Riccardo Principe e i Corde Oblique tornano con un nuovo album che racchiude tutta la loro essenza artistica, caratterizzata da una doppia anima musicale. “Cries and Whispers” si muove tra sonorità eteree e arrangiamenti raffinati, unendo l’eleganza della musica classica con l’intensità delle atmosfere rock e sperimentali.
Bentornato su Il Raglio, Riccardo. Rieccoci qui dopo cinque anni di silenzio discografico, cosa ti ha ispirato a creare un progetto così ambizioso come “Cries and Whispers”?
È un Piacere tornare su Il Raglio anche per me. Da sempre assecondo la naturalezza delle cose, cercando poi di filtrarla, di selezionare ciò che reputo più interessante, e soprattutto ciò che aggiunge qualcosa a quanto ho già detto in precedenza. Di tante idee uscite in questi cinque anni sono rimasti 20 brani, ne ho registrati 14, 2 non li ho completati, non aggiungevano granché a quanto scritto finora, alla fine ne ho scelti e pubblicati 12. Come vedi è sempre una selezione, un po’ come nelle relazioni.
L’album è diviso in due volumi, con sonorità opposte: post-rock e metal in ”Cries” e neofolk in ”Whispers”. Avevi pianificato questa dicotomia stilistica oppure te la sei trovata dinanzi a disco ultimato? E qual è stata la sfida più grande nel creare un’opera così variegata?
È venuto tutto in maniera molto naturale, sentivo un impulso forte a riprendere la chitarra elettrica dopo oltre 20 anni di conservatorio, dopo tanta chitarra classica, e volevo farlo in modo netto. Mi sono ritrovato una manciata di brani post rock /metal prog e una manciata di brani acustici, ma non erano due dischi diversi, era lo stesso disco, lo stesso momento storico. Perché dividerlo in modo artificioso?
Qual è il significato emotivo o simbolico dietro la scelta di esplorare universi musicali così diversi nello stesso disco?
Il fatto che siano entrambi autentici, parte di me da oltre 30 anni, e soprattutto distanti solo in apparenza. Ho sempre ascoltato tanto prog, tanta clssica, ma anche neofolk e metal estremo. Questi due ultimi generi sono la faccia di una stessa medaglia. Se si isolano le melodie e le armonie di questi due stili ci si rende conto che la diversità sta solo nella distorsione, se si tralascia quella, il mood e le tonalità sono molto affini. Infatti molti fan della scena darkfolk seguono anche il black metal atmosferico.
Il titolo dell’album è un omaggio a ”Sussurri e grida’” di Ingmar Bergman. Oltre alle inspirazione, in che modo il film ti ha guidato durante la composizione?
Quel film è un dramma domestico, consumato in una casa dove tutto è rosso, tappezzerie e suppellettili incluse. Le vicende della vita reale spesso portano ad affrontare certe situazioni. Molti di noi hanno una vita pubblica, una vita di rappresentanza, poi ci sono i nostri ritorni a casa, i nostri drammi domestici e familiari. Il fatto che ciascuno di noi trasformi i suoi mostri in musica non rende la realtà così diversa da quella di tutti gli altri. Diceva De André che l’arte e la musica sono assolutamente false. Ad essere vere sono le sensazioni che hanno generato certe opere. Da alcuni anni la mia vita reale attraversa un periodo molto vicino a quel film.
I testi e le melodie dei Corde Oblique sono sempre molto evocativi. Ci sono due canzoni in particolare che rappresentano al meglio le due anime dell’album?
Solitamente si cambia idea nel corso del tempo. Ad oggi credo che: “A Step to Lose the Balance” sia il brano più rappresentativo del Vol. 1 (vicino al postmetal) ed “Eleusa Consumpta” lo sia per il Vol. 2 (ethereal folk). Il primo brano è per noi un’assoluta novità, un brano che non ci si sarebbe mai aspettati dai Corde Oblique, un passo in avanti, quel passo che necessita (per l’appunto) di una perdita di equilibrio. Il secondo (“Eleusa”) è un brano cantato da una grande artista bulgara: Denitza Seraphim. Ci incontrammo in studio dopo un concerto a Sofia ed iniziammo a scriverlo. Poi lo abbiamo perfezionato a distanza. Avevo già scritto per lei due brani “I sassi di Matera” e “Le Torri di Maddaloni”. Ascolto e apprezzo molto sia la band di Denitza (gli Irfan) che il suo progetto solista, con il quale ha pubblicato un album dal titolo “The Pilgrim’s Road”.
Come hai scelto i collaboratori per questo album e che contributo hanno portato all’opera?
Molti di loro suonano con me da vent’anni, Edo Notarloberti (il violinista) collabora con me dal 2000. Non ci sono grandi novità rispetto ai dischi precedenti. Con molti di loro collaboro da più o meno tempo. Maddalena Crippa ha già recitato nell’ultimo disco. Rita Saviano canta con noi da almeno sei anni ed è la voce che interpreta un vasto repertorio di brani durante i concerti, con lei si è formata una bella amalgama e intesa live, ed è con me nei concerti in duo.
Questo album celebra i vostri 20 anni di carriera, guardando indietro, come descriveresti l’evoluzione del vostro stile musicale e che ruolo ricopre questo disco all’interno della discografia dei Corde Oblique?
Ho sempre cercato di fare dischi quando sentivo che il momento di gestazione era giunto, indipendentemente dal tempo. È difficile esprimere giudizi imparziali su sé stessi. Ma so che ho sempre scritto musica autentica, direi che all’inizio c’era una direzione che fondeva il folk con la world music, ora sono tornato alla fase più oscura della mia giovinezza. Non saprei, è difficile autogiudicarsi.
Ci saranno tour o eventi speciali per celebrare sia l’uscita dell’album che i vostri 20 anni di carriera?
Abbiamo presentato il disco in concerto a Sofia e a Roma, come prossime tappe saremo a Napoli, poi Jesi, Portogallo e Germania. Credo e spero ci saranno nuove date in arrivo.
Hai già in mente la prossima sfida per i CO oppure è troppo presto per programmare le prossime mosse della band?
Ho iniziato a fare dischi a 21 anni, ora ne ho 46, sono carico ma sono anche stanco; spero in primis di riposarmi. Fare un disco di questo tipo e promuoverlo richiede tempi, costi e investimenti di energie difficili da immaginare, e facendo questo da moltissimo tempo inizio a chiedermi fin quando avrò le forze per farlo. Il sostegno e il supporto di chi ci ascolta dà tanta forza per continuare.
