Great Master – La locanda dei pirati

In collaborazione con Metal Underground Music Machine, abbiamo contattato Giorgio Peccenini, tastierista dei Great Master. Da qualche mese è fuori il loro nuovo lavoro “Thy Harbour Inn”, album particolare che rilegge in chiave metal alcune canzoni della tradizione marinaresca anglosassone.

Benvenuto Giorgio, direi di iniziare facendo un passo indietro di un paio di anni, ai tempi della vostra precedente uscita: come è andato “Tales From Over the Seas”?
Grazie Giuseppe, è un piacere per i Great Master essere qui con te.  Possiamo dire di essere soddisfatti dell’uscita di “Skull & Bones”, abbiamo potuto vedere che è stato un disco con un buon numero di ascolti e che è stato ben apprezzato anche da molte recensioni del settore. 

Il disco è stato pubblicato nel novembre del 2019, qualche mese dopo tutto si è bloccato a causa del Covid, cosa avete provato ad avere un album fuori e non poterlo promuovere?
È stato frustrante. Siamo riusciti ad organizzare il live per la release assieme agli Innerload a gennaio 2020, eravamo tutti carichi. Poi è giunta la desolante notizia dell’arrivo del lockdown e questo ci ha tagliato sicuramente una parte del risultato a cui aspiravamo. 

Torniamo ai giorni d’oggi, o quasi, lo scorso maggio avete pubblicato “Thy Harbour Inn”, siete riusciti a promuoverlo dal vivo o anche questa volta il lockdown, per quanto parziale, vi ha complicato la vita?
Sì, a maggio 2021 è uscito il nostro ultimo lavoro, quello che voleva essere il capitolo conclusivo della nostra “fase piratesca”, ma anche in questo caso il Covid non ci ha concesso possibilità. Sembrava ci fossero degli spiragli, qualche live allettante, ma, uno dopo l’altro, sono stati sospesi o posticipati. Tuttavia lo avevamo preventivato e “Thy Harbour Inn” è stato pensato proprio per realizzare qualcosa in questa fase di blocco delle attività live. Proprio per questo abbiamo pensato a un disco non di inediti GM.

Appunto, “Thy Harbour Inn” è un disco particolare, avete deciso di riproporre a vostro modo una serie di canzoni storiche e tradizionali della cultura marinaresca anglosassone: a chi è venuta l’idea?
L’idea è tutta del nostro “captain” Jahn Carlini. In realtà alcune di queste canzoni dovevano essere parte di un mini CD che volevamo far uscire pre “Skull & Bones”, poi è stato accantonato per problemi di tempi di registrazione. Lo abbiamo ripreso nel bel mezzo dell’epidemia dopo aver rilasciato il nostro primo vinile “Black Death”; abbiamo deciso di rendere proficuo il nostro tempo e dare un segno che, anche se ostacolati dal covid, siamo sempre rimasti attivi. Sottolineiamo il fatto che questo disco non vuole segnare un particolare cambio di direzione nel nostro sound: lo consideriamo un album di passaggio, di appendice finale al precedente “Skull and Bones”. Un disco, se vogliamo, senza particolari pretese, da ascoltare per puro divertimento.

Avete fatto anche un percorso di ricerca storica per individuare i pezzi?
Beh, molti pezzi erano già stati selezionati da tempo da Jahn; a questi sono stati aggiunti quelli mancanti. L’idea per alcuni pezzi è uscita dal videogioco “Assassin’s Creed” dove apparivano diversi titoli di canti marinareschi; Jahn ha poi fatto una ricerca online di questi canti popolari per poi sottoporci vari ascolti nelle varie versioni. 

Una volta individuati i brani potenziali da rifare, come avete scelto quali inserire?
Ci siamo un po’ confrontati per capire come rendere al meglio l’idea globale dell’album e come ordinare la track list in modo soddisfacente. Per esempio la parte finale del disco è tutta incentrata sull’isola del tesoro con le canzoni di “Long John SIlver”, la cover dei Running Wild “Treasure Island” e la ghost track “Fifteen Men on a Dead Man’s Chest”.

“Treasure Island” ricordo che è inclusa anche in “Pile of Skulls” dei Running Wild, in qualche modo avete voluto fare un doppio tributo alle canzoni marinaresche e ai pirati tedeschi?
Direi che da sempre i RW fanno parte del background musicale dei Great Master; anche questa cover orbitava da tempo nelle idee di Jahn e quale occasione migliore se non inserirla in un disco permeato da sonorità marinaresche ed epiche? Suonarla in acustico è stata un’idea per arricchire in stile folk le sonorità di questo album importando un classico del metal di tutti i tempi.

Che tipo di lavoro avete fatto sui pezzi per renderli più “vostri”?
Diciamo che abbiamo cercato di trattarli come pezzi nostri, usando suoni di chitarra molto power, sezioni ritmiche solide e incalzanti, orchestrazioni epiche e sinfoniche, cori selvaggi e la grande voce teatrale e incisiva del nostro singer! Una volta pronta la struttura ritmica di batteria e basso ho iniziato a sviluppare tutte le parti orchestrali e tastieristiche. Nel frattempo Jahn e Manuel hanno sviluppato le parti chitarristiche per poi giungere alla voce principale. Il passo conclusivo, il più ilare, è stato il ritrovo – con mascherine e distanziamento – per registrare i cori. Per questo album abbiamo deciso di fare tutto con le nostre forze, senza aiuti di special guest esterni. I cori non erano proprio facilini e alcuni di noi erano un po’ arrugginiti nella pratica canora; è stato un po’ faticoso ma ci siamo divertiti molto.

State già pianificando un nuovo album?
Sì, da un po’ di mesi abbiamo già iniziato a sviluppare idee per il nuovo album e possiamo dire che è a buon punto. Non possiamo però anticipare altro se non che abbiamo la sensazione che si tratterà di un bel lavoro.

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