Armored Saint – From the heart

Interview by Leif Kringen (metalsquadron.com), click HERE for the original English version.
Intervista a cura di Leif Kringen (metalsquadron.com), clicca QUI per la versione originale in inglese.

Dopo un paio di album che non mi hanno fatto impazzire, “Win Hands Down” è stato un bel segnale di ritrovata forma per gli Armored Saint, autentici veterani della scena di Los Angeles. Dato che non avevo avuto la possibilità di parlare con la band allora, ho colto l’occasione al balzo quando l’etichetta discografica della band, la Metal Blade, mi ha offerto la possibilità di chiacchierare con il bassista Joey Vera.

Quali sono le tue impressioni sul precedente album, “Win Hands Down”, a circa cinque anni dalla sua pubblicazione?
Penso che sia davvero fantastico e sono orgoglioso di quel disco. È una buona rappresentazione della band e, come tutti i nostri dischi, ha una propria dimensione ed è un’istantanea di come eravamo ai quei tempi. Adoro il modo in cui è uscito il disco. Suona alla grande, e anche le canzoni e le esibizioni successive sono state fantastiche. Siamo stati in tour negli ultimi cinque anni e abbiamo avuto la possibilità di suonare molte canzoni dal vivo. È stato molto divertente.

Avete affrontato il nuovo album, “Punching The Sky”, in modo diverso?
Non proprio, non facciamo sempre le stesse cose quando iniziamo a scrivere, lasciamo che le cose vengano in modo naturale. Sai, si inizia con un paio di canzoni e normalmente il tutto si evolve e si trasforma in un disco. E in realtà non ci pensiamo troppo, e nemmeno ne parliamo troppo. Non abbiamo confronti del tipo: in che direzione dovremmo andare? Che tipo di canzoni dovremmo scrivere? Non lo facciamo davvero. La scrittura appena iniziata è esplosa e penso che le prime canzoni che abbiamo scritto – “Bark, No Bite”, “Standing On The Shoulders Of Giants” e “Missile The Gun” – hanno dato l’imprinting a quello che sarebbe venuto dopo.

Non c’è una tilte-track nell’album, ma il titolo, “Punching The Sky”, fa parte del ritornello della canzone di apertura “Standing On The Shoulders Of Giants”. Perché avete chiamato l’album “Punching The Sky”?
Beh, abbiamo discusso diverse idee e lo avremmo chiamato “Standing On The Shoulders Of Giants”, ma lo abbiamo già fatto con “Win Hands Down”, in cui la prima traccia era il titolo del disco. Non volevamo ripeterci in quel modo. E mi piace l’idea di prendere un testo e usarlo come titolo. Quella frase in particolare continuava a spiccare secondo me, quindi un giorno l’ho proposta a John (Bush) e ho detto: che ne dici di “Punching The Sky?”. È molto affascinate, evoca alcune immagini davvero interessanti quando lo leggi o quando lo vedi. Potrebbe assumere molti significati diversi. Mi sembrava anche allettante perché poteva essere usato come una sorta di allegoria in molti modi diversi. Per me, rappresenta in qualche modo la band nel suo insieme e quali sono i nostri obiettivi e quali sono le nostre intenzioni. Siamo sempre stati un’entità che voleva crescere ed evolversi e correre musicalmente dei rischi e diventare autori migliori, persone migliori, padri e mariti migliori e così via. Quindi, “Punching The Sky” rappresenta in qualche modo lo spingersi oltre i confini, andare oltre ciò che è davanti a noi, compreso il cielo. Dicono che il limite sia il cielo. Ma in un certo senso noi stiamo dicendo che oltre il cielo non ci sono limiti. Così lo percepivo. Ho pensato che avesse qualche punto di contatto con noi in quel senso. Ecco perché mi è sembrato che fosse un buon titolo. Voglio dire, mi piace avere titoli che abbiano dei significati. Non mi piace semplicemente buttare fuori qualcosa senza alcun significato. Mi piace lasciare alcune cose aperte anche all’interpretazione. E John scrive testi in questo modo. Penso che sia positivo avere qualche connessione con i titoli dei dischi.

Nell’epoca di Internet, la prima canzone che ascolti di un album è molto importante. Trovo “End Of The Attention Span” un’ottima scelta come primo singolo. È molto orecchiabile, energico e suona come Armored Saint.
È un bel complimento. Sono contento che suoni Armored Saint. Ci è voluto molto tempo per arrivare a quel traguardo in cui le persone ci dicono che la nostra band ha un suo sound. E siamo contenti di questo. Ovviamente, abbiamo sempre voluto avere un nostro sound e abbiamo cercato di raggiungerlo per molto tempo. Quindi è bello sentire questo, che ci siamo riusciti. “End Of The Attention Span” ha un po’ di tutto e ci rappresenta come band. È anche una specie di ampia introduzione al resto del disco, anche se trovo che l’album abbia molta sfaccettature.

Quanto è difficile per una band come gli Armored Saint conquistare nuovi fan in questi giorni? I vecchi fan, me compreso, vi seguono sempre e probabilmente compreranno anche gli album, ma ritieni chi siate riusciti, con le uscite recenti, a raggiungere anche un nuovo pubblico?
Beh, penso di sì e non so davvero come sia stato possibile. Voglio dire, di certo non lavoriamo in modo normale. Alcune band pubblicano dischi più spesso di noi e fanno tour più frequentemente di noi. Abbiamo i nostri tempi, registriamo ogni cinque anni e non facciamo tour lunghi e cose del genere. Ma penso che il fatto che siamo stati abbastanza coerenti dal 2010 in poi, pubblicando dischi ogni cinque anni e facendo tour e cose del genere, abbia aiutato. Nel tempo raccogli persone più giovani perché hanno sentito parlare di te o ti hanno visto in tour con un’altra band come Queensrÿche o Saxon o qualcosa del genere. Forse hanno sentito il nostro nome, ma non sanno come suoniamo. Sono consapevole che la maggior parte dei nostri fan è grandicella e penso che alcune di quelle persone ora siano dei genitori che forse ci hanno tramandato ai loro figli.

Qual è la motivazione che vi spinge a fare ancora un album a circa cinque anni di distanza dell’ultimo? È per fissare il risultato della tua creatività? È per accontentare i fan o forse per poter fare tour e concerti?
Beh, sai, penso che lo facciamo solo per noi stessi. Siamo arrivati ​​a un punto in cui ci siamo sentiti esausti. Suonavamo molto per “Win Hands Down”, e non siamo mai stati una band che scrive mentre è in tour. Quindi, ci siamo solo presi un po’ di tempo libero, e penso di aver scritto un paio di riff senza una ragione particolare. E poi ho detto a John: Hey, ho un paio di riff. Penso che li finirò e ti chiederò come li trovi. Gli ho inviato alcune demo e poi, come al solito, abbiamo iniziato a lavorare abbastanza velocemente e da lì abbiamo deciso di andare avanti. Quindi, ancora una volta, non avevamo programmi, non dovevamo registrare. Ci siamo sentiti in vena per scrivere di nuovo musica. John e io abbiamo un ottimo rapporto di scrittura. Ed è anche divertente. È molto divertente per noi. Quindi, una volta arrivato a quel punto, è stato come: Ok, andiamo avanti. Sta andando alla grande. Andiamo avanti, andiamo avanti. Ed è durato molto tempo. Voglio dire, non scriviamo molto velocemente e ci sono voluti circa 18 mesi o qualcosa del genere per finire il disco, ma il processo è stato davvero soddisfacente. Immagino che la risposta breve sia che lo facciamo prima per noi stessi. E poi si spera che i fan ci vengano dietro e che siano disposti ad aspettare e ad apprezzare quello che uscirà.

Secondo il comunicato stampa, l’obiettivo era scrivere musica di qualità. Niente di nuovo in realtà, ma come ti accorgi che la tua musica è davvero buona? Hai studiato un metodo di controllo della qualità?
Sì, penso che esista tra me e John, ci rimbalziamo le parti. Penso che il nostro obiettivo principale sia solo fare cose e scrivere cose che ci facciano davvero guardare l’un l’altro e dire: Wow, è fantastico, è un po’ diverso, sembra epico o che grande ritornello. Questa è la cosa che per noi dà la misura. E non voglio dire che ogni singola cosa che scriviamo abbia questo potere, ma la maggior parte sì. Quindi, almeno per noi, questo è il metro, questo è il tipo di controllo di qualità che implementiamo.

Joey, ti dici piuttosto sorpreso quando scopri come una canzone si incastra perfettamente quando i testi di John sono a posto.
Come sai, John scrive quasi il 100% dei testi. A volte alcuni di noi partecipano con piccole cose. Phil ha contribuito con un testo, per esempio. Quando John e io lavoriamo insieme, abbastanza spesso li esamino con lui e do suggerimenti in corso d’opera, ma John è quello che viene fuori con le premesse, la storia, la linea e l’esecuzione. E, sai, quando scrivo la musica, posso già sentire la sua voce nella mia testa. Quindi è quasi come se già sapessi cosa aspettarmi, ma ci sono state molte volte in cui ha tirato fuori cose che sono totalmente inaspettate e persino migliori di quello che immaginavo. Molto raramente gli do uno spunto di partenza. Trova sempre da solo il suo punto di origine. E a volte non è chiaro al 100% cosa vuole fare, ma ha delle capacità e io lo aiuto ad arrivarci.

A volte ti manca il vecchio modo di scrivere canzoni quando eravate tutti nella stessa stanza? O ti va bene inviare file avanti e indietro e lavorare in questo modo?
Mi va bene il modo in cui lo facciamo ora. Va bene. Lo trovo più efficiente e trovo di essere in grado di mettere a fuoco meglio le idee. Sai, c’è qualcosa di speciale nello stare insieme in una stanza. E direi che c’è un piccolo aspetto che mi manca. A volte le cose nascono da jam e spontaneità. Sarebbe stupido non riconoscerlo, ovviamente. Quando sei solo, è solo diverso. Non è proprio meglio o peggio, è solo diverso. Tuttavia, lavoro meglio e in modo più efficiente quando sono solo. Sono solo io però. Ma, sai, collaborare dal vivo davanti a un’altra persona, ha anche i suoi pregi e i suoi vantaggi. È solo che preferisco farlo in dosi più piccole e preferisco lavorare da solo in dosi maggiori.

Hai prodotto tu stesso “Punching The Sky”, cosa fa esattamente un produttore oggi?
Haha! Buona domanda! C’è questa una parte organizzativa e una amministrativa. Ciò significa spendere i soldi. Devo occuparmi del budget e devo sapere esattamente chi viene pagato. Devo impostare tutto, trovare gli studi e trovare le persone con cui lavorare. Poi c’è la prenotazione delle sale prove preferite o delle sale di produzione, e devo anche assumere la persona che si occuperà della masterizzazione. Ci sono anche altri servizi per le forniture che incidono sul budget, come corde, bacchette, pelli, qualunque cosa. E poi devo anche gestire i soldi sul conto che arrivano dall’etichetta discografica. Ci sono molte cose noiose che vanno di pari passo con l’essere il produttore, ma la parte divertente della produzione per me è avere una visione completa nella mia testa su come voglio che il risultato finale suoni. Sono quello che fondamentalmente prende le decisioni lungo la strada. Questa parte di chitarra dovrebbe suonare così. La batteria dovrebbe suonare così e la voce dovrebbe suonare così. Raddoppiamo le voci qui. Facciamo le voci di sottofondo qui. Sono come un pittore che prende decisioni, prima mescolando i colori che vuole usare sulla sua tela e poi prende decisioni su quali colori servono e dove. Questo è il modo in cui posso visualizzare il risultato. Devo anche prendere decisioni sulla scrittura delle canzoni e su quali tracce inserire e quale sia la sequenza giusta per il disco. Tutto ciò che è esteticamente necessario per il risultato finale del disco, è fondamentalmente parte del lavoro del produttore.

Siete ancora quattro dei cinque membri che hanno suonato nel primo EP, quanto è stato importante questo fattore per il mantenimento in vita della band in tutti questi anni?
Beh, è stato importante. Siamo orgogliosi del fatto che abbiamo tutti i membri originali nella band e questo include anche Jeff. Era già qui quando Dave era con noi, negli ultimi due anni della sua vita, quindi questo genere di cose è importante per noi. Pensiamo che aiuti la nostra integrità e il modo in cui le persone ci percepiscono come una band. Non è come, John Bush e altri quattro ragazzi, sai. Questo sono gli Armored Saint, siamo un’unità collettiva. Alcuni di noi si conoscono da quando avevamo sette – otto anni. Abbiamo una storia lunga e una coesione che cerchiamo di mantenere. La cosa che conta di più per noi è stata la musica. Ognuno di noi ha una parte nel rappresentare quella musica. Quindi pensiamo che, se porti musicisti diversi, persone diverse, improvvisamente tu ti ritrovi con personalità diverse. Allora è una cosa diversa. Un’interpretazione completamente diversa di quello che era. Per questo, per noi è stato importante preservarci.

Parliamo di Dave Pritchard, sono passati 30 anni dalla sua morte. Come lo ricordi, Joey?
Beh, sai, era piuttosto sfaccettato. In generale, è sempre stato un ragazzo amante del divertimento ed è stato davvero divertente andare in giro con lui. Un burlone totale, gli piaceva fare scherzi su scherzi alle persone e aveva un grande senso dell’umorismo. Amava fare festa, amava divertirsi. E sarà sempre ricordato per questo. Ma era anche un ragazzo molto creativo. Era bravissimo a suonare la chitarra e sapeva anche suonare il piano. Ed era anche un grande artista, era davvero bravo a disegnare. Tutto questo lo rendeva una persona davvero fantastica e creativa. Come ho detto, era davvero divertente stare con lui. In generale, fa ancora parte della nostra psiche, era una parte importante del nostro suono ai tempi dei nei nostri primi tre dischi. Era una parte importante di quel suono, suonava parecchie parti di chitarra in quei dischi, e molti dei modi in cui suonavo quei riff erano il frutto della sua passione e del suo stile. Dave ha avuto un impatto sul nostro suono che non voglio mai perdere. Non voglio solo riscrivere la nostra storia, di volta in volta. È molto importante per noi sentire come se stessimo progredendo e provando cose nuove, ma allo stesso tempo, non voglio mai perdere di vista un po’ della presenza di Dave. Quando ho scritto la canzone “Never You Fret”, e ho finito con quei primi due riff, mi sono detto, Oh merda, sembra una cosa di Dave Prichard. Mi sono aggrappato a quell’ispirazione mentre finivamo la canzone. Questo è solo un esempio di come Dave sia sempre presente.

Hai detto che a questo punto della tua carriera senti un senso di libertà. Questo significa che senti di poter fare quello che vuoi e comunque rilasciarlo a nome Armored Saint?
Non credo che possiamo fare quello che vogliamo. Voglio dire, penso di essere ben consapevole che ci sia la componetene dell’aspettative dai fan. Ma non voglio essere vincolato da quelle aspettative, per quanto piccole o grandi possano essere. Ho bisogno di avere la sensazione che possiamo spingerci oltre i confini e provare cose e sperimentare le diverse influenze che abbiamo e soluzioni che vogliamo provare come autori. Correre qualche rischio qua e là. Lo stavo descrivendo un po’ prima, quando ho parlato di come siamo arrivati ​​ad un punto in cui ci siamo sentiti come se stessimo creando il nostro suono e ci sentivamo come se non avessimo dovuto guardarci alle nostre spalle o pensare a quello che stava succedendo intorno a noi. E questo è ciò che intendo, quando dico che questa è la zona di comfort dove ci siamo resi conto di aver sempre creato il nostro sound sin dal primo giorno. Ci è voluto un po’ per capirlo. Ora mi sento come se fossimo in questo posto dove abbiamo trovato la cosa giusta da fare. Questi sono gli Armored Saint, possiamo correre dei rischi, possiamo provare le cose nuove entro dei limiti ragionevoli. Abbiamo sempre avuto affinità per cose tipo il blues e l’hard rock. Quindi possiamo esplorarle ancora di più. Siamo sempre stati influenzati dal rhythm and blues e cose del genere, anche cose leggermente funky. Quindi sì, ci sentiamo a nostro agio ad esplorarle ulteriormente, anche più di quanto abbiamo fatto nell’ultimo album. Quindi questo è ciò che intendo quando parlo di zona di comfort. Non mi sento come se fossi in pericolo di rovinare qualcosa. Perché penso di essere abbastanza consapevole di quali siano i nostri parametri, in quale intervallo possiamo lavorare senza far arrabbiare o deludere le persone. Sono anche consapevole del fatto che non accontenterai mai tutti per tutto il tempo. Quindi non dovrebbe essere una preoccupazione o comunque non dovrebbe essere una preoccupazione determinante, quindi non devo curarmene. Dobbiamo sentirci come se stessimo facendo musica onesta che viene dal cuore.

Adoro “Missile To Gun” del nuovo album. È un brano heavy metal piuttosto semplice.
Di nuovo, non so da dove provenga, ma dopo averlo scritto, ho sentito che aveva un qualcosa old school. In realtà mi ricorda certa roba delle band della New Wave Of British Heavy Metal. Voglio dire, mi suscita una sensazione di heavy metal britannico primordiale. È davvero ritmata con un ottimo riff di chitarra, con linee guida davvero semplici. Penso che sia uscito alla grande.

Come sempre, sono rimasto impressionato dalla voce di John. Ha una resa ancora incredibilmente, deve lavorare molto per prendersi cura della sua ugola.
Sì, lo fa da un po’ di tempo ormai. Direi che negli ultimi 10-15 anni si è finalmente reso conto che sta invecchiando e che non può semplicemente saltare giù dal letto e iniziare a cantare come faceva quando era più giovane. Quindi si è imposto un regime molto rigido quando è in tour o quando registra o scrive musica, il che significa che è molto severo su quello che fa e ha una sua routine a cui si attiene scrupolosamente. Si alza dal letto e la prima cosa che fa è il riscaldamento. Solo dopo la colazione o qualsiasi altra cosa. Si prende una pausa e cambia la sua dieta. A volte, quando è in viaggio, non beve caffè e non cena dopo le otto di sera, fa questo genere di cose. Si riscalda per 30 minuti buoni prima di salire sul palco, a volte anche di più. Tutte queste cose hanno davvero avuto un impatto positivo sul modo in cui suona la sua voce. Penso che negli ultimi due dischi la resa sia stata migliore di quanto non lo sia mai stata in tutta la sua carriera.

Parliamo un po’ della situazione COVID-19. Ti stai muovendo di conseguenza, prima hai effettuato una nuova registrazione della canzone “Isolation” e ora stai anche preparando un release show che potrà essere visto online. Pensi che tutta questa faccenda lascerà segni indelebili sulla scena metal?
Beh, spero di no. Preghiamo che presto possa diventare solo un ricordo e che in futuro si possa dire: ricordi l’anno 2020? Oh mio Dio, che incubo! Spero che non abbia alcun effetto duraturo, per il bene dei musicisti e dei tecnici che lavorano, delle persone che sono nel settore, ma anche per i fan. E, voglio dire, anch’io sono un fan della musica, non posso più andare a vedere nessuna band. Fa schifo, è una componente importante di tutte le nostre vite. Sarebbe uno schifo se fosse permanente. Non credo che lo sarà però. Sì, penso che ci vorrà del tempo per recuperare la fiducia psicologica. Stare nella stessa stanza con 600, 1500 o 15.000 persone, ci vorrà del tempo probabilmente per riconquistare la vecchia fiducia. Ma spero davvero che le cose cambino e sai, nel frattempo, questi concerti virtuali sono l’unica cosa che artisti e band possono fare in questo momento. Quindi lo stiamo facendo. Il release show sarà bizzarro, un po’ strano, suonare in un club con la stanza vuota. Andrà in streaming il 10 ottobre e resterà disponibile fino all’8 novembre. Lo puoi guardare on demanda ogni volta che vuoi per un intero mese, e costa solo 10 dollari. Stiamo provando un set completo con quattro nuovissime canzoni da “Punching The Sky”. Abbiamo intenzione di uscire e scatenarci come al solito. Abbiamo anche in programma di rispondere alle domande alla fine dello spettacolo. Le persone invieranno i quesiti sulla nostra pagina Facebook, poi ci prenderemo del tempo e risponderemo a un sacco di domande ed è solo un modo per noi per entrare in contatto con loro. Non possiamo andare in tour. Non possiamo nemmeno suonare in uno spettacolo locale, quindi sentiamo il bisogno di entrare in contatto e avere una connessione. Inoltre, il nostro disco sta uscendo e vogliamo fare una festa.

Parlando di cose questioni live, c’è questo album dal vivo pubblicato un paio di anni fa intitolato “Carpe Noctum”. Pensi che sia un documento live appropriato per una band come gli Armored Saint? Un album dal vivo di una band con il vostro catalogo dovrebbe almeno fare uscire un doppio e non di certo un singolo contente solo otto canzoni?
Beh, puoi avere ragione su questo. Sai, immagino che dovremmo fare un doppio album dal vivo, qualcosa sulla scia di “Strangers In The Night” degli UFO. È divertente, perché abbiamo pubblicato praticamente ogni canzone che penseresti dovrebbe esserci su un nostro disco dal vivo, ma sono tutte su dischi diversi. Ci sono “Saints Will Conquer”, “Lessons Not Well Learned” e poi ci sono anche un sacco di brani dal vivo su “Nod To The Old School”, ma immagino che metterli in un unico pacchetto avrebbe più senso a un certo punto.

Joey voglio metterti in difficoltà facendoti elencare i tuoi tre album preferiti degli Armored Saint.
I miei tre preferiti? È difficile! Bene, “Win Hands Down” di sicuro. Vado con quelli recenti, quindi “La Raza” e “Symbol Of Salvation”.

“Symbol Of Salvation” deve esserci per forza. Quell’album è fuori dal tempo. Puoi ascoltarlo oggi ed è ancora buono come quando è stato rilasciato. È come se non fosse quasi invecchiato. Penso che sia un classico di tutti i tempi.
Sì, quello ha occupa un posto speciale per tutti noi. Quell’album è stato un punto di svolta. Piò essere considerato anche una specie di resurrezione dalle ceneri, poiché eravamo impantanati, sia come persone che come band. Quindi quel disco aveva sicuramente e ha ancora una valenza emotiva per tutti noi che non andrà mai via. Ecco perché si distingue di sicuro.

Sembra che tu abbia avuto anche un periodo molto fruttuoso all’epoca perché hai fatto alcune demo con molte tracce fantastiche che non sono finite sull’album.
Sì, c’è stato un lungo processo di scrittura, prima che Dave morisse. Penso che avessimo scritto 24 canzoni o qualcosa del genere. E, sai, è stato un periodo molto produttivo, e penso per quello che eravamo musicalmente e quello adesso, sia stata una cosa molto importante per noi essere stati mollati dalla Chrysalis. Con il senno di poi, essere in grado di scrivere tutte quelle canzoni, ci ha costretti a sperimentare un po’. Alcune cose non hanno funzionato, ma alcune cose hanno funzionato bene e siamo stati in grado di affinare alcune peculiarità che penso che portiamo ancora con noi oggi. Quindi è stato un periodo di apprendimento importante per noi.

La Metal Blade è l’etichetta che viene associata agli Armored Saint, perché avete iniziato lì e ora siete di nuovo su Metal Blade, ma come sono stati gli anni su Chrysalis?
Sì, abbiamo iniziato con Metal Blade e poi abbiamo trascorso i seguenti tre o quattro anni con Chrysalis. E sai, è stato molto divertente ovviamente, perché abbiamo fatto tre dischi con produttori diversi in grandi studi. Abbiamo anche fatto molti tour, ma allo stesso tempo è stato impegnativo per noi perché eravamo molto giovani. Quando siamo stati messi sotto contratto, avevamo tutti 20-21 anni. È uscito “March Of The Saint” e non sapevamo nulla del mondo della musica. Il primo anno è stato probabilmente un grosso schiaffo in faccia. È tutto gioco e divertimento, ma è anche affari, sai. E all’improvviso abbiamo sentito che stavamo iniziando a perdere un po’ il controllo sulla nostra carriera. Avevamo dei manager e l’etichetta discografica che ci chiedevano di fare cose con cui forse non eravamo d’accordo, e improvvisamente abbiamo pensato: questa etichetta discografica pensa che siamo qualcos’altro. Volevano che fossimo un po’ di più un gruppo rock o metal commerciale. Abbiamo spiegato che amavamo il primo dei Def Leppard, ma non avremmo seguito la strada tracciata da “Pyromania”. E poiché eravamo una label americana, improvvisamente ci siamo sentiti un po’ intrappolati. L’etichetta non avrebbe mai pagato mai per noi un tour in Europa. Hanno sempre detto che era troppo costoso e che non ne sarebbe valsa la pena. Abbiamo detto loro che le nostre maggiori influenze provenivano dall’Europa e che dovevamo andare lì e suonare. L’etichetta ci ha impedito di andarci per quattro o cinque anni. È stato davvero un grosso errore. Ed eravamo davvero incazzati. Alla fine, sono venute fuori molte cose buone dall’essere sotto una major, ma anche molte cose cattive. Sono stati commessi molti errori e molte cose le cambieremmo se ci fosse data di nuovo la possibilità. Ma eravamo giovani e non capivamo che probabilmente avremmo potuto prendere un maggiore controllo della nostra carriera in quel momento. E quelle sono solo lezioni che impari.

Quindi non ti penti di niente?
È un po’ difficile da dire, quelle cose che chiami rimpianti, alla fine sono delle prove che devi superare per migliorare. Devi imparare, devi cadere, devi sapere come rialzarti. Sei più forte e stai meglio quando ne esci. Quindi è difficile dire che mi pento. È difficile dire che cambierei anche le cose negative. Perché poi farei altri errori. Voglio dire, chi attraversa la vita senza commettere errori? Nessuno. Quindi, sai, quelle sono cose prove che a volte devi affrontare, e forse in parte è stata una fortuna? Sfortuna, se vuoi definirla così.

Hai suonato in diverse band con molti grandi musicisti e hai anche vestito i panni di produttore, hai competenze e conoscenza davvero uniche, le potresti forse essere utilizzare quando ti ritirerai dalla carriera di musicista?
Non ho mai preso seriamente in considerazione il ritiro. Voglio dire, ci sono molti giorni in cui penso: perché lo faccio? Ma no, non ci ho mai pensato davvero. Mi piace davvero quello che faccio e mi piacciono le persone con cui scelgo di lavorare. Non lavoro con tutti. Faccio delle scelte e mi piace collaborare con persone che posso chiamare amici e persone con cui ho qualcosa in comune. Non mi piacerebbe farlo in un modo in cui fosse solo un mestiere e ritrovarmi a lavorare con qualcuno solo perché mi ha assunto per la mia conoscenza o qualcosa del genere. Devo davvero avere più punti di contatto. E questo è uno dei motivi per cui non sono mai diventato un produttore o ingegnere professionista, perché poi mi troverei in una situazione in cui sto prendendo un incarico solo perché ho bisogno di lavorare. Ho avuto la fortuna di militare in molte band diverse e in diverse situazioni in cui non ho mai dovuto scendere a patti. Quindi, per questo motivo non ho mai seguito quella strada.

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