Luca Worm – ai più noto per il suo militare negli Animatronic, di cui è fondatore insieme a Luca Ferrari dei Verdena – ha regalato uno degli ultimi colpi di coda musicali del 2020: il suo primo album solista “Now” (C’mon Artax!) propone il chitarrista in una nuova vesta più anarchica e in alcuni frangenti anche nel ruolo di cantante.
Ciao Luca, cosa ti ha spinto a metterti in “proprio”, rilasciando il tuo esordio da solista proprio in questo funesto 2020?
Ciao Giuseppe! Ho deciso di rilasciare “Now” in questo 2020 perché semplicemente sentivo l’esigenza di “lasciarlo andare”. Per me questo album segna la fine del decennio, la fine dei miei vent’anni; non avrebbe la stessa importanza e lo stesso peso se fosse stato pubblicato 20 giorni dopo. Il mettermi in “proprio” è stata una mia esigenza di circa tre/quattro anni fa ed è sempre rimasta nella rosa dei progetti in cui lavoro e per i quali lavoro.
Qual è l’aspetto della tua musica che hai potuto approfondire in questo album e che per un motivo o per un altro non sei mai riuscito ad analizzare nelle tue esperienze precedenti?
In questo album sono stato totalmente libero in fase di scrittura quindi ho sfruttato tutto ciò che era nel mio bagaglio in quel momento senza pormi alcun freno. Ciò mi ha permesso poi di fare un’analisi tecnica ed una dettagliata auto-critica spunto di crescita su tutti i fronti. Altra nota importante: ho potuto scegliere in totale autonomia come lavorare alla promozione del disco, nei progetti precedenti era una scelta di gruppo e, ahimè, spesso motivo di scontro.
Ora ribalto la domanda, c’è qualcosa degli Animatronic che hai eliminato volutamente in questo disco proprio per sancire la tua libertà compositiva?
Assolutamente no! Abbiamo inciso questo disco tra Dicembre 2018 e Marzo 2019; gli Animatronic nascono nel Gennaio 2018, “Now” era già quasi tutto scritto. Non sarebbe comunque un problema se decidessi domani di entrare in studio per un secondo album solista, lo stile dei due progetti è totalmente diverso: il tocco sullo strumento rimane in entrambi, inevitabile fortunatamente…
Il titolo, “Now”, dà l’idea di un’istantanea, di un momento catturato. Ma è andata davvero così, i brani sono nati di getto o le idee le hai raccolte, in modo conscio o inconscio, nel corso di più anni?
“Now” è il tempo che ci sfugge di mano: ieri avevi 18 anni, oggi 30! Ti fermi, cosa a cui non sei abituato nella frenesia quotidiana, ti guardi alle spalle e cogli il modo di arrivare ad un traguardo futuro in modo più efficace ed in minor tempo. Le idee per i brani cantati le ho raccolte in modo inconscio nel corso degli anni, mentre i sette brani strumentali li ho scritti di getto nell’arco di tre mesi.
Un passaggio delle note promozionali che mi ha colpito è questo: “Non saremo mai felici nella nostra ricerca trascendentale”. Questo approccio eccessivamente critico, direi quasi nichilista, non può portare alla lunga alla frustrazione? Estremizzando il concetto, se la tua ricerca trascendentale avviene attraverso la musica, potrei anche pensare che tu oggi non sia già più soddisfatto di “Now” e che tu sia concentrato sul suo successore…
E’ inevitabile per il mio essere non pensare al mondo attuale come un mondo non in decadenza. Nonostante ciò mi sforzo di credere in una rinascita futura che in qualche modo riporti alla luce i valori umani, quelli che non si legano ad una sola cultura, ad una religione o alle istituzioni. Crescendo ho sviluppato una visione sempre più “animista” dell’universo. Tornando alla musica: il mio approccio critico è volto principalmente al miglioramento, non sentirsi mai arrivati per continuare ad apprendere. L’unico fattore che potrebbe trascinarmi nella frustrazione sarebbe il rendermi conto di aver perso l’umiltà, per il resto preferisco rimanere un eterno sognatore con i piedi per terra. Sono soddisfatto di “Now”, ha un’anima tutta sua, il suo successore sarà diverso.
Sempre in quel passaggio parli di trascendenza, questo concetto lo ritroviamo anche nella copertina del disco forse, che mi sembra un mandala. Quel è il tuo rapporto con la spiritualità e che in modo questa incide sulla tua musica.
Credo vi siano delle energie nell’aria che ci circonda, io ne traggo ispirazione per la stesura di qualche testo per canzone. Nella musica cerco di rievocare le sensazioni scaturite in me dall’attrazione che ho verso lo spiritismo ma non solo, parlo anche di esperienze reali e fatti accaduti, di sensazioni astratte intrinseche nell’animo umano. A livello musicale prediligo le tonalità minori in quanto più suscettibili e portatrici di un leggero velo di tristezza.
In questa avventura non sei solo, ti andrebbe di presentare i tuoi compagni?
Certamente! Mauro Ferretti, classe 1964, batterista dalla tenera età di 7 anni, nostalgico dell’hard rock e dell’heavy metal. Dal 1979 al 1986 suonò in una band che si chiamava Hallowed, negli anni a seguire ha collaborato con svariati artisti e musicisti del panorama underground. Musicista eclettico che trova il suo posto nell’universo solo in sella al suo strumento! Cristian Negrini, classe 1974, chitarrista e musicista di professione. Nel mio progetto si presta al basso, con il quale negli ultimi anni ha avuto modo di familiarizzare sviluppando una tecnica degna di nota! A mio avviso una persona vera, sincera e costante: un amico, come lo è anche Mauro!
Il disco è molto vario, con la tua chitarra esplori vari generi. La cosa ti riesce grazie alla tua padronanza tecnica. Qual è il campanellino d’allarme che ti avvisa quando stai eccedendo con la tecnica a scapito del feeling?
Suonando insieme ad altri musicisti si impara ad ascoltare gli altri strumenti in modo di suonare soprattutto “in funzione di”, ci può essere poi l’eccezione di “x” secondi in cui puoi dire e dare tutto. Finché si ha il quadro generale di ciò che si sta suonando e ciò che stanno suonando i tuoi compagni va tutto liscio, il campanello d’allarme per me è il momento in cui si tende a sbilanciare questo equilibrio, con il rischio di correre in solitaria per spazi non definiti, mettendo in difficoltà il resto della squadra. La tecnica deve essere al servizio della melodia, è bello trattarla come fosse una spezia… Sono un amante del peperoncino, non riesco a dosarlo (ridendo).
Il disco è per lo più strumentale, ma come ti vedi nelle veste di cantante?
Prediligo l’opzione strumentale in quanto sono provvisto di un’estensione molto più ampia rispetto alle mie discrete doti vocali. Mi sento uno strumentista, nonostante ciò nel mio percorso ho avuto l’ispirazione e l’occasione di scrivere canzoni con testi in italiano, che ho così inserito nel disco. Al microfono cerco di trasmettere la stessa energia che infondo con la chitarra, perché credo in ciò che scrivo, sforzandomi di mantenere alta la qualità di entrambi.
Sei pronto anche per affrontare il pubblico oppure questo esperimento non è destinato ad avere un’appendice live?
Sono pronto eccome! Non aspetto altro che affrontare il pubblico non appena si potrà riprendere con i live! Usciremo dal vivo con la speranza di suonare il più possibile!
