Folco Sbaglio e Le Ore Perdute Trio – Le storie del pettirosso

Ospite di Mirella Catena ad Overthewall il cantautore Folco Sbaglio.

Ciao a tutti da Mirella Catena e bentornati sullo spazio interviste, oggi con noi un artista la cui carriera affonda le basi nella scuola cantautorale italiana e trae ispirazione da artisti come Dylan, Rolling Stones e Lou Reed. Diamo il benvenuto a Folco Sbaglio! Andiamo indietro nel tempo. Quando hai iniziato a comporre?
La prima canzone che ho scritto, al netto di composizioni giovanili adolescenziali, è 2Latinoamerica”, che è il pezzo di apertura del disco “Storia di un Pettirosso”. Era il periodo romano, studiavo psicologia a San Lorenzo, abitavo a Porta Maggiore. Impiegavo il mio tempo a studiare, nella militanza politica e a scrivere canzoni.

Nel 2009 la tua carriera musicale si unisce con la band Le Ore Perdute. Com’è nata questa collaborazione?
In verità nel 2009 ero fermo con la musica da qualche anno. Suonavo a casa per conto mio. Mi ero lasciato alle spalle un periodo musicale molto intenso. Si presentarono a casa Nitto Lasco e Dano Briga. Con Dano avevamo forse migliaia di ore musica insieme. Nitto invece era un giovane di 21 anni con cui ci conoscevamo poco, ma sapevo che era un ottimo musicista, specialmente per la sua età, e che gli piacevano molto i miei pezzi. Loro avevano saputo di un concorso. Un premio Fabrizio De Andrè. Bisognava partecipare con tre canzoni. Risposi che non avevo voglia. Che ero fermo. In verità ero impigrito e svogliato. Loro però insistettero fino a sfinirmi. Alla fine mi feci convincere. Partecipammo al premio De André e lo vincemmo. Uno dei tre pezzi che portammo era una canzone mia, a tutt’oggi ancora inedita: “Settembre”. Dopo quella soddisfazione i ragazzi ci presero gusto e cominciarono il pressing per partire con una formazione che mi affiancasse negli arrangiamenti dei miei brani per ricominciare i live. A quel punto però, dopo essere salito di nuovo sul palco, divenne più facile persuadermi. La musica è un po’ come le sigarette, se ne fumi una poi il rischio di ricaduta è altissimo. Ci mettemmo alla ricerca di altri musicisti. Scelsi i più validi e nacquero Le Ore Perdute, cioè il mio gruppo di supporto, i miei musicisti. All’epoca erano in quattro: al basso c’era Deddo Lelmì, alla batteria Nonio Nass e alle chitarre Dano Briga e Nitto Lasco. Ricominciai a suonare. Dopo qualche mese mi ritrovai in una situazione un po’ insolita per me. Un discobar. Non so come ci fossi finito. Ero col cocktail in mano quando vidi che affianco al DJ che mandava techno house a manetta c’era una ragazza. Una ragazza veramente giovane. Suonava il violino. Mi concentrai molto su quello che faceva. Ne rimasi rapito. Dissi al proprietario del discobar che volevo il suo numero di telefono. Seppi che aveva solo 15 anni. La chiamai. Entrò nel gruppo e divenne la mia violinista. E poi negli anni diversi musicisti si sono avvicendati, entrati e usciti. Attualmente nel video domestico di Oggi siamo in Guerra ci sono Nonio Nass alla batteria, Leda Fancini al flauto, Nitto Lasco e Vanni Panovus alle chitarre, Rebbo Anzio al basso e Merlina Plaza al violino 

Ma questi sono nomi d’arte giusto? Pare che sia tu stesso ad assegnarli ad ognuno di loro, è così?
Sì, è così. O meglio: quando un musicista entra nel Le Ore Perdute domando sempre quale sia il suo nome d’arte. Questo perché trovo un fatto importante averne uno. L’arte è un ambito molto particolare, è un luogo dello spirito. E quindi avere un proprio nome, dedicato a questo ambito, secondo me è un fatto importante. Ecco se non hanno un nome d’arte chiedo di scegliersene uno. Quasi sempre accade che non ce l’hanno e mi chiedono di fare una sorta di battesimo musicale. Così mi piace trovare delle traslazioni eufoniche, cioè degli anagrammi imperfetti che suonino bene. Cioè: un nome d’arte deve avere anche un minimo di musicalità, di gradevolezza melodica. Ma ci metto anche giorni, settimane, per tirare fuori un nome d’arte di un mio musicista. Spesso un nome d’arte porta con sé anche un significato nella sua mutazione rispetto al nome anagrafico. Insomma con Le Ore Perdute, con tutti loro, non è solo un fatto musicale. C’è un rapporto personale umano che travalica il dato squisitamente musicale. E questo ci aiuta molto nel processo creativo degli arrangiamenti.

Parliamo del singolo “Oggi siamo in guerra”. Un testo pieno di rabbia e di denuncia dei potenti della terra. Com’è nato questo brano?
Ero a Napoli a casa di mio padre. Correva l’anno della guerra in Kosovo, era il 1998. Era notte, molto tardi. Sono solito da sempre andare a letto molto tardi. Non riuscivo a prendere sonno perché dalla base militare vicina si alzavano in volo in continuazione dei cacciabombardieri. Dei boati assordanti. La cosa mi irritò molto. Poi dopo un attimo pensai che io, a causa di quel rumore non potevo dormire, mentre a poche centinaia di km in linea d’aria quei boati incutevano a migliaia di persone la paura della morte, delle bombe, della guerra. Quindi a quel punto, completamente insonne presi la chitarra e cominciai a scrivere. Scrissi con molta rabbia è vero. Del resto come si può non provare rabbia per una guerra e soprattutto per i signori che la muovono e la promuovono e ci si arricchiscono sopra. E poi sono cresciuto con la musica usata anche per divulgare il sentimento del pacifismo. Quindi non feci altro che scrivere in linea con le cose con cui ero cresciuto.

Il video è stato realizzato in versione home made a causa della pandemia in corso, quanto questa situazione ha cambiato la tua vita di musicista?
Molto. Mi mancano da morire il palco, gli applausi, le critiche, le prove anche se, come ho avuto già modo di dire, mi mancano più di ogni cosa i miei musicisti. Averli affianco, guardarsi negli occhi e capirsi. Per me la musica e la socialità sono stretti in un rapporto di grande mescolanza. Sono figlio unico, soffro molto la solitudine, ma anche per indole sono molto dipendente dai rapporti. Mi piace proprio tanto stare insieme agli altri. La pandemia ha cambiato tanto. Io ad esempio non riesco a scrivere. Per scrivere devo avere un minimo sindacale non dico di felicità ma almeno di tranquillità. Ecco sono stati questi i mesi più terribili, quel tipo di situazione che mi porta a non scrivere nulla. Probabilmente quando tutto finirà recupererò tutti gli arretrati.

Qual è il messaggio che vorresti arrivasse con la tua musica e le tue parole?
Di non assuefarsi mai. Di non fare la fine della rana bollita. Di non inghiottire mai le ingiustizie che ci passano davanti e come diceva qualcuno di sentire sempre sulla propria pelle ciò che subiscono gli altri, in qualunque parte del mondo.

Questo questo video domestico segna una ripresa, seguirà un album?
Ma in verità mi sono fermato con la pandemia proprio quando stavo per far partire il secondo crowdfunding per il secondo disco. E credo proprio che fra qualche settimana mi rimetto in moto. Il disco è pronto, dobbiamo solo trovare le risorse per entrare in sala registrazione e per la promozione.

Dove i nostri ascoltatori possono seguirti sul web?
Siamo praticamente ovunque. Da youtube a Spotify, sui social, basta googlare un po’ e cercare Folco Sbaglio.

Grazie di essere stato con noi. Ti lascio l’ultima parola!
Ringrazio io voi per questo spazio di espressione. La musica e lo spettacolo hanno patito più di qualsiasi altro settore tutta questa situazione. Io non so se e quanto le istituzioni ne terranno conto. Sono certo invece che ne terranno conto quelli a cui piace la musica, lo spettacolo la cultura. Sono certo che da loro, dal pubblico, riceveremo un grande abbraccio e una grande partecipazione compulsiva non appena sarà possibile ritornare in strada liberi da questa pandemia, e credimi non vedo l’ora.

Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 15 marzo 2021:

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