Godwatt – Il terzo rintocco

I Godwatt ci hanno messo un po’ – a causa di fattori interni, cambio di line-up, ed esterni, restrizioni covid in primis – per tornare tra noi. Ma quando l’hanno, l’hanno fatto a modo loro, con una vagonata di riff pensanti e oscuri. E’ toccato a Moris Fosco il compito di presentarci il nuovo album “Vol III” (Time to Kill Records \ Anubi Press).

Benvenuto Moris, ai tempi della pubblicazione di “Necropolis”, vi chiesi da quale lavoro dovessimo iniziare a contare i vostri dischi, dato che in precedenza vi chiamavate Godwatt Redemption e avevate testi inglese, e tu mi rispondesti: “I nostri album dobbiamo contarli dal demo precedente a “The Hard Ride…””. Come mi spieghi, allora, quel “Vol. III” che dà il nome alla vostra ultima fatica?
Intanto grazie per averci di nuovo cercato per questa intervista! “Vol. III” indica semplicemente il terzo lavoro ufficiale della band uscito per una label, poiché tutti i dischi precedenti a “L’ultimo sole” del 2015 sono autoprodotti.

Mi pare che in generale “Vol. III” riprenda una certa oscurità che in parte avevate “diluito” in “Necropolis”, è così?
Sinceramente io trovo molto oscuri, anche se in maniera diversa, tutti i nostri ultimi tre dischi soprattutto se paragonati ai nostri primi lavori autoprodotti dove forse l’impronta stoner era un po’ più marcata. Devo ammettere inoltre, che ogni nostro disco, anche se può essere considerato stoner doom come genere, abbia caratteristiche diverse l’uno dall’altro, sia per la composizione che per la produzione in generale. Ogni disco ha un suono, una sua caratteristica, un suo groove, anche se l’impronta Godwatt si riconosce comunque.

Il vostro terzetto non è mai cambiato, almeno sino ai giorni successivi alla pubblicazione di “Necropolis”. Come sono andate le cose?
Purtroppo è proprio così poiché nel 2018, dopo pochi mesi dall’uscita di “Necropolis”, il nostro batterista storico Andrea Vozza per motivi diversi decise di lasciare la band. All’inizio non fu facile, dopo circa 12 anni di convivenza, cercare un altro batterista, sia perché eravamo e siamo ancora grandi amici e sia perché avevamo ormai un’intesa collaudatissima da anni sul palco. Questa cosa non ci permise di promuovere nella maniera idonea il disco poiché dovemmo fermarci e cercare un nuovo batterista. Dopo qualche avvicendamento, comunque, nel settembre del 2019, quindi circa un anno dopo, abbiamo ritrovato la quadratura del cerchio con l’ingresso in pianta stabile di Jacopo Granieri. Anche se proveniente da ascolti e esperienze diverse, nel giro di poco tempo è riuscito ad entrare nei meccanismi della band, tanto che pochi mesi dopo, ci siamo catapultati in studio per iniziare le registrazioni di “Vol. III”.

Il disco si apre con “Signora morte”, che se non erro è stato anche il primo singolo estratto da “Vol. III”, credi che sia il brano che oggi vi rappresenti al meglio?
Sicuramente è uno dei brani del nuovo album che noi preferiamo suonare dal vivo e comunque credo ci rappresenti anche bene, dato che ha una parte heavy iniziale e una parte stoner-doom finale che in definitiva sono un po’ le nostre caratteristiche principali.

Tra le vostre due ultime pubblicazioni sono scoppiate una pandemia e una guerra sul territorio Europeo. Nei vostri testi avete sempre trattato temi come la morte e la disperazione, ma questi anni particolarmente ricchi di eventi nefasti hanno in qualche modo cambiato la vostra percezione della morte?
Di sicuro non hanno portato gioia e solarità nei nostri testi… Anche se devo ammettere che non mi hanno influenzato più di tanto, dato che avrei comunque parlato di certe tematiche perché penso che si adattino alla perfezione alla nostra musica, che di base è negativa e oscura.

Restando in tema pandemia e guerra in Ucraina, i costi dei tour sono notevolmente aumentati in questi anni: quanto è dura per un gruppo come il vostro organizzare oggi delle date?
Sicuramente questi eventi catastrofici non ci aiutano affatto e organizzare date è diventato veramente difficile dato che le spese per i gestori/organizzatori sono aumentate a dismisura e quindi di conseguenza chiamare una band, specialmente se proveniente da lontano, diventa una spesa non sempre sostenibile. Speriamo comunque di poter riuscire a suonare il più possibile, come spiegavo precedentemente abbiamo avuto periodi di stop forzato per cercare un batterista prima e, come tutti, le restrizioni per covid successivamente.

Nonostante questi fattori critici, avete dei concerti in programma?
A Marzo suoneremo al Roma Caput Doom Fest, abbiamo una data a Latina ad Aprile e una in Puglia da confermare. Stiamo comunque lavorando per organizzarne altre.

Avete già proposto i nuovi brani dal vivo e quali sono stati i riscontri?
Si abbiamo realizzato un release party suonando tutto “Vol. III “ed è stato accolto alla grande dal pubblico anche, se un paio di brani venivano eseguiti dal vivo già da un po’ di tempo. In generale, dalle recensioni, come anche dai social, sembra che il disco stia piacendo molto e non vediamo l’ora di farlo ascoltare il più possibile.

In chiusura vorrei tornare nuovamente alla nostra intervista del 2018: in quell’occasione mi parlaste di un brano escluso da “Necropolis” per la sua lunghezza e che nelle vostre intenzioni sarebbe dovuto poi andare a finire in un futuro EP. Che fine ha fatto quel pezzo? Avete ancora intenzione di fare un EP?
Che memoria! Quel pezzo è rimasto purtroppo nel cassetto… almeno per ora! È stato registrato con il vecchio batterista e aveva una produzione diversa da quella di “Vol. III”, quindi sarebbe da registrare nuovamente magari per una prossima uscita.

Cancervo – La montagna sacra

Un paio d’anni fa ha fatto la propria comparsa nella scena doom nostrana una nuova e interessante creatura. I lombardi Cancervo, nel giro di due dischi, sono stati capaci non solo di attirare le attenzioni degli amanti delle sonorità più fumose e lisergiche, ma anche di variare il proprio sound da un doom\stoner strumentale dal taglio psichedelico a un doom più tradizionale con voce e rimandi alla scuola italica . “II” (Electric Valley Records \ Qabar Pr) è fuori da qualche giorno, ne abbiamo discusso con il bassista\cantante Luca.

Benvenuto Luca, anche se potete contare già due album nella vostra discografia, la band è di recente formazione, per questo ti chiederei di ripercorre velocemente la vostra storia a vantaggio di chi ancora non vi conoscesse…
Ciao, nasciamo come Cancervo ad inizio 2020, dopo qualche cover per trovare il giusto feeling, proviamo ad inviare il nostro primo brano (“Darco”) ad Electric Valley Records. Sorprendentemente il pezzo piace e ci accordiamo per l’uscita di “I” che vede la luce a febbraio 2021. Persuasi dal buon feedback ricevuto per il nostro LP d’esordio, concordiamo, sempre con Electric Valley Records, l’uscita del nostro secondo album “II” per Gennaio 2023.

Un elemento che colpisce immediatamente è il vostro nome, ti andrebbe si piegarne il significato?
Il nome proviene dalla montagna che domina la nostra valle. In passato i suoi boschi venivano incendiati per rigenerare i pascoli per gli anni a venire. Questo ci ha dato l’ispirazione per “prendere in prestito” il nome e scrivere il nostro primo singolo.

Alla luce di ciò, quanto la natura che vi circonda vi influenza al momento della composizione dei vostri brani?
Tanto. Conosciamo i nostri territori e le loro leggende, esploriamo e cerchiamo inspirazione in tutto questo. Una volta immersi in una di queste storie cerchiamo di metterla in musica preservando quelle emozioni.

Tra la pubblicazione di “I” e “II” è passato relativamente poco tempo, c’è qualcosa che non è stato utilizzato nel primo disco che poi è andato a finire nel secondo?
Assolutamente no. Anzi “I” è stato completato con la nostra versione di una delle cover che all’epoca proponevamo live (“Swlabr”). Forse proprio questa canzone ha segnato lo spartiacque per giungere poi al secondo album.

Come dicevo, tra i due dischi non è che ci passi molto tempo, eppure “I” mi sembra più orientato sullo stoner\doom, mentre “II” in molti frangenti mi pare più vicino alla tradizione doom italiana: sei d’accordo con me?
Pienamente d’accordo, il primo album è fortemente influenzato dal prog-rock inglese degli anni ‘60/’70, Cream e King Crimson in testa. Nel secondo invece non sappiamo bene quale sia stata la nostra fonte d’ispirazione, diciamo che forse siamo stati meno influenzati e abbiamo trovato il nostro sound e la nostra via..

Altra novità importante in “II” è il ruolo della voce, del tutto assente sull’esordio e invece presente su questo disco: a cosa è dovuto questo cambio stilistico?
Un caro amico ci disse “se non avete nulla da dire (cantare) meglio non dire nulla”. Sacrosanta verità! Non abbiamo mai voluto autoimporci la presenza o no della voce. Nel primo album siam riusciti ad esprimere tutto con la sola musica, mentre in ”II” è stata essenziale per dar forma a certe sfumature.

Ho fatto un giro su Bandcamp e ho scoperto che l’edizione in vinile del vostro esordio è esaurita in tutte le sue varianti fisiche. Sono previste delle ristampe, magari per la prima volta in CD, dato che in precedenza lo avete pubblicato solo in digitale e vinile?
A grande sorpresa è andato completamente sold-out ed il secondo lavoro è arrivato subito senza farci pensare ad un’eventuale ristampa. Ad oggi la escludiamo, ma mai dire mai…

Invece, “II” in quali formati uscirà?
Anche “II” è previsto in digital e vinile, ma con una tiratura di 500 pezzi.

Dalla vostra pagina FaceBook ho appreso che nel mese di marzo farete alcuni concerti all’estero e in Italia, possiamo aspettarci altre date?
Stiamo lavorando ad altre date della tournee europea che ci occuperà metà mese di Marzo. In parallelo stiamo finalizzando un evento per il mese di Febbraio, in compagnia degli amici Humulus e di una nota band tedesca, ed uno per il mese di Aprile ancora tutta da imbastire. Per l’estate c’è ancora tanta indecisione, “III” sta prendendo forma e la voglia di pubblicarlo ad inizio 2023 è forte…

Ahab – 20000 leagues under the sea

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

Forse era scritto nelle stelle che prima o poi gli Ahab e il capolavoro di Jules Verne “20000 leghe sotto i mari” si sarebbero incontrati. “The Coral Tombs” (Napalm Records \ All Noir) è l’ennesimo grandioso incubo marino partorito dalla band tedesca, ne abbiamo discusso con il batterista Cornelius.

Ciao Cornelius, dopo il vostro precedente acclamatissimo album “The Boats Of The Glenn Carrig”, avete impiegato otto anni per pubblicare un nuovo disco. Avete sentito il peso della responsabilità di garantire un grande successore al vostro quarto album?
Assolutamente! All’inizio sembra sempre un peso. Registriamo e pubblichiamo solo musica di cui siamo convinti al 100%. I nostri album sono sempre il meglio che siamo in grado di offrire in quel preciso momento. Quindi quando pubblichiamo qualcosa, mi capita sempre di pensare “come mai faremo a incidere di nuovo un album che sia figo come questo?”. Avverto una responsabilità nei nostri confronti, in primis. Avere una band perde ogni significato non appena smetti di sfidare te stesso. E sfidarci significa scrivere canzoni che ci piacciono, in primo luogo. Che siano passati otto anni questa volta non ha cambiato tutto questo, almeno fino alla data in cui abbiamo seriamente iniziato a scrivere le nuove canzoni di “The Coral Tombs”.


“The Coral Tombs” è ispirato al capolavoro di Jules Verne “20000 leghe sotto i mari”, era scritto nelle stelle che prima o poi la vostra musica e questo capolavoro letterario si sarebbero incontrati, sei d’accordo con me?
Beh, sì, haha… Anche seo libro è in circolazione da un bel po’ di tempo, tutti noi siamo stati affascinati dal film Disney nella nostra infanzia. Ma la storia non sembrava dare spazio a riff distorti e a grugniti death metal. Questa opinione è cambia quando abbiamo letto il libro. Quindi, ancora una volta, abbiamo avuto la la prova che la lettura aiuta.

Durante i tuoi tour passati, hai mai visitato Les Machines de l’île a Nantes, l’isola dove alcuni artisti hanno costruito le fantastiche macchine di Verne?
Hmmmm, aspetta…. Nel nostro tour con Mammoth Storm e High Fighter siamomstati a Nantes. Ho dovuto mandare un messaggio agli altri membri della band per scoprirlo. Secondo loro, Chris e Stephan ci sono andati. Daniel ed io eravamo ovviamente ubriachi… Ma non ho prove certe, posso solo fare affidamento su quello che mi è stato detto, haha!

Un giochetto veloce veloce: Melville o Verne?
Melville!

Cosa è arrivato prima, il tuo amore per la letteratura o per la musica?
Questa è in realtà un’ottima domanda. Ricordo che nella mia infanzia ho letteralmente divorato libri. Ma la musica è sempre esistita, quindi davvero non posso dirlo. Ma entrambe sono state con me sin dalla prima infanzia, questo è certo!

Dal punto di vista musicale questo è forse il tuo album più vario ma anche il più estremo…
Penso di sì, sì. È un po’ presto per parlare dell’album nella sua interezza, perché non ne ho ancora una visione personale. Ma pensando a quello che abbiamo fatto musicalmente, immagino che sia, in effetti, il più vero.

Come sono nate le collaborazioni con Chris Noir di Ultha e Greg Chandler di Esoteric?
Stavamo cercando una voce che offrisse un netto contrasto con quella profonda di Daniel per l’intro. Poiché ci piacciono le urla assolutamente disperate di Chris, gli abbiamo semplicemente chiesto se gli sarebbe piaciuto contribuire al nostro album. Greg Chandler è un amico di lunga data degli Achab. Gli Esoteric hanno avuto una grande influenza sugli Achab, specialmente durante il periodo della fondazione. Quindi era solo una questione di tempo prima che accadesse un qualcosa di simile a questa collaborazione.

Durante il tour di quattro date di novembre, avete suonato le nuove canzoni? Come hanno reagito i vostri fan?
Sì, abbiamo suonato “Colossus of the Liquid Graves” e “Mobilis in Mobili”. Alla gente pare che siano piaciute molto. In generale posso dire che ci sono alcune canzoni nel nuovo disco che sembrano funzionare molto bene sul palco.

Quali sono i vostri prossimi appuntamenti dal vivo?
Il 14 gennaio terremo il release party di “The Coral Tombs” in una chiesa a Braunschweig, in Germania. Abbiamo alcune date confermate e altre che sono in contrattazione, proprio ora. Ad essere onesti, ho dimenticato quali sono confermate e quali no. Quindi immagino che sia più facile per voi controllare sulla nostra homepage ahab-doom.de, haha…

Perhaps it was written in the stars that sooner or later Ahab and Jules Verne’s masterpiece “20,000 Leagues Under the Sea” would meet. “The Coral Tombs” (Napalm Records \ All Noir) is yet another great marine nightmare born from the German band, we discussed about it with the drummer Cornelius.

Hi Cornelius, after your much acclaimed album “The Boats Of The Glenn Carrig”, you needed eight years, to release a new record. Did you feel the weight of responsibility to grant a great follow up to your fourth album?
Absolutely! It always feels like a weight at first. We only record and release music we are 100% convinced by. Our albums always are the best what we are able to deliver at this very point in time. So when we release something it´s always the same that I think “how are we ever gonna make an album again that is as cool as this one?”. I feel a responsibility for ourselves, in the first place. Having a band loses its point as soon, as you stop challenging yourselves. And challenging means writing songs we like ourselves, in the first place. That it has been eight years this time didn’t change, until the date when we seriously started writing new songs for “the Coral Tombs”.

“The Coral Tombs” is inspired by Jules Verne’s masterpiece “20000 Leagues Under The Sea”, It was written in the stars that sooner or later your music and this literary masterpiece would meet, do you agree with me?
Well, yes, haha… This book has been around for quite some time, actually. All of us have been fascinated by the Disney movie in our childhoods. But the story never seemed to give room for heavily distorted riffs and death metal grunts. This changed, when we read the book. So, again, there is proof that reading helps, in fact.

During your past tours, have you ever visited Les Machines de l’île in Nantes, the island where some artists built Verne’s fantastic machines?
Hmmmm, wait… On our tour with Mammoth Storm and High Fighter we were in Nantes. …I just had to text my bandmember to find out. According to them, Chris and Stephan were there. Daniel and me were drunk obviously… But I have no proof here, I have to rely on what I was told, haha!

Just a little game: Melville or Verne?
Melville!

Did your love for literature or music come first?
This is actually a very good question. I remember that I literally swallowed books in my childhood. But music always had been around, so I really can´t tell. But both of them have been with me since early childhood, that´s for sure!

From a musical point of view this is perhaps your most varied album but also the most extreme…
I think so, yes. It is a little bit early to talk about the album in its entireness, because I don´t have the personal distance to it, yet. But thinking of what we did here musically, I guess it is, in fact, the most veried one.

How did the collaborations with Chris Noir of Ultha and Greg Chandler of Esoteric come about?
We were looking for voice that delivers a harsh contrast to Daniel deep voice for the intro. For we like Chris´ utterly desperate screams we just asked him if he´d like to contribute to our album. Greg Chandler has been a long term friend of Ahab. Esoteric have been a major influence on Ahab, especially during the founding time. So it was just a matter of time until something like this collaboration would happen.

During the November four dates tour, did you play the new songs? How did your fans react?
Yes, we played “Colossus of the Liquid Graves” and “Mobilis in Mobili”. People seemed to like them very much. Generally I can say that there are quite some songs on the new record wich seem to work very well on stage.

What’s about your next live dates?
On January, 14th will play a release show for “the Coral Tombs” in a church in Braunschweig, Germany.We have a few confirmed dates and some more that are being discussed, right now. To be honest, I somehow lost, wich ones are confirmed and wich arent´. So I guess, it´s easiest to check our homepage ahab-doom.de, haha…

Mater A Clivis Imperat – Memorie dal luogo atroce

Italiani popolo di santi, poeti e navigatori… ma non solo. Se c’è un qualcosa che sappiamo fare meglio degli altri, anzi direi meglio di tutti, è quel sound che unisce magistralmente progressive rock e sonorità oscure. Lo abbiamo fatto in passato con Jacula, Goblin, Devid Doll, lo facciamo ancora, senza paura di confronti con i nomi citati, con Il Segno del Comando, L’Impero delle Ombre e i più recenti Mater A Clivis Imperat. Capeggiata da Samael von Martin (Evol\Death Dies), questa misteriosa orchestra ha tirato fuori una delle cose più belle del 2022, quel “Atrox Locus” (Black Widow Records) che ha attirato da subito le attenzioni degli amanti di certe sonorità…

Benvenuto Samael, i Mater A Clivis Imperat, pur essendo nati non molti anni fa, hanno alle spalle una storia iniziata molto prima, quasi che una forza misteriosa, attraverso vari progetti, ti abbia poi portato a comporre “Atrox Locus”. Ti va di ripercorre le tappe principali di questa epopea?
I Mater a Clivis Imperat si formano grazie alla mia passione per la musica progressive italiana anni 70 di band quali Goblin, Jacula, Biglietto per L’Inferno e dei compositori Ennio Morricone e Fabio Frizzi. I Mater a Clivis Imperat sentono anche una forte influenza dei loro conterranei veneti Devil Doll, dei quali sono grandi estimatori. Il concetto dell’opera è stata abbozzata più di 10 anni fa, nel lontano 2008, ma poi accantonata a causa degli impegni con le band che tra incisioni e concerti, mi hanno lasciato poco tempo per la lavorazione conclusiva. Proprio mentre sostituivo temporaneamente il chitarrista dei Deusdiva, una hard rock band padovana, nel 2011, vengo a contatto con la cantante Isabella che decide di prestare la voce per portare a termine il progetto, che si intitolerà “Atrox Locus”. In origine ispirata a temi dell’orrore ma nel corso degli anni, sviluppata in maniera esoterica. Nel periodo di marzo – aprile 2020 ho lavorato a capofitto per terminare le composizioni e per farlo mi sono avvalso, oltre che della voce di Isabella, anche della Soprano Elisa Di Marte, dell’organista Milanese Alessio Saglia e di una sua collega Natalia Brankovic al pianoforte, con la quale lavora in ambiente sanitario. Dopo l’estate 2020, con tutto il materiale musicale mi recato agli Giane Studio di Padova per registrare la voce principale, i canti gregoriani e per mixare. Le musiche assumono un connotato sempre più occulto, nonostante le composizioni non siano per forza sempre oscure, rivelando un qualcosa di macabro, costantemente. Le influenze musicali oltre a provenire dall’ambito italiano, sono frutto della passione per la musica dei Black Sabbath, dei Coven, dei Black Widow e molti altri. Le liriche trattano di antichi racconti popolari detti anche “Racconti del filò” e narrano di leggende e superstizioni ancorate nelle magiche terre dei colli Euganei il tutto visto attraverso gli occhi della band.

Ti andrebbe di presentare, in maniera più approfondita, la formazione che ha inciso il disco?
Il disco è stato da me composto, pensato e mi sono occupato delle parti di chitarra, basso alcune tastiere e vari effetti, Hanno collaborato alla sua realizzazione Tomas Contarato, Isabella, Natalija Brankovic e Alessio Saglia. Tomas è un batterista preparato versatile nei vari generi musicali. Isabella, oltre ad essere una cantante strepitosa, ha una sensualità nel parlato che fa venire i brividi. E’ stata la cantante dei Deusdiva e dei Kolossal. Natalija Brankovic si è occupata del pianoforte ed è un personaggio particolarmente oscuro e stravagante. Alessio un ottimo tastierista, attualmente suona con Maurizio Vandelli. Come special guest si è occupata del cantato lirico Elisa Di Marte, noto soprano delle mia terre e molto dotata.

E’ pure vero che tu sei la mente principale, ma quale contributo hanno dato i diversi membri alla composizione dell’opera?
Inutile dire che anche involontariamente, ognuno dei membri ha contribuito alla realizzazione del lavoro mettendoci del proprio. In “Atrox Locus” ho richiesto le esecuzioni o scritto le partiture in maniera dettagliata ma nel prossimo lavoro ho lasciato loro un maggior campo di espressione tanto da aver fatto crescere ed arricchire l’opera che vedrà la luce il 31 ottobre 2023. Il lavoro di Alessio è notevole come lo sarà per il nuovo chitarrista piemontese che ha collaborato al disco. Tutto è al proprio posto e il nuovo lavoro vedrà la presenza di ospiti famosi nel campo del progressive italiano.

Possiamo considerare “Atrox Locus” un canonico concept album oppure si tratta di brani a se stanti ma legati da un filo comune?
“Atrox Locus” è entrambe le cose: ovvero un concept album ma non in modo convenzionale. Quindi, come dici tu, si parla di brani a se stanti ma legati da un filo conduttore. Le liriche narrano delle leggende popolari dei colli Euganei viste attraverso gli occhi di tre streghe (allegorie della natura) mentre di collina in collina viaggiano attraverso ville storiche in rovina fino ad approdare al monastero del monte Venda per adorare l’oscura Madre che domina dalle colline, il tutto tra leggende e folklore padovano. Per quest’opera mi sono ispirato si alle fole esoteriche delle mie campagne ma anche ai racconti del filò che si svolgevano nelle stalle fino ai primi anni 80, periodo nel quale mi trasferii dalla città alla periferia.

Musicalmente avevi già un’idea del disco? Sapevi che avrebbe giocato con le influenze di Jacula, Requiem, Goblin e dei maestri della tradizione cinematografica italiana?
Musicalmente come ho detto prima, il progetto nasce nel 2008 e naturalmente le influenze sono sempre le stesse che mi accompagnano dai tempi degli Evol… Diciamo che con questi ultimi masticavo pane, Celtic Frost e Goblin, mentre per quanto riguarda i Mater a Clivis Imperat ho dato sfogo alla mia passione musicale che tanto amo ovvero il progressivo italiano horror anni 70. Sono cresciuto con colonne sonore come “Profondo rosso”, “L’uccello dalle piume di cristallo”, “Quattro mosche di velluto grigio” dal quale ho assimilato lo stile di batteria oltre ad ispirarmi al lavoro di Agostino Marangolo, “L’aldilà” di Fabio Frizzi”, di non poca importanza “Lucifer’s rising” di Bobby Beausoleil, senza tralasciare tutta l’opera di Antonio Bartoccetti. Il mio lavoro è abbastanza contaminato dalle influenze degli artisti appena nominati anche se in verità ho creato un sound piuttosto personale che verrà sviluppato maggiormente nel prossimo lavoro. Per quanto riguarda i registi che hanno ispirato almeno in parte “Atrox Locus” posso citare senza ombra di dubbio Dario Argento, Lucio Fulci, Alberto De Martino, Sergio Martino e molti altri…

I Mater A Clivis Imperat appaino molto distanti da quanto fatto da te con alcune tue band procedenti (Evol e Death Dies), ma secondo te c’è qualcosa che accomuna questa creatura alle altre ben più estreme?
No non direi… Qualcuno ancora accomuna i Mater con gli Evol ma nulla di più sbagliato. Se l’opera l’avessi stampata con un altro nome invece che Samael Von Martin, nessuno avrebbe accostato le due band. I Mater a Clivis Imperat sono totalmente distanti dal mondo metal o black metal, non c’entrano in nessun modo. Se devo trovare per forza una similitudine che non sia nel prog italiano, li vedrei più simili ai Nox Arcana, nonostante la differenza di stile o di strumenti musicali. Non so se mi spiego. Se invece intendi la passione per l’occulto, l’esoterismo nonché le tradizioni popolari e folcloristiche posso dire che, essendo un mio interesse costante, tutti i miei progetti sono accomunati da questo. Ma musicalmente non ci troverai nessuna somiglianza, ho stravolto il mio stile musicale e abbandonato certi gusti per l’estremo nel realizzare “Atrox Locus”.

Credo che un approfondimento lo meriti anche la stupenda copertina…
Avevo bisogno di dare un vestito al progetto. Non ho voluto puerili inneggi a varie divinità o espliciti riguardi nei confronti di chissà chi, ho solo sempre avuto stima per i lavori di Enzo Sciotti con il quale sono cresciuto (da amante dei film in generale, horror o meno…) fin da piccolo e mi sono chiesto: chissà se risponderà alle mie mail o se sarà interessato alla cosa… Per me è uno dei migliori illustratori di sempre, tanto che all’inizio lo ricordo anche come l’esecutore di alcune copertine magnifiche dei fumetti horror erotici anni 70. L’opera che Enzo ha creato per noi si discosta dal solito pandemonio di immagini, “Atrox Locus” sembra la locandina di una colonna sonora di un film mai realizzato. Ed è quello che è, come opera nella sua interezza. Enzo ha ascoltato attentamente le mie spiegazioni e con il suo magico colpo di Maestro, ha riassunto tutte le mie visioni in maniera semplice ed esaustiva. Mi è dispiaciuto moltissimo per la sua dipartita, era una cara persona abile e umile come pochi. Ricordo ancora un sacco le lunghe conversazioni sul mondo del cinema e sulla musica attuale. Il suo strumento preferito era il violino così ho scelto di rappresentarlo assieme all’ idea del Maestro come metafora e per quanto riguarda le tre streghe, come accennato prima, sono allegorie delle terre venete.

Porterete dal vivo il disco?
Ho già avuto richieste per la cosa ma per ora non ci penso minimamente. Sto lavorando al seguito di “Atrox Locus” e pure ad una piccola operetta che verrà inclusa nella versione limitata, ho appena realizzato il video clip del singolo, edito per Black Window Records, “Chori Tragici”, Quindi il tempo non è abbastanza per fare questo passo. Non nego che in futuro qualcosa possa accadere, ma per il momento preferisco concentrarmi sul lavoro in studio.

In chiusura, come dobbiamo considerare i Mater A Clivis Imperat un progetto estemporanea oppure una vera e propria band che pubblicherà album con una certa costanza?
I Mater A Clivsi Imperat sono un’orchestra a tutti gli effetti, e mi darò da fare per realizzare e mettere in musica le visioni che mi ossessionano quanto possibile. Oltre ad “Atrox Locus” esiste un sette pollici picture inedito ed estremamente limitato, oltre al nuovo lavoro che è già praticamente pronto e vedrà la collaborazione di Elisa Montaldo, Flavio “Nequam” Porrati, Domenico Lotito, Simon Ferètro oltre che alla formazione citata in precedenza. Il lavoro sarà molto più personale, anche se influenzato dai maestri di cui ho parlato. La copertina verrà affidata ad un altro famoso illustratore italiano. Detto questo, vi ringrazio, per acquistare il disco scrivete a blackwidow@blackwidow.it.

Demonio – La musica del demonio

La musica dei Demonio, dopo gli ottimi riscontri ricevuti su Bandcamp in versione digitale, sta per essere pubblicata da Helter Skelter Productions / Regain Records in formato CD e cassetta. Un’occasione ghiotta per chi ha avuto modo di apprezzare “Electric Voodoo” e “Black Dawn” di accaparrarsi in un colpo solo entrambe le uscite, grazie alla compilation “Electric Voodoo of the Black Dawn”.

Benvenuto Matteo, direi di iniziare dalla fine: dal 24 dicembre sarà disponibile “Electric Voodoo of the Black Dawn” per la Helter Skelter Productions / Regain Records in formato CD e cassetta. Questa compilation, se possiamo definirla così, raccoglie “Electric Voodoo” e “Black Dawn”, rispettivamente il vostro album del 2021 e l’Ep del 2022, inizialmente usciti solo in formato digitale. La vostra musica quanto ha bisogno di un supporto fisico per essere goduta al meglio?
Ciao e grazie per questa intervista, ci fa molto piacere. Direi che non solo la nostra musica ma tutta la musica avrebbe sempre bisogno di un supporto fisico per essere goduta appieno! L’esperienza di ascoltare musica in vinile resta difficilmente superabile nella mia umile opinione. Parlando di vinili, abbiamo da poco ricevuto il vinile test press da parte della DHU Records, l’etichetta olandese che sta per rilasciare a breve sia l’album “Electric Voodoo” che il mini album “Black Dawn” proprio in vinile e per noi è stato davvero super figo poter alla fine ascoltare la nostra musica per la prima volta con il giradischi!

Da amanti del vintage siete più eccitati dell’idea di avere fuori un CD o una Cassetta a vostro nome?
In realtà non mi sento di sminuire nessun supporto fisico, anche il CD ha la sua dignità e personalmente ne ho collezionati tanti quando ero più giovane, anche se poi mi sono dedicato molto di più alle cassette oltre che ai vinili, dal momento che a un certo punto è iniziato un revival, più che giusto a mio parere, dell’analogico. Il fatto che il CD non abbia alcun problema di spazio per i brani resta di sicuro il suo punto forte e questo ci permette di avere una versione veramente bella del nostro materiale rilasciato in un pezzo unico dalla Regain Records – Helter Skelter Productions. Insomma tutti i formati sono validi fintantoché si supportano le band che più ci piacciono!

Dimmi aualcosa in più della versione in vinile…
Sì, come detto sopra verso fine dicembre dalla DHU Records dovrebbero partire i preordini dei vinili, quindi occhio che con le edizioni limitate non si sa mai quanto durino, eheh. Tra l’altro sarà in una fighissima edizione “sawblade” cioè con i bordi stile lama circolare.. e ho detto tutto!!

Come erano andati entrambi i lavori in digitale e cosa vi aspettate da queste pubblicazioni in formato fisico?
Erano stati pubblicati solo sul nostro Bandcamp per farli girare un po’ a name your price e a qualcuno sembrano essere piaciuti, qualcuno probabilmente è stato colpito dalle copertine eccessive innanzitutto ma poi la musica pure ha ricevuto degli apprezzamenti! Dalla pubblicazione in fisico non sappiamo cosa aspettarci ma abbiamo avuto dei messaggi da persone che già non vedono l’ora di ricevere il disco. Yeah!

Come è nata la collaborazione con la Helter Skelter Productions / Regain Records?
Amici in comune ci hanno messo in contatto e Per ha detto subito di essere interessato a rilasciare la musica del Demonio in CD e cassetta il che ci ha fatto un estremo piacere.

Tra le due uscite ci sono pochi mesi di differenza, “Electric Voodoo” e “Black Dawn” sono il frutto della stessa sessione di registrazione?
No, “Electric Voodoo’’ era stato registrato tra ottobre e novembre 2021, mentre i tre brani di “Black Dawn’’ soni stati registrati tra aprile e maggio 2022 quindi svariati mesi dopo!

Siete già a lavoro sui nuovi brani e, se sì, in che direzione vanno?
Al momento siamo fermi nello scrivere nuovi pezzi ma vorremmo continuare sulla linea delle tracce di “Black Dawn’’ e andare in territori sempre più psychedelic rock, questa in linea di massima sarebbe l’idea.. difficile dire quando succederà.

Al di là dell’attività da studio, come siete messi con quella live?
Per il momento non abbiamo attività live in programma, anche perché abbiamo avuto un po’ di modifiche nella vita personale di alcuni di noi che ci hanno portato a essere più distanti per motivi vari di lavori e famiglia ecc. quindi già fare prove adesso è diventato ben più incasinato.. ma mai dire mai!

A te la chiusura…
Grazie per l’intervista e ascoltate “Electric Voodoo Of The Black Dawn’’ sulla pagina
https://regainrecords.bandcamp.com/album/electric-voodoo-of-the-black-dawn !!!

Black Spell – La stagione dei dannati

I Black Spell hanno tagliato il traguardo del terzo disco “con l’eccellente Season of the Damned” (Regain Records). Un risultato non da poco se si considera che il gruppo ci riuscito in soli tre anni!

Benvenuto Alastair, direi di iniziare facendo un po’ di chiarezza: nel press kit di “Season of the Damned”, che ho ricevuto, leggo come data di uscita il 9 dicembre 2022, ma altrove – come per esempio su Metallum–trovo 11 novembre. Qual è la data giusta?
Innanzitutto grazie da parte nostra per l’intervista, la prima in italiano! Ci sono voluti tre dischi per arrivarci, haha. Per rispondere alla tua domanda, semplicemente l’11 novembre è la data in cui l’album è uscito ufficialmente in versione digitale su Bandcamp e sulle altre piattaforme. Il 9 dicembre è invece la data di uscita ufficiale dell’edizione in CD di “Season Of The Damned”. Oggi spesso funziona così a quanto pare, quindi è facile avere delle date di uscita separate per ogni singola edizione; ad oggi l’album è già disponibile in cassetta dall’etichetta Regain Records, mentre per il vinile bisogna aspettare il 20 gennaio dell’anno nuovo.

Fatta chiarezza, direi di passare alla genesi dell’album: come è nato “Season of the Damned”?
Bella domanda! Difficile dare una risposta univoca. Sicuramente di base è nato dalla voglia di portare avanti il progetto che abbiamo iniziato un po’ per caso ma che adesso cerchiamo di continuare al meglio. Da un punto di vista “tecnico’’ c’era anche la voglia di sperimentare qualcosa di un po’ diverso, cambiare un po’ il suono per averlo il più sporco e “vintage’’ possibile questa volta… la direzione era quella in sostanza.

In poco più di tre anni avete inciso tre dischi e un EP, come ti spieghi questa vena così prolifica?
Per la voglia di continuare a suonare le nostre nefandezze, haha! Ci siamo trovati bene nel portare avanti il processo creativo, il primo album è stato registrato in piena era Covid e rilasciato in digitale sulla nostra pagina Bandcamp senza alcuna aspettativa. Neanche lontanamente ci saremmo aspettati che sarebbe stato rilasciato in vinile. E invece siamo stati contattati al tempo dalla tedesca Hand Of Doom Records e alla fine è successo; da lì in poi abbiamo avuto riscontri positivi da varie parti del mondo oserei dire e quindi, non avendo suonato dal vivo, abbiamo spostato tutto lo sforzo nel creare nuova musica e portare avanti così il progetto. Direi anche che abbiamo anche cercato di andare in controtendenza rispetto alla media delle altre band contemporanee, che tendono a rilasciare un album ogni tot anni: abbiamo lavorato per cercare di rilasciare un album ogni anno, in stile primi anni ’70, vedasi una certa band chiamata Black Sabbath giusto per citare un esempio…

Anche se incisi in un arco temporale così breve, credete che ci siano sostanziali differenze trai vostri dischi?
Questo credo debba valutarlo l’ignaro ascoltatore che si imbatte nei nostri album, o comunque chi è fan o interessato alla nostra musica. Per noi i tre album sono forse una sequenza naturale che è stata partorita dalle nostre (malsane?) menti, quindi nel bene o nel male della continuità c’è, sebbene dal punto di vista tematico l’ultimo album ruoti in parte attorno al concetto di dannazione, un po’ come finzione ma un po’ come dannatamente reale, almeno come concetto che non vuole mollare i recessi della mente degli occidentali… con tutte le ipocrisie che ancora oggi vi sono connesse. Ad ogni modo poi nella pratica l’album ha visto anche un cambio di strumentazione con le chitarre suonate attraverso amplificatori Marshall ad alto voltaggio, che ci hanno dato un suono più tagliente ed incisivo; questo solo per svelare alcuni dettagli tecnici su cui non mi dilungo per non annoiare nessuno che legga queste poche righe… la chitarra resta comunque una Gibson Sg (ovviamente) nera. La produzione alle nostre orecchie suona comunque meglio in “Season Of The Damned”, il primo album nella nostra incapacità dell’epoca era troppo sbilanciato verso i bassi, per cui merita un remix importante, cosa su cui stiamo lentamente lavorando; il secondo album ha avuto una masterizzazione che, guardando indietro, oggi avremmo evitato e quindi anche quello sarà corretto per una riedizione di cui prima o poi saranno svelati i dettagli. Ad ogni modo nonostante degli “errori” commessi lungo il percorso, quello che posso dire è che per noi un anno solare per produrre un album è risultato più che sufficiente dal punto di vista delle tempistiche, per cui ad ogni anno dalla fondazione della band è corrisposto un album.

Oggi come definiresti il vostro sound?
Ci piace definirci “doom” anche se sono consapevole che vuole dire tutto e niente ormai. Gli elementi del nostro sound tendono al “proto”, siamo influenzati dalla matrice dei primi anni ’70 quando certe sonorità erano già in circolazione nell’underground, anche se ovviamente sono stati i Black Sabbath i principali fautori di quel suono all’epoca. D’altra parte c’è tutta una componente psichedelica associata alla nostra musica, con una vena fortemente occulta e soprannaturale allo stesso. Direi quindi “occult psychedelic proto stoner doom metal”, haha. Scherzi a parte, riassumo dicendo che le etichette legate ai generi sono qualcosa di cui ci interessa davvero poco in fin dei conti, suoniamo quello che ci viene più naturale suonare.

Vi siete mossi in passato come band indipendente, oggi avere un’etichetta come la Regain alle spalle vi mette un po’ di pressione?
A dire la verità no, nessuna pressione. In primis perché eravamo già in contatto con Per, il boss della Regain Records, già poco dopo aver rilasciato il primo album in vinile. Eravamo già stati contattati da lui quando eravamo in procinto di scrivere il secondo album, che però avevamo già messo a contratto con delle altre etichette, ma il rapporto con lui è rimasto sempre amichevole e di supporto da parte sua e quando è stato il momento, gli abbiamo presentato il nuovo album “Season Of The Damned” senza pensarci due volte. Inoltre siamo davvero contenti di essere parte delle band doom, di cui eravamo già fan, che sono state rilasciate negli ultimi tempi dalla Regain, la quale sta facendo davvero un ottimo lavoro in questo senso a mio dire.

Pressione o meno, ho visto che comunque il disco sta raccogliendo ottimi riscontri, per esempio su metalskunk.com e su doomcharts.com, ve l’aspettavate?
No perché comunque abbiamo continuato con la stessa linea di pensiero del primo album, ovvero godere del processo creativo e della fase di registrazione della musica senza alcuna aspettativa sul risultato. Che poi i riscontri siano buoni o ottimi, questo ci fa ovviamente piacere.

Avete già delle date in programma?
Non al momento in cui stiamo facendo questa intervista. Stiamo lavorando per cercare di suonare dal vivo in qualche data organizzata dalla band Chains, con cui siamo diventati amici e che rispettiamo molto.

Cosa vi aspettate dal 2023?
Non programmiamo nulla di preciso, se ci verrà di fare un altro album, lo faremo senza problemi. Quello che è abbastanza certo è che quando sarà il momento proveremo a fare qualcosa che si distanzi da quello che abbiamo fatto finora. Prima ancora però in ballo uno split album con i sopracitati Chains che è in cantiere e che prima o poi uscirà, più eventuali altre cose. Detto questo, grazie per la interessante (e prima e unica finora) intervista.

ExpiatoriA – When darkness falls

Dalle ombre del passato sbucano fuori gli ExpiatoriA. I genovesi che, avevano pubblicato nel 2010 l’EP “Return to Golgotha”, hanno ripreso il proprio cammino ripescando da quelle influenze che nel 1987 avevano spinto i fratelli Malechina a metter su una band. Pur con una formazione ormai rivoluzionata, gli ExpiatoriA hanno saputo portare a termine quella missione iniziale, pubblicando “Shadows” (Black Tears Label \ Diamond Prod.), un disco capace di coniugare al meglio le lezioni di Death SS, Candlemass e Mercyful Fate\King Diamond. Ne abbiamo discusso con uno dei fondatori, GB, e con la nuova voce, David Krieg

Benvenuti ragazzi, cosa si prova a vedere fuori il proprio full length di debutto, “Shadows”, dopo una lunga attesa iniziata nel 1987?
GB: Una gioia immensa! Nel lontano 1987 io, mio fratello Massimo e Massimo Cottica avevamo in mente di mettere su una band con influenze musicali di gruppi come Death SS, Paul Chain, Mercyful Fate King Diamond. Abbiamo iniziato con questo trio e, dopo tanto tempo e tantissimi vicissitudini, eccoci qua con “Shadows”.
Krieg: Beh, è sicuramente un’emozione non da poco, soprattutto per i membri fondatori della band (Gianni e Massimo Malachina). Per loro è un sogno durato trent’anni che finalmente si avvera, ma anche per noialtri membri più “giovani” è una gioia sapere di aver contribuito a questo risultato, da vedersi non come traguardo finale, ma come la partenza di una nuova avventura.

Prima di soffermarci sul presente e sul futuro della band, tornerei proprio a quel 1987: cosa ricordate di quei primi giorni della band?
GB: Era una band molto underground, eravamo giovani acerbi ma con idee molto chiare: volevamo essere i nuovi Death SS! Sogni di ragazzini che sapevano cosa volevano fare, l’oscuro l’avevamo sotto la pelle!
Krieg: Non so se sono la persona più indicata a rispondere a questa domanda perché in quegli anni io non facevo parte del progetto ed ero solo un ragazzino che li conosceva di fama leggendo le recensioni dei loro demo sulla leggendaria rivista HM. Però posso provare a fare luce sulle origini degli ExpiatoriA basandomi sulla mia esperienza indiretta e sui racconti e gli aneddoti che si sanno. Quelli erano anni in cui in Italia, e specialmente a Genova, il metal stava faticosamente aprendosi un varco nella scena alternativa e le band stavano cominciando ad assumere un atteggiamento più professionale, benché ancora acerbo. Agli ExpiatoriA ha sicuramente giovato (non ci nasconde dietro un dito) la presenza in formazione del cantante Massimo Cottica, figura storica dell’underground genovese, la cui caratura artistica ha permesso alla band fin dai primi passi di elevarsi sopra alla massa (oltre alle capacità tecniche, il perfezionismo e la caparbietà dei fratelli Malachina). Erano certamente periodi pionieristici la cui arma a doppio taglio era che l’eventuale originalità di una proposta musicale non era sempre ben recepita. Anche gli ExpiatoriA hanno dovuto fare i conti con questa dicotomia fra l’essere una band di culto e il trovarsi a volte ai margini di una scena che tendeva a premiare chi andava sul sicuro.

Uno snodo fondamentale della vostra storia è stato sicuramente la pubblicazione dell’EP “Return to Golgotha”, un’uscita che pareva dare finalmente lo slancio definitivo alla vostra carriera: come mai dopo la sua pubblicazione intorno alla band è sceso di nuovo il silenzio?
GB: “Return to Golgotha” è stato fatto da due grandi menti: testi e voce Massimo Cottica e musiche di mio fratello. Massimo che, secondo me, è un compositore di una oscurità incredibile! Ha realizzato tutto con un multitraccia a 6 canali della Boss 600, secondo me un lavoro incredibile! Dal 2010 fino al 2016 c’è stato il silenzio, ti dico anche il perché: le famiglie e i bambini piccoli. Ma avevamo già in mente di tornare quando saremmo stati più liberi da impegni famigliari, ora i bambini sono diventati ragazzi e noi siamo più liberi di fare quello che a noi piace: suonare!
Krieg: In quell’occasione erano stati riallacciati i rapporti con il già citato ex singer Massimo Cottica. Era nata quindi l’idea di rimettere in moto la band inizialmente senza troppe pretese, un po’ come una rimpatriata tra vecchi amici, la cosa però non poteva durare perché Cottica ormai si era trasferito da anni in Irlanda. Questo da una parte ha causato l’ennesimo stop forzato, dall’altra ha fatto tornare la voglia ai membri fondatori di rimettersi definitivamente in gioco e portare a compimento un’opera iniziata molti anni prima.

Appunto, come e quando si è rimessa in moto la macchina che ha portato, poi, alla pubblicazione di “Shadows”?
GB: A inizio 2020 c’è stata una rivoluzione all’interno della band, non riuscivamo andare avanti, c’era della negatività incontrollabile. Una mattina, esausto, telefono a mio fratello dicendo di mollare tutto e di rifondare di nuovo la band. Ho lasciato a lui la scelta, così abbiamo rivoluzionato tutto reclutando nuovi membri: David Krieg, Edo Napoli e Stefano Caprilli. Abbiamo iniziato questa nuova avventura riprendendo le sonorità del passato, così è venuto fuori “Shadows”.
Krieg: Nel 2020, dopo svariati anni in cui cambi di formazione, intoppi e una discordanza di vedute artistiche sempre più evidente tra i componenti, si è giunti all’importantissima e fondamentale decisione di allontanare quelle persone che non facevano che creare inutili discussioni assolutamente non costruttive. Da lì l’incontro e la ricerca di vari musicisti già noti nella scena underground è avvenuto in modo estremamente naturale, quasi che i pezzi del puzzle stessero solo aspettando l’eliminazione di quegli elementi di disturbo per incastrarsi fra loro alla perfezione.

Tutti i brani contenuti nel debutto sono nuovi, come mai avete deciso di non utilizzare pezzi – editi o inediti – provenienti dal vostro passato?
Krieg: Perché, contestualmente al radicale cambio di formazione del 2020, si è deciso anche di riconnettersi alle vere origini musicali della band, legate molto più a un doom-dark metal di scuola Mercyful Fate, Candlemass e Death SS piuttosto che a quell’ibrido di techno-thrash appena velato di oscurità caratterizzante le uscite ExpiatoriA fino a quel momento.

Vi siete ripresentati con una formazione a sei, un mix tra musicisti che arrivano da esperienze diverse, quale valore aggiunto ha portato alla vostra musica questa combinazione?
Krieg: Ha portato una ventata d’aria fresca, un’ intesa fra tutti noi quasi soprannaturale e soprattutto sei teste che viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda e senza nessun complesso da prime donne.

A proposito di mix vincenti, l’album è ricco di ospiti, vi andrebbe di presentarli?
Krieg: Riallacciandomi al discorso che facevo prima circa l’assenza di prime donne, a noi non piace chiuderci nel nostro orticello e sparare a vista a chiunque si avvicini, tutt’altro: ci piace molto collaborare con altri artisti anche in apparente antitesi con la nostra proposta, ma che stimiamo e sentiamo umanamente vicini ed è esattamente con questo spirito che sono nate in modo del tutto spontaneo le collaborazioni con personaggi del calibro di Freddy Delirio (Death SS), Raffaella Cangero (La Janara), Diego Banchero (Il Segno del Comando) ed Edmondo Romano (sassofonista e flautista di grandissimo valore e assai noto a Genova).

“Ombra (Tenebra pt. II)” spicca nella tracklist perché è l’unico brano con un titolo in italiano: si tratta di un caso a sé o pensate che in futuro la nostra lingua possa ricoprire un ruolo predominante nei vostri testi?
Krieg: No, anzi, non ci poniamo limiti di sorta. Pur non abbandonando mai del tutto la lingua inglese, non ci precludiamo altre sortite nell’idioma nostrano, tanto è vero che stiamo preparando tre nuovi pezzi interamente in italiano per un futuro split insieme a Il Segno del Comando basato su un concept in comune.

Visto che abbiamo aperto una piccola finestra sugli eventuali sviluppi futuri della vostra produzione, mi soffermerei ancora sulle prossime mosse: quali sono i programmi a breve?
Krieg: Oltre all’appena citata prossima realizzazione di questo split, l’obiettivo è portare lo show ExpiatoriA ovunque ci sia possibile perché è parte integrante dell’esperienza totalizzante rappresentata dalla nostra musica. Da un punto di vista di evoluzione sonora cerchiamo di non accontentarci mai delle soluzioni banali pur tenendo sempre bene a mente la fluidità degli arrangiamenti. Il tutto naturalmente ammantato dalla più ferale oscurità.

Damnation Gallery – Enter the fog

La nebbia ha sempre suscitato grandi e contrastanti emozioni nell’uomo: curiosità, paura, senso di isolamento e straniamento. Con “Enter the Fog” (Black Tears Label) i Damnation Gallery hanno sfruttato questo archetipo per descrivere situazioni di abbandono, dolore e senso di perdizione, senza però dimenticare che in fondo alla “galleria” c’è una possibilità di rinascita e redenzione anche per i dannati.

Benvenuti, con “Enter the Fog” avete realizzato il vostro terzo disco, risultato che ha sempre un valore simbolico. Rispetto all’idea di band che avevate al momento della nascita dei Damnation Gallery, “Enter the Fog” quanto è vicino a quello che desideravate in qui primi giorni?
Lord of Plague: Ogni album ha un suo significato e soprattutto i pezzi sono composti in maniera diversa, a seconda dei sentimenti e del periodo che stiamo vivendo in quel momento. Cerchiamo di sentire come un pezzo possa esprimere al meglio noi stessi e diventare nostro a tutti gli effetti, senza dargli per forza una direzione per seguire un genere. Possiamo dire che noi cresciamo insieme alla nostra musica.

Siete partiti con un’idea di sound che comprendesse al proprio interno più genere, direi che dall’ascolto dell’album questo appare evidente. Non temete, però, che il non potervi catalogare in modo netto e preciso in una nicchia possa essere controproducente presso un’audience sempre più chiusa nelle proprio segmento stilistico di ascolti?
Low: Sinceramente siamo consci di un rischio di questo tipo ma non crediamo che possa accadere, sarebbe come sottovalutare chi ci ascolta e non ci permetteremmo mai. La realtà è che ognuno di noi ha tantissime influenze musicali diverse e, dato che tutti partecipiamo attivamente alla composizione in maniera molto democratica, senza che nessuno tenti di impuntarsi e far prevalere il proprio stile, non facciamo altro che assemblare tutti i nostri gusti fino a trovare un buon lavoro che soddisfi tutti. Inoltre, suonare sempre la stessa cosa alla lunga diventa noioso, non trovi?
Scarlet: Aggiungo che quando componiamo non cerchiamo soltanto un equilibrio tra i nostri gusti e influenze, ma anche tra i nostri sentimenti e mood del momento. E’ un modo di fare musica e contemporaneamente conoscerci nel nostro profondo e crescere insieme oltre che come band anche come persone. È come imparare costantemente gli uni dagli altri. La nostra miglior soddisfazione e anche il nostro obiettivo è che chi ci ascolta non senta “ soltanto” musica o un genere musicale, ma anche tutto ciò che siamo e che cerchiamo di esprimere di noi.

Altra scelta cardine è stata quella di interessarvi a tematiche horror. Alla luce degli ultimi anni, che hanno stravolto la vita di tutti, come è cambiato la vostra percezione dell’orrore e come questi fatti hanno influito sulla band?
Lord of Plague: Spesso e volentieri le tematiche horror vedono protagonisti demoni, possessioni, morte, sangue, ecc… però per quanto ci riguarda basta semplicemente guardare dentro noi stessi per trovare ansia, paranoia, malattia, cattiveria e tutti i sentimenti negativi che fanno parte di ogni essere umano. Sentimenti che si annidano, vengono covati e infine si schiudono anche per i più insignificanti motivi. E quando si arriva a quel punto, quando si sente che qualcosa è cambiato, si fa fatica a riconoscersi in quello che ai nostri occhi è diventato un mostro.
Scarlet: Questo è ciò che noi intendiamo con il vero “orrore”. Abbiamo voluto metterlo nella nostra musica cercando di farne qualcosa di costruttivo, accettando anche quella parte di noi che è socialmente sbagliata e di cui nessuno parla mai.

E’ arrivato il momento di addentrarci nella nebbia, quando e come è nato il disco?
Low: “Enter the Fog” ha iniziato a prendere forma una volta finito il periodo del lockdown, appena abbiamo potuto ricominciare a vederci con regolarità. Questo perchè noi come band componiamo in sala prove in diretta e non ci è mai piaciuta l’idea di essere un gruppo che compone “ via mail”… non fa proprio per noi. Sicuramente il fatto che sia nato dopo uno stop forzato lo ha portato a essere un lavoro più diretto dei precedenti perchè c’era molta voglia di ripartire e di creare qualcosa senza troppi “ fronzoli”. Dobbiamo segnalare che dopo le registrazioni Lord Edgard ha lasciato la band a causa di insanabili divergenze sia personali che stilistiche, ovviamente condivise da tutti noi. Essere rimasti in quattro ci ha resi ancora più forti, uniti e compatti come non mai.

Qual è il brano che, secondo voi, è maggiormente rappresentativo dell’opera?
Low: Citerei due brani, il primo è “Fog” perché rappresenta il nostro lato più anthemico e “accessibile”, mentre il secondo è “Old Cemetry” che rappresenta invece il nostro aspetto più oscuro e malefico.

Mentre, qual è quello in cui avete osato di più?
Scarlet: Direi assolutamente “Erased”. E’ una ballad, uno stile molto lontano dalle nostre influenze che abbiamo tentato per la prima volta in questo brano. E’ un pezzo che ha per me un significato molto profondo, è un’ accettazione di un periodo molto brutto che ho vissuto e che dovevo “urlare lentamente”. Devo dire che che gli altri hanno perfettamente colto quell’espressione, creando insieme un brano di cui personalmente vado molto fiera.

Nelle note promozionali viene ribadito che questo disco non è un concept, ma mi pare di capire che comunque ci sia un filo che lega tutti i brani, è così?
Scarlet: Sì, esatto! Non è una cosa che costruiamo a tavolino o ricerchiamo a tutti i costi, però in tutti i nostri album, incluso ovviamente “Enter the Fog”, abbiamo notato che c’ è sempre un filo conduttore che lega i brani e la nostra espressione e ne abbiamo fatto un tratto distintivo. In “Black Stains” abbiamo dato risalto al tema del dualismo dell’essere umano, secondo il nostro significato di horror di cui abbiamo parlato prima; in “Broken Time” il tema ricorrente era l’incubo, il sogno come catalizzatore delle nostre paure e nel nostro ultimo lavoro invece parliamo di abbandono, del dolore e del senso di perdizione che ne consegue ma che porta poi a una lenta rinascita che ci trasforma in qualcosa di diverso, non necessariamente migliore ma sicuramente più forte.

Per la copertina avete deciso utilizzare un’immagine molto scarna, quasi old school, in controtendenza rispetto a quelle iper-patinate che vanno per la maggiore ora: come mai?
Low: Proprio a proposito di ciò che dici nella tua domanda, ho notato che ultimamente si guarda solo il “pacchetto”, la produzione iper-patinata e pompata e così via… Invece, occupandomi io degli artwork della band, noi abbiamo cercato di andare in direzione opposta andando a parare su una copertina volutamente scarna e old school, a suo modo un omaggio ai lavori estremi dei primi anni 90, quando una cosa apparentemente semplice e handmade odorava seriamente di male. Come in tutti i lavori precedenti, anche qui la copertina e il booklet hanno molte simbologie e riferimenti nascosti, ma quelli lasciamo che vengano notati solo dai più attenti.

Avete programmato delle date a supporto del disco?
Lord of Plague: Abbiamo fatto il nostro concerto di release di Enter the Fog a Genova, all’ Angelo Azzurro. Saremo a Imperia, al Babilonia, il 14 di gennaio e stiamo lavorando per altre date in giro per l’Italia che verranno via via comunicate sui nostri canali. Vi ricordiamo che potete trovarci, seguirci e ricevere informazioni e aggiornamenti su Facebook, Instagram, Youtube, Bandcamp, dove potete trovare il disco e tutto il nostro merch!

Blood Thirsty Demons – Spiritual seanse

Cristian Mustaine dal 1997 con i suoi Blood Thirsty Demons non si è limitato a pubblicare dischi, ma ha anche svolto una sorta di eretica opera di evangelizzazione, toccando temi di stampo religioso, spirituale e magico. Però, mai come con il nuovo “Esoteric” (The Triad Record), aveva parlato in modo così esplicito del proprio cammino nelle scienze oscure e del ruolo che queste rivestono nella sua vita. Un’occasione così particolare meritava un approfondimento, per questo, oltre alla nostra intervista, ne troverete un’altra, in formato audio, rilasciata a Mirella Catena per Overthewall!

Ciao Cris, hai scelto un titolo, “Esoteric”, per il tuo album che forse, anche se superficialmente non appare così, è il più intimo tra quelli dei Blood Thirsty Demons. Mi sbaglio?
Ciao, proprio cosi: questo è il disco più personale e anche più oscuro tra tutti quelli che ho pubblicato fino a questo momento. Tra le righe vengono raccontati, anche se non esplicitamente, molti riferimenti al mio cammino spirituale.

Quando è iniziato il tuo cammino nell’esoterismo e quanto ha contribuito la musica ad accendere questo interesse?
E’ iniziato tutto circa 25 anni fa, nel periodo in cui decisi di formare la band. Sicuramente, il genere musicale che ascoltavo in quel momento, ha contribuito molto ad aumentare il mio interesse nell’esoterismo, perché cercando di capire i testi delle mie band preferite, entravo in un mondo che mi spingeva a farmi domande, sapendo che proprio li avrei trovato risposte importanti per la mia vita.

Quali sono, secondo te, gli album “esoterici” per eccellenza della musica?
Cavolo, possono essere davvero a decine! Posso dirti quali sono quelli che hanno caratterizzato e indirizzato la mia vita, o perlomeno te ne cito alcuni: i primi due album dei Death SS ( “…in Death of Steve Sylvester” e “Black Mass”), sono quelli essenziali per chiunque si avvicini a questo genere. Così come i primi due dei Mercyful Fate (“Melissa” e “Don’t Break the Oath”) che a mio parere han cambiato tutto il modo di vivere l’heavy metal. Io ho sempre pensato che ci siano due ere: una pre “Don’t Break the Oath” e una post”Don’t Break the Oath”, che ha portato un cambiamento epocale ispirando innumerevoli band. Molto esoterico è sempre stato anche Paul Chain; due dei suoi dischi mi han trasmesso proprio quell’oscurità e quell’ispirazione che mi serviva in alcune composizioni; questi sono “Alkahest “(con il grande Lee Dorrian) e “in the Darkness”. Un altro album che mi ha forgiato, ricco di alone esoterico, è “Sacrifice “dei Black Widow, band capace di catapultarti davvero in un rituale ad ogni ascolto. Stessa cosa vale per i primi lavori dei Goblin. Ci sono poi tantissimi album di impronta davvero oscura che mi hanno ispirato, ma non li metterei nella categoria di album esoterici.

Torniamo al tuo di disco, credi che l’aver messo in musica questi tuoi interessi, in qualche modo ti abbia fatto fare una sorta di check sul tuo cammino iniziatico? E se così fosse, quanto è cambiato il tuo approccio alla materia in questi anni?
In realtà ho sempre lo stesso approccio con questa materia, perché fortunatamente questi studi mi hanno portato a trovare un ottimo equilibrio interiore e molte risposte che cercavo. Erano anni che avevo in mente di mettere in musica tutto questo, ma non era ancora arrivato il momento giusto; non è semplice già creare un concept album, cosa che faccio in ogni disco, spalmare questo argomento su ben dieci canzoni è stata una cosa non semplicissima. Diciamo che il check sul mio cammino spirituale lo faccio praticamente ogni singolo giorno della mia vita, riflettendo su ogni mia singola azione e su quali forze possono smuovere.

A proposito di cambiamenti, quali sono le novità strettamente musicali contenute in “Esoteric”?
Sono diverse: in questi tre anni ho iniziato ad avvicinarmi a generi molto tecnici, progressive metal e affini; questo mi ha spinto anche a cercare di aggiungere qualcosa al mio sound, sentendo che mi faceva crescere come musicista e compositore. Molte ritmiche sono più ricercate, gli assoli sono più lunghi e spesso più di uno nella stessa canzone e nelle voci ho provato a sperimentare un po’ di più. Credo che in futuro tutti questi cambiamenti saranno accentuati, almeno stando alle idee che ho in testa per il prossimo disco.

Più che come musicista, come mente creativa dei BTD quali limiti non supereresti mai?
Innanzi tutto, se volessi fare qualcosa di molto distante da ciò che posso definire horror metal, farei un progetto a parte, e su questo non mi darei limiti; ho comunque un limite che non mi fa sconfinare troppo fuori dal metal. Con i BTD eviterei sicuramente l’introduzione di suoni elettronici e di sonorità troppo moderne, che andrebbero a coprire quell’alone occulto che un certo sound di questo genere richiede.

Come sono nati i pezzi?
I miei brani nascono tutti da una base di chitarra e spesso in acustico; generalmente, i miei ascolti del momento tendono ad influenzare ciò che scrivo, nonostante la base esca sempre da ciò che in maniera naturale nasce appena tocco lo strumento. I testi vengono pensati successivamente, a parti strumentali finite e incise, dopo giorni di riflessioni e scelte sull’argomento da trattare.

Credi che ci sia un brano più rappresentativo dell’intero lavoro?
I brani per un musicista sono come dei figli, difficile sceglierne uno; ma ce ne sono un paio che sono più personali, come “Guardian of My Soul”, traccia dedicata al mio spirito guida, a cui tengo particolarmente, e “The Wickedness of Men”, brano molto riflessivo sull’animo umano e su quanto le forze negative possano incidere nel corso delle nostre vite, pur pensando che sia sempre e solo colpa nostra.

La prossima mossa che dobbiamo aspettarci da te sarà a nome BTD o Human Degrade?
Bella domanda! Ho ben otto brani incisi dal 2013 ad oggi e non ancora pubblicati come Human Degrade, ma non ho ancora un minutaggio sufficiente per pubblicarne un album. Ancora non so se, per questo progetto preferirò fare un’uscita solo in digitale. Sicuramente, durante la pausa natalizia, mentre tutti saranno impegnati a sentirsi più felici e più ipocritamente buoni, inizierò a incidere le prime note del prossimo lavoro marchiato Blood Thirsty Demons.

BONUS TRACK
Il 7 Novembre Cristian Mustaine è stato ospite di Mirella Catena a Overthewall, ascolta qui l’audio completo:

Enio Nicolini and the Otron – Suoni dal meccanismo infernale

Enio Nicolini è un treno perennemente in corsa, difficile immaginarlo lontano da una sala di registrazione o da un palco. Così in questo 2022 la sua discografia, già corposa, si arricchisce di un’altra uscita, “Hellish Mechanism” (Hellbones Records), pubblicata a nome Enio Nicolini and the Otron.

Benvenuto Enio, da poco è fuori il nuovo lavoro dei tuoi Enio Nicolini and the Otron: hai per caso contato quante pubblicazioni hai nella tua nutrita discografia, considerando tutte le band con cui hai lavorato?
Innanzi tutto, ti ringraziamo per ospitarci nelle tue pagine. In effetti dal primo album pubblicato nel 1985 “Heavy & Dangerous”(Unreal Terror) a “Hellish Mechanism” (E.N. and the Otron) del 2022, passando per The Black (27 anni), Akron, Sloe Gin, il mio progetto con ospiti a mio nome “Heavy Schering”, sono tanti… Escluse compilation e ristampe varie, 20 dischi.

Gli Enio Nicolini and the Otron sono l’unica band che contiene nel proprio moniker il tuo nome, lo ritieni il tuo progetto più personale?
Sì, al momento è l’unico progetto che mi identifica come ”band”, anche se ho pubblicato un lavoro con ospiti a mio nome, dal titolo ”Heavy Sharing”. Il progetto Enio Nicolini and the Otron rappresenta il mio progetto più personale, proprio per come è stato concepito. Tutto in effetti si basa sul ruolo del “basso” che diventa l’elemento primario nella costruzione della melodia, in sostituzione della chitarra. Questo avviene perché uso dei power chord che mi danno la possibilità di fare composizione, oltre a questa modalità ne inserisco, sempre, anche una più convenzionale. Cosi posso portare il basso oltre il ruolo “classico” di strumento prettamente ritmico e di accompagnamento, ad elemento centrale del progetto dove ruota tutto il resto della composizione. Ho affinato questo mio modo di usare lo strumento negli Otron, facendolo diventare il mio “marchio di fabbrica” .

Sapresti individuare nel nuovo disco, “Hellish Mecchanism”, qualcosa di riconducile agli Unreal Terror e agli Akron?
Le mie radici partono da quei lavori ed è inevitabile che il mio modo di comporre possa essere in qualche maniera contaminata. Oggi ho affinato una mia tecnica compositiva, come detto prima, che si differenzia molto dal mio modo di esecuzione. Anche le tematiche che sto affrontando, a partire dal progetto Otron, sono completamente diverse e vertono su argomenti riconducibili al mondo sci-fi.

Invece, cosa c’è che non hai mai sperimentato prima in questo disco?
L’uso dell’elettronica e synth . Il progetto Otron si muove come detto in un mondo sci-fi e l’utilizzo di questi elementi fanno si che ci si possa proiettare in quella dimensione, poi con un drumming possente e una voce adeguata e interpretativa si riesce a restare nel metal viaggiando con sonorità nuove e futuribili (mia convinzione).

A cosa si riferisce il titolo “Hellish Mecchanism”?
“Meccanismo infernale” vuole sottolineare come i “media” possano essere padroni delle menti rese schiave da false “verità”, spacciate tali da un infernale pensiero rassicurante. Tutto questo, nel testo, viene monitorato da pensieri liberi che urlano rabbia e opposizione a questo meccanismo di morte in atto.

Come sono nati i pezzi finiti in “Hellish Mecchanism”, il fatto che il disco sia stato scritto a ridosso della pandemia ha cambiato il tuo modo di lavorare in studio?
Tutto “Hellish Mechanism” l’ho scritto in piena pandemia e sicuramente le tematiche dei testi hanno risentito del periodo. Praticamente sono stati tutti, o quasi, eliminati i nostri contatti in presenza, ma non quelli che la tecnologia ci ha messo a disposizione. Sono riuscito comunque a fare tutte le basi ritmiche con Damiano Paoloni nel suo studio a Castelfidardo (An) – il “Sound Distillery Recording Studio – adottando tutte le regole imposte dai decreti in vigore all’epoca, mentre con Gianluca Arcuri (anche lui marchigiano) e Luciano Palermi che vive a Los Angeles abbiamo lavorato a distanza. Nonostante questo è stato tutto molto empatico riuscendo a realizzare un grande disco.

Mi presenteresti gli artisti che hanno collaborato con te nella realizzazione di “Hellish Mecchanism”?
Con molto piacere e orgoglio, perché in primis sono grandi persone e poi musicisti di prim’ordine. Alla batteria Damiano Paoloni, un drummer poliedrico con un curriculum artistico vastissimo che lo ha portato a prestare le sue pelli anche in generi diversi dal metal, questo anche per la sua enorme conoscenza della musica. Lui è anche un esperto tecnico del suono e titolare dello studio (citato prima) dove abbiamo registrato il disco. Poi Gianluca Arcuri, un mago dell’elettronica e synth con una enorme sensibilità artistica, lui con il suo contributo sonoro ci ha portato in una dimensione cyber e moderna (mio parere). Luciano Palermi, voce storica degli Unreal Terror che ci ha visti nella stessa band negli anni 80 e poi nella reunion del 2012. Che dire, è un vocalist completo dotato di una grande sensibilità e professionalità nel creare melodie che rimangono indelebili nella memoria dell’ascoltatore. Il suoi lavoro ormai decennale di doppiatore negli USA hanno anche accentuato quella teatralità nell’interpretare qualsiasi cosa debba cantare. Questi sono gli Otron un combo di professionisti e soprattutto di amici

Chi di loro ti seguirà dal vivo nelle date a supporto del disco?
La maggiore difficoltà potrebbe essere per Luciano Palermi il cantante che vive a Los Angeles e Damiano Paoloni per gli impegni con il suo studio di registrazione, ma abbiamo sempre l’opzione di avere a bordo gli altri componenti degli Otron con i quali ho registrato il primo disco “Cyberstorm”. Comunque appena saranno stabilite le date, ci organizzeremo per dare a chi ci ascolterà un grande spettacolo.

Da quale delle tue band dobbiamo aspettarci il tuo prossimo disco?
Sicuramente ci sarà il terzo disco con il moniker Enio Nicolini and the Otron a chiudere la trilogia… poi vedremo.