Helloween – L’armata delle sette zucche

Helloween, il nuovo album!!! Venerdì 18 giugno esce il nuovo attesissimo lavoro in studio dei tedeschi Helloween. Il primo album inedito con la formazione a sette elementi e il ritorno di Michael Kiske (cantante) e Kai Hansen (voce e chitarra), che avevano abbandonato la band molti anni fa. La reunion a tre voci e a tre chitarre portata sui palcoscenici di tutto il mondo alcuni anni fa ha riscosso talmente tanto successo che la band ha deciso di registrare un album tutti insieme. “Helloween” (Nuclear Blast), album che porta lo stesso nome del gruppo di Amburgo, come il loro primo mini LP del 1985. A distanza di tanti anni, una delle band più importanti del panorama heavy metal mondiale sembra avere ancora molto da dire, abbiamo contattato tramite una videochiamata il cantante Andi Deris, nella sua dimora a Tenerife.

Andi, ricordi quando hai suonato a Bari nel 1992?
Certo, che lo ricordo! Ero in tour con i Pink Cream 69, facevamo da special guest agli Europe. Fu divertente e strano allo stesso tempo, ricordo che ero con Joey Tempest nel backstage e nel momento in cui doveva già esserci la gente all’interno del teatro stranamente lo vedemmo vuoto, non c’era ancora nessuno, tutti fuori. Chiedemmo informazioni e qualcuno della crew italiana ci disse che non potevano fare entrare nessuno prima che arrivassero determinate famiglie, una cosa davvero strana, mi è rimasta impressa nella mente. Il tour in Italia fu fantastico, ricordo un cibo buonissimo. In quel tour con gli Europe giocavamo spessissimo a calcio, Svezia contro Germania, spesso vincevano loro.

Il primo singolo del nuovo album, “Skyfall”, nella divisione delle parti vocali, delle tre la tua è quella meno presente, un “bel gesto” nei confronti dei tuoi colleghi aver dato loro molto spazio al loro rientro in formazione.
Nella versione “edit” del singolo, che dura circa sette minuti, sì è vero, nel tagliare le parti sfortunatamente hanno tagliato la maggior parte delle mie, ma se ascolti la versione integrale, che dura circa 12 minuti, quella inclusa nell’album, ci sono anche io (ride, nda).

Ruolo che riprendi pienamente nel secondo singolo, scritto da te, “Fear of the Fallen”, di cosa parla questo brano?
“Fear of the Fallen” parla della più grande paura che hanno gli angeli caduti, appunto i “fallen angels”, dei veri angeli custodi dell’umanità. Quando accade qualcosa di brutto con l’umanità, quando si sta per distruggere tutto o tutto sembra andare all’inferno i veri angeli proteggono l’umanità, è una cosa che penso da quando sono ragazzo, non so se è mito o realtà, ma è una cosa che mi rilassa molto pensare che un grande potere possa salvarci.


Foto di Martin Hausler

Sei religioso o è più un credo spirituale?
Potresti leggerla sia dal punto di vista religioso che sotto altri aspetti. Quando Kai Hansen stava finendo di scrivere il testo di “Skyfall”, l’ha interpretato come se ci fossero degli alieni a vegliare sull’umanità, per questo sembrano esserci avvistamenti di UFO talvolta, non so se è reale o meno ma pensare che ci sia un potere invisibile che veglia su di noi è una bella sensazione.

E’ stato più difficile registrare quest’album rispetto ai precedenti dato che eravate in sette anziché i “soliti cinque”?
Più difficile no, anzi. Piuttosto richiede sicuramente il doppio del tempo, perché utilizzando due, a volte tre voci, devi controllare le parti dove ognuno si trova a proprio agio, lo stesso discorso vale per le tre chitarre, ma non direi più difficoltoso.

Spesso gli Helloween vengono additati come “Happy Metal band”, che ne pensi di questa affermazione?
E’ una parte molto importante che la band ha sempre avuto, però si tende a miscelare il tutto perfettamente con altri suoni, ci sono sempre 3 o 4 canzoni più “cheesy” all’interno di un album anzi a pensarci ne abbiamo molte di più in cantiere volendo (ride, nda).

Voi siete stati definiti la power metal band per eccellenza, ma allo stesso tempo siete una band di classic metal e rock, la definizione “solo power” non vi sta stretta a volte?
Esatto. La band però ha avuto successo agli esordi con “Walls of Jericho”, che è un album tipicamente power metal, uno dei primi in assoluto del genere e da lì siamo stati definiti i “Padri del Power Metal”. Kai e Weiki (Michael Weikath, altro chitarrista della band, nda) parlano spesso dell’argomento, Kai ad esempio è l’uomo più “powermetal” del gruppo, mentre Weiki, “Sì, ma non solo”, per cui c’è una percentuale delle nostre canzoni che escono dal genere, sperimentano. Se consideri brani come “Dr. Stein”, “I Want Out” e “Future World”, sono dei brani classici del power metal, ma allo stesso tempo sono dei pezzi “pop-metal”. Per questo siamo una metal power band ma che ha un’audience molto rock, più classica. Quando ero ancora il cantante dei Pink Cream 69, Weiki mi fece ascoltare “Chameleon” (album degli Helloween del 1993, nda), io lo chiamai al telefono e gli dissi che era un gran disco che mi piaceva molto ma non era un disco adatto agli Helloween, piuttosto lo era per una band come i Bon Jovi. Weiki mi chiuse il telefono in faccia (ride, nda). Il giorno dopo mi richiamò scusandosi per chiedermi se pensavo davvero quello che avevo detto e gli dissi che non era sufficientemente metal per una band come la loro, nonostante sia un disco che mi piace tantissimo.

Cosa ne pensi di questo periodo di stop e del rinvio continuo delle tournée?
Orribile. Il periodo è molto delicato. Cosa sta succedendo in questo momento nessuno lo sa esattamente, non sono io a doverlo dire ma temo che ci sia una grossa influenza politica anche.

Il prossimo tour avrà scalette di tre ore come il precedente?
Non lo so esattamente, avremo uno special guest, gli Hammerfall, che suoneranno circa un’ora e mezza. Dipenderà dai promoter, probabilmente non potremo suonare ogni show per tre ore, ma dove avremo la possibilità di suonare di più lo faremo, tanto abbiamo tre cantanti, possiamo farlo (ride, nda). Tre anni fa abbiamo registrato un live album, tra i vari luoghi abbiamo utilizzato il concerto fatto al WiZink Center di Madrid che è probabilmente il miglior posto del mondo dove una band possa suonare, anche il backstage è fantastico, tutto. Se tutti suonassero lì, potrebbero abituarsi troppo bene le band (ride, nda).

Vivendo a Tenerife, conosci qualcosa la musica spagnola/latina?
Qui c’è molta musica reggaeton ma non è il mio genere, sembrano tutte uguali le canzoni. Però mi piace molto il flamenco, i chitarristi spagnoli sono tra i migliori al mondo, incredibili, ogni volta che li vedo dico che non devo più toccare una chitarra ma devo farlo per scrivere nuovi pezzi per la band (ride, nda). Conosco band rock come gli Heroes del Silencio, che sono una vera istituzione qui in Spagna e in Sudamerica, mentre dal Messico provengono e sono molto famosi anche qui i Maná. Negli anni 70/80 invece, abbiamo avuto in Germania in classifica molti artisti italiani, i miei genitori ascoltavano Adriano Celentano, grande artista, mi piace molto, e ricordo anche Gianna Nannini, anche lei, è bravissima.

Nel 1994 quando entrasti a far parte del gruppo, ti sei reso conto che sei stato con il tuo songwriting “il salvatore” degli Helloween?
Non so, posso dirti che a fine 1993 Weiki mi chiamò nuovamente chiedendomi di entrare nella band. Andai ad Amburgo, per me era importante che i ragazzi degli Helloween ascoltassero le mie canzoni, le stesse che i PC69 quando gliele ho presentate non volevano suonare. Mentre ascoltavano i pezzi li ho guardati negli occhi, a loro piacevano molto e dissi a me stesso: “loro amano le mie canzoni, questa è la mia band!”.

Ci parli di quando in un festival alcuni anni fa i tuoi idoli, i Kiss, ti guardavano mentre ti esibivi?
Stavo cantando e il tecnico del suono mi disse tramite gli auricolari di guardarmi alle spalle, quando vedo Gene Simmons e Paul Stanley che stavano guardando il nostro concerto, mi tremarono le gambe, suonare allo stesso festival, e realizzare che i tuoi idoli di una vita ti stanno guardando è incredibile. Peccato che siano arrivati al loro ultimo tour. Ascoltare musica è come un viaggio nel tempo, è una cosa fantastica che solo la musica ti può dare. In parte anche il cinema, ma non è la stessa cosa, quando ascolti musica chiudi gli occhi, viaggi nel tempo.

Avendo diviso il palco con tante band, qual è stata la più amichevole che avete incontrato?
Gli Iron Maiden, senza dubbio. Abbiamo fatto molti tour con loro. Però sono rimasto piacevolmente sorpreso dai Papa Roach. Entrambe le band ci conoscevamo solo attraverso le riviste ma è state una bellissima esperienza e molto amichevole, cosa non facile che accada con le band americane, non so perché, la gente lì è stupenda, non fraintendermi, ma le band sembrano più “fredde”, invece le band svedesi sono super amichevoli.

Tornando ai Kiss, hai visto l’intervista on line di alcuni anni fa dove fanno togliere all’intervistatore la maglietta che indossa degli Iron Maiden invece di una dei Kiss?
No, non l’ho vista. Il rock e la scena metal devono imparare a stare insieme e aiutarsi a vicenda. Per me non c’è alcun problema se hai una maglia diversa dalla mia band anzi, sono contento perché vuol dire che se hai la maglia degli Iron Maiden possono piacerti i Kiss ad esempio e magari anche gli Helloween. Non è una competizione. Questo è quello che dobbiamo imparare dalla scena rap/hip-hop, un genere musicale che a me non piace per niente, non fa per me, ma hanno una grande community da cui dobbiamo imparare. Tra loro artisti si aiutano molto. Se le band sono unite, lo sono anche i fan. Ad esempio io non amo il black metal ma ci sono delle melodie che mi piacciono, non per questo parlo male del genere.

Il consiglio è correre a far proprio questo album in uscita venerdì 18 giugno per l’etichetta Nuclear Blast. Tra le tante le edizioni previste segnaliamo il doppio CD limitato cartonato, e tra le varie versioni in vinile, oltre al picture disc e a molte edizioni colorate, la versione a tre dischi “Hologram edition”. Disco consigliato da Wanted Record, via G. Bottalico, 10 a Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 17 GIUGNO 2021

Destruction – Live to thrash

In questa prima strana parte del 2020 non sono mancate di certo le sorprese. Per lo più negative, ma le buone notizie non ogni tanto arrivano, come quella del nuovo disco live dei Destruction. I tedeschi, pur vantando una copiosa discografia in studio, nei primi quarantanni della propria carriera hanno centellinato i dischi dal vivo. Spinti dalla forzata inattività e grazie al fortunato ritrovamento delle ottime registrazioni dello show tenuto al Partysan lo scorso anno, i crucchi non hanno resistito alla tentazione di fare un dono ai fan e a se stessi. “Born to Trash” (Nuclear Blast) è qui e ce ne parla, ovviamente, il mastodontico Schmier.

Ciao Schmier, avete pubblicato da poco “Born to Thrash”, quasi a sorpresa direi. Che valore assume oggi, alla luce del blocco degli eventi a causa del Covid-19, un disco dal vivo?
È il suono della vita, per noi è una maniera per restare in contatto con i nostri fan in un periodo di blocco forzato. Inoltre, ci permette di sopravvivere in un momento delicato per l’industria discografica.

Facciamo un passo indietro, ricordi il tuo primo concerto?
Il mio primo concerto? Certo! È come la prima volta in cui fai sesso, non puoi dimenticarlo: è stato con i Destruction!

Scusami, mi riferivo al tuo primo concerto da spettatore, poi ci arriveremo a quello da musicista...
Allora, il primo concerto a cui ho assistito è stato dei Police, nel 1980.

Chi l’avrebbe mai detto! Io li adoro, tu li ascolti ancora?
Certo, sono stati dei favolosi songwriter. Erano in grado di scrivere grandi canzoni non banali e dalla presa immediata. Avevano una fantasia compositiva senza pari. Quel concerto mi è rimasto molto impresso, il locale era strapieno, stavamo tutti stretti e c’era un’atmosfera fantastica. Poi dopo ho visto un sacco di roba hard, tipo i fantastici Rainbow, ma nulla a confronto della band di Sting: loro sono stati varamene unici!

Ora è arrivato il momento di parlare del tuo primo concerto con i Destruction, cosa ricordi di quell’occasione? Magari è stato come la prima volta in cui fai sesso, perché ci hai fatto anche del sesso dopo!
Ahahah, no, ti assicuro che non ho fatto sesso quel giorno! Però è stato fantastico, perché abbiamo incontrato per la prima volta altri gruppi metal e abbiamo conosciuto i Kreator e la band di supporto erano i Sodom. Un evento fantastico per tutti i ragazzi tedeschi che amavano determinate sonorità.

Siete giunti con “Born to Thrash” al vostro quarto live in circa quaranta anni di carriera, il che mi fa pensare che centelliniate questo tipo di uscite per fotografare solo i momenti salienti della vostra storia. Cosa volevate immortalare con questa uscita?
Volevamo dare ai fan un’istantanea della nostra nuova fase con due chitarre e un nuovo batterista, Randy Black. Siamo molto contenti dei nuovi brani e della resa dei classici, quindi abbiamo voluto che questa nuova dimensione del nostro suono arrivasse a quanta più gente possibile, anche a chi non c’era al Partysan. Purtroppo, il blocco non ci ha permesso di girare, quindi questo è un buon compromesso.

Io vi ho ascoltato dal vivo più volte, sempre con la line up a tre: un muro di suono impressionante. Ma tu preferisci andare su un palco con il classico terzetto o trovi più appagante questa nuova formazione?
Ti ringrazio per i complimenti. Sinceramente, mi soddisfa più l’attuale situazione, perché la presenza di due chitarre ci da una maggiore libertà di espressione e varietà. Più potenza, più dinamicità, più armonia, tutto questo prima non riuscivamo ad ottenerlo on stage. Io credo che l’heavy metal sia un genere che richieda due chitarre, per molti anni ci siamo mossi con una perché ci andava bene così, ma oggi va meglio.

Immagino che, prima di partire per un tour, non sia facilissimo per voi scegliere quali canzoni inserire in scaletta. Inoltre, mi domando se la set list cambia a seconda della serata o resta immutata in tutte le tappe.
Innanzi tutto, cerchiamo di fare una scelta ben bilanciata tra vecchio e nuovo. Ci basiamo molto sull’esperienza, cerchiamo di capire cosa possa funzionare del repertorio più recente e cosa invece ha già dimostrato una buona resa dal vivo. Poi non possiamo scontentare i nostri fan, quindi ci mettiamo i nostri classicissimi, il loro parere conta come quello dei singoli membri del gruppo quando c’è da prendere una decisione. L’accoglienza dell’audience è sempre un ottimo termometro per misurare la riuscita di un pezzo dal vivo. Per quanto concerne i cambi, di solito l’ossatura è la stessa, ma nel finale possiamo aggiungere un pezzo che viene richiesto a gran voce dal pubblico durante il bis. Ci capita spesso di chiederlo noi “cosa volete sentire questa sera?”. E sta sicuro che in ogni tappa ci arriva una richiesta differente.

L’essere passati da tre a quattro incide in qualche modo sulla scelta?
Certamente, la line up a quattro ci consente di suonare qualsiasi cosa, mentre a tre dovevamo ogni tanto rinunciare a qualcosa.

Ma in tutta sincerità, oggi quanto è importante avere un album fuori prima di partire per un tour? Alla fine i fan vogliono sentire i soliti cavalli di battaglia, o no? Magari in passato, invece, si andava a un concerto solo per poter ascoltare i nuovi singoli.
Noi attualmente ne inseriamo quattro, ma in generale credo che dipenda da come va il disco. Se va bene, è probabile che il pubblico abbia un maggiore interesse per i brani nuovi. Certo, chi ha chiesto ai fan on line quali canzoni volessero sentire durante il tour, ha sempre ricevuto titoli classici. Per questo, come ti dicevo prima, al momento della scelta siamo noi che dobbiamo capire qual è il giusto bilanciamento. Il nostro ultimo disco, “Born to Perish”, credo che abbia facilitato le cose perché contiene ottime live song.

Qual è il brano che maggiormente ami suonare dal vivo e quale quello che odi eseguire su un palco?
Ti assicuro che se non amo suonare un brano, non lo faccio. Anche se i fan me lo richiedono, io evito. La musica è una passione, non si può ottenere un buon risultato proponendo qualcosa controvoglia. Per questo, ti rispondo che non ce n’è uno. Per quanto concerne quello che invece mi piace eseguire, nonostante siano passati tanti anni, è “Curse the Gods”.

Il nuovo album è uscito in digitale, CD e vinile, non in DVD o Blue Ray: a cosa è dovuta questa scelta?
Perché è avvenuto tutto in modo casuale, non avevamo programmato di pubblicare un live. Abbiamo sentito la resa sonora della registrazione audio della nostra esibizione al Partysan e abbiamo capito che avevamo in mano dell’ottimo materiale, nonostante non avessimo preparato il tutto per un prodotto professionale. La stessa cosa non si può fare per le riprese video, richiede una preparazione studiata a tavolino, che comporta anche una serie di costi aggiuntivi. Siamo stati fortunati ad avere quei nastri durante il lockdown, così abbiamo potuto pubblicare un disco nonostante non lo avessimo in programma.

Ammetto di non amare molto DVD e Blue Ray, ne ho varamene pochissimi, trovo dannatamente difficile guardare un concerto davanti a un monitor. A te, invece, piacciono questo tipo di prodotti?
Preferisci un porno o fare sesso? Siamo più o meno allo stesso livello, vedere un film ci può stare ma è molto più divertente farlo veramente. Può capitare che io guardi un concerto a casa, ma preferisco l’energia che c’è dal vivo, le vibrazioni che passano dalla band al pubblico e viceversa.

Te lo chiedo perché ultimamente, anche se per motivi contingenti, sta crescendo il numero di concerti in streaming. Oggi c’è anche chi si fa pagare biglietti virtuali per concerti virtuali. Ecco, se devo spendere il mio denaro, preferisco andarci fisicamente in un posto.
La penso come te, anche a me non piacciono. Trasmettere un concerto durante il blocco dell’attività non è una cosa che farei per i Destruction. Capisco che alcune band lo debbano fare per sopravvivere a questa crisi, cercando di mettere qualche cosa in tasca. Non mi attirano, parlo da spettatore, per i motivi che ti dicevo prima: non è un vero concerto, perché un evento dal vivo non è solo musica ma è anche tutta una serie di sfumature che danno un valore aggiunto alla musica stessa.

Immagino che in questi anni abbiate avuto esperienze esaltanti e altre negative durante i tour. Di voi ho apprezzato soprattutto il fatto che non disdegnate come molti – per lo più per motivi economici e gestionali – il sud Italia. Io vi ho visto almeno tre volte dalle mie parte, a memoria: Castel Volturno, Bari e Stornarella. Però ricordo che ci sono stati dei problemi in occasione della vostra partecipazione a un’edizione dell’Agglitnation Festival e, soprattutto, nel 2017 per la data, poi saltata il giorno stesso, di Foggia con le Nervosa. Vuoi fare un po’ chiarezza?
Sono cose che accadano quando le circostanze non vanno come diciamo noi. Siamo dei professionisti, chiediamo il rispetto di determinati standard, quelli poi previsti dai contratti che firmiamo. Nel caso di Foggia non c’erano le condizioni tecniche per poterci esibire. Capiamo il disagio dei nostri fan che hanno scoperto il giorno stesso che il concerto non si sarebbe tenuto, però quella gente aveva speso o avrebbe speso del denaro per vedere uno show con un suono perfetto. In questi anni ci è capitato di dover cancellare altri show, perché in alcuni casi i promoter per massimizzare i profitti risparmiano sull’equipaggiamento tecnico. Siamo arrivati a Foggia dopo due giorni di viaggio dalla Bulgaria, abbiamo trovato un palco molto piccolo e un’impianto non sufficiente. Non avevamo alternative alla cancellazione. Per il momento preferiamo pensare al futuro, qualcosa in Germania e Svizzera si sta muovendo. In Italia dovremmo scendere verso fine Novembre o a Dicembre. Non grandi situazioni, per quelle secondo me bisognerà aspettare il 2021.

Ma in generale ti piace suonare in Italia?
Certo, abbiamo fatto degli show fantastici con un pubblico sempre molto caloroso. Ci torniamo spesso e volentieri quando è possibile.

Vorrei fare nuovamente un passo indietro nel tempo, in particolare al vostro tour con i Candlemass, il The HellBoundz Of Doom And Thrash Tour (2005). Come è andata? Ricordo che avete anche duettato Messiah Marcolin. Non nascondo un certo rammarico per non aver avuto l’occasione di avervi visto condividere il palco.
Grandissima esperienza, io poi sono un grande fan dei Candlemass, sopratutto del periodo con Marcolin alla voce. L’accoglienza da parte del pubblico è stata generalmente buona, anche se in alcuni posti forse i fan del doom degli svedesi hanno disertato perché non apprezzavano il nostro thrash. Per me era una grande accoppiata, Messiah ha una delle voci più belle e particolari del panorama metal. Io aspetto sempre con trepidazione i suoi dischi, mi ha proposto anche di partecipare al suo solo album, peccato che poi l’operazione non sia mai andata in porto. Però noi abbiamo avuto lui nella nostra “The Alliance of Hellhoundz”.

Mi hai racconto a inizio intervista come il vostro primo concerto abbia in qualche modo coinvolto anche Kreator e Sodom. Quando le cose si saranno sistemate, credi che potremmo mai assistere a un Big 4 del thrash tedesco?
Lo spero, ma non è affatto facile perché parliamo di band che hanno sempre un calendario fitto di eventi, coordinarci non sarebbe semplice. Noi Destruction abbiamo detto a Mille dei Kreator e Tom dei Sodom che saremo pronti a partire quando ce ne sarà l’occasione. Credo che sia solo una questione di tempo, ma prima o poi si farà, perché la gente ce lo chiede.

Mi pare di capire che più che colleghi siate degli amici, da persona che che li conosce sin dai loro primi passi artistici che ne pensi delle loro ultime uscite?
Certo, sono degli amici, oltre che partner in affari, dato che agiamo nella stessa scena. Li seguo sempre con interesse. Ultimamente stanno uscendo un sacco di grandi dischi thrash, non parlo necessariamente di prodotti made in Germany, ma anche di roba che arriva dal Nord America. Nonostante un periodo non felice per la musica, credo che vengano pubblicati degli ottimi dischi.

Ora è arrivato il momento di dirmi quali sono i tuoi live album preferiti…
Ce ne sono tanti: “Unleashed in the East” dei Judas Priest, “Exit… Stage Left” dei Rush, “Live After Death” degli Iron Maiden, “If You Want Blood You’ve Got It” degli AC/DC e “Deacade of Aggression” degli Slayer.

Posso aggiungerne uno io? Forse il mio preferito di sempre, proprio di una band tedesca: “Tokyo Tapes” degli Scorpions…
Certamente, è un grandissimo disco, forse quello che ho ascoltato di più da giovane!

L’ultima domanda è quella di rito, si sa qualcosa del prossimo album?
Al momento non è previsto nessun disco nuovo, la situazione sanitaria è quella che è. Ci è capitato questo live e lo abbiamo tirato fuori, ma non possiamo pianificare nulla per quanto concerne un lavoro in studio. Molti gruppi con un disco già pronto stanno rimandando la data di uscita, ora non ha senso con i tour bloccati. L’anno prossimo saremo invece sommersi da nuove pubblicazioni, quindi preferiamo aspettare fine 2021, se non il 2022, per tirare fuori il nostro prossimo album.

Enslaved – Fiducia e cooperazione

Gli Enslaved continuano a stupire, nonostante abbiano raggiunto con ‘E’ il riguardevole traguardo del quattordicesimo album. Lo fanno a modo loro, proponendo una musica ricca di sfumature, che flirta con i generi più disparati, senza perdere un’oncia di aggressività, misticismo ed epicità.

Con un’insolita e copiosa pioggia pre-atunnale a far da sottofondo, un Ivar Bjørnson dalla voce stanca, ma calma e serena, ci introduce nella nuova fatica degli Enslaved: “è il nostro quattordicesimo album, non ho mai lavorato così duramente per scrivere delle canzoni, però ritengo che io e il mio vecchio fratello d’armi Grutle abbiamo fatto un eccellente lavoro, perché mai come in questo caso abbiamo osato e ci siamo spinti oltre. Abbiamo registrato presso i Duper & Solslottet Studios di Bergen e ancora una volta Jens Bogren si è occupato del missaggio e della masterizzazione ai Fascination Street Studios di Örebro. Dal punto di vista concettuale ‘E’ è incentrato sulla forza degli elementi naturali e sui legami dell’uomo con questa. Esiste un filo che collega l’essere umano a tutto quello che lo circonda, si viene quasi a creare un dualismo simbiotico. Si tratta di elementi duplici che sono essenziali per la nostra esistenza e per la nostra crescita individuale: uomo e nave, figlio e genitore, musicista e strumento, caos e ordine, subconscio e coscienza”. Però quando chiedo se possiamo considerarlo un vero e proprio concept album, mi risponde: “no, non lo è. Almeno non lo è per come la vedo io. Per me il concept è un prodotto in cui la musica sorregge una storia. ‘E’ è un disco semantico, in cui i brani trattano argomenti comuni, incentrati sulla spiritualità e sulla forza della natura. Ma non c’è una storyboard che collega le singole canzoni”. A confermare la vocazione spirituale del disco c’è anche il titolo, che non è semplicemente la prima lettera del moniker della band “il significato è doppio anche questa volta: quello più evidente è riconducibile al nostro nome, quindi facile da ricordare ed essenziale. Però ce n’è uno più profondo e mistico, che riporta alle rune. La ‘E’ non è altro che una runa, Ehwaz, che si pronuncia come ‘E’ ma che si disegna come una ‘M’. Il suo significato è duplice: fiducia e cooperazione”. A ‘Storm Son’ è toccato il compito di presentare al mondo in anteprima il disco “perché non è facile scegliere un singolo, al suo interno deve riassumere tutte le caratteristiche del disco. Credo che ‘Storm Son’ riesca nell’impresa, sia a livello musicale, con tutte le influenze dal black metal al progressive che caratterizzano l’opera, che tematico, perché racchiude in sé tutti quei temi di cui parlavo prima”. Non solo questa canzone è stata scelta per il primo video, ma apre anche ‘E’. Subito dopo il brano più corto, quel ‘River’s Mouth’ che con i sui cinque minuti si fa notare rispetto agli otto-dieci degli altri titoli. Si potrebbe pensare che la band abbia una predisposizione per le canzoni lunghe, ma Ivar parzialmente smentisce “non ho una particolare preferenza tra canzoni lunghe o corte, dipende dal brano. Mi può piacere una più corta e intensa, così come posso gradirne una lunga e complessa. In ‘E’ abbondano le canzoni lunghe, è vero, ma sono uscite così, perché ci piace unire più generi e questo può richiedere un minutaggio maggiore”. Su mia imbeccata continua prendendo un po’ le distanze dal progressive “no, non mi piace definirla progressive la mia musica, anche perché il prog è un genere standardizzato. A noi piace invece spaziare, non porci dei confini stilistici. Se proprio devo dare un’etichetta a quello che scriviamo, allora opto per Avangard”. La voglia di spaziare tra i generi è evidente se si considera la scelta della bonus track posta in coda, la cover di quella ‘What Else Is there’ dei Röyksopp, non proprio una band metal “non sono una band metal, ma sono nostri conterranei. Propongono sonorità che non sono facilmente catalogabili, fanno musica elettronica, però in modo oscuro, dark. Credo che questo brano si adatti molto bene al mood generale di ‘E’”. Quello delle cover è uno sfizio che molte band si tolgono, alcune arrivano a pubblicare anche interi album, come è capitato ai Motorhead (chissà che ne penserebbe Lemmy) con il postumo ‘Under Cover’ “perché no? Magari un giorno potrebbe capitare anche a noi di farne uno, ci piace rendere tributo alle band che amiamo: Motorhead, King Crimson, Bathory” anche perché nella vita di ogni giorno Ivar confessa di avere gusti molto vari “ascolto soprattutto roba vecchia, progressive, psichedelica, ma anche cose più estreme come il death e il black. Molta elettronica”. E di italiano? “Certo conosco le vostre band, credo che l’italiano si sposi molto bene con il progressive”. Confesso una mia particolare predilizione per ‘Sacred Horse’, che stando alle sue parole “è la prima canzone che abbiamo scritto. Anche qui trattiamo il tema centrale del disco, quello delle forze della natura, rappresentate dal cavallo, un animale sacro, simbolo arcano di energia. Uno dei più vecchi e più profondi legami dell’uomo con le forze della natura è stato proprio con questo animale. Entità sacra, ma anche mezzo di locomozione, cibo o bevanda, con il suo latte e/o il suo sangue. Inoltre, tornando al titolo del disco, la runa ‘E’ rappresenta anche il simbolo del cavallo”. Simbolo impresso sulla copertina del disco “è opera dello stesso autore degli otto dischi precedenti, Truls Espedal, che ha ancora collaborato con noi, facendo come sempre un gran lavoro. La copertina si ricollega direttamente a quella di ‘In Times’, rappresenta la Ehwaz, che è anche una ‘E’ capovolta”. Non mancano novità importanti a livello di formazione, dopo 12 anni Herbrand Larsen, storico tastierista è andato via perché “non si sentiva più motivato. La separazione è stata cordiale e auguro a lui tutto il bene e la fortuna possibile. A sostituirlo ci ha pensato Håkon Vinje della prog band Seven Impale, che ha fatto un gran lavoro alle tastiere e alle clean vocals. Il suo stile progressivo mi piace molto ed arricchisce la nostra musica”. Il tastierista non è però l’unico volto nuovo sul disco, diverse le collaborazioni “abbiamo avuto tre ospiti su questo album, il primo è il fenomenale sassofonista jazz norvegese Kjetil Møster, che ha impreziosito notevolmente ‘E’. Kjetil Møster dei Wardruna è stato fondamentale per creare delle atmosfere folk, così come il flautista Daniel Mage ha donato al tutto uno spirito più progressive. Sono molto soddisfatto del loro apporto in ‘Hiindsiight’ e ‘Feathers of Eolh’”. Non mancheranno i concerti “partiremo con un primo tour per i club, per poi passare nei mesi più caldi ai grandi festival” e a sentire Ivar “non abbiamo una predilezione particolare per le piccole o le grandi location, sono esperienze diverse e ognuna in grado di dare emozioni e soddisfazioni diverse”. La chiosa finale è di stampo televisivo, chiedo al norvegese un giudizio sulla serie Viking prodotta da History Channel “non la conosco, mi spiace. Certo guardo la tv, mi piace farlo, ma di questa serie non so dirti nulla: non mi interessa”. Più chiaro di così…

Intervista pubblicata su Metal Hammer Italia in occasione dell’uscita di “E” nel 2017.
http://www.metalhammer.it/interviste/2017/10/13/enslaved-fiducia-e-cooperazione/

Voivod – Telefonate dallo Spazio

Creatura fantastica i Voivod, da sempre al di fuori da regole e schemi stilistici. Però la prematura morte di Piggy ha assestato un duro colpo al carrarmato canadese, sembrerebbe che il nuovo “Infini” possa essere l’ultima opera del combo. Di questo e altro abbiamo parlato con Snake, ormai ritornato in pianta stabile a ricoprire il ruolo di cantante della band.

Ciao Snake, la pubblicazione di “Infini” se da un lato rappresenta un lieto evento per tutti i fan della band, dall’altro potrebbe rappresentare anche il vostro ultimo album. Confermi questi rumors?
Quel che è certo è che questo è l’ultimo album con Piggy. Sarà il tempo poi a stabilire se saremo in grado di creare musica senza di lui. Dan Mongrain potrebbe essere la chiave per il futuro, lui è cresciuto con i Voivod e Piggy. Conosce le composizioni di Piggy meglio di chiunque altro. Vedremo.

Hai definito “Infini” l’ultimo album con Piggy, infatti tutte le tracce di chitarra provengono dai suoi demo, così come erano registrate. Quanto è stato difficile per voi cucirci un disco intorno?
Dal punto di vista tecnico la maggiore difficoltà è stata quella di suonare su quelle tracce la batteria. Non è proprio un modo ortodosso di scrivere un album. Away ha dovuto adattarsi quello che era già stato fatto e questa è una cosa stressante che richiede molta concentrazione. Però ascoltare Piggy nella tua cuffia ti suscita tutta una serie indescrivibile d’emozioni…

Quali sono gli argomenti trattati nei testi?

Alcuni chiaramente sono riconducibili a Piggy, soprattutto “Morpheus”. Poi ce ne sono altri relativi ai disastri ambientali, viaggi spaziali, storie di fantascienza, critica social, vita di strada, ecc…

Da più parti si sussurra che  Blacky suonerà nuovamente con voi in alcuni festival estivi…
Sì, Blacky  ci sarà con il suo big blower bass. Con lui ci sarà anche Dan, sarà sicuramente interessante osservare questa coppia…

Nella discografia dei Voivod ci sono degli album sottovalutati?
Secondo me lo sono “Angel Rat” e “Outer Limits” (entrambi con Snake alla voce, in particolare “OL” ha sancito il primo divorzio tra il cantante e i Voivod NDR) .

Che genere di musica ascolti in questo momento della tua vita?
Dato che ci avviciniamo all’estate, prediligo qualcosa di semplice, rilassante e divertente. La musica più oscura e triste si addice maggiormente all’inverno. Ma poi dipende tutto dagli stati d’animo…

A questo punto non puoi esimerti da consigliare alcuni album ai nostri lettori…
Metallica – Death Magnetic
NiN – Ghosts
Down – Over the under
Motorhead – Motorizer
AC/DC – Black ice

I Voivod hanno sempre associato la propria immagine alla tecnologia. Cosa ne pensi allora degli sviluppi tecnologici che hanno portato al fenomeno del file-sharing?
È un movimento in perenne sviluppo. Io spero che l’industria discografica trovi un sistema per poter distribuire la musica evitando questi furti. Questa situazione  ha un impatto negativo sui musicisti, e tutti quelli che condividono i file non rispettano il lavoro altrui…

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2009 in occasione dell’uscita di “Infini”.
http://www.rawandwild.com/interviews/2009/int_voivod.php