Dopo una lunga fase embrionale i Chester Gorilla vengono alla luce con l’album omonimo (Vasto Records, 2020), che mescola le anime musicali dei componenti del gruppo in un variopinto experimental jazz funk.
Come è nato l’album “Chester Gorilla”?
“Chester Gorilla” nasce dalle ceneri di un passato che credevamo fosse ormai morto e sepolto in quanto militavamo nella scena musicale palermitana da almeno 10 anni, fino allo scioglimento. Credevamo di aver detto tutto, ma l’ingresso di altre persone e di conseguenza il cambio di formazione ha ridato linfa vitale alla band. È nato soprattutto dalla voglia di fare musica insieme ai tuoi più grandi amici e creare una storia.
Come è stato realizzare l’album, dalla fase iniziale alla produzione finale?
Un percorso formativo e di crescita sia individuale che collettiva. Lo abbiamo registrato in un periodo in cui non sapevamo nemmeno che lo stavamo componendo e le intenzioni inizialmente non erano quelle di fare un album vero e proprio, ma di registrare i brani e sentire come suonassero… Ci siamo resi conto che forse potevamo farci qualcosa di più!
Rilasciare singolarmente tre brani estratti dal disco, in un album che ne ha sei in totale, è stata una scelta pianificata o imprevista?
È stata una scelta pianificata. Nonostante l’idea di “bruciare” tre brani dal disco non ci attirasse particolarmente, eravamo consapevoli di doverci fare conoscere. Quindi i singoli sono serviti a sondare il terreno e testare il prodotto.
C’è stato qualche momento particolarmente significativo durante la lavorazione?
Tutto il periodo è da considerare significativo, anche perchè ci sorprendemmo parecchio del risultato finale. Sicuramente il release party del disco ai Candelai, quando ancora si poteva suonare dal vivo è stato anche importante. Abbiamo fatto tutto noi. Stampato dischi, magliette, ingaggiato video maker, tecnici luci. Intere giornate (e tutti i chacet raccolti dai live nei clubs) spese per progettare questo evento che ricordiamo con grande nostalgia.
Il tema della nostalgia, trattato nel testo di “The Heat”, si riflette anche negli altri brani, che invece sono strumentali?
Sergio Beercock è un amico che ha fatto un ottimo lavoro con “The Heat” in quanto si è preoccupato di scrivere interamente il testo e noi la musica. Ci siamo conosciuti lo stesso anno e non abbiamo perso tempo a fare un brano insieme. Per quel che riguarda gli altri brani che appunto sono strumentali, abbiamo deciso di non caricarli di significati anche se potrebbero esprimere sensazioni che variano e spaziano a seconda dei momenti. Piuttosto ci siamo divertiti con i nomi. Absolutely free [cit.].
“Chester Gorilla” va compreso come un concept album oppure ogni canzone è una storia a sé stante?
“Chester Gorilla” non è un concept album, ma il secondo album a cui stiamo lavorando sì. In “Chester Gorilla” ogni brano è a sé stante e non ha una storia specifica. Probabilmente solo “Peter the Elephant” e “Aripupollo Space” potrebbero avere una storia, ma più che storia potremmo dire che suggeriscano una sorta di “linea guida” all’ascolto. È un album sudato, spontaneo ed energico. Ogni canzone va in direzioni sconosciute. Il filo conduttore, l’immaginario della giungla, i film poliziotteschi degli anni 70… È bello che l’ascoltatore immagini un po’ quel che vuole. “Chester Gorilla” non è un concept album ma può diventarlo in qualsiasi momento.
Vasto Records a produrre. Come vi siete conosciuti e come è stato lavorare insieme?
Conosciamo Vasto Records perché il fondatore di Vasto Records è Phil Caviglia (bassista) nonché fratello di Daniele Caviglia (chitarrista). Lavorare insieme è stato come lavorare in famiglia. Sandro, il batterista, passa più tempo qui che a casa… Al di là dei legami di sangue, noi tutti siamo come fratelli e cerchiamo di condividere quanto più possibile le nostre esperienze e il nostro modo di essere. Non abbiamo paura di scontrarci e litigare, anzi, lo facciamo abbastanza spesso ma è proprio questo rapporto a tenerci vivi e ci spinge a migliorare, fare le cose bene.
Copertina misteriosa, con quell’occhio splendente in cima ad una piramide. Come è stata realizzata? Perché questa idea?
La copertina è stata realizzata da Alba Scherma, che si è sforzata di venire dietro alle nostre bizzarrie e ha centrato il punto. Tuttavia, per quanto assurdo possa sembrare, la copertina è una sorta di tributo a una band che ha praticamente forgiato i Chester Gorilla (almeno Daniele e Phil) e sono gli Iron Maiden. Sì, è strano ma la copertina è ispirata a “Powerslave”. Gli Iron Maiden rappresentano il nostro passato, rappresentano quel momento in cui per sbaglio inserimmo la cassetta di “Piece Of Mind” nello stereo e capimmo che la musica non era solo quella che passavano nelle radio italiane degli anni ’90.
So che ci sono stati cambiamenti di formazione nella storia del gruppo, ce ne sono stati anche dopo l’uscita dell’album?
Dopo l’uscita dell’album Amedeo Mignano (il tastierista) è ritornato nella band. Oltre ad aver dato una notevole spinta all’umore, considerato i difficili tempi che stiamo vivendo, sta contribuendo tantissimo alla stesura dei nuovi brani per il secondo disco. Possiamo anche parlare di tutti i cambi di formazione e sfortune che hanno avuto i Chester Gorilla, ma non basterebbero due interviste… Scherzi a parte, una menzione speciale va a Danilo, la persona che cantava con noi più di 10 anni fa. Ha vissuto tutto il periodo embrionale dei Chester e ha praticamente fondato la band insieme a Daniele. Quando si tingevano i capelli di rosso o fucsia e facevano i punk al muretto della scuola con le canne di fumo… bei tempi andati!
Novità già in cantiere?
Assolutamente, cerchiamo di non avere periodi di staticità anche se questo è un anno nero per la musica. Come dicevamo stiamo lavorando al secondo album e a un singolo che uscirà a dicembre. Si chiamerà “Uranus”. Di questi tempi i pianeti più sicuri sembrano quelli più lontani. Siete pronti ad atterrare?
