Hierophant – Mortem aeternam

Probabilmente gli Hierophant c’hanno impiegato più del previsto per dare un successore a “Mass Grave”, però dalle parole di Fabio Carretti appare subito chiaro che l’attesa non è stata vana, i ravennati, infatti, sono pienamente soddisfatti di “Death Siege” (Season of Mist). E noi non possiamo che condividere questa opinione…

Benvenuto Fabio, “Death Siege”, il vostro quinto full-length uscirà il 26 agosto. Ho letto una dichiarazione di Lorenzo che dice che si tratta del miglior disco degli Hierophant. Cos’ha di più questo disco rispetto ai suoi predecessori?
Ciao Giuseppe. Che dire, non posso che essere d’accordo con Lorenzo: “Death Siege” è il frutto di un’evoluzione durata anni, ed è esattamente il disco che avevamo in testa e volevamo fare da tempo. Se gli ultimi due anni non fossero stati così, sarebbe arrivato molto prima.

Quando avete iniziato a lavorare sui brani avevate già un’idea di massima sul risultato finale?
Assolutamente sì, siamo partiti da un mood (total chaos), che ci ha guidati durante la stesura dei brani. Ad oggi, dopo mesi e mesi di ascolti, personalmente non cambierei una virgola.

In qualche modo avete cambiato il vostro modo comporre e registrare in questa occasione?
Nostro malgrado, sì. Il piano era di metterci a testa bassa sul disco nuovo a inizio 2020, per farlo uscire idealmente appena dopo l’estate ed iniziare la promozione con tour invernali e fest estivi dell’anno successivo, ma ovviamente non è stato possibile. La scrittura dei pezzi è avvenuta al 100% da remoto, ci siamo dovuti far andare bene un qualcosa che non ci appartiene, ma se non c’è soluzione non c’è neanche problema. Il disco andava fatto, e così è stato.

L’EP “Spawned Abortions” in qualche modo vi è servito come “palestra” per “Death Siege”?
Beh sì, ricollegandomi al discorso delle tempistiche fatto sopra, già nel 2018 – anno di uscita del 7″ “Spawned Abortions” – era molto chiaro dove eravamo diretti. Credo che “Death Siege” sia un’evoluzione molto naturale di quello che il sopracitato singolo aveva preannunciato.

Gli avvenimenti nefasti in questi ultimi anni non sono mancati, la pandemia e il ritorno della guerra sul territorio europeo sono solo alcuni degli aspetti che hanno condizionato la nostra vita ultimamente. A livello lirico queste vicissitudini vi hanno influenzato in qualche modo?
Avendo scritto io tutti i testi, credo di poterti rispondere in modo piuttosto esaustivo: no, in nessun modo. Volevamo trasmettere questo tipo di emozioni anche prima, anche perché il disco è pronto già da diverso tempo. Sicuramente gli ultimi due anni non ci hanno fatto cambiare idea, anzi.

Mi pare che in questa occasione avete scelto un approccio grafico differente, almeno per la copertina. Chi è l’autore della cover e cosa significa?
Corretto. Abbiamo voluto dare un taglio più evocativo ed oscuro agli artwork che accompagneranno tutto il periodo di “Death Siege”. L’autore è Abomination Hammer (IG: @abomination.malleo) e in realtà non c’è tanto da dire sul processo creativo dietro all’artwork; chiunque abbia lavorato con degli artisti di talento potrà confermati che il modo migliore per ottenere un risultato eccelso sia comunicare un mood, stabilire qualche idea a grandi linee, e lasciare piena libertà.

Il vostro precedente album, “Mass Grave”, è uscito per Season of Mist, il passaggio a una grande etichetta ha in qualche modo favorito la vostra crescita e la vostra notorietà?
Molte persone hanno un’idea piuttosto sbagliata e lontana dalla realtà riguardo le case discografiche. La label si occupa della produzione, promozione e distribuzione del disco; tutto quello che viene dopo come ad esempio tour, festival o qualsiasi tipo di altra attività relativa alla band è responsabilità di quest’ultima.

Al di là della presenza di un etichetta più o meno influente alle spalle, quanto conta poter girare per poter promuovere un disco e quanto i blocchi dovuti alla pandemia vi hanno danneggiato da questo punto di vista?
Suonare nelle giuste situazioni è l’unica cosa che realmente conta, e non poterlo fare per due anni è stato a dir poco devastante. Come dicevo nella domanda precedente, l’etichetta è piuttosto ininfluente al fine di trovare buoni ingaggi, ma è un discorso generale e ovviamente non legato alla nostra situazione nel dettaglio. Season of Mist sta lavorando molto bene su “Death Siege”, siamo contenti di come stiano andando le cose per ora.

Quali brani di “Death Siege” proporrete dal vivo nelle prossime date?
Se il tempo del set lo permetterà, tutti.




Ophidian I – Spiral to oblivion

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Provenienti dalla fredda dall’Islanda, gli Ophidian I fin dai primi giorni di vita si sono fissati il chiaro obiettivo di raggiungere le vette più alte del metal tecnico in termini di perizia, arrangiamenti e suono. Dopo l’uscita del primo full-lenght, “Solvet Saeclum”, la band torna con la nuova opera “Desolate” (Season of Mist), probabilmente uno dei migliori album dell’anno.

Benvenuto Daniel (Máni Konráðsson – chitarra), come è nato il nome della tua band e quando avete deciso di creare il gruppo?
Grazie! La band è nata nel 2010 come pretesto per alcuni amici per stare insieme e festeggiare mentre si suonava death metal. Un’attrazione reciproca verso le band death metal tecniche come Necrophagist, Spawn of Possession e Psycroptic ci ha uniti. Una vera e propria riverenza per la musicalità e la qualità del materiale di quelle band è stata determinate. Non molto tempo dopo la formazione ha preso una pausa durante la quale noi membri abbiamo continuato a lavorare su altri progetti musicali nei quali siamo stati in grado di affinare ciascuno dei nostri tratti individuali. L’idea di creare musica tecnica non ha mai lasciato completamente le nostre teste e dopo alcuni anni ci siamo riuniti di nuovo e abbiamo discusso sull’opportunità di creare un po’ di musica insieme sotto la bandiera degli Ophidian I, ma questa volta ricominciando con un nuovo sound, materiale, metodologia e membri. Quindi sostanzialmente consideriamo questa attuale incarnazione come una vera e propria nuova band. Il nome era originariamente il titolo provvisorio per una canzone su cui stavamo lavorando. Il suo suono ci sembrava e ci sembra buono, quindi abbiamo deciso di usarlo anche per il gruppo.

Dopo un album per la SFC Records, è uscito il vostro debutto con la Season of Mist! Come è cambiata la vostra carriera dopo l’accordo con l’etichetta francese?
Lavorare con la Season of Mist è stato assolutamente vitale per portare l’album e la band al grande pubblico. Hanno una squadra fantastica che lavora con noi e non potremmo essere più felici. In questa epoca in cui ci sono tanti modi diversi per far promuovere la tua musica, può essere complicato emergere dalla massa. Avere un’etichetta come la Season of Mist aiuta moltissimo in questo senso. Hanno un talento innato per il business e sanno come gestirlo. Quanto al come è cambiata la nostra storia, per noi è stata una rivoluzione a 180°. Ci stavamo concentrando sulla creazione di “Desolate” e abbiamo pensato che la band richiedeva di essere presentata come una nuova realtà, quindi siamo partiti da zero in termini di marketing.

Che peso dai a ciò che i fan e i critici dicono delle vostre uscite?
Non presto molta attenzione a queste cose. È bello ricevere attenzione e recensioni, ma non le leggo. Sono fiducioso nella musica che facciamo e non sento il bisogno né di gratificazioni né di suggerimenti. Detto questo, è fantastico vedere il nome della band apparire dappertutto, quindi direi che è questa la nostra misura del successo; vedere il nome della band in vari posti e chat.

L’ etichetta descrive il vostro album con queste parole: “”Desolate” piacerà a tutti coloro che cercano il massimo della musicalità militante su tutti i fronti”. Sei d’accordo?
Sì, sosterrei questa affermazione al 100%. Gran parte del nostro suono si basa sulle capacità tecniche e sull’esecuzione corretta di ciascun membro, quindi per coloro che sono attratti da quegli attributi nelle loro scelte musicali, direi che gli Ophidian soddisfano sicuramente questa richiesta.

Avete un un approccio molto tecnico. Quante ore dedicate ogni giorno allo studio dei vostri strumenti?
Dipende su cosa stiamo lavorando e da cosa abbiamo in mente. Prima di registrare “Desolate” ci siamo incontrati il ​​più spesso possibile. Circa 3-4 volte a settimana. Prima degli spettacoli di solito provavamo nei giorni precedenti. In questo momento stiamo solo provando ogni tanto per tenerci in forma (e quando il COVID ce lo permette). Per quanto riguarda la routine di pratica di ognuno di noi nella band, suppongo che siano tutte abbastanza diverse. Per quanto mi riguarda, suono spesso la chitarra durante il giorno, ma non per molto tempo (10-15 minuti in genere). Probabilmente consiglierei a tutti un approccio simile poiché passare molte ore con lo strumento in mano non porta altro che problemi.


La vostra musica è complessa, ma le nuove canzoni durano tutte meno di 5 minuti. Corto è meglio? Come riuscite a racchiudere così tanta abilità in una canzone breve?
È stato piuttosto complicato, ma è sicuramente qualcosa su cui abbiamo deciso consapevolmente di puntare. Volevamo portare un elemento molto tradizionale all’aspetto del songwriting e provare ad applicare motivi e metodi usati nella musica tradizionale/pop/rock per creare le canzoni. Quindi generalmente abbiamo iniziato con una struttura di accordi o hook che poi avremmo sviluppato. Questo in genere ha reso le canzoni più concise in quanto non stavamo accumulando un mucchio di riff casuali che non si adattavano alla canzone. Dopo aver ascoltato alcune tracce, usando questo metodo, ci siamo sentiti molto a nostro agio a lavorare in questo modo. Abbiamo anche deciso di utilizzare l’aspetto tecnico per cercare di portare avanti le nostre aspirazioni per le strutture delle canzoni tradizionali e rendere le caratteristiche orecchiabili e ancora più accattivanti. È stato molto bello farlo perché ci sembrava di aprire un nuovo orizzonte ed essere in grado di applicare direttamente idee e motivi di altri generi: era un mio obiettivo personale che è stato fantastico raggiungere.

Quanto tempo impiegate di solito per scrivere un album?
Dipende da come si incastrano le cose. C’erano canzoni che sono state scritte in una seduta e ce ne sono state altre che abbiamo lasciato cuocere a fuoco lento per alcune settimane. Direi che l’intero processo ci ha richiesto circa 6 mesi probabilmente perché abbiamo fatto demo pre-prodotti prima di provare e rifinire il tutto accordando le canzoni e poi tornando indietro per una demo definitiva. Dopo essere andati avanti e indietro in questo modo un paio di volte per ogni canzone, eravamo pronti per andare in studio.

Amo l’artwork di “Desolate” di Eliran Kantor, mi ricorda le vecchie copertine degli album degli Yes. Di chi è stata l’idea?
Abbiamo portato l’idea a Eliran e lui ha sviluppato alcuni suoi spunti che solo la sua maestria poteva tramutare in realtà. La comunità metal è super fortunata ad avere un grande artista come Eliran che opera tra le sue fila. È davvero di un altro livello. Volevamo che l’artwork rappresentasse il mondo in cui sono ambientate le canzoni. Un mondo simile a quello da cui veniamo (Islanda) ma pur sempre una variante molto diversa, dura e lontana. Eliran ha ottenuto questo effetto quasi esattamente come l’avevamo immaginato.

Avete testato, prima del lockdown, la vostre nuove canzoni sul palco?
Sì, c’erano alcune canzoni, non tutte, che siamo stati in grado di testare e sentire dal vivo. È stato molto bello farlo, dato che l’intero concetto di essere e lavorare in una band ruota attorno alla performance dal vivo. Sono brani fantastici da suonare, difficili ma davvero divertenti!

Come cambia il vostro sound sul palco?
È abbastanza simile all’album, a parte forse gli strati di chitarra. Durante la registrazione dell’album abbiamo deciso di armonizzare molti degli assoli e le chitarre ritmiche, e alcune volte nello stesso momento. Quindi, dal momento che non abbiamo quattro chitarristi nella band, questi effetti non saranno presenti. Tuttavia, le canzoni sono state tutte provate senza le armonie extra, quindi siamo molto contenti anche del suono senza di esse.

Emerging from Iceland, Ophidian I from the first days had clear goal of reaching the apex of technical metal in terms of proficiency, arrangements and sound. After the release of the first full-length, “Solvet Saeclum”, the band is back with the new opus “Desolate” (Season of Mist), probably one of the top album of the year.

Welcome (Máni Konráðsson – guitars), what’s the story behind your band name and its formation?
Thank you!  The band was initially formed in 2010 as an excuse for some friends to get together and party while playing death metal. A mutual attraction towards technical death metal bands such as Necrophagist, Spawn of Possession and Psycroptic brought us together. A reverence for the musicianship and the quality of the material from the aforementioned bands felt very appealing and we all shared that delight. Not long after the band took an hiatus where the members continued to work on other musical projects where we were able to hone in on each of our individual traits. The idea to create technical music never quite left our heads and after some years had passed we got together again and discussed creating some music together under the Ophidian I banner, but this time start anew with a new sound, material, methodology and members. So we essentially view this current iteration of the band as a new band basically. The band name was originally a working title for a song we were working on. The sound of the name felt and looked good to us, so we decided to use it as a band name.

After one album for SFC Records, your debut under Season of Mist  is out! How is changed your career after the deal with the French label?
Working with Season of Mist has been absolutely vital in bringing the album and band to the masses. They have a fantastic team working with us which we couldn’t be happier to be paired with. In this day and age where there are multiple ways of getting your music out there it can be hard to cut through the noise. Having a label such as Season of Mist helps tremendously in that regard. They have an inherent knack for the business and how to operate it. As for how it has changed, it’s a complete 180° for us. We were just focusing on creating ‘Desolate’ and figured the band ought to be introduced as a new one so we started from scratch in terms of a marketing standpoint.

How do you measure the importance of what the fans and critics say about your releases?
I don’t pay attention to it all. It’s great to get attention and reviews, but I don’t read them. I’m confident in the music we make and don’t feel the need for either gratification or suggestions. That being said it’s awesome to see the band name pop-up all over, so I’d say that’s our measure of success; seeing the band name at various places and conversations.

Your label describes your new album with these words: ““Desolate” will appeal to all those who seek peak militant musicianship on all fronts”. Are you agree?
Yes I would back that statement 100%. A big portion of our sound relies on technical abilities and proper executions from each member, so for those that are drawn to those attributes in their musical choices I’d say Ophidian I definitely fulfils that demand.

You have a quite technical level.  How many hours do you spend daily to work on your instruments?
That very much depends on what we’re working towards and what we have coming up. Before recording ‘Desolate’ we got together as often as we could. About 3-4 times a week. Before shows we’d usually rehearse in the days leading up to it. Right now we’re just rehearsing every now and then to keep us in shape (and as COVID allows us). As for the practice routine of each of us in the band, I suppose they are all quite different. Speaking for myself I play the guitar often during the day, but not for very long at a time (10-15 minutes generally). I’d probably recommend a similar approach to others as spending many hours with the instrument in hand brings nothing but problems.

Your music is complex, but the new songs are all under 5 minutes long. Short is better? How do you manage to pack so much skill in a short song?
That was quite tricky but definitely something we made a conscious decision to opt for. We wanted to bring a very traditional element to the songwriting aspect and try to apply motifs and methods used in tradition/pop/rock music to create the songs. So we generally started with a chord structure or a hook we’d then work our way from. This generally made the songs more concise as we weren’t cramming a bunch of random riffs together that don’t fit the song. After we’d gone through a few songs using this method we became very comfortable working like this. We also decided to use the technical aspect to try and further our aspirations for traditional song structures and make the catchy features even more catchy. This felt super good to do as it felt like paving new ground and to be able to directly apply ideas and motifs from other genres was a personal goal of mine that was awesome to achieve.

How long does it usually take you to write an album?
That depends on how well in-the-zone we get. There were songs that were written in a sitting and there were others that we let simmer over a few weeks. I’d say the whole process took us about 6 months probably as we did pre-produced demos before rehearsing and fine-tuning the songs and then went back in for a revised demo. After going back and forth like this a few times for each song we then were ready to head to the studio.

I love “Desolate” artwork by Eliran Kantor, reminds the old covers of Yes albums. Whose idea was it?
We brought the idea to Eliran and he applied some ideas of his own and then brought them to life only him and his mastery could. The metal community is super lucky to have a great artist like Eliran operating within its ranks. He is truly in a league of his own. We wanted the artwork to represent the world in which the songs are set. A world that’s similar to the one we hail from (Iceland) but still a very different, harsh and distant variant. Eliran achieved that almost exactly as we envisioned.

Did you check, before the lockdown, your new song on stage?
Yes, there were a few songs, not all of them, that we were able to test and feel out a bit in a live setting. That felt very good to do as the whole concept of being and working in a band revolves around the live performance. They are awesome to play, really hard but really fun!

How does your sound change on stage?
It’s pretty similar to the album, apart from maybe the guitar layers. During the recording of the album we opted to harmonize many of the solos and the rhythm guitars, and some at the same time. So since we don’t have four guitar players in the band those won’t be present. However, the songs were all rehearsed without the extra harmonies so we are very happy with the sound without them as well.

Nightfall – Nighttime prey

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Dopo 11 anni, per i Nightfall è arrivato il momento di rimettersi in gioco con il nuovo album “At Night We Prey” (Season of Mist Records), un’opera molto oscura e personale, che affronta il tema della battaglia di Efthimis Karadimas contro la depressione.

Ciao Efthimis, dopo tutti questi anni sei ancora eccitato prima della data di uscita di un tuo nuovo album?
Penso che questo sia il motivo principale per cui facciamo musica, Giuseppe, l’eccitazione. Sì, lo sono, e spero che sarai anche tu grazie ad “At Night We Prey”, mio ​​amico.

I vostri ultimi due album, “Astron Black and the Thirty Tyrants” e “Cassiopeia”, sono stati accolti con buone recensioni e sono stati molto apprezzati dai fan, sarà lo stesso per “At Night We Prey”?
Lo spero. Abbiamo fatto del nostro meglio per produrre un album heavy, con buona musica e un profondo significato lirico: la depressione. Sono sicuro che hai sentito molto parlare di questa malattia. È stata una pandemia ben prima dell’attuale Covid-19 e, sebbene molti di noi ne soffrano, solo pochi ne parlano apertamente. Con “At Night We Prey” vogliamo affrontare questo problema e ispirare le persone, soprattutto di età più giovane, ad accettarla come una situazione normale, senza paura del rifiuto o paura di essere stigmatizzati dagli altri.

Dopo la pausa del 2013, quando hai sentito che era il momento di tornare con un nuovo album dei Nightfall?
Era giunto il momento di iniziare la quarta stagione della serie chiamata Nightfall. Siamo il tipo di artisti che hanno bisogno di lunghe pause per far crescere l’ispirazione. Se vedi la nostra discografia, noterai che ne abbiamo fatte parecchie. Nel dettaglio delle stagioni: 1 ° negli anni ’90 con i dischi della Holy; 2 ° negli anni 2000 con la Black Lotus; 3 ° negli anni ’10 con la potente Metal Blade; e ora la 4 ° negli anni ’20 con SoM. Immagino che il nostro approccio alla pubblicazione degli album sia più vicino a quello della cinematografia o di Netflix che all’industria musicale.

Dopo due album è finita l’avventura The Slayerking?
Non direi. Dobbiamo ancora fare tante cose congli The Slayerking. Dopo tutto quel gruppo mi ha trascinato fuori dal mucchio di merda che era la mia vita pochi anni fa. E’ stata la mia psicoterapia e grazie ad essi i Nightfall hanno seguito l’esempio. Hai ascoltato “Tetragrammaton”? Sono molto orgoglioso di quell’album.

At Night We Prey” è caratterizzato dal ritorno di Mike Galiatsos, come è stato lavorare di nuovo con il tuo vecchio fratello d’armi?
È sempre bello suonare con dei buoni amici.

Secondo il foglio promozionale, il concept dell’album riguarda la tua battaglia contro la depressione: “At Night We Prey” è il tuo album più introspettivo?
È un argomento molto serio e, poiché è una storia vera e io sono abbastanza maturo per scriverne e cantarne, ne esce forte e solido. In questo senso, suona sicuramente come l’opera più introspettiva di tutte. Ho saputo della mia situazione non molto tempo fa e la decisione di uscire allo scoperto e parlarne apertamente è stata immediata. Non ci ho pensato molto. Mi sono detto, avrei dovuto prestare maggiore attenzione ai segni in questi anni, e agire molto prima, anni fa, e non soffrire come ho fatto, senza conoscerne il motivo. Questo è il messaggio di questo album attraverso il mio paradigma: apriti, parlane, accetta la situazione e chiedi assistenza medica. Non cadere nella trappola di “Sto bene, mi sono solo sentito un po’ giù ma ora sto bene” per paura di essere stigmatizzato dagli altri. Le generazioni precedenti avevano un approccio molto stupido alla depressione: uno è normale o pazzo, pazzo, pazzo. Non c’è niente in mezzo. Questo stereotipo ha fatto soffrire molte persone nell’ombra. Questo deve finire adesso! Dobbiamo fermarlo.

In “At Night We Prey” c’è un feeling di vecchi Nightfall, come un ritorno alle radici del tuo sound: sei d’accordo?
Sono molto confuso su quali siano le nostre radici e dove stanno andando. Penso che ci evolviamo come band ogni volta e, a volt,e le cose che stiamo facendo ricordano situazioni precedenti. Ma siamo sempre in movimento. Il movimento è fondamentale nella nostra arte. Le radici sono per gli alberi. Le persone sono fatte per andare sempre avanti, e questo è ciò che rende l’arte e la vita eccitanti.

Non solo il prossimo album, la vostra nuova etichetta, la Season of Mist, ha ristampato gli album che erano stati prodotti dalla Holy Records negli anni ’90. Cosa ne pensi di “Holy Nightfall – The Black Leather Cult Years”?
È stupefacente. Questi album della prima stagione dei Nightfall meritavano di essere ristampati. La gente continuava a chiedermelo ed è molto bello che finalmente sia successo. Sono riuscito a non rimasterizzarli, per preservare il suono originale degli anni ’90. La SoM mi ha mandato le copie del nostro LP pochi giorni fa, e devo dire che il suono è molto buono. Sai, la maggior parte di loro non è mai uscita su vinile. Quindi, è davvero una cosa importante sta accadendo. Ho appena ascoltato “Diva Futura” su vinile e suona completamente diverso dalla versione che si sente su cd, o peggio ancora su mp3. La sua produzione è fantastica e ci chiediamo quanto siamo stati capaci e fortunati in quel momento, creando un simile mostro. Tanti anni fa, e ora finalmente suona come dovrebbe. Devi assolutamente sentirli.

Nel prossimo tour suonerete più canzoni dalle vostre prime uscite?
Sì, ne abbiamo già provati due dal vivo in studio, per mostrare alle persone quanto suonano bene. Li hai guardati? “Ishtar” e “As Your God is Failing Once Again”. Fatemi sapere cosa ne pensate.

Forse per la prima volta, Nightfall, Rotting Christ e Septicflesh sono sotto la stessa etichetta, ci sarà un’opportunità di fare un tour insieme?
Un tour del genere sarebbe davvero fantastico. The Greek Holy Trinity in tour, una bella idea, ma tutto dipende dai tour booking: sono loro che organizzano tutto.

After 11 years, for Nightfall is the time to get back in the game with the new album “At Night We Prey” (Season of Mist Records), a very dark and personal effort, tackling the topic of Efthimis Karadimas’s battle with depression.

Hi Efthimis, after all these years are you still excited before the release date of your new album?
I think this is the main reason we do music these days Giuseppe, excitement. Yes, I am, and I hope you will too be with “At Night We Prey”, my friend.

Your last two albums, “Astron Black and the Thirty Tyrants” and “Cassiopeia”, were welcomed with good reviews and were loved by your fans, will be the same for “At Night We Prey”?
I hope so. We did our best to produce a heavy album, with good music and a huge meaning lyric-wise; depression. I am sure you’ve heard a lot about this disease. It’s been a pandemic well before current Covid-19, and though many of us suffer from it, only few openly talk about it. With At Night We Prey we want to address that problem and inspire people, especially of younger age, to accept it as a normal situation, without fear of rejection or fear of getting stigmatized by others. Befriend it.

After the hiatus dated 2013, when did you feel that was the moment to get back with a new album by Nightfall?
It was about time to start the 4th season of the series named Nightfall J We are the type of artists that need long pauses to let inspiration grow in. If you see our discography, you will notice we have done that quite a lot. We come out in seasons: 1st in the 90s with Holy records; 2nd in the 00s with Black Lotus; 3rd in the 10s with mighty Metal Blade; and now the 4th in the 20s with SoM. I guess our approach to releasing albums is closer to cinematography or Netflix than to music industry.

After two albums is the adventure The Slayerking ended?
No way. We still have to do things with The Slayerking. After all that band dragged me out of a pile of shit my life was into few years back. It was my psychotherapy and thanks to it, Nightfall followed suit. Did you listen to the Tetragrammaton? I am so proud of that album.

At Night We Prey is characterized by the return of Mike Galiatsos, how was to work again with your old brother in arms?
It’s always nice playing with good friends.

In according with promo sheet, the album topic is about your battle with depression: is “At Night We Prey” your most introspective album?
It is a very serious subject and because it is a true story and I am mature enough to write and sing about it, it comes out loud, and solid. In that sense, it surely sounds like the most well-presented introspective of them all. I learnt about my situation not much time ago, and the decision to come out and speak about it openly was instant. I did not think of it that much. I said to myself, I should have paid better attention to the signs all those years, and take action much earlier, years ago, and not suffering the way I did, without knowing the reason. This is the message in this album via my paradigm: open up, speak about it, accept the situation and ask medical assistance. Don’t fall into the trap of “I am ok, I just felt a bit down but now I am ok” out of fear of being stigmatized by others. Previous generations had a very stupid approach to depression: one is either normal or madman, crazy, lunatic. There’s nothing in between. That stereotype caused many people suffering in the shadows. This must stop now! We must stop it.

In the “At Night We Prey” there’s an old Nightfall feeling, like a back to roots of your sound: are you agree?
I am so confused about what our roots are and where they are going J I think we evolve as a band every time and sometimes the things we are passing through remind of previous situations. But we always are in motion. Moving is fundamental in our art. Roots are for the trees. People is good to move on all the time, and that is what makes art and life exciting, if you asked me.

Not only the next album, your new label, Season of Mist, re-realesed the band’s original albums that were produced by Holy Records back in the 90s. What do you think about “Holy Nightfall – The Black Leather Cult Years”?
It is amazing. These albums from the 1st season of Nightfall had to be reissued. People kept on asking me and it is so cool it finally happened. I managed not to remaster them, in order to preserve the original sound of the 90s. SoM sent me our LP copies few days ago, and I must say their sound is sooo good. You know that, most of them never got out on vinyl at all. So, it’s a big thing happening to us really. I just listened to the “Diva Futura” on vinyl and it totally sounds different to the album one can hear on cd, or even worse on mp3s. Its production is massive and one wonders how capable and lucky we were at that time, creating such a monster. So many years ago, and now finally it sounds as it should. You definitely oughta check them out.

In the next tour will you play more songs form your first releases?
Yes, we already did two of them live in the studio, to show people how good they sound. Have you watched them? “Ishtar” and “As Your God is Failing Once Again”. Let me know what you think.

Maybe for the first time, Nightfall, Rotting Christ and Septicflesh are under the same label, there will be an opportunity of tour together?
A tour like that would be really cool. The Greek Holy Trinity on the road. That’s a nice idea.  It all depends on the tour agencies. They arrange everything.

Auðn – Icelandic landscapes

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Gli Auðn al terzo colpo fanno ancora centro con il nuovo disco “Vökudraumsins fangi” (Season of Mist), una splendida cartolina dalla gelida Islanda.

Benvenuto Andri, 2014-2017-2020: regolare come un orologio ogni tre anni avete pubblicato un nuovo album! È solo un caso o il vostro processo di scrittura ha bisogno di questi tempi?
Grazie per avermi ospitato! Non ci avevo davvero mai pensato, ma sì, in generale ci prendiamo un po’ di tempo dopo aver finito un album per iniziare quello successivo. La velocità del processo di solito cresce dopo circa un anno e poi aumenta esponenzialmente con l’avvicinarsi delle nostre scadenze. Di solito abbiamo alcune idee sparse all’inizio, anche una o due intere canzoni, e il resto arriva molto velocemente tutto insieme di solito un paio di mesi prima di entrare in studio.

Non capisco i tuoi testi ma amo i panorama ispirati della tua musica, ma non pensi che usare la lingua inglese garantirebbe ai tuoi fan un’esperienza più completa?
Non necessariamente, penso che non capirebbero subito i testi e il dover lavorare sulla comprensione da alla musica un’ulteriore profondità mistica. Chi è estremamente curioso può sempre provare a tradurre, ma prenderei tutto ciò che si ottiene da Google con le pinze. Un’altra cosa è il ritmo dell’islandese, è piuttosto diverso dall’inglese, e abbiamo la nostra tradizione di prosa, che in realtà enfatizza quel ritmo. È qualcosa che usiamo anche quando scriviamo, anche se un po’ più liberamente.

Di cosa parlano i testi?
Toccano un’ampia varietà di argomenti, ma direi che il tema generale sono la disperazione e la depressione, ma con un pizzico di speranza e con un viaggio attraverso paesaggi grandiosi, anche se inospitali.

Si afferma spesso che il terzo album è il più importante per una band, sei pienamente soddisfatto o credi di avere ancora delle potenzialità inespresse e una lunga strada da percorrere.
Penso che finalmente abbiamo ottenuto il suono che volevamo e un buon mix tra violenza, depressione e bellezza. È difficile dire dove andremo da ora in poi, dal momento che il futuro è incerto, ma continueremo a scrivere musica, al di là di come possa andare a finire.

Al di fuori del black metal, ti ispiri ai Sigur Rós?
No.

Una delle pietre miliari della vostra carriera è stato il concerto al Wacken, dopo aver vinto la Metal Battle locale. Cosa ricordi di quel concerto e come è cambiato il vostro atteggiamento dal vivo dopo quel concerto?
Vedere il sipario aperto e circa seimila persone è stato sicuramente uno shock. Quello che abbiamo consegnato era tutt’altro che perfetto, ma abbiamo imparato molto e incontrato molte persone disponibili che ci hanno fornito feedback e critiche costruttive, e penso che abbiamo portato alcune loro conoscenze con noi a casa.

Quanto è difficile promuovere un nuovo album senza spettacoli dal vivo?
Penso che sia troppo presto per dirlo in questo momento e fortunatamente il mondo digitale mitiga alcune di queste difficoltà.

Volete trasmettere in streaming il release concert?
Questa è una buona domanda. Penso che dipenderà dal fatto se saremo in grado di suonare o meno uno spettacolo dal vivo con il pubblico in Islanda. Se le cose andranno meglio, potremmo prenderlo in considerazione.

Auðn on the third stroke still hit the mark with the new record Vökudraumsins fangi (Season of Mist), a beautiful postcard from the icy Iceland.

Welcome Andri B, 2014 – 2017 -2020: regular like a clockwork every three years you released a new album! Is this just the case or does your songwriting process need this time?
Thanks for having me! I hadn’t really thought of that, but yes, in general we take a bit of time after finishing an album to start on the next. The speed of the process usually picks up after about a year and then exponentially rises as our deadlines approach. We usually have a few loose ideas in the beginning, even one or two whole songs, and the rest comes really fast together usually a couple of months before entering the studio.

I don’t understand your lyrics but I love the landscape of your music, but don’t you think using English language would guarantee to your fans a more complete experience?
Not necessarily, I think not understanding the lyrics right away and having to work for that understanding gives the music an additional depth of mystique. Those who are extremely curious can always try and translate, but I’d take anything you get from Google with a grain of salt. Another thing is the rhythm of Icelandic, it’s pretty different from English, and we have our own tradition of prose, which actually emphasizes that rhythm. It’s something we also use when writing, albeit a bit loosely.

What are the lyrics about?
They touch on a wide variety of topics, but I’d say the general theme is desperation and depression, but with a sliver of hope and a journey through grand, if inhospitable landscapes.

It is often stated third album is the most important for a band, are you fully satisfied or have unexpressed potentials and a long road ahead to walk.
I think we’ve finally gotten the sound that we wanted, and a good mix between violence, depression and beauty. It’s always hard to say where we’ll go from now, since the future is uncertain, but we will keep on writing an releasing music, however it may turn out.

Outside black metal, are you inspired by Sigur Rós‎?
No.

One of the milestone of your career is your concert at Wacken, after you won your local Metal Battle. What do you remember about that gig and how is changed your live attitude after that concert?
Seeing the curtain open and somewhere around six-thousand people was definitely quite a shock. What we delivered was far from perfect but we learned a lot and met a lot of helpful people who gave us feedback and constructive criticism, and I think we took some knowledge from them with us back home.

How is difficult to promote a new album without live shows?
I think it’s too early to say right now, and luckily the digital world mitigates some of these difficulties.

Will you stream a release show?
That’s a good question. I think it will depend on whether we’ll be able to play a live show with an audience in Iceland. If things get better there, we might look into it.

Hooded Menace – The Blind Dead is coming in town

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

La cult doom band finlandese Hooded Menace sta per entrare in studio per le registrazioni del proprio sesto full length, che uscirà nel 2021 tramite Season of Mist. Abbiamo chiesto a Lasse Pyykkö qualche anticipazione sul prossimo album.

Ciao Lasse, sei pronto a tornare gli SF Sound Studios per il nuovo album?
Sì, abbiamo registrato la batteria presso gli SF Sound Studios e, come al solito, il resto degli strumenti viene registrato in varie località. Gli SF Sound hanno uno spazio fantastico per la registrazione della batteria e il proprietario dello studio, Kimmo Perkkiö, è un personaggio fantastico con cui lavorare, quindi tendiamo a tornare lì sempre.

Il nuovo album sarà mixato e masterizzato da Andy LaRocque, sarà ospite anche in una nuova canzone?
Questa sarebbe stata davvero una grande opportunità, ma no, non abbiamo piani del genere. Voglio dire, è uno dei miei chitarristi preferiti di tutti i tempi, ma non credo che abbiamo necessariamente bisogno di qualcuno che faccia degli assoli come ospite in questo album. Non voglio che lo faccia solo perché sono un fan del suo modo di suonare. Non voglio farlo per ragioni sbagliate, sai. Se le canzoni non sono tagliate per questo, allora perché farlo? So che starebbe bene nei credits, ma farlo solo per questo si scontra la mia coscienza.

Le nuove canzoni sono complete al 100% o scriverai alcune parti durante le sessioni in studio?
Non scriviamo mai in studio, le canzoni sono sempre complete quando entriamo.

Puoi anticipare qualcosa sulle nuove canzoni?
È roba piuttosto orecchiabile. Abbiamo sempre avuto dei contattati con la roba classica – comunque sono sempre stato un fan di quel tipo di musica – e con questo lavoro abbiamo migliorato un po’ il nostro stile in quanto a orecchiabilità, credo. C’è più roba up-tempo (ma ovviamente mai “Slayer-fast” e nanche vicino), un po’ più sulla scia di Trouble, King Diamond o qualcosa del genere. Sarà interessante vedere come la gente lo accoglierà. Quando il ragazzo degli SF Sound Studios ha ascoltato i demo ha detto: “Oh, questo sarà un album un po’ diverso dai soliti Hooded Menace”, ed ero felice di sentirlo. Ovviamente questo album è ancora un disco death / doom, ma con una nuova vena che deriva dal nostro amore per l’heavy metal degli anni ’80 di Ozzy, Accept, Dio e così via. Non sto dicendo che l’album suonerà come gli Accept, perché non sarebbe vero, ma c’è qualcosa: il modo in cui mi sono avvicinato alla scrittura dei riff e alla chitarra. Be’, è meglio che stia zitto e che lasci che gli ascoltatori giudichino se queste influenze risplendono o meno.

Come è cambiato, se è cambiato, il vostro suono dall’album di debutto?
Con ogni album siamo diventati sempre più audaci con l’uso delle melodie e ora ultimamente anche con la velocità. Inoltre, come ho spiegato prima, ora c’è un po’ più di heavy metal classico nel suono, o comunque è così che la vedo.

Come è nato il tuo amore per il doom?
Per dirla breve e semplice: Teemu (il nostro secondo chitarrista) e io abbiamo ascoltato “Epicus Doomicus Metallicus” dei Candlemass negli anni ’80. Ecco come.

Tornando ai vostri primi giorni, potresti dirmi qualcosa sul passaggio da Phlegethon a Hooded Menace?
Dopo che i Phlegethon si sciolsero nel ´92, non stavo suonando molto metal, quasi per nulla. Quindi fondamentalmente ho avuto più di un decennio di “vacanza” dal metal, per così dire, prima di ritrovare la scintilla. Da qualche parte nel 2005 ho scritto della nuova musica per i Phlegethon, ma non sono riuscito a mettere insieme una vera band. Poi ho formato la band death / grind Vacant Coffin e molto presto gli Hooded Menace. Ero molto più entusiasta della musica degli Hooded Menace, quindi la band è diventata il mio interesse principale abbastanza rapidamente.

Il mio primo approccio con la tua musica è stato il bellissimo 7 “” The Eyeless Horde E.P. “(Doomentia Records – 2008), cosa ricordi di quella pubblicazione?
Sì, quella era la nostra demo stampata su vinile. Ricordo con quanta facilità tutto si è sistemato. Non c’erano aspettative, nessuna pressione… È stata una produzione molto rilassata e facile. Quelle erano le prime due canzoni che ho scritto per gli Hooded Menace, la mia testa era esplosa per le idee. Vorrei che fosse ancora così (ride). Dopo sei album diventa un po’ più difficile, ma è una sfida che sono felice di accettare.

Nella tua carriera hai pubblicato sette split album, perché ami questo formato?
Non amo questo formato. Voglio dire, è stato divertente pubblicarli, e sono grato di aver condiviso un un vinile con band come Asphyx e Coffins ecc. E tutte le uscite sono state fantastiche, ma non sono così attratto dal formato. Preferisco di gran lunga un’uscita con una sola band. Inoltre, a questo punto della nostra “carriera”, preferisco conservare le canzoni per i prossimi album completi (ride). La nostra fase di split-mania più intensa è finita.



Amo tutte le tue copertine, qual è la tua preferita?
Probabilmente “Never Cross the Dead”.

Qualcosa sulla nuova, invece?
Non voglio ancora rivelare molto al riguardo, ma è completa e la adoriamo. È un dipinto e c’è un morto cieco (sorpresa, sorpresa!) … Questo posso dirlo.

La tua playlist per il lockdown?
Ultimamente ho ascoltato principalmente Fifth Angel “Time will Tell” e l’omonimo, Eternal Champion “Ravening Iron”, UDO “Animal House, Savatage” Power of the Night “, Duran Duran “Rio”, Dio “Lock up the Wolves”, alcune cose di Greg Howe ecc.

The Finnish doom cultists of Hooded Menace are about to enter the studio for the recordings of their sixt full length, which will be released in 2021 via Season of Mist. We asked to Lasse Pyykkö some news regarding the next album.

Hi Lasse, are you ready to back to the SF Sound Studio for the new album?
Yes, we tracked the drums at SF Sound Studio and as usually, the rest of the instruments are recorded in various locations. SF Sound has awesome room for drum recording and the studio owner Kimmo Perkkiö is great to work with, so we tend to return there again and again.  

The new album will be the mixed and mastered by Andy LaRocque, will be he guest on a new song too?
This would be a great opportunity for it indeed, but no, we don’t have such plans. I mean, he is one of my all-time favourite guitar players, but I don’t feel like we necessarily need anyone doing guest solos on this album. I’m not down for it just because I’m a fan of his playing. I don’t want to do it for wrong reasons, you know. If the songs don’t scream for it, then why do it? I know it’d look good in the credits, but doing it just for that fights my conscience.

Are the new songs 100% complete or will you write some parts during the studio sessions?
We never write in the studio. Songs are always complete when we enter the studio.

Could you anticipate something about the new songs?
It’s pretty catchy stuff.  We’ve always been about memorable stuff – I’ve always been a fan of that sort of music anyway – and with this one we upped our game a bit when comes to catchiness, I think. There’s more up-tempo stuff (but of course never “Slayer-fast” or even close), a bit more Trouble, King Diamond or something like that thrown in. It’ll be interesting to see how people will hear it. When the SF Sound Studio guy heard the demos he was like: “Oh, this is going to be a bit different Hooded Menace album”, and I was happy to hear that. Of course this album is still very much a death/doom record, but with a new twist that comes from our love for 80´s heavy metal like Ozzy, Accept, Dio and so forth. I’m not saying the album sounds like Accept, cos it doesn’t, but there’s something to it – the way I approached riff-writing and guitar playing. Well, I best shut up and let the listeners judge how those influences shine through if at all.

How is changed, if is changed, your sound form your debut album?
With each album we’ve become more and more daring with the use of melodies and now lately also with the speed. Also, like I explained before, there’s a tad more classic heavy metal in the sound now, or that’s the way I see it anyway.

How is born your love for Doom?
To put it shorty and simple; Teemu (our 2nd guitarist) and I heard Candlemass “Epicus Doomicus Metallicus” in the 80´s. That’s how.

Back to your early days, could tell me something about the passage from Phlegethon to Hooded Menace?
After Phlegethon split up in ´92, I wasn’t doing much metal, if at all. So basically I had over a decade long “vacation” from metal, so to speak, before I found the spark again. Somewhere in 2005 I came up with some new music for Phlegethon, but I couldn’t put a real band together, so that was that. Then I formed death/grind band Vacant Coffin and very soon Hooded Menace. I was much more enthusiastic about Hooded Menace’s music, so the band became my main interest pretty quickly.

My first approach with your music was the beautiful 7″ “The Eyeless Horde E.P.” ( Doomentia Records – 2008), what do you remember about that release?
Yeah, that was our demo pressed on vinyl. I remember how easily it all came together. There was zero expectation, no pressure whatsoever… It was super relaxed and easy production. Those were the first two songs I wrote for Hooded Menace and my head was exploding from ideas. I wish it was the same still (laughs). It becomes a bit harder after 6 albums, but that’s a challenge I’m glad to take. 

In you career you have released 7 split albums, why do you love this format?
I don’t love this format. I mean it’s been fun to release them, and I’m grateful for sharing a wax with bands like Asphyx and Coffins etc., and all the splits came our great, but I’m not so much into the format. I much prefer a release from just one band. Also, at this point of our “career” I rather save the songs for the next full albums (laughs). Our most intense split-mania phase is over.

I love all of your cover artworks, which is your favorite?
Probably “Never Cross the Dead”.

Something about the new artwork?
I don’t want to reveal too much about it yet, but it’s finished by now and we love it. It’s a painting and there’s a Blind Dead (surprise, surprise!)… That much I can tell.

Your playlist for the lockdown?
Lately I’ve been jamming mostly Fifth Angel “Time will Tell” and s/t, Eternal Champion “Ravening Iron”, U.D.O.”Animal House, Savatage “Power of the Night”, Duran Duran “Rio”, Dio “Lock up the Wolves”, some stuff from Greg Howe etc.

Mörk Gryning – Demonic mandala

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

I Mörk Gryning, dopo un lungo silenzio, sono tornati. Non un momento felicissimo per riprendere la strada interrotta anni orsono, ma il gruppo non sembra spaventato dal blocco imposto dal Covid 19 ed è pronto a lanciare il proprio guanto di sfida al mondo con il nuovo album “Hinsides vrede” (Season of Mist).

Draakh Kimera, nel 2017, dopo diversi festival, avete riunito la band e firmato un nuovo contratto con la Season of Mist. Dopo tre anni hai un nuovo album, ma non puoi suonarlo dal vivo!Che situazione assurda!?
Sì, davvero, fa schifo! Tutti noi artisti siamo nella stessa situazione e non ci resta altro da fare che adeguarci Ma abbiamo iniziato a provare una nuova scaletta però: sarà una carneficina!

Si dice spesso che Mörk Gryning si siano sciolti nel 2005 a causa di una sopraggiunta mancanza di interesse per il metal estremo/black, cosa è cambiato ora? Come spieghi il vostro nuovo interesse per la musica estrema?
Abbiamo sempre cercato nuovi percorsi nella vita e nella musica. A quel tempo, Goth Gorgon ne era stufo. Personalmente, non ho mai perso interesse per la musica estrema, ma avevo bisogno di fare qualcos’altro. Allora anche alcune circostanze della vita ci hanno spinto verso quella decisione. Ma come si suol dire, le radici sono sempre lì ed è questo che mostriamo in questo nuovo album.

Hai trovato subito la vecchia alchimia con i tuoi vecchi compagni di band?
Sì, certamente. Ci conosciamo da così tanto tempo, quindi è stato facile tornare insieme.

Qual è la prima canzone di “Hinsides vrede” che avete scritto?
La canzone di apertura, “Fältherren”. È stato scritta circa sette anni fa, quando sul tavolo c’erano le prime discussioni sull’eventualità di riunire la band.

Sono state scritte tutte le canzoni per questo album o alcune sono tracce inedite delle uscite precedenti?
Tutte le canzoni sono state scritte per questo album.

Puoi spiegarmi il vero significato della copertina?
L’idea è venuta da Goth Gorgon perché è molto interessato ai motivi geometrici. È una specie di
mandala demoniaco. L’idea è prende ispirazione dal testo di “Sleeping in the Embers” basato sul Libro dell’Apocalisse. “I sigilli sono stati aperti… il distruttore, il demolitore, Abaddon” questo è lo spunto. L’artista dietro questo lavoro è il nostro batterista dal vivo C-G (che ha suonato anche la batteria in due canzoni del nuovo album: “Fältherren” e “Black Spirit”).

Dopo tutti questi anni che che opinione hai del tanto controverso album “Pieces of Primal Expressionism”?
Sono molto orgoglioso di quell’album. Penso che abbiamo fatto qualcosa di abbastanza unico in quel momento, ma nessuno era davvero preparato per un disco del genere con la nostra firma. Ma posso in qualche modo capire il “dibattito” attorno ad esso. Ci sono parti che sono non necessarie lunghe e forse non si adattano, ma ci sono anche alcuni passaggi e riff che sono i migliori che abbiamo mai fatto. Per esempio l’attacco nella canzone “On the Verge of Prime Divinity”, questa è pura estasi! Credo che quell’album fosse in anticipo sui tempi in molti modi. Ma oggi farei alcuni riarrangiamenti su molte canzoni.

“Tusen år har gått …” oggi è considerato una pietra miliare, ma quando è stato rilasciato nel 1995, eravate consci cosa hai fatto?
No, non ne avevamo la minima idea. A quel tempo i MG erano solo un side-project per noi, avevamo le nostre altre band che pensavamo sarebbero diventate molto più grandi. Ma guardando indietro, oggi posso in qualche modo capire il motivo per cui ha raggiunto quello status.

Mörk Gryning, after a long silence, they are back. Not a great moment to resume the journey interrupted years ago, but the group does not seem frightened by the stop imposed by Covid 19 and is ready to throwing down the gauntlet to the world by the new album “Hinsides vrede” (Season of Mist).

Draakh Kimera, in 2017 after several festivals, you reunited the band and signed a new deal with Season of Mist. After three years you have a new album, but you can’t play it live! Such are weird circumstances!?
Yes indeed, that sucks! All of us artists are in the same situation and there´s nothing to do than to face the facts. But we have started to rehearse a new setlist though. It´s going to be a killer!

It is often stated that Mörk Gryning was dissolved in 2005 due to a lack of interest in extreme/black metal metal, what is changed now? How can you explain your new interest in extreme music?
We’ve always been discovering new paths as persons and in the music. At that time, Goth Gorgon was fed up with it. Personally, I´ve never lost interest in extreme music, but I needed to do something else. Some circumstances in life also made this decision back then. But as they say, the roots are always there and that´s what we´re showing on this new album.

Did you find immediately the old alchemy with your old bandmates?
Yes indeed. We´ve known each other for so long now so it was easy getting back together.

Which is the first song from “Hinsides vrede” you wrote?
It was the opening song “Fältherren”. It was written for some seven years ago already, when the first discussions of re-uniting the band was at the table.

Were all the songs written for this album or some of them are unreleased tracks from the previous releases?
All songs were written for this album.

Could you explain the real meaning of the cover artwork?
The idea came from Goth Gorgon as he´s very much into geometric patterns. It’s a kind of demonic mandala. The idea is taken based by the lyrics from “Sleeping in the embers” based by the Book of Revelation. “The gates were opened….the destroyer, the eraser, Abaddon” so there you have the cohesion. The artist behind this is our live drummer C-G (who´s also playing the drums on two songs on the new album: “Fältherren” and “Black spirit”).

After all these years how do you look back on the much debated album “Pieces of Primal Expressionism”?
I´m very proud of that album. I think we did something quite unique at that time, but no one was really prepared for such an album coming out from us. But I can sort of understand the “debate” around it. There are parts that are unnecessary long and maybe didn´t fit in, but also there are some parts and riff which are the best ones we´ve ever made. For exaple the stick in the song “On the Verge of Prime Divinity”, that´s pure ecstasy! I believe that album was ahead of it´s time in many ways. But I´d do some re-arrangements on a lot of songs today.

“Tusen år har gått…” today is considerate a milestone, but when it was released in 1995, were you aware of what you did?
No, we didn´t have any clue. At that time MG was just a project for us and we had our other bands which we thought was going to be much bigger. But looking back today, I can sort of understand the reason why it reached that status.

Carnation – Iron discipline

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

I Carnation sono stati per il sottoscritto un amore fulminante, scoperti poco dopo il loro esordio, li ho seguiti nel percorso di crescita che li ha portati con “Where Death Lies” (Season of Mist) a uno snodo importante della propria carriera.

Benvenuto Simon (Duson, voce), penso che “Where Death Lies” sia uno dei migliori album del 2020 e che voi siate una delle più interessanti band dell’attuale scena death metal. Ritengo che questa sia un’opinione diffusa, per questo ti chiedo se avete avvertito delle pressioni durante le sessioni di registrazione di questo full length?
Grazie per queste gentili parole! Rispetto alle sessioni di scrittura e registrazione del nostro debutto, abbiamo avvertito una certa pressione, soprattutto per quanto riguarda i vincoli di tempo perché dovevamo pubblicare il secondo non molto tempo dopo il primo. Una volta che una band pubblica il proprio primo album si presume che questa tiri fuori il seguito entro due o tre anni. Se ci mette troppo tempo, il gruppo potrebbe perdere lo slancio iniziale o le persone potrebbero perdere interesse. Questo ci è passato per la mente a un certo punto, ma non credo che ci abbia influenzato troppo… Eravamo abbastanza fiduciosi sin dall’inizio di poter scrivere un altro disco molto buono.

Dove giace la morte?
Le storie contenute nei nostri testi si svolgono principalmente in un regno immaginario. Un regno che cerchiamo di rappresentare con le nostre copertine. “Where Death Lies” significa sfidare i confini della realtà. Si tratta di cercare opportunità per prolungare la vita umana, per sua natura limitata, e di andare oltre la nostra esistenza fisica così imperfetta. Nei testi, la morte è spesso vista come una porta che condurrà a ciò che il protagonista sta cercando.

Mi hai parlato delle pressioni dettate dal calendario, ma nel dettaglio quando sono nate queste canzoni?
Tutte le canzoni sono state scritte nel 2019, la maggior parte di esse nella prima metà dell’anno. Il nostro chitarrista Jonathan è il nostro autore principale. Crea la maggior parte dei riff a casa prima di portarli in sala prove per condividerli con il resto della band. Una volta che ci riuniamo, iniziamo a lavorare sulla struttura per completarla. Dopo che tutti i brani strumentali sono stati ultimati, verso la fine dell’anno, ho iniziato a lavorare sui testi. È stato abbastanza facile collegare le liriche di tutte le nove canzoni a un certo tema centrale, perché sono state scritte nello stesso periodo.

Il brano di apertura è “Iron Discipline”, questo titolo ha ricordato più o meno la situazione che viviamo durante l’attuale emergenza Covid: serve una disciplina ferrea per preservarci. Al di là dei miei sproloqui, qual è il vero significato di questa canzone?
Si tratta della punizione che verrà scontata da colui che decide di infrangere un giuramento nel mondo immaginario di cui ti ho parlato prima. Un giuramento che ha reso questo “qualcuno” parte di un collettivo. Il titolo della canzone ha un doppio significato: da un lato, è un riferimento alla morsa di ferro che il “collettivo” ha sui suoi membri e al modo in cui ci si aspetta che obbediscano. D’altra parte, la disciplina può essere usata come sinonimo di punizione, il che ha senso in relazione al modo in cui il castigo è descritto nei testi.

Avete aperto “Where Death Lies” con una canzone diretta e con un gran groove, in generale penso che questo LP sia più vario del vostro debutto, sei d’accordo?
Sono assolutamente d’accordo con questa affermazione! Abbiamo imparato molto da “Chapel of Abhorrence”, specialmente durante l’esecuzione dell’album dal vivo negli ultimi due anni. Sembrava che avessimo bisogno di apportare alcuni miglioramenti nostro sound per il nostro secondo full-length per soddisfare la nostra creatività. Ecco perché nell’ultimo biennio abbiamo dedicato molto tempo ad affinare le nostre capacità. Jonathan, ad esempio, si è esercitato molto duramente per migliorare il suo stile. Questo è abbastanza evidente nel nuovo disco, poiché ci sono molte più parti con gli assolo e di chitarra solista rispetto a “Chapel of Abhorrence”. Volevamo anche provare un paio di stili vocali diversi in “Where Death Lies”. Non per cambiare completamente la nostra identità vocale, ma per sorprendere l’ascoltatore e risultare un po’ imprevedibili. L’idea di diversificare è venuta abbastanza naturalmente anche durante il processo di scrittura delle canzoni.

Il vostro suono non è quello tipico belga, è orientato alla vecchia scuola svedese, ma ti piacciono alcuni gruppi classici del tuo Paese come Aborted o Agathocles?
Conosciamo Sven degli Aborted da un po’ di tempo. È un amico della band e ascoltiamo la sua musica da anni. Il Belgio non ha una gran storia in ambito death, ma la scena metal in generale è piuttosto interessante. Abbiamo molti amici qui, il che è abbastanza evidente, poiché tendiamo ad aiutarci a vicenda quando è necessario. Vincent, Jonathan e Yarne hanno operato come live session per un alcune band belghe (Evil Invaders, Bütcher, Off The Cross…) in diverse occasioni. Yarne e Bert hanno anche lavorato con molte altre nel loro studio di registrazione, Project Zero. Penso che siamo in buoni rapporti con molti gruppi di queste parti.

Ti piacciono ancora le canzoni incluse nel vostro EP di debutto “Cemetery of the Insane”?
Penso che siano ancora piuttosto interessanti. Sono molto più dirette rispetto alle canzoni di entrambi i nostri album. Di tanto in tanto suoniamo ancora queste tracce dal vivo. L’EP “Cemetery of the Insane” è stato molto importante nel nostro viaggio fino a dove siamo ora. Siamo riusciti a fare molto grazie a quell’EP.

Come è cambiata la tua carriera dopo l’accordo con la Season of Mist?
Onestamente è stato un momento molto importante per noi. Prima di iniziare a lavorare insieme, pensavamo già che la Season of Mist sarebbe stata un’ottima etichetta per i Carnation. Siamo stati estremamente felici di entrare nel loro roster. È molto facile collaborare con il loro staff anche a loro sembra piacere avere a che fare con noi. “Chapel of Abhorrence” è andato abbastanza bene per loro, questo ha reso la nostra cooperazione ancora migliore. Non ci sono stati dubbi sul continuare a lavorare insieme per il secondo album.

Avete eseguito “Sepulcher Of Alteration” all’Hellgium Livestream Festival, come è andata?
Purtroppo, è stato un peccato non essere stati in grado di far debuttare la canzone in un vero e proprio spettacolo dal vivo. Tuttavia, con l’attuale pandemia questa era l’opzione migliore in quel momento. È stata decisamente un’esperienza diversa rispetto a come gestiamo abitualmente i live, non c’è interazione con il pubblico e ci si sente un po’ a disagio. Al momento è dura non poter andare in tour o suonare nei festival. Gli spettacoli dal vivo sono un modo importante per promuovere le nuove canzoni o i nuovi album e per interagire con i nostri fan. Per “Where Death Lies” la nostra unica opzione è promuovere il disco digitalmente. È stato il nostro canale principale e finora i nostri fan sembrano apprezzare i nostri primi due singoli “Sepulcher Of Alteration” e “Iron Discipline”.

Che mi dici del tour giapponese del 2019, avete da sempre un feeling particolare con quel Paese?
Troviamo sempre piacevole esibirci e viaggiare in Giappone. La scena underground death metal laggiù non è paragonabile a quella dell’Europa o degli Stati Uniti in termini di dimensioni, ma sicuramente ci sono tanti appassionati. Ci siamo stati due volte finora e ci siamo divertiti tanto. È un bel Paese e ci consideriamo fortunati a poter viaggiare in questa parte del mondo.

Carnation were for me a fulminating love, discovered shortly after their debut, I followed them in the growth path that led them with “Where Death Lies” (Season of Mist) to an important juncture in their career.

Welcome Simon (Duson, voice), I think “Where Death Lies” is one of the best album of 2020 and you’re one of the best band in death metal scene: did you feel some pressures during the recording sessions of this full length?
Thank you for these kind words! Compared to the writing and recording sessions for our debut album, we did have some pressure; mostly regarding time constraints to release the second album not too long after the first one. Once a band releases their first full-length album; there is a certain expectation that the band will release a follow-up in two or three years after the debut. If you take too long; a band will lose its momentum or people might lose interest. This did cross our minds at one point in time; but I don’t think it affected us too much… We were quite confident from the start that we could write another strong record.

Where does death lie?
The stories in our lyrics mostly take place in a fictional realm. A realm that we try to depict with our cover artworks. ‘Where Death Lies’ is about challenging the boundaries of reality. It’s about searching for opportunities to prolong the limited human lifetime and to surpass our flawed physical existence. In the lyrics, death is often seen as a gateway that will lead to what the protagonist is searching for.

When these songs are born?
All songs were written in 2019; most of them in the first half of the year. Our guitar player Jonathan is our main songwriter. He creates most of the riffs at home before taking them to the rehearsal room to share them with the rest of the band. Once we get together, we start working on the structure and the tempo of a song to really finalize it. After all instrumental tracks were ready by the end of the year; Simon began working on the lyrics in early 2020. It was quite easy to connect the lyrics for all nine songs to a certain central theme, because they were written during the same period.

The opening track is “Iron Discipline”, this title minds to the actual situation during the Covid emergency: we need an iron discipline to preserve ourselves. Meanwhile, which is the real meaning of this song?
It’s about the punishment that will be served if someone decides to break a sworn oath. An oath that made this ‘someone’ part of a collective. The song title is also meant to have a double meaning. On one hand, it’s a reference to the iron grip that the ‘collective’ has on its members, and how they are expected to obey. On the other hand, discipline can be used as a synonym for punishment, which makes sense in relation to the way that the chastisement is described in the lyrics.

You opened “Where Death Lies” with a direct song with a great groove, but I think this LP is more various then your debut, are you agree?
We can definitely agree with this statement! We learned a lot from ‘Chapel of Abhorrence’; especially while performing the album live during the past two years. It felt like we needed to make some improvements on the second full-length to satisfy our own creativity. That’s why we spent a lot of time honing our skills in the past two years. Jonathan for example has been practicing really hard to improve his lead guitar work. This is quite noticeable on the new record, as there are a lot more solo’s and other lead guitar parts compared to ‘Chapel of Abhorrence’. We also wanted to try out a couple of different vocal styles on ‘Where Death Lies’. Not to completely change our vocal identity, but to surprise the listener and to stay a little unpredictable. The idea to diversify also came quite naturally during the songwriting process.

Your sounds is no the typical Belgian one, is Swedish old school oriented, but do you like some Belgian classic bands like Aborted or Agathocles?
We’ve known Sven from Aborted for a while know. He’s a friend of the band and we’ve been listening to his music for years. Belgium doesn’t really have a lot of history regarding death metal, but the metal scene in general is quite cool. We have a lot of friends here, which is quite noticeable, as we tend to help each other out when needed. Vincent, Jonathan and Yarne have done live session work for a couple of Belgian bands (Evil Invaders, Bütcher, Off The Cross…) on several occasions. Yarne and Bert have also worked with a lot of other Belgian bands in their Project Zero recording studio. I think we’re on quite good terms with a lot of bands from around here.

Do you still like the songs included in your debut EP “Cemetery of the Insane”?
I still think they’re quite cool. They seem to be more straight-forward compared to the songs on both our albums. We still play these tracks live from time to time. The ‘Cemetery of the Insane’ EP was very important for us in our journey to where we are now. We managed to accomplish quite a lot with only this EP.

How is changed your career after the deal with Season of Mist?
It was quite honestly a very important moment for us. Before we started working together, we already felt like Season of Mist would be a great label for Carnation. We’re extremely happy to be on their roster. Their personnel is very easy to work with and they seem to enjoy working with us as well. ‘Chapel of Abhorrence’ also did great for them! So, that made our cooperation even better. There were no doubts to continue working together on the second album.

You performed “Sepulcher Of Alteration” at the Hellgium Livestream Festival, what do you remember about the fans’ reaction?
Sadly, it was a little unfortunate that we were unable to debut the song at a proper live show. However, with the current pandemic; this was the best option for us at the time. It was definitely a different experience compared to how we usually handle live shows; there’s no connection with the audience and it does feel a little uncomfortable. It’s hard to be unable to go on tour or to play festivals at the moment. Live shows are an important way to promote new songs or new albums and to interact with our fans. For ‘Where Death Lies’; our only option is to promote the record digitally. It’s been our main focus and so far, our fans seem to like our first two singles; ‘Sepulcher of Alteration’ and ‘Iron Discipline’.

What’s about the 2019 Japanese tour, you have a particular feeling whit this Country?
It was truly a pleasure to perform and travel in Japan. The underground death metal scene over there isn’t comparable to Europe or the United States in terms of size, but they certainly are passionate. We’ve been there twice now, and we’ve had such a good time over there. It’s a beautiful country and we consider ourselves lucky to be able to travel this part of the world.

The Devil’s Trade – La merce del diavolo

Il 28 agosto, per la Season of Mist, vedrà la luce uno dei dischi più suggestivi ed evocativi ascoltati quest’anno, si tratta di “The Call of the Iron Peak” del musicista ungherese Dávid Makó, in arte The Devil’s Trade. Tra sapori folk degli Appalachi, strumenti gitani, una calda anima acustica e suggestioni doom, il magiaro riesce in maniera minimalista a ricreare immagini ancestrali e poetiche.

Ciao Dávid, ho adorato il tuo nuovo album sin dal primo ascolto. Credo che la musica che vi è contenuta sia l’essenza della tua anima, una sorta di esperienza intima, per questo mi chiedo e ti chiedo: non sei geloso della tua creatura e nel sapere che andrà finire nelle mani di estranei?
È bello sentirtelo dire, sono contento che ti piaccia! Non direi geloso, ma piuttosto impaziente e molto teso, non vedo l’ora di poter evocare questa creatura su un palco.

Come combini le tue esigenze di artista con le regole del music business?
Tengo pulita la mia coscienza. È l’unica regola che seguo. Amo l’underground e non ho mai voluto avvicinarmi al mainstream, quindi non è complicato per me dire di no.

A questo proposito, la tua musica non è propriamente metal, ma sei nella scuderia della Season of Mist, fondamentalmente un’etichetta metal: sei soddisfatto?
La Season Of Mist è la più grande etichetta discografica underground del mondo, secondo me. Essere sotto contratto con loro è la cosa più grande che abbia mai realizzato.

Parlami un po’ dell’Iron Peak…
L’Iron Peak è un picco delle Alpi austriache. Non so se ha un nome vero, io lo chiamo così. Metaforicamente è il luogo del silenzio eterno e della pace, lontano da tutto e da tutti. Ci sono stato e da allora continuo a cercare quel silenzio.

Quando hai ricevuto la prima chiamata dell’Iron Peak?
La ricevo da 39 anni ormai, ma ci è voluto molto prima di poterla avvertire, poi per ascoltarla e, infine, per capirla.

Come è nata questa combinazione di folk e doom che caratterizza la tua musica?
Non ho mai pensato di combinarli, almeno non coscientemente. Questi sono suoni e strutture musicali che escono spontaneamente da me e li lascio fluire liberamente. Quando si tratta di scrivere musica non riesco a pensare in modo strategico o professionale. Se mi fa sentire bene lo lascio andare.

Amo la tua voce, penso sia molto evocativa, come riesci creare queste linee vocali molto suggestive sfruttando una base di chitarra minimalista?
È la stessa cosa che avviene quando mi metto a scrivere musica. Non so davvero come funzioni, canto solo quando ne ho bisogno e la maggior parte delle volte le linee vocali vengono scritte in pochi minuti.

Ma come ti giudichi, pensi a te stesso come a un cantante o a un chitarrista?
Come a un cantante che non sa suonare molto bene la chitarra e le cui dita si sono rotte più volte e che quindi si concentra sul suono più che sulle note.

Potresti presentare gli ospiti dell’album?
Oh, questa è una bella domanda! Prima di tutto Márton Szabó Nagyúr, l’ingegnere del disco che suona anche la batteria nella canzone che da il titolo a questo lavoro, è un mio vecchio amico e con lui e suo fratello Péter Szabó Póbácsi suoniamo insieme da più di 10 anni nella nostra band, HAW. Poi ho avuto il piacere di avere gli adorabili figli di Márton, nella parte conclusiva di “Dead Sister”, con il loro magico tocco al triangolo. Uno dei miei più vecchi amici, Adam Vincze, ha suonato i cucchiai e un antico strumento gipsy ungherese, la brocca dell’acqua Cegléd nella title track.

Nel 2020, durante questa strana stagione del Covid, qual è il vero mestiere del diavolo?
È lo stesso di sempre: se c’è qualcosa che significa la vita per te, devi dare la tua anima per essa. Non ci sono altri modi per essere soddisfatti e liberi.

Green Carnation – La rivoluzione dei garofani verdi

I norvegesi Green Carnation hanno interrotto la lunga inattività in studio dando alle stampe un lavoro, “Leaves of Yesteryear” (Season of Mist), che ha un piede nel passato e uno nel futuro. Brani inediti, cover e nuove versioni di vecchi classici, per un album che dovrebbe rappresentare il primo passo verso una nuova continuità compositiva. Di questo e altro abbiamo discusso con il cantante  Kjetil Nordhus.

Ciao Kjetil, quando ci siamo incontrati per la prima volta, i Green Carnation, dopo una lunga sosta, erano una band senza contratto: quanto è importante oggi per un gruppo avere un’etichetta?
È un po’ complesso, ma nella situazione in cui ci trovavamo penso che fosse un passo necessario: abbiamo lasciato le scene poco prima che i social media diventassero così importanti e la nostra presenza online è diventata sostanzialmente “vecchia” in pochi anni. Pertanto, avere un’etichetta, con tutti i suoi contatti e le sue tecniche per il raggiungimento dei nostri fan effettivi e potenziali, è stato estremamente importante per noi.

In qualche modo hai anticipato la mia seconda domanda: questo è il vostro primo album dopo quattordici anni di quasi totale inattività, come è cambiato il mondo della musica in questo lasso di tempo?
Il business della musica è in continua evoluzione e ciò che è accaduto nei primi anni 2000, quando il prodotto più importante di una band si è svalutato in una “notte”, ha prodotto degli effetti sul modo in cui gruppi oggi devono lavorare per poter pubblicare musica. Comunque noi siamo stati dei musicisti attivi, almeno la maggior parte di noi, durante i “tempi morti” dei Green Carnation, quindi abbiamo potuto maturare una certa esperienza in questo nuovo contesto da poter usare per poter pianificare al meglio le nostre future mosse.

Ti è stato difficile lavorare di nuovo con i tuoi compagni di band?
Non direi difficile, ma ovviamente dovevamo trovare una sorta di formula su come lavorare. Alla fine, l’abbiamo fatto: le idee principali di tutte le nuove canzoni provengono originariamente dal bassista Stein Roger Sordal, poi sono state oggetto di un ping pong tra me e lui e, infine, sono state presentate agli altri. Da qui nuovi cicli di sviluppo, cercando sempre di mantenere una certa mentalità aperta in studio.

Nell’album ci sono tre canzoni inedite, quando è stato scritto il nuovo materiale?
La canzone più recente è “Hounds”. È stata scritta forse sei mesi prima di andare in studio. Le altre sono il risultato del lavoro svolto dal 2017 in poi, ma ci sono anche spunti antecedenti. Penso che tu possa avvertire che le canzoni sono state completate tutte nello stesso periodo, perché comunque hanno attraversato tutte lo stesso iter che ti raccontavo prima.

“Leaves of Yesteryear” è il vostro primo video musicale in assoluto, ti piace?
È stato davvero stimolante ed eccitante. Volevamo lavorare con Costin Chioreanu, che conosce la band da molto tempo. Sapevamo che era davvero ansioso di farlo, e dopo avergli inviato due delle canzoni più i testi, è tornato con questa grande idea per “Leaves of Yesteryear”, di cui ci siamo innamorati. Gli abbiamo davvero dato piena libertà artistica, perché volevamo il suo stile, e penso che alla fine sia andato benissimo.

Mi piace il feeling epico e doom, in stile di Candlemass, di “Hounds”. Mi hai raccontato che questo brano è la vostra creazione più recente, puoi aggiungere altri dettagli?
Sì, piace anche me per lo stesso motivo. Direi che “Hounds” si distingue dal resto, essendo più cupa rispetto alle altre canzoni dell’album. Essendo stata l’ultima traccia scritta per il disco, sapevamo che avevamo bisogno di questo tipo brano per completarlo al meglio.

Come è nata la nuova versione del vostro classico “My Dark Reflections Of Life And Death”?
Volevamo che questo disco riunisse in un certo senso l’intera carriera dei Green Carnation. E poiché solo Tchort ha suonato nel nostro primo album – ha cambiato l’intera formazione per “Light of Day, Day of Darkness” – abbiamo pensato che sarebbe stata una buona idea registrare una nuova versione di una canzone dell’esordio. Inoltre, sono passati 20 anni da quando è stato pubblicato quel lavoro, ed era già nel nostro live set a un paio d’anni. Penso che svolga un ruolo molto importante, essendo il pezzo centrale, pesante ed epico. Liricamente si adatta anche perfettamente, quindi c’erano molte buone ragioni per inserirla nella tracklist.

Sei tra quelli entrati nella band dal secondo album, “Light of Day, Day of Darkness”, ti piace il debutto “Journey to the End of the Night”?
“A Journey to the End of The Night” è un album stimolante in molti modi, e sicuramente ha tracciato la strada maestra per resto della carriera dei Green Carnation. Penso che abbia bisogno di un po ‘di tempo per essere decifrato, ma ci sono sicuramente molti tesori lì dentro.

Adoro la vostra versione di “Solitude”, Kenneth Silden ha fatto un ottimo lavoro su questa canzone! Chi ha scelto il classico di Black Sabbath?
Quella canzone era nella nostra sfera da alcuni anni. Penso che anche in passato sia stato discusso se inserirla come traccia bonus nei nostri lavori acustici e avevamo anche abbozzato una versione per un progetto Youtube che stavamo per lanciare nel 2017. Dopo aver visto come si stava sviluppando l’album, avevamo bisogno di una canzone per chiudere il tutto e Stein Roger ha avuto l’idea di usare la nostra versione di “Solitude”. Abbiamo pensato tutti che fosse la canzone perfetta per questo fine, sia per quanto riguarda l’atmosfera che per i testi.

Le sessioni di registrazione hanno anche segnato il vostro ritorno a collaborare con Endre Kirkesola (Abbath, In Vain, Solefald), il produttore del leggendario “Light Of Day, Day Of Darkness”, ai DUB Studios di Kristiansand. Come mai avete scelto di nuovo lui dopo tutto questi anni?
Endre conosce i Green Carnation più di nessun altro. Suonava anche le tastiere nei nostri concerti del primo ritorno nel 2016 e durante quel periodo discutevamo molto delle qualità e dell’identità musicale della band. Quindi è stata una scelta ovvia per noi: sapeva esattamente cosa volevamo fare e aveva già molte idee anche prima di iniziare il processo di registrazione. È sempre molto divertente lavorare con Endre, e dopo tanti anni abbiamo avuto di nuovo delle ottime session con lui.

Che mi dici del release concert in streaming?
Inizialmente quel concerto sarebbe dovuto essere un concerto fisico, ma ci siamo resi conto che non era più possibile farlo. Invece di annullarlo, abbiamo preferito semplicemente invitare “il mondo intero” all’evento. Ci siamo impegnati moltissimo, e per fortuna è uscito molto bene. Tuttavia, è probabilmente la cosa più impegnativa che abbia mai fatto come cantante, ma alla fine ne è valsa la pena.

Ti piace la definizione progressive per la tua band
Sì, penso che apparteniamo a quell’ambito, anche se non c’è mai un qualcosa di preciso a cui pensiamo mentre scriviamo la nostra musica. Ritengo che abbiamo trovato una buona formula di lavoro, tutto funziona al meglio, e il risultato di questo processo sono canzoni che si possono definire progressive.

Cynic – Tracce nell’aria

I Cynic sono uno dei gruppi che ha segnato maggiormente gli albori della mia “carriera” di metal fan. Ricordo ancora lo stupore e l’eccitazione provata quando mi procurai la mia copia di “Focus” (fatta autografare in occasione dell’esibizione degli statunitensi al Evolution del 2007 e gelosamente conservata) a pochi giorni della sua pubblicazione. Era un’epoca diversa e quel CD fu capito da pochi. Il tempo è galantuomo e ha ristabilito il giusto ruolo dell’opera prima dei Cynic all’interno della storia del metal. Ma quando finalmente il suo successore giunge sul mercato e il pubblico è finalmente maturo per recepire i contenuti musicali dei californiani, questi che ti combinano? Se ne vengono fuori con un disco spiazzante e diverso dal suo predecessore! Quanti anni ci vorranno per riabilitare “Traced in Air” (Season of Mist)? A Paul Masvidal questo sembra importare poco…

Ciao Paul, direi di iniziare dalla domanda che più incuriosisce i vostri fan: cosa vi ha spinto proprio ora a riformare il gruppo e a pubblicare un nuovo album, dopo tutti questi anni di silenzio?
Sono state le leggi dell’universo a volerlo! Ci sono state due fasi: la prima è quella della decisione di tornare insieme, la seconda quella di fare un album. I Cynic sono riapparsi nella nostra vita sotto forma di sincronismi nel giro d’un paio di settimane. Quando finalmente è stata raggiunta la massa critica io ho chiamo Sean e gli ho detto “è il momento”. Lui è stato d’accordo con me e ci siamo rimessi a lavorare sodo sul vecchio materiale contenuto in “Focus”. Dopo essere tornato dal nostro reunion tour, mi sono chiuso nel mio studio per esplorare nuove soluzioni musicali. Mi sono reso immediatamente conto che i Cynic avevamo ancora qualcosa da dire. Le canzoni sono nate in maniera fluida e tutto è andato nella giusta direzione. Così abbiamo deciso di inserirle in un nuovo album e, ovviamente, di andare in tour per promuoverlo.

Ma alla fine della corsa quali sono le differenze trai vecchi e i nuovi Cynic?

I Cynic di oggi hanno un suono più evoluto e sicuramente migliore: è una versione superiore di tutto quello che abbiamo realizzato prima. Siamo migliorati come musicisti e io sono un songwriter migliore. Il linguaggio melodico e armonico è più profondo e ricco, e c’è un approccio più coevo agli arrangiamenti. Dal punto di vista dei testi, le nuove canzoni sono molto più vissute e sentite in profondità di quanto non lo fossero prima.

E tutto ciò traspare in “Traced In Air”?

Preferisco credere che l’album si presenti da solo al momento dell’ascolto. Ogni ascoltatore può sperimentare la proprie visoni ed esperienze, ed è questo il bello del disco. È come intraprendere un viaggio in una navicella spaziale e scoprire nuovi scenari, che poi, curiosamente, assomigliano a quelli di casa propria.

Quando hai iniziato a stendere le prime canzoni?
Nell’ottobre del 2007, complessivamente ci ho lavorato nove mesi.


E se ti dicessi che l’album mi ha ricordato in alcuni passaggi i The Mars Volta?
Cool. Non conosco molto bene i The Mars Volta, ma ho sentito dire in giro che sono molto interessanti e originali.

Prima hai accennato a una maggiore profondità nei testi. Ti andrebbe di chiarire ulteriormente questo aspetto?

L’album è essenzialmente un viaggio nella vita, concentrato in otto canzoni. Iniziamo con una traccia di invocazione, descrivendo la nascita con “Nunc Fluens”, e concludiamo con l’addio contenuto in  “Nunc Stans”.  Le song parlano delle prove da superare per rimanere come si è nel presente, tentando di non arrendersi a quei processi naturali che ci portano trasformarci e a crescere.

Negli anni che hanno separato i due album si è fatto un gran parlare di un vostro eventuale ritorno. Le aspettative intorno a voi erano notevoli. Ma quali sono le vostre nei confronti di “TIA”?

Cerco di non avere aspettative. Io credo che l’album sia grande e che abbia un’enorme potenziale. Noi e la nostra etichetta stiamo lavorando affinché questo potenziale si traduca in fatti.

Ma come ti spieghi che i Cynic abbiano pubblicato nei primi anni novanta un album fondamentale, eppure non abbiano mai raggiunto il successo di gruppi quali Death o Opeth?

Semplicemente i Cynic sono spariti dopo un solo album, mentre Opeth e Death (sino alla morte di Chuck) hanno continuato a pubblicare dischi. Gli Opeth sono a quota nove? I Death si sono fermati a sette? Noi abbiamo appena realizzato il nostro secondo album, e questo dovrebbe spiegare tutto…

Ma cosa ricordi di quei fantomatici primi anni 90?

Intense creativity, inspiration and perspiration. Non è che sia cambiato molto.

Immagino che girerete parecchio per promuovere l’album…
Attualmente siamo in tour in Europa con gli Opeth. Poi andremo negli Usa, per ritornare nuovamente da voi. Ci attende parecchia strada!

In bocca al lupo, allora!

Grazie per l’intervista. Ascoltate “TIA” e fate una visita su www.cynicoline.com! Pace.

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2009 in occasione dell’uscita di “Traced In Air”