Helloween – L’armata delle sette zucche

Helloween, il nuovo album!!! Venerdì 18 giugno esce il nuovo attesissimo lavoro in studio dei tedeschi Helloween. Il primo album inedito con la formazione a sette elementi e il ritorno di Michael Kiske (cantante) e Kai Hansen (voce e chitarra), che avevano abbandonato la band molti anni fa. La reunion a tre voci e a tre chitarre portata sui palcoscenici di tutto il mondo alcuni anni fa ha riscosso talmente tanto successo che la band ha deciso di registrare un album tutti insieme. “Helloween” (Nuclear Blast), album che porta lo stesso nome del gruppo di Amburgo, come il loro primo mini LP del 1985. A distanza di tanti anni, una delle band più importanti del panorama heavy metal mondiale sembra avere ancora molto da dire, abbiamo contattato tramite una videochiamata il cantante Andi Deris, nella sua dimora a Tenerife.

Andi, ricordi quando hai suonato a Bari nel 1992?
Certo, che lo ricordo! Ero in tour con i Pink Cream 69, facevamo da special guest agli Europe. Fu divertente e strano allo stesso tempo, ricordo che ero con Joey Tempest nel backstage e nel momento in cui doveva già esserci la gente all’interno del teatro stranamente lo vedemmo vuoto, non c’era ancora nessuno, tutti fuori. Chiedemmo informazioni e qualcuno della crew italiana ci disse che non potevano fare entrare nessuno prima che arrivassero determinate famiglie, una cosa davvero strana, mi è rimasta impressa nella mente. Il tour in Italia fu fantastico, ricordo un cibo buonissimo. In quel tour con gli Europe giocavamo spessissimo a calcio, Svezia contro Germania, spesso vincevano loro.

Il primo singolo del nuovo album, “Skyfall”, nella divisione delle parti vocali, delle tre la tua è quella meno presente, un “bel gesto” nei confronti dei tuoi colleghi aver dato loro molto spazio al loro rientro in formazione.
Nella versione “edit” del singolo, che dura circa sette minuti, sì è vero, nel tagliare le parti sfortunatamente hanno tagliato la maggior parte delle mie, ma se ascolti la versione integrale, che dura circa 12 minuti, quella inclusa nell’album, ci sono anche io (ride, nda).

Ruolo che riprendi pienamente nel secondo singolo, scritto da te, “Fear of the Fallen”, di cosa parla questo brano?
“Fear of the Fallen” parla della più grande paura che hanno gli angeli caduti, appunto i “fallen angels”, dei veri angeli custodi dell’umanità. Quando accade qualcosa di brutto con l’umanità, quando si sta per distruggere tutto o tutto sembra andare all’inferno i veri angeli proteggono l’umanità, è una cosa che penso da quando sono ragazzo, non so se è mito o realtà, ma è una cosa che mi rilassa molto pensare che un grande potere possa salvarci.


Foto di Martin Hausler

Sei religioso o è più un credo spirituale?
Potresti leggerla sia dal punto di vista religioso che sotto altri aspetti. Quando Kai Hansen stava finendo di scrivere il testo di “Skyfall”, l’ha interpretato come se ci fossero degli alieni a vegliare sull’umanità, per questo sembrano esserci avvistamenti di UFO talvolta, non so se è reale o meno ma pensare che ci sia un potere invisibile che veglia su di noi è una bella sensazione.

E’ stato più difficile registrare quest’album rispetto ai precedenti dato che eravate in sette anziché i “soliti cinque”?
Più difficile no, anzi. Piuttosto richiede sicuramente il doppio del tempo, perché utilizzando due, a volte tre voci, devi controllare le parti dove ognuno si trova a proprio agio, lo stesso discorso vale per le tre chitarre, ma non direi più difficoltoso.

Spesso gli Helloween vengono additati come “Happy Metal band”, che ne pensi di questa affermazione?
E’ una parte molto importante che la band ha sempre avuto, però si tende a miscelare il tutto perfettamente con altri suoni, ci sono sempre 3 o 4 canzoni più “cheesy” all’interno di un album anzi a pensarci ne abbiamo molte di più in cantiere volendo (ride, nda).

Voi siete stati definiti la power metal band per eccellenza, ma allo stesso tempo siete una band di classic metal e rock, la definizione “solo power” non vi sta stretta a volte?
Esatto. La band però ha avuto successo agli esordi con “Walls of Jericho”, che è un album tipicamente power metal, uno dei primi in assoluto del genere e da lì siamo stati definiti i “Padri del Power Metal”. Kai e Weiki (Michael Weikath, altro chitarrista della band, nda) parlano spesso dell’argomento, Kai ad esempio è l’uomo più “powermetal” del gruppo, mentre Weiki, “Sì, ma non solo”, per cui c’è una percentuale delle nostre canzoni che escono dal genere, sperimentano. Se consideri brani come “Dr. Stein”, “I Want Out” e “Future World”, sono dei brani classici del power metal, ma allo stesso tempo sono dei pezzi “pop-metal”. Per questo siamo una metal power band ma che ha un’audience molto rock, più classica. Quando ero ancora il cantante dei Pink Cream 69, Weiki mi fece ascoltare “Chameleon” (album degli Helloween del 1993, nda), io lo chiamai al telefono e gli dissi che era un gran disco che mi piaceva molto ma non era un disco adatto agli Helloween, piuttosto lo era per una band come i Bon Jovi. Weiki mi chiuse il telefono in faccia (ride, nda). Il giorno dopo mi richiamò scusandosi per chiedermi se pensavo davvero quello che avevo detto e gli dissi che non era sufficientemente metal per una band come la loro, nonostante sia un disco che mi piace tantissimo.

Cosa ne pensi di questo periodo di stop e del rinvio continuo delle tournée?
Orribile. Il periodo è molto delicato. Cosa sta succedendo in questo momento nessuno lo sa esattamente, non sono io a doverlo dire ma temo che ci sia una grossa influenza politica anche.

Il prossimo tour avrà scalette di tre ore come il precedente?
Non lo so esattamente, avremo uno special guest, gli Hammerfall, che suoneranno circa un’ora e mezza. Dipenderà dai promoter, probabilmente non potremo suonare ogni show per tre ore, ma dove avremo la possibilità di suonare di più lo faremo, tanto abbiamo tre cantanti, possiamo farlo (ride, nda). Tre anni fa abbiamo registrato un live album, tra i vari luoghi abbiamo utilizzato il concerto fatto al WiZink Center di Madrid che è probabilmente il miglior posto del mondo dove una band possa suonare, anche il backstage è fantastico, tutto. Se tutti suonassero lì, potrebbero abituarsi troppo bene le band (ride, nda).

Vivendo a Tenerife, conosci qualcosa la musica spagnola/latina?
Qui c’è molta musica reggaeton ma non è il mio genere, sembrano tutte uguali le canzoni. Però mi piace molto il flamenco, i chitarristi spagnoli sono tra i migliori al mondo, incredibili, ogni volta che li vedo dico che non devo più toccare una chitarra ma devo farlo per scrivere nuovi pezzi per la band (ride, nda). Conosco band rock come gli Heroes del Silencio, che sono una vera istituzione qui in Spagna e in Sudamerica, mentre dal Messico provengono e sono molto famosi anche qui i Maná. Negli anni 70/80 invece, abbiamo avuto in Germania in classifica molti artisti italiani, i miei genitori ascoltavano Adriano Celentano, grande artista, mi piace molto, e ricordo anche Gianna Nannini, anche lei, è bravissima.

Nel 1994 quando entrasti a far parte del gruppo, ti sei reso conto che sei stato con il tuo songwriting “il salvatore” degli Helloween?
Non so, posso dirti che a fine 1993 Weiki mi chiamò nuovamente chiedendomi di entrare nella band. Andai ad Amburgo, per me era importante che i ragazzi degli Helloween ascoltassero le mie canzoni, le stesse che i PC69 quando gliele ho presentate non volevano suonare. Mentre ascoltavano i pezzi li ho guardati negli occhi, a loro piacevano molto e dissi a me stesso: “loro amano le mie canzoni, questa è la mia band!”.

Ci parli di quando in un festival alcuni anni fa i tuoi idoli, i Kiss, ti guardavano mentre ti esibivi?
Stavo cantando e il tecnico del suono mi disse tramite gli auricolari di guardarmi alle spalle, quando vedo Gene Simmons e Paul Stanley che stavano guardando il nostro concerto, mi tremarono le gambe, suonare allo stesso festival, e realizzare che i tuoi idoli di una vita ti stanno guardando è incredibile. Peccato che siano arrivati al loro ultimo tour. Ascoltare musica è come un viaggio nel tempo, è una cosa fantastica che solo la musica ti può dare. In parte anche il cinema, ma non è la stessa cosa, quando ascolti musica chiudi gli occhi, viaggi nel tempo.

Avendo diviso il palco con tante band, qual è stata la più amichevole che avete incontrato?
Gli Iron Maiden, senza dubbio. Abbiamo fatto molti tour con loro. Però sono rimasto piacevolmente sorpreso dai Papa Roach. Entrambe le band ci conoscevamo solo attraverso le riviste ma è state una bellissima esperienza e molto amichevole, cosa non facile che accada con le band americane, non so perché, la gente lì è stupenda, non fraintendermi, ma le band sembrano più “fredde”, invece le band svedesi sono super amichevoli.

Tornando ai Kiss, hai visto l’intervista on line di alcuni anni fa dove fanno togliere all’intervistatore la maglietta che indossa degli Iron Maiden invece di una dei Kiss?
No, non l’ho vista. Il rock e la scena metal devono imparare a stare insieme e aiutarsi a vicenda. Per me non c’è alcun problema se hai una maglia diversa dalla mia band anzi, sono contento perché vuol dire che se hai la maglia degli Iron Maiden possono piacerti i Kiss ad esempio e magari anche gli Helloween. Non è una competizione. Questo è quello che dobbiamo imparare dalla scena rap/hip-hop, un genere musicale che a me non piace per niente, non fa per me, ma hanno una grande community da cui dobbiamo imparare. Tra loro artisti si aiutano molto. Se le band sono unite, lo sono anche i fan. Ad esempio io non amo il black metal ma ci sono delle melodie che mi piacciono, non per questo parlo male del genere.

Il consiglio è correre a far proprio questo album in uscita venerdì 18 giugno per l’etichetta Nuclear Blast. Tra le tante le edizioni previste segnaliamo il doppio CD limitato cartonato, e tra le varie versioni in vinile, oltre al picture disc e a molte edizioni colorate, la versione a tre dischi “Hologram edition”. Disco consigliato da Wanted Record, via G. Bottalico, 10 a Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 17 GIUGNO 2021

Nexus Opera – La Grande Guerra

Questa volta la collaborazione con Metal Underground Music Machine mi ha permesso di conoscere i Nexus Opera, ragazzi che hanno saputo sposare la propria passione per la musica con quella per la storia. Dopo una panoramica, ci siamo soffermati con il chitarrista Marco Giordanella sull’ultimo album del suo gruppo, La Guera Granda (The Great Call To Arms)” (Revalve Records), ritrovandoci così in una trincea della nefasta Grande Guerra.

Benvenuti ragazzi, prima di passare alla disamina del vostro recente album, “La Guera Granda (The Great Call To Arms)”, mi soffermerei sul vostro amore per la storia, come è nato? E perché soprattutto per le due guerre mondiali?
La risposta è facile. E’ il nostro cantante Davide ad essere un super appassionato. Quando entrò nel gruppo, poco dopo la formazione, prese ispirazione dalle poche musiche composte elaborando i testi ed inserendo le sue storie preferite. Poi pian piano completammo il nostro primo lavoro con nove storie tratte dagli eventi della Seconda Guerra. Invece, quando iniziammo a scrivere il nostro secondo album eravamo proprio nel Centenario degli eventi inerenti l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra ed è stato facile, conseguentemente, trovare ispirazione. Nasce così “La Guera Granda” dove raccontiamo episodi del primo conflitto tutti incentrati, però, sullo scontro italo-austriaco.

Motorhead, Sabaton, Marduk, giusto per citare alcune band che hanno subito la vostra stessa fascinazione per la guerra. Generi diversi, ma evidentemente non c’è una formula fissa per parlare di certi argomenti: voi perché avere scelto proprio il power?
Sicuramente siamo influenzati dagli anni 90, anche se poi ascoltiamo di tutto infatti la nostra musica non è completamente in linea con il power. Abbiamo spesso aggiunto stili diversi alle nostre track includendo, anche, qualche contaminazione che noi riteniamo a volte folk o tradizional-popolare. D’altra parte è anche vero che questo power è il genere che ci viene più spontaneo suonare vuoi anche per la presenza della tastiera.

Passiamo invece alla vostra di storia, l’esordio, “Tales from WWII”, ve lo siete autoprodotti, che mi dite di quel disco? Siete ancora soddisfatti?
Non si è mai soddisfatti. Ed è sempre uno stimolo per migliorarsi ma è pur sempre il nostro primo disco. Ne siamo fieri. Avevamo ( ed abbiamo) fondi limitati e abbiamo dato il nostro massimo per rendere il lavoro interessante. Ringraziamo ancora chi ci ha aiutato nella registrazione e mastering del prodotto. Così come un saluto e un grazie a chi, a suo tempo, ne ha tessuto lodi e/o critiche. Ci sono canzoni di quel disco che sono divenuti i nostri cavalli di battaglia e che riproporremo live quando sarà possibile, come “Laconia”, “Katyn” ed “End of War”.

E’ arrivato il momento di parlare de “La Guera Granda”, quando avete iniziato a scriverne i brani?
Come detto, è avvenuto quasi subito dopo l’uscita di “Tales From WWII”, visto che ci trovavamo nel 2015, a 100 anni dall’ingresso in guerra dell’allora Regno d’Italia. Purtroppo la fase di scrittura ci ha preso molto tempo sia per la nostra proverbiale lentezza ma anche a causa di un doppio cambio di lineup al basso. Il completamento dei pezzi è arrivato nel 2018 e a metà del 2019 eravamo in sala di registrazione, il disco poteva essere pronto per i primi del 2020 ma poi è successo quello che sappiamo tutti.

Avevate ben chiaro il concept del disco prima di buttar giù i primi riff?
Per il secondo album decisamente sì. Sapevamo dove saremmo atterrati. E questo anche se di solito nascono prima le melodie dei testi. Ma il desiderio era proprio quello di dedicare l’intero album a storie e protagonisti italiani del primo conflitto mondiale. 

Vi siete avvalsi della consulenza storica di qualcuno al di fuori della band?
Non in particolare. O se per consulenza si vuole intendere letture di libri, articoli, o quant’altro allora sì. Davide è sempre alla ricerca di cose del genere su tutte le  pubblicazioni che siano libri o anche fumetti a volte. Infatti, rivelazione, il titolo dell’album deriva proprio da una pubblicazione a fumetti di una storia inventata ma plausibile di soldati italiani durante gli ultimi giorni della Strafexpedition. 

Raccontate un pezzo della nostra storia patria, avete optato per un titolo in “italiano”, però alla fine avete preferito per i testi l’inglese alla vostra lingua natale, come mai?
Il titolo è espresso più in forma dialettale, diciamo. Comunque, l’italiano e una bella lingua ma l’inglese riesce ad espandere la musica in maniera globale. Inoltre non è semplice adattare l’italiano a questo tipo di musica.  È vero, c’è qualche esempio ma si è trattato per lo più di canzoni isolate come fu per la ballad dei Rhapsody. Rimaniamo convinti che la lingua giusta per questo genere sia l’inglese e questo senza nulla togliere alla nostra lingua madre.

Ho visto il video tratto dal brano “The Mine”, vi faccio i complimenti perché curato nei minimi particolari. Chi se ne è occupato?
Abbiamo passato settimane se non mesi a trovare idee per il video. E non ci siamo riusciti. Il merito va tutto a i ragazzi di Kinorama che, una volta ascoltato il pezzo, letto il testo e la nostra bozza hanno approfondito l’evento narrato e hanno avuto la loro idea e la loro interpretazione della storia. Il tutto ci ha letteralmente stregato e credo che scelta migliore non potevano fare perché hanno realizzato uno dei nostri sogni e ancora oggi, quando vediamo il video, orgoglio e brividi prendono il sopravvento. Ancora un grazie a loro. Li consigliamo a tutti!

In questi giorni pare che qualcosa si stia muovendo per la musica dal vivo, voi avete già dei programmi o è ancora troppo presto per poter parlare di un ritorno alla piena attività concertistica?
Non vediamo l’ora di tornare a suonare. Ormai tra l’impegno per la registrazione e il blocco causato dalla pandemia sono passati due anni. Abbiamo sicuramente in progetto un release party per promuovere il disco e stiamo vagliando alcune proposte per live estivi . Troverete tutto sulle nostre pagine social. Non appena avremo news sarete subito informati!

Ibridoma – Answers in ruins

A quasi tre anni di distanza dalla loro ultima fatica discografica, intitolata “City Of Ruins” ed uscita per l’italiana Punishment 18 Records, tasteremo il polso agli Ibridoma, band marchigiana presente sulle scene da 20 anni. Ne parliamo con Leonardo, il bassista…

Ciao Leonardo, ti do il benvenuto al Raglio del Mulo e ti ringrazio per la tua disponibilità a questa intervista, siete in attività ormai da una ventina d’anni, ti andrebbe di parlarci un po’ della storia della band?
Ciao a tutti e grazie del benvenuto, noi siamo gli Ibridoma, una band partita nel 2001 con stampo puramente heavy metal classico, ma che nel corso degli anni ha subito sensibili mutamenti grazie ai vari cambi di formazione, infatti della line up originale rimangono solamente Alessandro Morroni alla batteria e Christian Bartolacci alla voce, il primo chitarrista solista, Pietro Alessandrini, ha ceduto il testimone a Marco Vitali, io ho riempito il vuoto lasciato dal bassista Lorenzo Petrini mentre Simone Mogetta ha ceduto il posto di chitarrista ritmico prima a Daniele Monaldi, poi a Sebastiano Ciccalè ed infine a Lorenzo Castignani. Nel corso della nostra carriera abbiamo prodotto cinque album “Ibridoma” nel 2010, “Nightclub” nel 2012 prodotto da Michael Baskette, noto per aver lavorato con Alter Bridge, Slash e molti altri, “Goodbye Nation” nel 2014 prodotto da Max Morton, “December” nel 2016 e “City of Ruins” nel 2018, questi ultimi prodotti da Simone Mularoni. Nell’arco degli anni abbiamo suonato con diversi nomi di rilievo come Blaze Bayley, facendogli da gruppo di apertura nel suo tour italiano di “The man who would not die”, e Manowar nel festival Magic Circle.

Come mai Ibridoma? Quali furono le circostanze che portarono a propendere per questo nome?
Il nome Ibridoma è stato scelto per il fatto che nessuno dei membri originali provenisse dallo stesso genere, Alessandro e Simone ascoltavano principalmente hard rock, Christian votato all’heavy metal, Pietro che viveva di thrash metal e Lorenzo che ascoltava quasi soltanto death. Ibridoma in parole povere è una cellula che produce anticorpi di vario tipo partendo da un singolo genere, quindi come nome secondo me era piuttosto azzeccato.

Siete una band ormai molto matura, puoi dirci come, secondo te, si sia evoluto in tutti questi anni il vostro sound? Tenendo ovviamente conto del fatto che avete rilasciato ben cinque full…
Il sound del gruppo si è evoluto principalmente per due motivi, il primo sta nel fatto che la maggior parte di noi ormai ha raggiunto una certa età per così dire, quindi abbiamo bene in mente le origini di ciò che ascoltiamo e suoniamo, dall’altro lato però abbiamo sempre seguito il mercato musicale aprendoci anche a nuovi generi, aiutati anche dalla formazione che cambiava spesso, portando nuova linfa alla creazione dei pezzi e offrendoci anche punti di vista più “freschi” rispetto al nostro della “vecchia guardia”.

Il vostro sound di riferimento è chiaramente una forma di metal classico anche se, ascoltando bene, è possibile cogliere anche altre sfumature stilistiche, quali sono le band a cui vi ispirate?
Indubbiamente la base del nostro sound nasce dagli Iron Maiden, ma le nostre influenze sono le più disparate, abbiamo Megadeth, Stratovarius e AC/DC tra le band classiche, molto spesso per gli stacchi ci basiamo su gruppi più aggressivi come Six Fet Under, Breakdown of Sanity o Arch Enemy. Ce ne sono molte altre a cui facciamo riferimento, soprattutto perché sono band che ascoltiamo spesso per nostro gusto personale, ma se dovessi elencarle tutte probabilmente staremmo qui per almeno un’altra ventina di righe.

Volendo trattare il “tema” composizioni, chi di voi è il principale artefice?
A livello strumentale il principale compositore è Marco Vitali che, avendo una formazione tecnica più completa, riesce a comporre con più facilità rispetto al resto di noi, ciò nonostante tutto ognuno di noi ha sempre portato riff o perfino canzoni complete all’attenzione degli altri, e da lì si partiva con i dovuti cambiamenti.

E dei testi che mi dici? Quali sono i temi trattati?
I testi sono stesi quasi esclusivamente dal nostro cantante Christian Bartolacci, ma gli argomenti trattati sono proposti da tutti, abbiamo trattato temi concreti che ci toccassero personalmente, come il terremoto del 2016 e il recente cambiamento climatico o il continuo abbandono dell’Italia da parte dei giovani per tentare la fortuna all’estero. Abbiamo trovato queste tematiche più nelle nostre corde rispetto a temi più astratti o “epici”.

Vorrei soffermarmi un attimo sulla cover del vostro ultimo “City Of Ruins”, molto accattivante… Potresti spiegare cosa si cela dietro e chi è l’autore della stessa?
La copertina è stata creata da Gustavo Sazes, con il quale abbiamo collaborato anche per le copertine di “December” e “Goodbye Nation”, è un artista che sta andando molto e che ha collaborato con molti altri artisti come James LaBrie e Amaranthe. Ovviamente la copertina sta ad illustrare come noi stiamo percependo la nostra società odierna e il mondo che ci circonda.

Sono ormai passati quasi tre anni dal vostro ultimo full, ci sono novità che vuoi svelarci? Cosa avete in cantiere per il prossimo futuro?
Abbiamo dovuto dilatare un po’ i tempi a causa della pandemia e di alcuni problemi personali, ma sicuramente per il prossimo autunno usciremo con qualcosa di nuovo che certamente non deluderà chi già ci segue e che speriamo sia apprezzato anche da chi non ci conosce. 

Come band, in che maniera state vivendo questo particolare periodo storico in cui tutto si è fermato?
Sicuramente l’impossibilità di esibirci live si sta facendo sentire, ma ne abbiamo approfittato per stare di più con i nostri cari e cercare di migliorarci a livello sia personale che tecnico, inoltre abbiamo sempre cercato di non demoralizzarci e sicuramente la musica in questo ci ha aiutato molto, continuando a comporre e suonare, anche se per conto nostro.

Dunque Leonardo, siamo arrivati alla fine, grazie ancora per questa chiacchierata! Non mi resta che augurare a te e alla band un grosso in bocca al lupo per tutto, concludi come vuoi!
Grazie al Raglio del Mulo per lo spazio che ci avete concesso, ringrazio anche tutti coloro che hanno letto quest’intervista e continuano a seguirci e supportarci, per chi ancora non ci conoscesse spero che vorrete ascoltarci sui nostri social nell’attesa di poterci rivedere nuovamente live. Stay Metal

Vexillum – Vessilli di guerra

Universi partoriti dalla fantasia che possono regalare momenti di svago ma anche sbattere in faccia la durezza dei giorni che viviamo. L’arte dei Vexillum è una metafora, e nel nuovo “When a Good Man Goes to War” (Scarlet Records) questo aspetto di didascalico viene amplificato dalla assurda situazione in cui attualmente languiamo.

Benvenuto su Il Raglio Michele, vi avevamo lasciato con “Unum”, un disco che probabilmente ha tracciato un solco nella vostra storia: questi sei anni di attesa sono dovuti al carico di responsabilità derivanti dal dover dare un degno successore a quell’album?
Ciao Giuseppe, intanto grazie per questa opportunità. Sicuramente “Unum”, ha rappresentato un tassello importante, un concept con cantanti importanti a duettare con Dario, è stato davvero un capitolo segnante per la vita della band. Di certo l’esigenza di mantenere alto il livello, se non alzarlo ulteriormente, è uno dei nostri obbiettivi da sempre e da qui anche il bisogno di prendere il tempo necessario perché l’ispirazione e l’energia creino la situazione giusta, come hai detto tu la responsabilità si fa sentire. Aggiungo anche che dopo la tournée di supporto ad “Unum”, abbiamo avuto la necessità, più o meno tutti all’interno della band, di occuparci delle evoluzioni delle nostre vite private e quindi di un po’ di tempo per noi.

Cosa rappresenta questo nuovo album nella vostra discografia e cosa aggiunge di nuovo rispetto alle uscite precedenti?
Questo album si riallaccia direttamente a “The Bivouac”, a quel tipo di composizioni, ma porta con se un tono più scuro, derivante da una rabbia e sentimenti che sentivamo la necessità di esternare. Questa atmosfera si rispecchia nei temi ed emerge nel sound, quest’ultimo sicuramente più ricco e ricercato rispetto al passato, è una diretta evoluzione del nostro stile, con tutti gli elementi che ci sono sempre piaciuti, ma ancora più potente e diretto. “WGMGTW” per come lo sento rappresenta un po’ l’ album “della maturità”, una sorta di passaggio all’età adulta musicale per la band, e sicuramente una linea di demarcazione tra il passato ed il futuro.

Il vostro sound base è una miscela di power di matrice tedesca con influenze celtiche, ma c’è un qualcosa che vi identifica come gruppo italiano?
E’ una domanda interessante, la cosa principale che mi viene in mente sono i nostri live, il nostro modo di fare e di intrattenere festaiolo è tipico di noi italiani, la ricerca dell’energia che deriva dalla partecipazione attiva del pubblico. Poi in questo nuovo album per la prima volta abbiamo inserito una canzone inedita in italiano, a questo giro siamo più italiani anche sul disco!

Il disco precedente era ricco di ospiti importanti e si concludeva con un paio di cover. In “When Good Men Go To War” pare quasi che abbiate espresso la volontà di rinchiudervi in voi stessi, facendo tutto da soli e senza necessariamente dover rendere il vostro tributo ai grandi del passato. Questa mia sensazione è esatta oppure no? Qualora lo sia, è stata una scelta conscia o inconscia?
Posso dire che questa scelta sia stata voluta, la sensazione di cui parli non è sbagliata, ma più che rinchiuderci in noi stessi è stata la volontà di voler affrontare questo capitolo con le sole nostre forze, nel bene e nel male. Ci siamo domandati diverse volte se fosse una scelta da valutare meglio, sarebbe stato sicuramente interessante, o se fosse una buona mossa di marketing, portare uno o più ospiti anche su questo nuovo lavoro, ma alla fine non ne abbiamo mai veramente sentito il bisogno, io personalmente non ho mai pensato ad un singolo verso di questo disco cantato da altri se non da Dario. Lo stesso discorso vale per le eventuali cover, avevamo già molto materiale nostro su cui lavorare. Con questo non vogliamo assolutamente peccare di arroganza o mancare di rispetto ai giganti a cui ci ispiriamo, le collaborazioni sono sempre e comunque molto stimolanti. A pensarci è un ottimo paragone con il setting dell’album, su una nave davanti ad una tempesta imminente da soli e devi affrontarla con le tue forze.

Il disco è stato preceduto dal singolo\video “When a Good Man Goes to War”, brano che da anche il nome al disco. All’interno dell’album questo pezzo ha un significato di rilievo?
Sicuramente, abbiamo scelto questo brano come apripista per il disco proprio perché ne incarna completamente il mood e l’atmosfera. Non per nulla da questo brano è tratto il titolo dell’intero lavoro. Nonostante ogni canzone sia una storia assestante c’è un filo conduttore sottile che viene portato avanti in ognuna. In ogni canzone il tema, le emozioni e le storie raccontate sono un tassello di un disegno più grande che trova la massima rappresentazione in “When a Good Man Goes To War”.

Il titolo del disco va anche contestualizzato al momento che viviamo oppure no?
Questo è un argomento di cui discutiamo spesso anche tra di noi, e la risposta è si, assolutamente. Nonostante la creazione di tutto il materiale sia cominciata abbondantemente prima di questa assurda situazione mondiale non possiamo fare a meno di considerare tutto quello di cui si parla perfettamente attuale. Direi sotto quasi tutti gli aspetti da quello politico a quello sociale; in alcuni casi le tematiche descritte molto prima della pandemia sono diventate veri e propri problemi all’ordine del giorno, amplificati dalla pandemia e dalla mancanza di un vero senso di comunità. Oltre che ad intrattenere e regalare un momento di svago e spensieratezza con la nostra musica speriamo che questo disco possa far riflettere chi deciderà di ascoltarlo, perché di spunti ce ne sono davvero molti e, mi ripeto, molto attuali.

Ad ogni modo, un’opera come la vostra dal sapore antico e mitologico, può rappresentare un momento di fuga dalla realtà. Quanto è importante il poter uscire, almeno mentalmente, dalla cattività in cui viviamo grazia alla musica?
Adesso è fondamentale, con la situazione della pandemia che ancora va avanti ed il mondo dello spettacolo praticamente fermo da più di un anno ogni occasione di fuga credo che sia di inestimabile valore e da cogliere al volo, per staccare anche solo temporaneamente da questa “versione ridotta” della vita a cui siamo stati abituati e per, magari, alleggerire il senso di sopportazione che volenti o nolenti subiamo da un po’. Avevamo dei dubbi se far uscire proprio adesso questo nuovo lavoro, per la paura di non poterlo sostenere con una vera e propria promozione di concerti live, ma credo che la scelta sia stata comunque giusta perchè proprio per i motivi che hai sollevato non andrà comunque “sprecato”.

Alla luce della risposta precedente, qual è il ruolo dell’artista oggi?
Il ruolo dell’artista è oggi più che mai quello di creare un ponte con una dimensione che sia migliore o comunque diversa da quella che si ha nella realtà di tutti i giorni, nella quale chi ne giova può trovare rifugio e come dicevamo prima staccare la spina per un po’. Più di una volta mi è capitato di persona di essere letteralmente “salvato” da una canzone, da un film, da una poesia. Spero anche che tutti si ricordino quanto questo ruolo dell’artista sia importante e da valorizzare, lo dico perché mi sembra che troppo spesso sia un qualcosa di dato molto per scontato dai più. Vorrei vedere tutti catapultati improvvisamente in un mondo senza arte, senza musica, quale sarebbe la reazione, forse solo in quel caso si percepirebbe la profonda importanza del lavoro e del ruolo dell’artista. Andando avanti sulla strada sulla quale siamo, spero momentaneamente, non manca tanto. Supportate l’arte e supportate gli artisti che vi piacciono!

Siete arrivati al quarto capitolo della saga, ce ne saranno altri e, se sì, avete già in mente il canovaccio dei prossimi passi?
Assolutamente si, durante il lockdown del 2020 abbiamo avuto modo di buttar giù diverse nuove idee che andranno sicuramente a formare i prossimi lavori, e con la nostra nuova etichetta abbiamo già preso accordi per i prossimi capitoli. Al momento è sicuramente presto per parlare di qualcosa di concreto o anche solo di canovaccio. Riguardo ai prossimi passi, stiamo lavorando molto per cercare di dare un supporto più “live” possibile a questa uscita, sfruttando più possibile i social network e le piattaforme di streaming, ovviamente con la speranza che riparta al più presto la possibilità di trovarsi ancora una volta tutti a scapocciare su e giù da un palcoscenico.

Drakkar – I signori del caos

La nave, rigorosamente vichinga, guidata dal capitano Dario Beretta non teme le bonacce compositive. Anzi i Drakkar continuano a salpare i marosi con il vento in poppa, forti di idee sempre nuove e del caratteristico sound della compagine meneghina, come dimostra il nuovo disco “Chaos Lord” (Punishment 18 Records).

Benvenuto Dario, dopo un paio di EP, finalmente è in dirittura di arrivo il vostro nuovo album “Chaos Lord”. Quali sono le novità che accompagnano questa uscita?
Finalmente ci siamo, sì! Abbiamo registrato questo disco nel 2019, è stata una lunga strada perché potesse finalmente arrivare all’uscita ufficiale. Musicalmente, “Chaos Lord” è la logica prosecuzione di “Cold Winter’s Night”, la nostra prima uscita dopo il ritorno alla formazione a due chitarre, con un’ulteriore evoluzione del sound che ci ha portato a ridurre drasticamente le parti di tastiere, con la conseguente decisione di passare a una formazione a cinque elementi. Il fatto che l’uscita del disco sia stata spostata dal 2020 al 2021 ha comportato la bizzarria del fatto che l’EP del 2020, “Falling Down”, sia uscito prima pur essendo stato registrato dopo, quindi in un certo senso “Chaos Lord” rappresenta uno step nella nostra evoluzione che è precedente rispetto all’EP, ma sostanzialmente si tratta di materiale molto vicino, nessuno stravolgimento.

Forse è una mia impressione, ma in questo disco mi pare più evidente il tuo amore per i Running Wild, sbaglio?
Penso che il nostro disco più influenzato dal songwriting della ciurma di Rolf Kasparek resti sempre il primo, “Quest for Glory”, che in buona parte era stato concepito quando nella band c’erano due chitarre, anche se alla sua uscita ero rimasto soltanto io. Il fatto di essere tornati ad avere due asce nel gruppo ci ha sicuramente riportati un po’ verso quelle sonorità, fortemente influenzate dall’heavy metal classico degli anni ’80. Probabilmente, la tua sensazione deriva da questo. Sicuramente i Running Wild sono e restano una delle band fondamentali per me, e negli anni se possibile ho imparato ad apprezzarli ancora di più che in passato.

Credi che ci sia un brano che rappresenti al meglio i Drakkar di oggi?
Non saprei proprio. Tutto l’album nuovo, alla fine, presenta elementi presi da ogni era della nostra storia, reinterpretati in chiave moderna, con la nostra consapevolezza e maturità attuale. In questo senso, sono tutte rappresentative di una delle facce del nostro dado (per usare una terminologia nerd). Trovo che questo disco sia davvero molto “forte” dal punto di vista del songwriting, sostanzialmente privo di brani “deboli” o poco ispirati. Se dovessi scegliere un brano che amo particolarmente, per il mio gusto personale direi sicuramente la titletrack. Ma appunto, rappresenterebbe solo una della sfaccettature del nostro sound.

Siete sempre rimasti fedeli al power metal anni 90, probabilmente solo con “Razorblade God” avete “sporcato” la matrice più pura del genere. Come mai a un certo punto avete messo da parte quelle influenze thrash?
Non sono molto d’accordo, credo che quelle sonorità siano rimaste e diventate parte integrante della personalità della band. Vedi brani come “The Pages of My Life” dal nuovo disco, ma anche “Burning” su “Run With The Wolf”. In generale, il nostro riffing si è fatto più massiccio da quell’album in poi. Direi che quelle influenze, col tempo, sono state integrate meglio nel contesto della band.

Tutto sommato state vivendo un momento prolifero, tre uscite, anche se in formati differenti, in poco più un triennio: come si mantiene viva l’ispirazione dopo tanti anni di carriera?
Personalmente, non sono mai a corto di idee. Anche nel periodo più duro della band, dal 2002 al 2012 in cui pubblicammo solo un EP, non smisi mai di scrivere brani, alcuni dei quali sono poi usciti, mentre altri sono rimasti nel cassetto. Ultimamente, poi, tra Drakkar, Crimson Dawn e altri progetti di cui non posso ancora parlare, sto tenendo un ritmo veramente alto. Non saprei dare una motivazione razionale, se non il fatto che la musica continua a essere la mia più grande passione, e quindi per me comporre non è mai un peso, anzi. Devo anche dire che, parlando solamente dei Drakkar, molto sta facendo l’ingresso nella lineup di Marco e soprattutto Simone, dato che entrambi stanno dando dei contributi al songwriting. Avere dei compagni di squadra che contribuiscono con le loro idee è molto importante.

Siete stati tra i primi in Italia ad aprire una pagina Patreon, ti chiedere di spiegare ai nostri lettori di cosa stiamo parlando e come valuti ad oggi i risultati ottenuti.
Patreon è una piattaforma che permette agli artisti di offrire contenuti “su abbonamento” ai fan più fedeli. Supporta l’inserimento di contenuti di ogni tipo, dai brani dei nostri album (inediti, versioni, alternative, demo) ai video, passando per semplici post testuali, e la pagina è di fatto una sorta di mini-community dato che i fan possono anche commentare e interagire direttamente. Finora i risultati sono stati davvero incoraggianti, in un anno abbiamo raggiunto un numero di abbonati interessante per dei musicisti underground come noi. La pagina include materiale sia dei Drakkar che dei Crimson Dawn, ed è per questo che è a mio nome, e non a nome di una delle due band. Questo ci permette di offrire ancora più contenuti e ci sono già alcune cose, come l’EP “Falling Down”, che abbiamo potuto produrre solo grazie all’apporto dei nostri patron. La nostra media è di un post ogni 3-4 giorni, sempre con contenuti nuovi, ed è piuttosto impegnativa da mantenere, ma crediamo che ne valga la pena. Si tratta di uno stimolo a impegnarsi e fare sempre di più e di meglio. E poi, in questo anno senza concerti, è stato un polmone fondamentale per le finanze di entrambi i gruppi. Tutti i soldi che entrano grazie a Patreon vengono reinvestiti nella band, e questo ci permette di fare di più e con più qualità.

Se non erro la Punishment 18 è la vostra terza etichetta, ma con strumenti quali Patreon, Bandcamp e social vari, serve ancora una casa discografica a un gruppo come il vostro che ha già una fanbase corposa?
Non sbagli. E’ vero, tra Patreon e Bandcamp, la band ha una solida base di fan ormai, e forse si potrebbe anche tentare la carta dell’indipendenza piena. Tuttavia, lavorare con una label ci permette di avere una distribuzione più capillare e ci sgrava da un po’ di attività logistiche e promozionali che altrimenti dovremmo svolgere da soli, cosa che P18 fa egregiamente. Inoltre, ci permettono al tempo stesso di mantenere i diritti di utilizzo della nostra musica nel contesto di Patreon, cosa per noi fondamentale. Insomma, cerchiamo di unire i vantaggi dei due mondi.

Torniamo al nuovo album, nella tracklist troviamo “The Battle (Death from the Depths – Part II)” seconda parte del brano “Leviathan Rising (Death from the Depths – Part I) presente su “Cold Winter’s Night”. Le due canzoni sono nate insieme e poi separate oppure l’ispirazione per la nuova traccia è arrivata solo ora?
Inizialmente, la prima parte, “Leviathan”, doveva essere un brano a sé stante. Poi però mi è venuta l’idea di continuare la saga con un sequel, così ne ho parlato con Marco, autore del testo della parte I, e gli ho chiesto di cambiare l’ultimissima parte per lasciarla “aperta”. Musicalmente, “The Battle” è stata quindi scritta dopo, ma con una storia già delineata che prende ispirazione da un personaggio dei fumetti Valiant, il Guerriero Eterno.

Con i live al momento sospesi, quale sarà la vostra prossima mossa?
Continueremo a prenderci cura di Patreon per “coccolare” i nostri fan più affezionati, sfruttando la piattaforma per lanciare progetti nuovi: alcuni esclusivi, altri che usciranno prima su Patreon e poi anche per tutti gli altri. Abbiamo un “piano di battaglia” fino al 2024… Poi, come ci ha dimostrato la pandemia, non esiste piano che non possa essere reso obsoleto, ma così è la vita!

Winterage – L’eredità della bellezza

I Winterage, come scoprirete leggendo le parole di Gabriele Boschi (violino e maggior compositore della band), hanno voglia di riprendersi il tempo perduto tra la pubblicazione The Harmonic Passage” e quella del nuovissimo “The Inheritance of Beauty” (Scarlet Records), ma lo vogliono fare a modo loro, senza perdere di vista il concetto di bellezza, elemento su quale si base il loro percorso artistico.

Benvenuto Gabriele, ben sei anni separano il vostro primo full-length “The Harmonic Passage” dal nuovo “The Inheritance of Beauty”, se consideriamo che tra l’EP di esordio e il suo successore sono trascorsi quattro anni, verrebbe da pensare che il vostro iter compositivo richiede molto tempo. E’ così o questi tempi dilatati sono una conseguenza di fattori esterni?
Ciao e grazie per averci ospitati! In realtà questi tempi dilatati sono stati  causati dalla naturale crescita della band. Mi spiego, in modo molto schietto: avere una band nel 2020, nel pieno della decadenza annunciata della discografia, è un impegno non da poco che va incastonato nella miriade di attività multitasking che vengono richieste a noi giovani per sopravvivere. Siamo una generazione così, c’è poco da piangersi addosso! Quindi in questi anni abbiamo affiancato l’attività della band alla nostra formazione professionale, ricordo che l’età media della band è di 28 anni, giungendo ad oggi con una formazione più compatta, una mentalità più matura, e degli obiettivi più delineati. Certo, avere a disposizione molto tempo ha anche favorito la cesellatura del materiale compositivo, rendendo il songwriting più incisivo. Ma da ora in avanti posso abbastanza sbilanciarmi nel dire che non passerà più così tanto tempo tra un album e l’altro!

Mi daresti la vostra definizione di bellezza?
Con questo album abbiamo voluto mostrare un’opera d’arte, un’icona senza tempo in  rappresentanza dell’autentica bellezza: la “Nascita di Venere” di Sandro Botticelli. Agganciandoci concettualmente a questo dipinto, riconosciuto internazionalmente e nei secoli come uno dei maggiori canoni di bellezza, abbiamo voluto suggerire uno sguardo sul mondo di oggi e su come è vista oggi un’opera d’arte. Con uno sguardo un po’ decadentista, ci siamo scoperti sommersi dal quasi totalizzante utilizzo commerciale dell’arte, dalla poca ricercatezza che molti “artisti” imprimevano nei loro lavori rivolgendo il loro sguardo unicamente al profitto che ne sarebbe derivato. Insomma, abbiamo percepito come traditi quei valori che a nostro parere dovrebbero essere fondanti per la creazione e la fruizione di qualcosa di artistico: un’ideale, un’ispirazione, pura e senza doppi fini, un’identità artistica che traspaia dall’opera d’arte, trascendendola. Ecco, tutto questo, forse, potrebbe essere la nostra definizione di bellezza nel 2020. Ci siamo rifatti molto alla mitologia greca ed al loro mondo, proprio perché i greci si interrogavano su quale potesse essere la rappresentazione dell’estrema bellezza e, ricercandola, con impegno e dedizione impegnavano anche tutta la vita a questo scopo, producendo capolavori che ancora oggi ammiriamo. Scusa se mi dilungo, ma è una domanda che racchiude un concetto su cui si potrebbero scrivere intere tesi di laurea! Per concludere, nel nostro ultimo brano abbiamo però suggerito un’idea che apre uno spiraglio di speranza su tutta questa visione decadentista. Il costruttore di giocattoli, attraverso i suoi balocchi, apparentemente insignificanti, vuole risvegliare nell’animo assopito delle persone questo guizzo artistico.

Alla luce di quanto mi hai detto, cosa ci lascia, o ci ha lasciato, in eredità la bellezza?
Riallacciandomi al giocattolaio di cui parlavo prima, è lui che ci spiega che l’eredità di questa bellezza appena descritta è indissolubilmente presente nell’animo umano, sopita, ma con tutte le  potenzialità per divampare nuovamente. Egli spera che i suoi giocattoli con il loro guizzo bambinesco, possano essere la miccia che faccia accendere il fuoco dell’immaginazione che è presente da tempi primordiali in ognuno degli esseri umani. Concludo quindi riportando le lyric dell’ultimo ritornello del disco, un passaggio a cui tengo molto e che può riassumere la risposta a questa domanda:

AN EXTRAORDINARY WORLD RESIDES IN OUR REAL
MATTER WILL ITS ESSENCE MOST INTANGIBLE REVEAL
THE WEFT OF BEAUTY IS GLOWING FROM THE STRUCTURE OF OUR WORLD
AND THE GREATNESS OF LOVE IS SPREADING
AND NATURE IS CHANTING UNTAMED
THE PRIMORDIAL DIVINE MIGHT

Nel disco ci sono dei rimandi evidenti alla classicità, mi riferisco alla Venere in copertina o all’utilizzo di strumenti quali violini, voci liriche ecc. Come è possibile coniugare classicità e contemporaneità senza cadere nel pacchiano?
Penso che come in ogni cosa, difficilmente si può scadere nel pacchiano, quando alle spalle si ha un’idea di cui si è convinti e per la quale si lavora molto per la sua realizzazione con cognizione di causa. C’è da dire che strumenti orchestrali e metal sono coesistiti fin dal primo avvento del rock, ed il risultato in genere è stato quasi sempre piacevole. La nostra idea in questo album è stata quella di organizzare, al meglio delle nostre capacità, gli elementi portanti del nostro sound, miscelandoli nel genere power metal. Quindi orchestrazioni, citazioni della musica tradizionale irlandese, melodie di violino, citazioni dalla musica sinfonica, assoli neoclassici ed ultimamente anche un avvicinamento più importante verso la lirica ed il virtuosismo violinistico, coesistono all’interno degli stessi pezzi, organizzati da un songwriting minuzioso. Per rispondere alla domanda, penso che se “orchestri” antico e moderno con intelligenza, si possano ottenere degli ottimi risultati!

Avete lavorato con una vera orchestra, è stato difficile interagire con musicisti provenienti da un ambito musicale diverso dal vostro?
No assolutamente, abbiamo registrato le loro parti su tutto l’album in tempi record: in una giornata di studio dedicata ad ogni sezione siamo riusciti ad incidere tutto. Discorso diverso è per i cori, ci sono volute tre giornate per quelli lirici femminili, altre tre per quelli maschili ed un paio per i leggeri femminili; ma non perché fossero meno bravi i coristi, semplicemente avevano il triplo delle parti da cantare! Alla fine, i musicisti professionisti sono abituati a leggere le parti d’orchestra. Cruciale è la fase di scrittura delle parti e di progettazione della sessione di studio: più cose scrivi a casa (indicazioni di tempo, dinamica, legature, arcate, spesso addirittura le diteggiature), prima loro capiscono quello che vuoi e meno tempo perdi in studio, riuscendo così a registrare più minuti di musica. In questa fase è stato di enorme aiuto il Maestro Vito Lo Re che, grazie alla sua esperienza di direttore durante le sessioni di registrazione d’orchestra, e di compositore, ha saputo ottimizzare al meglio il tempo che avevamo e mi ha dispensato degli ottimi consigli in itinere.

Quasi a confermare la vostra visione “allargata” della musica, troviamo due produttori appartenenti a due sottogeneri del metal tra loro a prima vista agli antipodi, mi riferisco a Tommy Talamanca e  Roberto Tiranti. Questa collaborazione cosa ha aggiunto ai vostri brani?
Sono state due figure di enorme aiuto per la buona riuscita del progetto. Entrambi sono dei professionisti nel loro settore e hanno subito capito come impostare il lavoro con noi. I tempi per ogni sessione erano diversi: con Roberto, le registrazioni delle linee vocali di Daniele si sono svolte con molta calma, in modo da registrare sempre al top della forma e della sua resa vocale; mentre con Tommy, sempre preservando la qualità, abbiamo fatto delle belle full-immersion di giornate di studio cercando di ottimizzare i tempi  vista la mole di roba da registrare. Per esempio Luca ha inciso tutte le batterie del disco in soli tre giorni e io le mie parti di violino in uno e mezzo: anche in questo caso è stata fondamentale la preparazione e lo studio a casa!

Ma come nascono i vostri brani?
I brani di questo album vantano ancora l’alchimia compositiva dei tre fondatori della band: me, Dario e Riccardo Gisotti, oltre che l’apporto costante di tutti i membri. Ognuno di noi propone alla band delle idee, delle melodie, dei riff, che vengono discussi e “rimpastati” assieme, magari cambiando qualche accordo o qualche nota per rendere quella parte più interessante o quell’altra più struggente. Insieme si costruiscono così i pezzi e, a suon di compromessi da parte di tutti, si giunge al brano finito, che porta quindi l’apprezzamento generale. Bene o male la regola è questa, spesso invece qualcuno scrive un pezzo in autonomia e poi lo presenta alla band: è il caso di “Wisdom of Us”, brano interamente composto da Dario, o di “The Amazing Toymaker”, pezzo che posso vantarmi di aver scritto da solo.

Da dove proviene la vostra fascinazione per il folk irlandese?
Tutti noi Winterage abbiamo un lato folk nel nostro gusto musicale, che ci porta ad apprezzare le tradizionali sonorità irlandesi, chi più e chi meno. Negli anni, questa vena folk si è espansa a dismisura nel cuore del nostro (ormai ex) tastierista Dario, tanto che ha deciso di seguire unicamente quella strada. La sua conoscenza del repertorio irlandese è pressoché infinita, sa suonare migliaia di tunes, con almeno quattro strumenti diversi, e col tempo è diventato il referente ufficiale di questa influenza nella band. Anche se ora Dario non fa più parte del gruppo, questa vena folk rimarrà comunque parte integrante del nostro sound, così come lui il referente indiscusso a cui chiederemo sempre consigli, oltre che di partecipare alle future registrazioni!

Credi che il singolo, “Orpheus and Eurydice”, sia in grado di presentare a pieno la complessità del disco o inevitabilmente ne dà una visione parziale da completare necessariamente con l’ascolto dell’album?
Quel brano è stato concepito proprio con l’idea di voler unificare tutto il sound della band in un unico pezzo. Come accennavo, in questo album abbiamo voluto gestire meglio tutte le influenze diverse, integrandole meglio all’interno dei pezzi, e questo brano ne è l’esempio più calzante. Siamo molto legati a quel brano perché siamo riusciti a far conciliare le melodie tipiche del power metal, delle ritmiche aggressive, il ritornello cantabile, la parte lirica, il tune folk, l’intermezzo orchestrale, il tutto condito con delle belle scariche di doppio pedale, whistles di voce ed orchestrazioni bombastiche… ok scusa mi sono esaltato haha! Per rispondere alla domanda, è probabile che questo pezzo riassuma il sound generale della band, ma se uno ne è affascinato, l’ascolto dell’album sarà sicuramente molto più soddisfacente, anche perché l’ultimo brano della durata 16.30 minuti, suggerisce delle sonorità nuove per noi, derivanti dal musical e dalla musica per film che nel singolo non sono presenti.

Quando sarà possibile tornare all’attività live, come proporrete sul palco dei pezzi così complessi e ricchi di sfumature?
Per promuovere l’uscita dell’album volevamo organizzare nuovamente uno show in teatro con il quartetto d’archi, ma visti i tempi non ci è stato permesso. Durante i nostri live veniamo accompagnati dalle sequenze, che riproducono tutto il grande lavoro che è stato fatto in studio di registrazione, favorendo la resa sinfonica. Il mio sogno nel cassetto è quello di suonare live con orchestra e coro… ma ne deve passare di acqua sotto i ponti ancora!

Harmonize – Night warriors

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

Nei nostri ricordi scolastici, Cipro è la terra di eroi ed epiche battaglie. La cose non sembrano cambiate molto, gli Harmonize con il loro metal epico, contenuto nell’esordio “Warrior in the Night” (Grand Sounds Promotion) ci riportano proprio a quei tempi mitologici.

Benvenuto su Il Raglio del Mulo, George (Giorgos Constantinou – chitarra). Gli Harmonize hanno iniziato suonando thrash metal, poi pian piano hanno incorporato gradualmente alcuni elementi del power metal ed di altri generi più oscuri. Come definiresti oggi il tuo sound?
Si potrebbe descrivere il nostro sound attuale come heavy e power metal con influenze dark, death e thrash.

Puoi ricapitolare i passaggi antecedenti al tuo album di debutto?
Prima di giungere al nostro debutto, abbiamo passato alcuni momenti complicati. Abbiamo dovuto fare un paio di sostituzioni di membri, ciò ha significato che il processo di registrazione si è interrotto più volte. Alcune delle tracce erano già state scritte nel 2012 quando si formarono gli Harmonize. Abbiamo pubblicato due demo e abbiamo continuato a suonare dal vivo a Cipro. Durante questo periodo non abbiamo smesso di scrivere e riscrivere tracce. Sozos è stato l’ultimo a unirsi alla band. Quando finalmente tutti erano a bordo, le registrazioni sono state completate e gli Harmonize erano finalmente pronti a rilasciare “Warrior in the Night”.

“Warrior in the Night”, il vostro primo album, è uscito ad ottobre, com’è nato?
“Warrior in the Night” è un concept, e in generale lo sono anche gli Harmonize come progetto. L’individualità di tutti all’interno della band influenza il suono nel suo insieme e rafforza gli elementi che desideriamo trasmettere attraverso il nostro lavoro. Era importante che tutti condividessero la stessa visione per l’album affinché funzionasse.

“Warrior in the Night” è un concept album. Lo storyboard è firmato da te e Nicolina Papas, ci racconti qualcosa?
Non vogliamo ancora condividere tutto sulla storia. Presto verranno rivelati altri personaggi e trame. Il guerriero sembra essere solo uno dei personaggi. Sta combattendo per vendicare il suo re e la sua regina quando riceve un ultimatum. Questo è tutto per ora. Abbiamo incluso un’outro recitata nell’album per coloro che desiderano saperne di più sul Warrior e sul suo destino.

La title track “Warrior In The Night” è stata usata come primo singolo e video dall’album, che mi dici di questa canzone?
Il Warrior in the Night personifica il potere, l’avidità e il terrore anche se alla fine è evidente che è solo un uomo, fino a quando non incontra una forza più oscura. Questa particolare canzone dovrebbe dare una prima idea di lui come di un feroce combattente sul campo di battaglia.

Negli ultimi anni hai condiviso il palco con artisti famosi come Bonfire, Wotan, Blaze Bayley (ex Iron Maiden), Picture. Cosa hai imparato da questi grandi nomi?
Questi nomi sono effettivamente significativi nel metal. Vorremmo sicuramente condividere il palco con più artisti con cui ci immedesimiamo musicalmente e che hanno influenzato il nostro suono. Suonando ai festival in generale, abbiamo imparato molto su noi stessi come band e come artisti, oltre che su tutto ciò che accade dietro le quinte.

Prima del lockdown, la scena live cipriota era attiva?
Abbastanza. Direi che probabilmente circa due anni fa la scena era molto attiva, con festival e grandi nomi che visitavano l’isola e metal bar che tenevano viva la scena. Cipro ha molto da offrire in termini di varietà di generi metal e di passione che hanno i metallari. Sfortunatamente, la pandemia ha fatto sì che molti artisti non potessero più salire su un palco, ci manca davvero suonare dal vivo. Tuttavia, durante il blocco abbiamo continuato a lavorare sul nostro album e questo ci ha reso molto produttivi.

Quanto è difficile per una band di Cipro emergere dall’underground internazionale?
Non è necessariamente una questione di difficoltà. Vogliamo credere che le band che meritano il riconoscimento alla fine lo riceveranno, ma anche il networking è importante.

Quali gruppi ciprioti consigli?
Temple of Evil, black metal; Blynd, death/thrash metal; Mirror e Arrayan Path, heavy metal.

In our school memories, Cyprus is the land of heroes and epic battles. Things don’t seem to have changed much, Harmonize with their epic metal, contained in the debut “Warrior in the Night” (Grand Sound Promotion), take us back to those mythological times.

Welcome to Il Raglio del Mulo, George (Giorgos Constantinou – guitars). Harmonize began by playing thrash metal, the band gradually incorporated some power metal elements, as well as some darker ones. How do you define your current sound?
You could describe our current sound as heavy and power metal with dark influences, such as death or thrash.

Could you recap the steps before your debut album?
For this first album of ours, followed a very tricky process. We had to go through a couple of member replacements. This meant that the recording process came to a halt a few times. Some of the tracks were already written back in 2012 when Harmonize were formed. We published two demos and kept performing live in Cyprus. During this time we continued writing and rewriting some tracks. Sozos was the last to join the band. When everyone was on board recordings were done and Harmonize was ready to release Warrior in the night.

“Warrior in the Night” your first album was released in October, how is born?
Warrior in the Night is a conceptual album, and so are Harmonize as a project. Everyone’s individuality within the band influences the sound as a whole and reinforces the elements we wish to convey through our work. It was important that everyone shared the same vision for the album, in order for this to work.

“Warrior in the Night” is a concept album. The storyboard is signed by you and Nicolina Papas, could you tell something about?
We don’t wish to share everything about the story yet. Soon more characters and storylines will be revealed. The warrior happens to be just one character. He is fighting to avenge his king and queen when he is met with an ultimatum. That is all for now. We include a spoken outro in the album for those who wish to learn more about the Warrior and his fate.

The first video single from the album is the title track “Warrior In The Night”, what’s about?
Warrior in the Night personifies power, greed and terror although it is eventually apparent that he is just a man, that is until he is met with a darker force. This particular song is supposed to give a first impression of him as a vicious fighter in the battlefield.

In recent years you have shared the stage with famous artists like Bonfire, Wotan, Blaze Bayley (ex Iron Maiden), Picture. What have you learned from these big names?
These names are definitely significant in metal. We surely wish to share the stage with more artists that we relate to musically and who have influenced our sound. Playing at festivals generally, we learn a lot about ourselves as a band and as performers, as well as what goes on behind the scenes.

Before the lockdown, was the Cypriot live scene active?
Very much so. I would say that probably about two years ago the scene was significantly active, with festivals being organised, and big names visiting the island and metal bars keeping the scene alive. Cyprus has a lot to offer in terms of the different genres of metal and the passion metalheads have. Unfortunately, the pandemic meant that a lot of artists could not be on the stage any more, although we trully miss playing live. However, during the lockdown we continued working on our album and that made us very productive.

How difficult is it for a band from Cyprus to emerge from the international underground?
It is not necessarily a matter of difficulty. We wish to believe that bands deserving of the recognition will eventually receive it, however networking matters as well.

Which Cypriot bands do you recommend?
Temple of Evil, black metal; Blynd, death/thrash metal; Mirror & Arrayan path, heavy metal.

Iron Savior – Ode to the brave

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

Gli Iron Savior ultimamente hanno trovato un buon ritmo, con una cadenza quasi annuale pubblicano un nuovo album. Non fa eccezione questo sfortunato 2020, “Skycrest” (AFM Records) è qui a rallegrare i fan della band in questi giorni difficili.

Ciao Piet, dal 2014 pubblicate ogni anno un nuovo album in studio: “Rise of the Hero” (2014), “Megatropolis 2.20” (2015), “Titancraft” (2016), “Reforged – Riding on Fire” (2017), “Kill or Get Killed “(2019) e “Skycrest” (2020)! Come ti spieghi questo cambio di marcia dopo “The Landing”? Hai variato il tuo approccio alla composizione?
Beh, “Megatropolis” e “Reforged” non sono esattamente nuovi album in studio. “Megratropolis” è un remix di un album già esistente mentre “Reforged” contiene vecchie canzoni ri-registrate dei tempi della Noise. Ma sì, “Kill or Get Killed” e “Skycrest” sono piuttosto vicini l’uno all’altro. Dopo che “KOGK” è stato completato, ero ancora così eccitato che ho iniziato a scrivere canzoni solo poche settimane dopo averlo finito. Quindi già prima dell’autunno 2019 avevo le basi per quattro canzoni. Durante l’inverno ho scritto altre tre-quattro tracce e avevo già alcuni spunti per un altro paio. Poi è arrivata la devastante diagnosi di cancro del nostro bassista Jan e dopo è giunto il Covid19. Un periodo piuttosto buio in cui ho avuto molto tempo ma nessuna motivazione per fare musica. Quando a Jan è stato detto che sarebbe guarito al 100% e dopo che le cose sul Covid19 si sono un po’ rasserenate, ero di nuovo in fiamme e ho finito l’album in poche settimane. Ovviamente avremmo potuto aspettare fino al 2021 per pubblicare “Skycrest”, ma viste tutte le cose brutte che sono successe nel 2020 volevo che questo album positivo ed edificante uscisse nello stesso anno.

Non potrebbe essere un rischio pubblicare un nuovo album ogni anno? Il mondo della musica non vive la sua stagione migliore.
Sono d’accordo che la qualità è più preziosa della quantità, come Iron Savior siamo sempre stati molto critici con le nostre cose e non abbiamo mai fatto un brutto album. Ce ne sono alcuni migliori di altri, ma tutte le nostre uscite mantengono un certo standard di qualità. A parte questo, non penso che continueremo a fare nuovi album in studio così velocemente uno dopo l’altro come con “Skycrest”, ma ovviamente continueremo ad avere delle versioni speciali in mezzo. Ad esempio, il prossimo anno è il decimo anniversario di “The Landing” e anche “Reforged Vol2” è in cantiere

Più di 7.500.000 di persone hanno guardato in streaming “Heavy Metal Never Dies”: ti piace questo nuovo strumento di misura per il successo?
In realtà, in generale mi piacciono i servizi di streaming. Sono sicuro che riportino molte persone all’uso legale della musica. Se hai un abbonamento Spotify o Apple non vai più a siti torrent pirata. D’altra parte, la paga non è ancora adeguata. Questo è un retaggio dovuto al fatto che l’industria discografica per molti anni ha guardato ai servizi di streaming solo come strumenti promozionali per vendere i propri CD e quindi ha ceduto i diritti per pochi spiccioli… che devono essere corretti presto. In generale, gli abbonamenti fanno bene agli artisti, perché generano un reddito piuttosto costante.

Questo album è nato sotto l’influenza dell’emergenza Covid-19?
No! Assolutamente, no! Come ho sottolineato in precedenza, non ho lavorato all’album durante il primo blocco totale. L’intera situazione era semplicemente troppo deprimente, quindi non ero in grado di sedermi in studio e lavorare su canzoni edificanti e positive in stile Iron Savior. Inoltre, non volevo che la negatività in qualche modo si insinuasse nelle canzoni, quindi ho preferito fare una pausa invece di scrivere cose oscure e deprimenti.


Come sta Jan adesso?
Sta bene. Ovviamente ha ancora alcuni problemi da affrontare, ma il cancro è sconfitto. Si sta ancora riprendendo dalla chemioterapia, ma sta migliorando sempre più!

Ti piace inviare file avanti e indietro e lavorare in questo modo o desideri tornare ai bei vecchi tempi?
Entrambi vanno bene per me. Quando c’è poco tempo o grande distanza, l’invio di file avanti e indietro è un modo molto efficace. Per “Skycrest” siamo tornati a farlo alla vecchia maniera in studio. Inutile dire che per il gusto di farlo e per le “vibrazioni” questo è ancora il metodo migliore.

Hai dichiarato “Penso che” Skycrest “abbia tutte le potenzialità per diventare uno dei migliori album che gli Iron Savior abbiano mai pubblicato ed è in linea con momenti salienti della nostra carriera come l’acclamato debutto omonimo, “Condition Red” e “The Landing” “. Perché sei così soddisfatto di questa versione?
Penso che la scrittura e gli arrangiamenti siano ok al 100%. Il suono è killer, la dinamicità e la gamma musicale sono perfette, l’album traspira tanta emozione ed energia… quando inizi ad ascoltalo ti cattura dalla prima nota fino a quando l’ultima svanisce.

“Iron Savior”, “Condition Red” e “The Landing” sono davvero i tuoi migliori album?
I miei migliori allumi sono: “Iron Savior”, “Unification”, “Interlude”, “Dark Assault”, “Condition Red”, “Battering Ram”, “Megatropolis”, “The Landing”, “Rise Of The Hero”, “Titancraft”, “Kill or Get Killed” e “Skycres”.

Dopo l’uscita del debutto pensavi che saresti stato ancora qui dopo quasi 25 anni con il tuo 13° album in studio?
No… il primo album è stato fatto con l’idea che sarebbe rimasto principalmente un “sound-guy”. Ho realizzato il primo per dimostrare a me stesso che ero in grado di farlo. Che questo sarebbe stato l’inizio di una carriera non mi era venuto in mente.

Recently Iron Savior have recently found a good rhythm, with an almost annual cadence they release a new album. This unfortunate 2020 is no exception, “Skycrest” (AFM Records) is here to make happy the band’s fans in these difficult days.

Hi Piet, from 2014 you every year release a new studio album: “Rise of the Hero” (2014) , “Megatropolis 2.20” (2015), “Titancraft” (2016),  “Reforged – Riding on Fire” (2017), “Kill or Get Killed” (2019) and “Skycrest” (2020)! How can you explain this change of gear after “The Landing”? Did you change your approach to the composition?
Well, “Megatropolis” and “Reforged” are not exactly new studio albums. “Megratropolis” was a remix of an existing album while “Reforged” containes of re-recorded old songs from the Noise days. But yes, “Kill or get Killed” and “Skycrest” are rather close to each other. After “KOGK” was done, I was still so energized that I started to write songs only a few weeks after finishing up. So already before autumn 2019 I had the basis for 4 songs. During winter I wrote 3-4 more songs and already had some bits and peaces for a couple of more songs. Then came the devastating cancer diagnose of our bassist Jan and after that came Covid19… This was a rather dark period where I had a lot of time but no motivation at all to do music. When Jan was told that he will get cured by 100% and after that the Covid19 stuff cleared up a bit, I was on fire again and finished the album up in just a few weeks. Of course we could have waited until 2021 to release “Skycrest”, but because all of the bad stuff that happened in 2020 I wanted this positive and uplifting album to happen in the very same year.

Couldn’t be a risk to release a new album every year? The music business does not live its better season.
I agree that quality is more valuable than quantity… with Iron Savior we have always been really critical with our stuff and never did a bad album. There are some better than others, but all of our releases do have a certain quality standard. Besides that I don’t think that we will continue to have new studio albums so fast after each other like with “Skycrest”, but of course we will continue to have special releases in between. For example next year is the 10th anniversary of “The Landing” and “Reforged Vol2” is in the pipeline as well

More than 7.5000,000 times people streamed “Heavy Metal Never Dies”: do you like this  new measuring instrument for the success?
Actually in general I do like those streaming services. I’m sure that it brings back a lot of people to legal usage of music. If you have a Spotify or Apple subscription you don’t go to spooky torrent sites any more. On the other hand the pay is still not adequate. This goes back to the record industry who for long years only looked at streaming services as promotional tools to sell their CD’s and therefore gave the rights away for small change… that needs to be corrected soon. In general subscriptions are good for artists, because generates a rather constant income. 

Is this album born under the influence of the Covid-19 emergency?
No! Completely not! As I pointed out earlier, I didn’t work on the album during the first strickt lockdown. The whole situation was just too depressing, so I was unable to sit in the studio and work on uplifting and positive Iron Savior songs. I also didn’t want any negativity to somehow find its way into the songs, so I rather paused instead of doing dark and depressive stuff.

How is Jan now?
He is doing fine. Of course he still has some issues he has to deal with, but the cancer itself is beaten. He is still recovering from the chemotherapy, but it’s getting better and better!!!

Are you okay with sending files back and forth and working that way or do you wish for the good old days?
Both is fine for me. When there is little time or big distance involved, sending files back an forth is a very effective way. For “Skycrest” we came back to do it the old fashioned way in the studio. Needless to say that for the fun of it and the “vibes” this is still the best method.

You have declared “I think “Skycrest” has all the potentials to become one of the best albums that Iron Savior have ever released and it alines with highlights such as the highly acclaimed self-titled debut, “Condition Red”  and “The Landing””.  Why are you so satisfied of this release?
I think the songwriting and arrangements is just 100% on spot. The sound is killer, the dynamics and musical range is perfect, the album breathes so much emotion and energy… when you start listening to the album it will capture you from the very first note until the last one fades out.

Are really “Iron Savior”, “Condition Red”  and “The Landing” your best albums?
My best alums are: “Iron Savior”, “Unification”, “Interlude”, “Dark Assault”, “Condition Red”, “Battering Ram”, “Megatropolis”, “The Landing”, “Rise Of The Hero”, “Titancraft”, “Kill Or Get Killed” and “Skycrest”.

After the release of the debut did you think you were here after almost 25 years with your 13th studio album?
No, the first album was done under the idea that I will remain mainly a “sound-guy“. I did the first one to prove to myself, that I am capable of doing it. That this would be the ignition of this career never came to my mind.

U.D.O. – Sinfonia metallica

Il metal che flirta con la classica non è una novità, su questo non ci piove. Però fa sempre piacere poter ascoltare dei brani nati dall’unione di intenti di musicisti con estrazioni differenti, perché “We Are One” (AFM Records) non è il solito disco di reinterpretazioni in chiave orchestrale di vecchi classici, ma una raccolta di pezzi nuovi che hanno visto lavorare fianco a fianco gli U.D.O. con il direttore Christoph Scheibling e ben due arrangiatori, Guido Rennert e Alexander Reuber. A parlarcene è il figlio di Udo Dirkschneider, senonché batterista della band teutonica, Sven.

Benvenuto Sven, quando è nata l’idea dell’album orchestrale?
Ehi Giuseppe, grazie per avermi contattato! Proverò a farla breve … ahah! Abbiamo suonato il nostro primo spettacolo con questa orchestra al Wacken Open Air nel 2015. Tutti sono rimasti colpiti dalla reazione del pubblico e dall’energia e dalle emozioni che stavano scaturendo dal palco. È stato sicuramente uno dei momenti salienti della mia carriera e penso di poter parlare anche a nome degli altri ragazzi della band. Qualche mese dopo, abbiamo avuto l’idea di fare un altro spettacolo insieme, ma questa volta volevamo che fossero ben due ore di show. Come puoi immaginare, il tempo a disposizione durante il Wacken è limitato, nel nostro caso avevamo avuto solo 75 minuti a disposizione. Detto fatto: ci siamo esibiti insieme a Elspe in Germania nel 2018 davanti a quasi 4000 persone e di nuovo l’atmosfera è stata fantastica! Dopo questo spettacolo, abbiamo bevuto un paio di drink insieme ai ragazzi dell’orchestra e abbiamo tenuto delle piacevoli chiacchierate. Ci siamo detti: vi immaginate che bello sarebbe fare un album insieme? E tutti ci siamo risposti: diavolo, sì! E poi: sarebbe più bello scrivere delle canzoni insieme e non solo ri-arrangiare materiale già esistente! Una sorta di plebiscito, tutti eravamo concordi che fosse un’idea fantastica e l’abbiamo realizzata.

Siamo partiti, però, da un momento successivo, la vostra esibizione al W:O:A:, ma come siete entrati in contatto con la Musikkorps der Bundeswehr (l’orchestra delle forze armate tedesche)?
In realtà ci hanno contattato. Gli U.D.O. già nel 2013 avevano suonato in uno spettacolo con la Navy Orchestra delle forze armate tedesche. Abbiamo anche registrato un DVD, “Navy Metal Night”. Poco tempo dopo questo spettacolo l’orchestra di Wilhelmshaven in Germania è stata sciolta. Più o meno un anno dopo, la banda delle forze armate tedesche ci ha contattato e ci ha chiesto se avessimo voluto continuare il viaggio con loro. E così è stato: siamo andati alla grande e abbiamo suonato al Wacken!

Quanto è stato difficile far sposare il vostro metal con la musica da orchestra?
Non è stato così difficile come si potrebbe pensare… Abbiamo avuto circa una tarentina idee di canzoni per questo album e, dopo diversi incontri con il direttore Christoph Scheibling e i due arrangiatori, Guido Rennert e Alexander Reuber, abbiamo fatto una cernita. Butate giù le versioni demo, siamo passati ad organizzare le parti d’orchestra. Hanno fatto un lavoro fantastico! Quando abbiamo ascoltato i primi loro arrangiamenti, ci siamo trovati innanzi esattamente a quello avevamo desiderato che fosse il risultato finale! Ovviamente, ci sono satti molti dettagli da limare ed è stato necessario quasi un anno per scrivere e registrare tutto, ma l’intero processo è stato molto divertente!

Che tu sappia, Udo ha cambiato la sua tecnica vocale per questo album?
Ad essere sincero, non credo proprio! Non posso parlare per lui, ma personalmente ritengo che abbia cantato come sempre!

Almeno all’esterno, il mondo della classica appare alquanto snob, sopratutto nei confronti di un genere come il metal: invece, dalle tue parole, mi pare di capire che non sia andata affatto male dal punto di vista umano con i 60 musicisti dell’orchestra, no?
Posso sicuramente negare in modo categorico lo snobbismo! Sono tutte persone molto simpatiche e amichevoli e ci siamo divertiti tanto insieme al Wacken, all’Elspe e durante il processo di creazione di questo album. Sono tutti musicisti di alto livello e tutti ardono di passione per la musica! Abbiamo anche trascorso dei bei momenti nei bar dell’hotel…

Tornando al Wacken e all’Elspe, quanto sarebbe stato importante oggi a livello simbolico, durante lo stop parziale imposto dal Covid, pubblicare un album dal vivo con l’orchestra?
Secondo me, anche questo album contuene un messaggio speciale, soprattutto in questi tempi folli: Siamo “uno” e “noi” dovremmo agire come “uno” e “noi” dovremmo aiutarci a vicenda e non ucciderci a vicenda! Sarebbe stato fantastico presentare questo album a questa edizione del Wacken Open Air, ma sfortunatamente non sarà possibile. Posso già dirti che siamo stati confermati per il WOA 2021 e neon vediamo l’ora di poter suonare di nuovo dal vivo!

Mettiamo da parte il nuovo album e passiamo alla tua sfera personale: Sven, durante la tua infanzia hai fatto qualche tour con tuo padre? Hai particolari esperienze o ricordi da raccontare?
Non sono mai andato propriamente in tournée con lui quando ero un bambino. Certo durante le vacanze scolastiche, io, mia sorella e mia mamma, abbiamo viaggiato il più possibile con lui! Sono andato a molti grandi concerti da bambino e ho incontrato molte persone fantastiche! Ricordo che stavamo andando a uno show dei Motörhead a Düsseldorf, dovevo aver avuto 10 anni o qualcosa del genere, mi sono imbattuto nel drumkit di Mikkey Dee, durante l’intero concerto mi sono piazzato là dietro e mi sono goduto la sua prestazione. È un gran bel ricordo per me!

Magari è stato in quel momento che hai deciso di diventate un batterista e non un cantante?
In realtà, è successo tutto in modo naturale. Quando avevo cinque anni ho avuto in regalo per natale una piccola chitarra e alcuni bonghi: ovviamente mi sono fiondato sui bonghi. Ricordo che quel giorno a casa mia c’era l’ex bassista Fitty Wienhold, si è messo a suonare qualcosa con la chitarra che avevo appena ricevuto in dono – c’è anche suo video, credo – io ho iniziato a contare 1,2,3,4 in tedesco e mi sono messo a colpire i bonghi. In qualche modo, sono anche andato a tempo! Da quel momento in poi è stato chiaro per i miei genitori che mi sarei messo a suonare la batteria. Ho iniziato a prendere lezioni all’età di cinque anni. Oggi canto parecchio, ci sono un sacco di mie linee vocali nei lavori degli U.D.O. e nei live. Abbiamo anche fatto un duetto vocale insieme su “We Are One”. Ricorco che la abbiamo cantato insieme per la prima volta su “Here We Go Again”.

È difficile lavorare con tuo padre?
Assolutamente no! È un padre molto simpatico ed è anche un grande amico! Passiamo dei bei momenti insieme ed è molto divertente esibirsi con lui sul palco!

Il mio concerto preferito per band e orchestra è “Live with the Edmonton Symphony Orchestra” dei Procol Harum, qual è il tuo?
Penso che sia quello Deep Purple con la Royal Philharmonic Orchestra del 1969.

Finito l’approfondimento sulla tua vita personale, tornerei in conclusione nuovamente all’album: nella storia della musica ci sono un sacco di album metal con orchestra, c’è qualcosa che differenzia questa vostra uscita da quelle degli altri?
Penso che la differenza principale sia che questa musica è stata scritta insieme all’orchestra e non abbiamo riversato su disco materiale già esistente con arrangiamenti classici. Molte band, specialmente nel metal, hanno lavorato insieme con un’orchestra ma il più delle volte con un’orchestra sinfonica per archi e non con una sinfonica di ottoni. Questo lo rende molto speciale. Anche l’orchestra di archi è fantastica, non fraintendetemi, ma rende la musica più “morbida” per la maggior parte del tempo. Un’orchestra di ottoni rende la nostra musica ancora più forte e più potente. La rende ancora più heavy metal. Letteralmente.

Angband – 100% metallo persiano

La vita per i metallari in Italia è complicata? Provatelo a dire a Mahyar Dean, il leader degli iraniani Angband, autori del debutto “Rising from Apadana” (Pure Steel Records).

Ciao Mahyar, potresti presentare la tua band ai nostri lettori?
Ciao Giuseppe, Beh io alla chitarra, Ashkan Yazdani alla voce, Ramin Rahimi alla batteria e percussioni e, di recente, un giovane musicista di talento, chiamato Bass M. Halaji, si è unito al gruppo.

Quando ho letto il tuo Paese d’origine ho detto: “ok, un altro album con influenze folk…”, ma durante l’ascolto mi sono trovato di fronte a un CDdi fottuto Heavy Metal! Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato?
Un sacco di grandi band come Death, Judas Priest, King Diamond, Iron Maiden, Blind Guardian, Iced Earth, Megadeth e molti altri. Ascolto anche musica classica e monodie folk persiane.

Allora, passiamo alla disamina di “Rising From Apadana”
“Rising From Apadana” è un power metal/thrash album con alcuni spunti progressive ed epic. Abbiamo lavorato sodo per questo disco.

La voce di Ashkan Yazdani mi ha ricordato quella di King Diamond…
Sì, ci piace molto King Diamond. Ashkan ha un grande talento e alcuni dicono anche che la sua voce assomigli a quella di Matt Barlow degli Iced Earth .

Di cosa parlano i testi?
La maggior parte dei testi sono inerenti a fatti di vita e alla storia antica della Persia, come “The King’s Command”, che parla di Ciro il Grande.

Sei felice del risultato finale o, potendo, cambieresti qualcosa?
Sì Sono davvero felice, tenendo presente che abbiamo avuto un termine per il completamento, dato che Ashkan era in partenza per la Svizzera, e abbiamo dovuto finire l’intero album in 3-4 mesi. Certo se avessimo avuto migliori apparecchiature, avremmo potuto fare ancora meglio.

Della copertina cosa mi dici?
Mio fratello Maziar Dean ha fatto la foto e l’ha modificate ad opera d’arte; lui è un grafico professionista e fotografo.

Soddisfatti del lavoro svolto dalla Pure Steel Records?
Si, Andy e Markus Lorenz sono cool metal brothers che credono nel vero metallo, anche Rocco Stellmacher ha fatto un buon mastering.

Oggi, qual è lo stato di salute di metallo in Iran?
Buono: adesso ci sono un paio di formazioni che suonano cover strumentali in piccoli teatri, e si possono vedere all’opera giovani amanti del rock e del metal. Negli anni 70 c’erano un sacco di fan del prog rock nel nostro Paese e il metal ha radici profonde qui. Penso che se non vi fossero problemi con la legge la scena sarebbe grande come in Giappone!

Attività dal vivo?
Nulla per ora, ma speriamo che si possa fare qualcosa dal vivo dopo il nostro secondo album, che dovrebbe uscire nel 2009.

Le ultime parole famose…
Prima di tutto grazie a te e ai tuoi… E come diceva il mio borther of metal Cuck Schuldiner (Mahyar ha scritto la biografia ufficiale dei Death) (RIP): “Let the Metal Flow”.

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2008 in occasione dell’uscita di “Rising from Apadana”.
http://www.rawandwild.com/interviews/2008/int_angband.php