea o è tutta farina del suo sacco?
Il soggetto è una mia idea, gli ho mandato qualche spunto, tipo qualche locandina di horror/gialli degli anni 70 e come sempre non mi ha deluso. Ci tengo a precisare che la cover rispecchia il mood generale, ma non il titolo che è in realtà legato ad una figura realmente esistita, soprattutto in alcuni paesi del nord europa, che tramite un rituale, si pensava potesse cancellare i peccati di un defunto.

L’immagine ricorda i vecchi manifesti dei film horror. Quanto del tuo immaginifico cinematografico hai riversato in questo album?
Sia mentre scrivevo i testi, che in realtà sono piccole storie horror, che quando ho registrato l’album, ho cercato di farmi trasportare da quelle sensazioni che si provano vedendo un film horror o un film grottesco.

Il disco si rifà a certo heavy metal classico, di scuola Death SS e Mercyful Fate, band che immagino che rientrino nei tuoi gusti da sempre. Mentre gruppi più recenti, come i Ghost, ti hanno influenzato in qualche modo?
Sicuramente le prime due band che hai citato rientrano in questo discorso e, anche involontariamente, si sentono delle influenze nelle composizioni. I Ghost in parte mi hanno influenzato per quanto riguarda l’ultimo Malamorte, ma il nuovo album che è già pronto e sta per uscire, sarà molto heavy e thrash e quindi sono tornato al vecchio stile, diciamo che è stato un esperimento.

Da quando hai iniziato con la tua carriera musicale con i Theatres des Vampires i tuoi gusti sono rimasti gli stessi oppure hai allargato i tuoi ascolti?
Partiamo dal principio che io amo la musica in generale e non mi sono mai posto vincoli. Ascolto di tutto dai Skeletal Remains, ai Gorephobia, i Cult of Fire, poi posso passare benissimo a i Kiss, per poi ascoltare i Varathron e poi i Grave Digger. Poi io vado molto a periodi, di recente ascolto prevalentemente heavy e thrash old school.

Questa progetto resterà una tua creatura da studio o pensi di portarlo anche dal vivo?
Questo ancora non so, queste scelte vengono spesso influenzate dal riscontro che ha l’album, vedremo.

In conclusione ti chiedo: dopo tanti anni di carriera e dischi pubblicati, quali sono le tue aspettative legate a questo nuovo inizio?
Guarda per me è già stata una soddisfazione aver realizzato questo mio progetto grazie ad Odin della Moribund Records, che continua a credere in me. Vivo le cose sul momento. So che l’album sta andando bene e questo non può che farmi felice, ma come sempre guardo avanti. Sta per uscire il nuovo Malamorte, che per me è il migliore che ho fatto, stiamo riprendendo l’attività con i Lord Vampyr, quindi come vedi non ci si arrende.

Mortuary Drape – Il suono della reincarnazione

I Mortuary Drape finalmente sono tornati tra noi! L’ottimo “Wisdom – Vibration – Repent” (Peaceville Records) contiene quattro brani inediti in puro stile Mortuary Drape e una cover dei Mercyful Fate, la poco scontata “Nightmare Be Thy Name” da “Time”.

Benvenuto Wildness Perversion, questa volta sotto il drappo troviamo un nuovo EP, “Wisdom – Vibration – Repent”, contenente cinque brani, tra cui la cover di “Nightmare Be Thy Name” dei Mercyful Fate. Partirei proprio dal titolo dell’opera, la scelta delle singole parole e del numero delle stesse ha qualche significato magico\rituale?
Ciao a te e grazie per questa intervista, inizio con spiegare i significato del titolo:
Wisdom: la maturazione spirituale ormai consolidata. Saggezza.
Vibration: la musica intesa come sensazioni e vibrazioni, il suono.
Repent: ripensamento agli errori commessi da questo mondo.
Wisdom e Repent contengono sei lettere mentre invece Vibration è composto da nove lettere, non è un caso e sono molto compiaciuto che tu l’abbia chiesto. Il numero sei evoca la prova iniziatica e l’impegno attivo dell’iniziato a seguire la via dell’elevazione spirituale, mentre invece il nove è il numero della generazione e della reincarnazione.

C’è un nesso tra titolo e copertina?
La creazione della copertina nasce dalla nostra collaborazione con Chris della Misanthropic Art che da qualche anno a questa parte collabora con la band per diverse grafiche. Dopo aver raccontato cosa ci serviva ha subito messo in pratica la sua grande abilità con alcune bozze che poi sono state cesellate per includere al suo interno tutti i punti che meglio rispecchiavano il significato che volevamo ottenere. La struttura portante sono le colonne, spazio sacro dove si  realizza la congiunzione dei tre punti: Saggezza – Vibrazione – Pentimento. Il simbolismo universale del Triangolo è la manifestazione del ritorno all’unità primordiale. L’effige del cranio umano accompagna la nostra evoluzione spirituale, le ali di pipistrello rappresentano i demoni, le ali degli abitanti dell’inferno. Il serpente in armonia con la sua vibrazione energetica è intorno ai tre punti e dall’oscurità riemerge verso la luce, ed infine la luna, regina della notte pervasa da magia e mistero, è simbolo d’introspezione, di raccoglimento e poi di successivo rinnovamento.

Se non erro nella vostra discografia, questo è il quarto EP, come mai avete deciso di tornare proprio con un lavoro di cinque brani e non con un vero e proprio full-length?
Non volevamo fare passare troppo tempo tra “Spiritual Independence” ed il nuovo full-album, con la pandemia si rischiava di andare veramente troppo in là, avevamo queste tracce pronte da registrare e ci è sembrato il giusto compromesso per buttare fuori qualcosa e anche per partire con questo nuovo deal con Peaceville.

Hai dichiarato che la scrittura delle canzoni è andata particolarmente bene e che la formazione è stata più compatta che mai durante i lavori. Come ti spieghi questa compattezza? C’è stato qualche evento particolare che ha rinsaldato il vostro legame?
Devi sapere che l’80% della line up ormai è insieme da 12 anni e l’affiatamento è buono, il batterista è l’ultimo arrivato ma si sta pian piano adattando ai nostri ritmi che non sono un grosso problema per lui che è già rodato a lavorare in diverse situazioni. Di solito i nostri brani nascono molto spontaneamente senza forzature di nessun genere, quasi sempre partono da una mia proposta e anche qualche altro componente della band si diletta a presentare qualche brano, in seguito tutta la band contribuisce per completare la stesura dei brani e gli arrangiamenti, le parti di basso che si staccano dalle chitarre dando al nostro sound quel taglio particolare e poi gli assoli di chitarra etc etc, oggi è tutto abbastanza easy al contrario di un tempo dove alcuni ex facevano storie su storie, e quindi via via si sono eliminati. Gli ostacoli vanno oltrepassati e si va avanti tutta.

Restando sulla fase di scrittura delle canzoni, il vostro metodo compositivo è cambiato in tutti questi anni e, se sì, in cosa?
La tecnologia oggi ci aiuta molto, una volta imbastito il pezzo gli diamo una definita, il passaggio successivo è legato alla velocità idonea che possa rispecchiare al massimo l’impronta che vogliamo dare e quando tutti siamo convinti stendiamo giù la traccia metronomica, si continua a provare sul metronomo individuando le parti forzate o meno convincenti e li si aggiusta nuovamente il tiro, nel senso che possiamo ancora cambiare i tempi di batteria, alcune pennate di chitarra e pensare agli arrangiamenti che addirittura rivoltano completamente un brano costruendo un nuovo riff e mettendo da parte delle parti poco convincenti per poi essere utilizzate per altre canzoni. Siamo molto precisi in tutto, e questo è il motivo per cui passa tanto tempo tra un disco e l’altro. La fase terminale incorpora il testo che esiste già ma non viene collocato fino a quando la parte musicale non riesce a trasmettere già da sola le giuste atmosfere, se la musica funziona le parti vocali ci si adageranno sopra in modo molto fluido e naturale.

Mentre, il tuo interesse per certe tematiche in questi anni si è spinto verso territori che prima non avevi mai esplorato?
I quattro nuovi brani sono composizioni con testi che trattano dei nostri soliti argomenti che sono un classico nel nostro stile. Dal punto di vista sonoro siamo riusciti a mantenere un filo conduttore con l’album precedente “Spiritual Independence”, intendo come utilizzo di suono vero e proprio e anche come tecnica di acquisizione ed attrezzatura usata, lo studio di registrazione è sempre lo stesso ed anche il fonico. Il giusto legame tra “Spiritual Independence” e questo mini è sicuramente il brano “Circle Zero”.

La cover del brano dei Mercyful Fate come è nata?
Il brano è stato scelto perché “Time” è l’album che ha messo d’accordo tutti noi per scegliere una canzone e rendere omaggio ad una storica e grande band che non ha bisogno di presentazioni, non è la classica cover per riempire una release, al contrario è nato tutto per caso e perché quell’album merita molto e non ha avuto il giusto interesse rispetto ad altri più blasonati dei Mercyful, quindi perché non farla?

Ti andrebbe di fare una veloce panoramica sui restanti quattro pezzi?
Lungo i secoli abbiamo assistito alla decadenza di Dio è la caduta della religione, i preti pedofili, l’intera cornice dell’illusione della chiesa cattolica che continuamente dice bugie e difende quest’orgia di religione, il paradiso ormai è un posto deserto. L’illusione della storia vede cadere Dio, un urlo liberatorio e il sabba dei preti che nel loro rituale malvagio approfittano di bambini e fanno festa, tutto alla luce di una candela in una semplice notte nei sotterranei di una chiesa, e tutto precipita, cade attraverso il cerchio zero che è il punto di incontro tra il bene ed il male.

Questo disco sancisce il vostro approdo alla Peaceville Records, che in passato si era già occupata di alcune vostre ristampe. Nonostante il legame con una delle etichette più importanti del mondo metal, il vostro fascino underground e misterioso ne esce intatto. Come te lo spieghi?
Abbiamo avuto diverse offerte ma quella che ci dava più garanzie a livello di distribuzione e visibilità è stata la Peaceville, come tu dici abbiamo già avuto a che fare con loro per le ristampe di due nostri vecchi album in precedenza usciti per un’altra etichetta, era necessario fare una ristampa di uno di questi album e sono stato contattato nuovamente per dare l’ok. In quell’occasione mi è stato chiesto quali erano i progetti futuri per la band e dopo aver spiegato quello che avevamo in programma ci hanno inviato un’offerta e da li è partito tutto. Siamo sicuri che faranno il massimo possibile per la nostra band, non sappiamo ancora quali saranno i risultati ma loro certamente avranno fatto le giuste considerazioni e sanno sicuramente quali sono le nostre potenzialità. A noi comunque piace rimanere di base una band underground e questo il nostro referente in Peaceville l’ha capito e non ha interferito minimamente sulle nostre scelte, anche la nostra proposta di occultare i testi delle canzoni è stata accolta come una scelta di rimanere riservati e con qualche mistero.

In conclusione, vorrei sapere se ci sono altri brani esclusi da questo EP che potrebbero essere, magari lavorandoci ancora su, uscire su un nuovo lavoro.
No, al momento abbiamo esaurito i brani che avevamo da parte ma comunque abbiamo lavorato molto in questi ultimi due anni di stop ed abbiamo già undici nuove canzoni ed una buona parte di loro se non tutte daranno vita ad un full-album, le stiamo già pre-producendo presso i TMH Studios di Alessandria (Italia), alcune persone che hanno sentito qualche brano dicono che questo potrebbe essere il seguito di “Secret Sudaria”. In realtà, potevamo registrarli già alla fine del 2020 ma abbiamo preferito fare uscire il mini-album perché sarebbe stato un danno uscire con un full-album durante questa emergenza e non poterlo supportare in sede live. Vediamo come procederà l’Italia nei prossimi mesi e se tutto andrà meglio decideremo se buttarlo fuori entro il 2023 o se anticipare. Vi aspettiamo ai nostri concerti dove ovviamente avrete l’occasione di sentire anche i brani di “Wisdom – Vibration – Repent”.

Death SS – Il decimo comandamento

I Death SS nel 2021 tagliano il prestigioso traguardo del decimo album, e lo fanno con un disco, “X” (Lucifer Rising / Anubi Press), che pur ripartendo dalle uscite più recenti, contiene le immancabili novità che accompagnano da sempre ogni disco dei padri dell’horror metal. Un sempre disponibile Steve Sylvester, ci ha introdotto nei meandri della sua ultima opera.

Ciao Steve, quando hai iniziato l’avventura con i Death SS ti saresti mai immaginato che il decimo disco sarebbe uscito nel bel pieno di una pandemia?
Ovviamente no. La situazione che si è venuta a creare negli ultimi due anni è stata veramente incredibile e paradossale. Sembrava di essere sprofondati nella trama di un b-movie di horror fantascienza! Comunque ho cercato di capitalizzare e sublimare artisticamente le sensazioni cupe del periodo, rigettandole all’interno del disco.

Credi che l’effetto shock che avevano i Death SS a metà anni settanta sia in parte scemato? Oggi siamo sommersi da immagini di morte nei TG, senza contare che la TV ha sempre più alzato l’asticella della violenza. Quanto è difficile spaventare con un disco nel 2021?
Certamente le cose sono molto cambiate negli anni. Oggi siamo abituati a vedere veramente di tutto ed è sempre più difficile riuscire a “scioccare” qualcuno. Da tempo infatti affermo che il “vero orrore” è quello che vediamo tutti i giorni sui telegiornali piuttosto che quello “romantico” di  mostri come vampiri e lupi mannari… Comunque, il  nostro intento non è quello di “spaventare” il nostro pubblico, quanto piuttosto quello di comunicare delle forti emozioni che attingono dalla cultura gotica tradizionale ma anche dal moderno retaggio dell’epoca in cui viviamo.

In questi anni la musica dei Death SS è cambiata parecchio, però le tematiche trattate no. Prima ti ho chiesto della percezione che il pubblico ha di certe immagini create dalla tua musica, ora vorrei sapere se è mutato invece il tuo approccio all’orrore dai primi pezzi che hai scritto a quelli contenuti in “X”.
Certamente! Si tratta di una naturale evoluzione. I Death SS non si sono mai ripetuti album dopo album ma hanno invece cercato di espandere ed evolvere le loro sonorità coerentemente con il periodo storico che stavano vivendo, mantenendo però intatta la loro identità artistica che è comunque rimasta sempre ben distinguibile…

Dal punto di vista dell’immagine, mi sembra che il tuo look sia più vicino a quello degli esordi, c’è un qualche collegamento tra questa scelta stilistica e i contenuti di “X”?
Nulla di premeditato… Semplicemente è come se avessi percorso un intero ciclo e quindi con questo disco sia tornato naturalmente alla partenza, alle mie origini, anche se ovviamente sotto un’ottica attuale.

Nell’edizione limitata del disco, troviamo un fumetto: chi lo ha ideato e chi lo ha disegnato?
Il fumetto è stato ideato da me e da Luca Laca Montagliani, sceneggiatore ed editore di Annexia, creatore del personaggio di  “Suspiria del Regno Oscuro”. Per i disegni ci siamo rivolti ad Alex Horley, autore anche della copertina del disco, artista noto per i suoi lavori con Marvel e DC Comics. Il fumetto, volutamente stampato nel classico formato dei pocket erotici italiani degli anni 70, è una sorta di booklet esteso del disco perché oltre alle bellissime tavole di Horley contiene al suo interno tutti i testi e i credits del nuovo lavoro.

I Death SS non hanno mai smesso di stampare in vinile, hanno sempre pubblicato singoli, EP ed edizioni limitate. Oggi lo fanno quasi tutte le band, perché forse quei pochi che comprano ancora il supporto fisico preferiscono spendere qualcosa in più per avere un’opera rara. La discografia si sta trasformando sempre più in un mercato di non largo consumo simile a quello, per esempio, della pittura?
Bè, diciamo che ora il mercato è basato quasi esclusivamente alla vendita dei download digitali. Io sono invece rimasto legato al “supporto fisico”, essendo anche un collezionista di dischi e singoli rock. Mi piace avere un prodotto che oltre che ascoltare puoi toccare ed ammirare visivamente. Per questo ho sempre continuato a pubblicare singoli, vinili, box e ultimamente addirittura le visioni su tape, che pare siano tornate nuovamente in auge. Si tratta di oggetti proposti a tiratura limitata, destinati al mercato collezionistico, che aumenteranno il loro valore nel tempo.

“Suspiria” è il pezzo che preferisco del disco, come è nato?
Innanzitutto chiarisco che la mia Suspiria non c’entra nulla con il film di Dario Argento e con l’omonima canzone dei Goblin. Il riferimento è rivolto esclusivamente al fumetto dark-erotico “Suspiria (del Regno Oscuro)”, creato alcuni anni fa dal fumettista, scrittore e sceneggiatore Luca Laca Montagliani per l’Associazione Culturale Annexia. Come “Zora” è quindi una canzone nata per dare un mio contributo musicale al fumetto in questione. L’ho concepita come una song molto “teatrale”, divertendomi a sperimentare in tal senso con Andy Panigada che ha collaborato con me nelle soluzioni musicali. C’è anche un’ospitata alla lead guitar da parte di Ghiulz Borroni, chitarrista dei Bulldozer e degli Ancient. Ci ho poi aggiunto una outro in stile “tango”, suggeritami da Montagliani,…. Ne faremo presto un video.    

Rimanendo in tema, che ne pensi del “Suspiria” di Luca Guadagnino? A me è piaciuto molto…
Sì, ho visto il film di Guadagnino del 2018… Che dire? L’ho trovato un bel film anche se parecchio distante dall’originale. Credo comunque che sia stata una precisa scelta del regista. Ottimi interpreti e ottima fotografia, anche se l’ho trovato un po’ carente di suspense. Poi una cosa che a me personalmente proprio non è piaciuta è stata la Mater Suspiriorum con gli occhiali da sole!

Torniamo a “X”, il disco è stato presentato il 23 ottobre 2021 al Legend Club di Milano davanti a soli 100 partecipanti: è stato più strano tornare su un palco dopo la lunga inattività forzata o doverlo fare in una situazione surreale con un pubblico limitato?
Bè, non trattandosi di un concerto ma di una semplice presentazione, in questi tempi di prevenzione Covid e relative norme restrittive, l’aver fatto il sold out (170 posti a sedere + gli addetti ai lavori) non è comunque cosa da poco. La situazione è stata sicuramente “strana”, ma alla fine sono stato molto soddisfatto della serata perché siamo riusciti a creare una situazione “intima”, come un serata passata tra amici ad ascoltare musica, e ciò ha aggiunto maggior valore al tutto…

La Stanza delle Maschere – La stanza degli incubi

Graditi ospiti della nostra trasmissione, a presentare l’album omonimo uscito per la Black Widow Records, La Stanza delle Maschere.

Con noi Domenico e Angelo. Benvenuti su Overthewall!
Domenico: Ciao Mirella! Un grande saluto a tutti gli ascoltatori di Overthewall che vogliamo ringraziare per il grande supporto alla buona musica. Facciamo parte di una grande Famiglia che, soprattutto in questo momento, “deve rimanere unita”: rock will never die!
Angelo: Ciao carissima, grazie dello spazio che ci hai dedicato! E’ un piacere parlare con te.

La fonte d’ispirazione è data dalla passione per il cinema d’autore italiano. Parliamo dell’idea iniziale della band?
Domenico: La passione per un certo tipo di letteratura “oscura” e per il cinema di genere è nei nostri cuori. Sono cresciuto con i film di Lucio Fulci e di Mario Bava. Poi quando scoprii il gotico di Pupi Avati… fu un trauma. Nel senso positivo ovviamente. Le nostri radici partono dai grandi scrittori dell’Horror ( H.P Lovecraft , Edgar Alan Poe ) ma, personalmente, sono anche un grande lettore di Giorgio Scerbanenco e di Luigi Pirandello. “Uno, nessuno, centomila” è un must assoluto. Un capolavoro senza tempo.
Angelo: Il cinema passato, thriller\ horror italiano, e la letteratura in puro stile macabro, come appunto Poe o Lovecraft, hanno plasmato fortemente la nostra proposta. Ricercare, sviluppare e plasmare atmosfere in puro stile misterioso ed accattivante è il nostro obiettivo. Soprattutto far rabbrividire gli ascoltatori è la nostra missione.

Quanto è durata la gestazione dell’album?
Domenico: La gestazione dell’album è durata, più o meno, cinque anni. Essendo il compositore di tutte le musiche e Angelo il creatore di tutte le liriche, abbiamo cercato di fare un lavoro certosino per incastrare ogni singola nota ed atmosfera nel mood di ogni racconto. Ho trovato l’ispirazione musicale attraverso la mia passione per le colonne sonore e verso il dark sound italiano: Jacula, Goblin, Fabio Frizzi, Antonius Rex e il Segno del Comando. Il lavoro di composizione e di registrazione è stato molto complesso ma allo stesso tempo naturale. Sicuramente molto emozionante.
Angelo: Riuscire ad incastrare racconti, parti vocali con le composizioni musicali non è stato semplice, ma alla fine siamo riusciti a creare qualcosa di particolarmente inquietante come da nostro principale obbiettivo, un passo alla volta e… brividi…

La band si avvale di collaborazioni prestigiose, vogliamo citare gli artisti che sono presenti nell’album?
Domenico: All’interno dell’album abbiamo voluto avuto tantissimi ospiti musicali e cinematografici. Per quanto riguarda l’aspetto musicale: Alexander Scardavian (Strange Here ed ex Paul Chain Improvisor ), la talentuosa Tiziana Radis e Roby Tav dei Secret Tales. Per l’aspetto cinematografico abbiamo avuto il grandissimo onore di aver ospitato delle splendide prefazioni da parte di: Antonella Fulci, figlia dell’immenso Lucio, che vogliamo salutare con grande riconoscenza; Claudio Bartolini, autore di numerosi volumi sul thriller/horror italiano ed autore del celebre “Gotico Padano” basato sul cinema nero di Pupi Avati; Manuel Cavenaghi del Bloodbuster di Milano. Una Mecca per tutti gli amanti dell’horror. Posso soltanto dire che, a ripensare a tutto il lavoro svolto, la mia commozione è tutt’ora molto viva. Ringrazio i ragazzi della Black Widow (Massimo, Pino e Laura), gli amici che ci hanno sempre sopportato, Overthewall e tutti gli ascoltatori. Nessuno è qualcuno… siamo tutti pezzi fondamentale di un grande ingranaggio. Se non esistessero gli ascoltatori… tutto questo non esisterebbe . We are the children of revolution….

Com’è stato l’impatto con il pubblico e la critica?
Domenico: L’impatto con la critica, per quanto mi riguarda, è stata una grandissima sorpresa…inaspettata. Pur essendo un progetto molto complicato e non di facile ascolto, sono rimasto piacevolmente colpito dai numerosi riscontri positivi che abbiamo avuto. Non me lo sarei mai aspettato, credici!
Angelo: Senza parole! I primi responsi della critica sono stati a mio avviso ottimi! Sinceramente non avrei mai pensato a tanto, il progetto è complesso, ma a quanto pare inizia a colpire in maniera incisiva!

Viste le nuove disposizioni del governo, i live sono sospesi almeno, fino al 24 novembre. Come vi organizzerete per promuovere il disco?
Domenico Viste le nuove disposizioni l’unica cosa che, almeno per ora, si può continuare a fare, è provare. E’ un periodo molto duro e le Maschere si stanno rivelando, ma dobbiamo essere tutti uniti per portare avanti la nostra Arte ed il nostro essere. E’ un grosso pasticcio per tutti perché, in tutte le tipologie di lavoro, si stanno creando dei grossi problemi economici: locali, bar, ristoranti ed anche le sale prove. In questo momento è importantissimo pensare con la propria testa. In attesa di poter ritornare a suonare sul palco, metteremo tutta la nostra energia positiva per esercitarci e per poter migliorare di prova in prova. Lo dobbiamo a voi ascoltatori ed alla nostra label.. e a noi stessi

Come i nostri ascoltatori possono seguirvi e contattarvi?
Domenico: Potete trovarci tramite la nostra pagina FB: La Stanza delle Maschere.

Grazie di essere stati con noi
Domenico ed Angelo: Ancora grazie mille per lo spazio concesso, Mirella. Grazie a te e a tutti gli ascoltatori. Mi raccomando, tutti uniti nel nome del rock’n’roll… come diceva l’immenso Marc Bolan dei T-Rex: “Rock on!” e io aggiungo: “Fulci lives!!!”

Trascrizione dell’intervista rilasciata a Mirella Catena nel corso della puntata del 9 Novembre 2020 di Overthewall. Ascolta qui l’audio completo:

Necrofili – L’immacolata decomposizione

Al di là della retorica sul quanto sia importante avere un sound personale, quanto l’essere poco inquadrabili può essere un vantaggio? Stando ai Necrofili, l’originalità è un’arma a doppio taglio che può portare in egual misura consensi e critiche negative. Ciò che conta, però, è andare dritti per la propria strada, magari anche senza particolari vincoli artistici. Da questo punto di vista il nuovo EP “Immaculate Preconception” è un esempio da manuale.

Ciao Carlo (Pelliccia, voce e chitarra), da qualche tempo è uscito “Immaculate Preconception”, il vostro ultimo EP. Ti chiederei di stilare un primo bilancio sull’accoglienza ricevuta dal disco.
L’accoglienza di “Immaculate Preconception” ci ha piacevolmente sorpreso. La critica, nella maggior parte dei casi, lo ha premiato con recensioni veramente molto positive, sia sulle riviste e webzine più generaliste e gettonate, sia su quelle che si concentrano in maniera specifica sull’underground. L’accoglienza del pubblico è stata altrettanto buona: abbiamo già ristampato una volta la versione CD per esaurimento della prima tiratura, e al momento anche il secondo lotto è agli sgoccioli. Tutto questo ha un po’ innalzato la nostra visibilità nel circuito underground, e ci ha dato la possibilità di fare diverse date dal vivo in contesti differenti dal solito, compresa la possibilità di esibirci in apertura per gruppi storici come Distruzione, Assassin e Benediction. Insomma, finché non è arrivato il Covid a guastare la festa, devo dire che ci siamo divertiti nel corso dell’ultimo anno.

Avete scelto la strada dell’autoproduzione, è stata una decisione presa da subito o è figlia della difficoltà di trovare un contratto soddisfacente?
“Immaculate Preconception” è nato direttamente come un’autoproduzione, così come è accaduto anche per il suo predecessore “The End Of Everything”. Per questi due lavori non abbiamo neanche provato a cercare un’etichetta che li producesse. Lo abbiamo fatto in passato, ormai più di dieci anni fa, quando abbiamo registrato un demo (“Promo 2008”) e lo abbiamo fatto girare per etichette sperando di ricevere una proposta per il nostro successivo full-length. Ma è stato un completo buco nell’acqua, non abbiamo ricevuto nessuna proposta vera e propria, solo offerte da parte delle agenzie di promozione. Da quel momento in poi ci siamo orientati sempre ed automaticamente sull’autoproduzione e sull’autopromozione, evolvendo gradualmente ciò che avevamo imparato a fare per i primi demo. In fondo, ci piace l’autoproduzione: ci prendiamo i nostri tempi ed abbiamo libertà assoluta. Non solo i nostri lavori sono “autoprodotti” nel senso di “autofinanziati”, ma sono anche materialmente registrati, mixati e masterizzati da noi stessi nella nostra sala prove, senza avvalersi di uno studio professionale. Anche se i risultati che siamo in grado di raggiungere sono ormai di buon livello, sappiamo bene che, sia per mezzi sia per competenze, non siamo in grado di rivaleggiare con la pulizia e l’impatto sonoro delle produzioni mainstream, e spesso neanche con quelle di quei gruppi underground che scelgono di spendere soldi in uno studio professionale. Da un certo punto di vista, quindi, soffriamo questa condizione, ma dall’altra vantiamo di avere un suono realmente nostro. Vedi: quando il budget da investire non è molto, e credimi che questo è sia il caso delle produzioni autofinanziate sia di quelle spesate da una piccola etichetta, puoi accedere ad uno studio professionale solo per poche ore di lavoro. Non hai il tempo di creare un tuo sound, ti prendi il suono standard che quello studio fornisce per il tuo genere di riferimento. Insomma, alla fine il tuo disco suona bene, ma uguale a mille altri.

Avete una quindicina di anni di carriera alle spalle, che consiglio vi sentite di dare alle giovani leve che oggi si affacciano oggi nel mercato musicale?
Non so se una giovane leva abbia voglia di ascoltare i consigli di un quarantenne che fa metal da una vita senza aver mai raggiunto alcuna fama rilevante. Forse un ventenne ha più voglia di sfondare, di diventare qualcuno, ed è giusto così. Ho pochi consigli pratici su cosa fare e cosa non fare. L’unico che mi sento di dare, pertanto, è sull’approccio da tenere: inseguite il vostro sogno e rifuggite la mediocrità, ma state attenti a non nutrire mai invidie, ed evitate di montarvi la testa per ogni più piccolo riconoscimento ottenuto, o correrete il rischio di avvelenare le vostre vite e sminuire la vostra passione. Al contrario, fate in modo che il divertimento sia sempre superiore allo stress da fallimento, e che la passione per la musica non venga a spegnersi nel momento in cui fama e riconoscimenti non dovessero arrivare. Tenete presente che non essere famosi non implica essere mediocri. Viviamo in un sistema che ci spinge a cercare il consenso degli altri, per questo crediamo inconsciamente che la realizzazione personale si misuri con il numero dei like, dei follower, delle visualizzazioni, della gente sotto il palco e di quella che fa la fila per una foto o un autografo. Quando questi riconoscimenti non arrivano, ci si sente dei mediocri e ci si deprime. Non cascateci: è una truffa di questa società. Basta ragionarci un attimo per capirlo. Il sistema della fama non può che essere fatto a piramide: pochi famosi al vertice, sorretti da un’ampia base di non noti, senza i quali i famosi non esisterebbero neanche. Miliardi di persone alla base, e poche migliaia, al più qualche milione, al vertice. La statistica vi è contro, mi dispiace. Ci spelliamo le mani per applaudire quei tizi famosi che rincoglioniscono gli adolescenti con messaggi come “credete in voi e sarete famosi”. No, è sbagliato: così stanno solo cucinando un’altra generazione di depressi. Noi diciamo invece: credete in voi, fate quel che vi piace fare, divertitevi e non fatevi condizionare. Basta.

Quando mi avete contattato per l’intervista, vi siete descritti come death metal band, ma alla luce di quello che ho potuto ascoltare su “Immaculate Preconception”, direi che il vostro sound è più vicino a quello di horror band come Death SS (periodo “Heavy Demons”) e Blood Thirsty Demons. Trovo degli elementi thrash, il cantato è più simile allo scream che al growl, e una forte influenza della tradizione heavy italica. Credi che l’etichetta di death metal band calzi ancora bene con quello che suonate oggi?
Boh, forse si, forse no. Mi sa che hai ragione. Tendenzialmente, per sintesi, ci definiamo “death/thrash metal” nelle locandine, per dare un’idea a chi non ci conosce. In fondo veniamo da lì, attingiamo a piene mani da Slayer, Carcass, Death, Obituary e simili, le nostre origini stanno là. Diciamo che il mix di partenza è 50% death, 50% thrash. Poi abbiamo altre influenze, ognuno di noi le sue particolari, quindi chi è più melodico, chi più black, chi più grind, e così via. Mettiamo tutto nel frullatore, e ci teniamo quel che viene fuori. Mi fa piacere che tu ci abbia sentito una vena da horror band, perché quella mi sa che è una cosa che ci ho messo dentro io, che apprezzo il genere. Credo che a questa non completa aderenza ad un sotto-genere specifico contribuisca anche il discorso che facevo prima circa i suoni delle autoproduzioni, in contrapposizione a quelli delle produzioni standardizzate, che sono più nettamente suddivise per generi. Forse dovremmo usare una più generica etichetta “Extreme Metal”, così vaffanculo al problema, però quando dobbiamo mandare i dischi per le recensioni e le interviste a volte ci sono percorsi obbligati e redazioni diverse a seconda del genere, per cui una per il death, una per il black, una per l’heavy, e così via. In questi casi, mandiamo tutto su “death”, perché è l’influenza più forte. Circa il nostro equilibrismo tra gli stili, a volte ci è stato detto che siamo una merda, perché non siamo né carne né pesce, altre volte che siamo interessanti proprio perché non del tutto inquadrabili, e quindi in un certo modo originali. In verità è semplicemente quello che dicevo prima: mettiamo nel frullatore quello che ci va di fare, e non ci facciamo condizionare molto da pensieri di etichettatura del genere.



Tra i brani presenti sull’EP ho particolarmente apprezzato “Campo de’ Fiori”, che mi dici di questa canzone e credi che in qualche modo possa anticipare il vostro futuro sound?
“Campo de’ Fiori”, per i Necrofili, è un po’ tradizione, un po’ futuro. Ci sono molti elementi del nostro sound “classico”, ed anche il cantato in italiano è qualcosa che abbiamo già sperimentato un paio di volte in precedenza. Ci sono però elementi sui quali ci siamo gradualmente spostati nel corso del tempo, come una maggiore strutturazione ed una minore presenza di forme fisse strofa-ritornello. Quel rallentato sul finale, che diventa quasi doom, non lo avevamo mai fatto prima. E’ stata un’idea di Marco, il batterista, che ha rallentato all’inverosimile un riff che altrimenti sarebbe stato più in linea con tutto il resto della canzone e del disco, creando un’atmosfera di oppressione che per noi era inedita. Abbiamo poi adeguato di conseguenza gli arrangiamenti degli altri strumenti ed il testo della parte finale, per andare dietro quella sensazione, ed infine Alessandro ci ha messo sopra un solo di chitarra che mi piace tantissimo, che completa veramente bene quella parte. Abbiamo scoperto anche che, per noi, suonare ultra-veloci non è un problema, ma suonare così lenti è difficilissimo! Alcuni di questi elementi posso dire per certo che sono consolidati, perché fanno capolino anche nelle tracce che abbiamo scritto sinora per il prossimo lavoro, insieme con alcuni altri elementi nuovi per noi.

Cosa significa il titolo del disco? Non ti nascondo che ci sto rimuginando su da un po’.
E’ un gioco di parole, che funziona in inglese, ma non in italiano. “Immaculate Preconception”, significa “preconcetto immacolato” o “pregiudizio immacolato”, e suona estremamente simile a “Immaculate Conception”, che è l’Immacolata Concezione del dogma cattolico che vuole che la Madonna sia nata priva del peccato originale. In italiano il gioco di parole non funziona, perché diciamo “preconcetto” o “pregiudizio”, e non “preconcezione”. Riguarda tutti quei pregiudizi che ci portiamo dentro inconsciamente, per via della formazione ricevuta da bambini, che ha generato una scala di valori che non abbiamo mai neanche pensato di poter mettere in discussione. Ecco perché questo pregiudizio è immacolato: non ne abbiamo alcuna colpa, se non quella di non esserci mai fermati un attimo a pensarci, che è quello che invitiamo a fare in alcuni brani del disco come “Infaithcted” e proprio “Campo de’ Fiori”. La religione è una delle principali fonti di pregiudizi immacolati. Qui in Italia abbiamo tutti ricevuto una formazione cattolica, in maniera diretta o indiretta, che ha contribuito a formare il nostro modo di vedere le cose come individui e come comunità. Anche là dove i percorsi di fede si sono interrotti, le forme più profonde di quel modo di pensare sono rimaste radicate nella testa delle persone. Non tutti riescono a riconoscerle e a domare gli istinti che ne scaturiscono, e questo è un grosso freno verso il progresso, verso l’accettazione di chi la pensa diversamente e verso la realizzazione di noi stessi. Quello che vogliamo dire, comunque, è che questo non vale solo per la religione cattolica, che per noi è sempre bersaglio facile, e ancora più in generale, non vale solo per la religione, ma vale per ogni tipo di credo e valore con il quale siamo cresciuti.


Sicuramente di impatto la copertina, chi è l’autore?
Claudia Ianniciello, che ha fatto davvero un lavoro incredibile nel rendere il concetto del pregiudizio immacolato. Visto che il gioco di parole del titolo è con l’Immacolata Concezione della religione cattolica, l’idea è stata quella di distorcere una Madonna in Trono, un soggetto tipico dell’arte sacra medievale. Di solito le Madonne in Trono sono raffigurate con il bambino in braccio, sono circondate dai santi, ed abbondano di toni dorati per esaltare la santità della scena. Claudia ha mantenuto l’oro, ma ha scurito tutto il resto, ha trasfigurato la Madonna dandone una versione blasfema e tutt’altro che immacolata, ha trasformato il bambino in una larva ed i santi intorno alla Madonna… siamo noi quattro! Siamo stati veramente contenti di questa copertina. Se volete vedere altri lavori di Claudia, che solitamente lavora come illustratrice per il mondo dell’editoria e dei fumetti, il suo portfolio è qui: https://www.artstation.com/claudiasg

In considerazione della breve durata dell’opera, l’avete proposta per intero dal vivo?
Sì, in alcune occasioni l’abbiamo fatto. Dipende dalla situazione, se abbiamo un’ora abbondante di esibizione a disposizione, allora una mezz’ora la dedichiamo ad “Immaculate Preconception”, eseguendolo tutto di fila così come è su disco, con tanto di intro e tutto. In altre situazioni, dove abbiamo minor tempo a disposizione, ne prendiamo solo alcuni estratti e li diluiamo nel resto della scaletta. Comunque “Infaithcted”, “Campo de’ Fiori” e “The Shapeless Thing” sono diventate presenze stabili nella scaletta dell’ultimo anno.

Come strutturate un’esibizione?
Dipende molto dal tempo a disposizione e dal contesto dell’esibizione. Se siamo headliner e giochiamo in casa, allora possiamo suonare un’ora e mezza davanti ad un pubblico che ci conosce. In questo caso ci lasciamo proprio andare. Come si diceva prima, facciamo “Immaculate Preconception” per intero, facciamo quasi per intero anche il precedente “The End Of Everything”, facciamo ascoltare qualcosa di più vecchio, facciamo ascoltare anche qualche anteprima del prossimo lavoro, e spesso troviamo tempo anche per un divertissement come la nostra personalissima versione de “Il Mondo” di Jimmy Fontana… Se suoniamo una mezz’ora in apertura per una band di calibro, e magari siamo anche in trasferta, abbiamo la matematica certezza che quasi nessuno in sala conoscerà i nostri brani, ed allora ci concentriamo nel tentativo di divertire e scaldare il pubblico, che è il nostro compito principale in queste situazioni. Lo facciamo scegliendo i pezzi di maggiore impatto, che allo stesso tempo siano anche rappresentativi della nostra esperienza, per farci conoscere e per incuriosire il pubblico. Poi ci sono molte sfumature tra questi due scenari agli antipodi, ad esempio quando si suona tre quarti d’ora in trasferta dividendo la serata con un’altra band underground, ed in questo caso si fa un misto delle due cose: pezzi di impatto per farsi conoscere, ma con anche la possibilità di aprire una parentesi più particolare nel corso dell’esibizione. Ad ogni modo ci sono alcuni brani che suoniamo praticamente sempre, come “War!” in apertura e “Signore del Tempo” in chiusura, e come dicevo prima anche una manciata di brani di “Immaculate Preconception” sono diventati presenza fissa in scaletta.

g.f.cassatella – Photo by Serena De Santis