Flying Disk – Nel cuore della città

“In The Heart Of The City” è il nuovo EP dei Flying Disk, trio heavy rock piemontese già con due album all’attivo,“Circling Further Down” del 2014 e “Urgency” del 2018. Anticipato dai singoli “Connections” e “Wasted”, l’EP è uscito lo scorso 28 ottobre per quattro etichette indipendenti – la francese Araki Records, la statunitense Foribidden Place Rec, la svizzera Urgence Disk e l’italiana Karma Conspiracy – con il mastering del lavoro curato da Jonathan Nuñez dei mitici Torche. Il risultato sono quattro tracce di heavy rock con influenze stoner, punk, emo e alternative, cantate rigorosamente in inglese come nella migliore tradizione della band. A parlarcene sono gli stessi ragazzi:

Ciao ragazzi e benvenuti sul Raglio del Mulo, la vostra terza fatica discografica “In the Heart of City” è fuori ormai da qualche mese, com’è stata l’accoglienza di critica e pubblico?
Ciao, intanto grazie, il disco per ora sta andando bene, abbiamo fatto qualche mese fa un tour che ci ha portati a suonare in Francia, Germania, Svizzera, Milano, Roma e varie altre città, a fine gennaio ritorneremo in tour fino a questa estate!

Ho trovato il vostro suono abbastanza poliedrico, frutto di tante influenze – emo, punk, stoner – ma senza legarsi ad una etichetta precisa, come siete arrivati a questa sintesi nella vostra musica?
Siamo partiti nel 2010 facendo cover di gruppi punk, poi negli anni ci siamo appassionati alla scena locale della Canalese Noise (Cani Sciorrì, Dead Elephant, Ruggine) e tutti i gruppi da cui di conseguenza prendevano spunto. Per un po’ abbiamo cercato avvicinarci a quel suono, poi negli anni abbiamo trovato una nostra via più personale.

In che maniera siete entrati in contatto con Jonathan Nunez dei Torche che ha curato il mastering del disco?
Apprezziamo parecchio i lavori di Jonathan, lo abbiamo contattato tramite Instagram all’inizio, lui è stato super disponibile, ci abbiamo messo un attimo a scegliere il master definitivo ma alla fine è uscito veramente bomba.

Dallo studio ai concerti il passaggio non è dei più semplici, come state promuovendo in giro l’EP?
Da ormai più di dieci anni siamo tutti coinvolti nell’organizzazione di concerti e andiamo spesso a sentire le band di zona e non, abbiamo creato una rete di amicizie abbastanza forte per cui riusciamo sempre a suonare, chiaramente è difficile entrare in circuiti dove ci vogliono certe strutture alle spalle come agenzie, manager, label ecc. Sicuramente all’estero stiamo avendo più riscontro che in Italia questo purtroppo è risaputo tra tutte le band che hanno la possibilità di suonare fuori dal proprio paese.

Parlatemi dei testi, sono frutto di un lavoro di gruppo o del singolo?
I testi li scrivo io (Simone) e spesso mi faccio dare una mano a correggerli e migliorarli, siamo un gruppo di amici per cui spesso in studio ci confrontiamo e aiutiamo, cerco di rappresentare quello che vive un ragazzo in una provincia come Cuneo e di tutto quello che comporta, per quanto ci sia benessere c’è una rassegnazione preoccupante, non è
una città così facile in cui vivere soprattutto se hai passioni/sogni come la musica.

Per “In the Heart of City” vi siete affidati a quattro diverse etichette, in che maniera si è creata questa collaborazione allargata?
Per coprire i costi di stampa abbiamo dovuto tirare in ballo diverse realtà che si sono messe in gioco per mettere alla luce il vinile, ne abbiamo ancora qualche copia e siamo felici di come è uscito fuori, è un vero gioiellino.

Quali sono i vostri prossimi progetti?
Dopo questa estate ci metteremo al lavoro sul disco nuovo, che sarà un LP completo, nel frattempo faremo
ancora uscire fuori del materiale inedito e ci piacerebbe rielaborare delle canzoni in versione acustica.

Francesco Marras – It’s me!

Francesco Marras ha legato il proprio nome soprattutto al destino della sua band, gli Screaming Shadows. Recentemente è persino arrivato alla corte di quella leggenda della NWOBHM che risponde al nome di Tygers of Pan Tang. Ma evidentemente al chitarrista italiano questi ottimi risultati non bastavano, qualcosa dentro di lui era ancora inespresso. Cosa di meglio, allora, di un disco solista per mettersi a nudo ed esprimere tutto ciò che si ha dentro? Nel caso di Francesco, poi, questa volontà è chiara sin dal titolo, “It’s Me”, vera e propria dichiarazione di autodeterminazione!

Benvenuto Francesco, le nostre strade si sono incrociate l’ultima nel 2021 in occasione della pubblicazione del primo singolo, “Free Me”, tratto dall’ultimo album dei tuoi Screaming Shadows: come è andato “Legacy of Stone”?
Ciao ragazzi! L’ultimo disco degli Screaming Shadows “Legacy of stone” sta andando bene, lo stiamo ancora promuovendo e a Dicembre riprenderemo a suonare dal vivo. E’ decisamente il miglior disco prodotto dalla band e ne siamo pienamente soddisfatti.

Da poco è uscito invece il tuo album omonimo, cosa si prova a leggere su una copertina il proprio nome invece di quello di quello della band?
E’ una bella soddisfazione, mi piace il logo del mio nome, molto anni 80, così come la copertina, opera anche questa volta del disegnatore Stan W Decker.

Il titolo è emblematico, “It’s Me”: vuoi forse dire che dopo anni di carriera per la prima sei riuscito a metterti completamente a nudo?
Il titolo non sarebbe potuto essere diverso, questo disco mi rappresenta al 100% ed è la prima volta che mi presento anche come cantante. Ero curioso di sapere come sarebbe stato recensito il disco e devo dire che tutte le recensioni hanno voti alti e commenti molto positivi, sto ricevendo un feedback molto motivante, è una bella soddisfazione.

C’è un brano nel disco che esprime un lato di te nascosto, una parte del tuo Io più intimo?
Con i miei testi cerco sempre di trasmettere un messaggio positivo e motivante, anche il genere musicale è più leggero rispetto ai lavori degli Screaming o dei Tygers. Era mio intento creare un disco che potesse essere ascoltato con facilità e leggerezza in qualsiasi situazione, è perfetto per viaggiare infatti. La durata totale è di circa 48 minuti e non ha riempitivi, tutte le canzoni sono ispirate e fresche. Tutti i testi comunque parlano di cose che ho visto o vissuto in prima persona, o del mio punto di vista riguardo a qualcosa. I testi più intimi sono sicuramente “Closer to the Edge”, “In the Name of Rock and Roll”, “Do You Hear Me Now?

Come è cambiato il tuo modo di lavorare dovendo incidere per te stesso e non per gli Screaming Shadows?
Il cambiamento più importante è stato quello di integrare nel mio sound il suono dell’hammond, per questo devo ringraziare il mio amico Marco “Lord” Cossu che ha registrato tutte le parti. Ho fatto questa scelta perché non volevo sovraccaricare gli arrangiamenti di chitarre ed in vista degli eventuali concerti avevo cmq bisogno di qualcosa che riempisse il sound e interagisse e supportasse la chitarra.

Al di là di ogni cosa, immagino che ti sia portato dentro questo album tutte le tue esperienze precedenti, per esempio cosa ci hai messo della tua avventura con una band storica come i Tyger of Pan Tang?
Certo, rappresentando il punto in cui mi trovo in questo momento del mio percorso artistico e musicale, porta con se tutte le esperienze precedenti. Devo dire però che il disco è stato scritto prima del mio ingresso nei Tygers.

Hai fatto quasi tutto tu, sia nelle vesti di musicista che di produttore, ma c’è qualcuno che ti aiutato nella realizzazione dell’album e che vorresti ringraziare?
Non c’è una persona che mi ha aiutato in particolar modo alla realizzazione del disco, ma tutte le persone che ci hanno lavorato e che mi sono state vicine nel periodo di produzione sono citate e ringraziate negli special thanks all’interno del booklet.

Hai già accennato a qualcosa prima: porterai in giro il disco, magari con una vera e propria band, o si tratta di un progetto da studio?
Non è solo uno studio project, mi piacerebbe moltissimo portare la mia musica e la mia voce dal vivo e sto lavorando perché ciò avvenga presto.

I tuoi propositi per il 2022-23?
Nel 2023 uscirà il nuovo disco dei Tygers of Pan Tang, il primo con me alla chitarra, sicuramente quello sarà il maggiore obbiettivo per il prossimo anno. Poi ovviamente continuerò a lavorare con gli Screaming Shadows e a promuovere il mio nuovo disco solista “It’s Me!” che ricordo, è disponibile in formato CD dal mio sito www.francescomarras.com. Seguitemi sui social per rimanere aggiornati sulle prossime novità, grazie per il supporto, un saluto, a presto!

Road Syndicate – Capitolo secondo

Tornano su Overthewall i Road Syndicate, freschi autori di “Vol. II”, con la partecipazione straordinaria dello scrittore Francesco Gallina!

Ciao a tutti voi e bentornati!
Lorenzo: Ciao Mirella. È un piacere per tutti noi parlare di nuovo con te.

Vi abbiamo già incontrato per la pubblicazione di Smoke, il vostro album di debutto.
Rieccovi con un nuovo album e una formazione rinnovata. Quali sono le novità salienti che riguardano la band?

Fabio: La novità più importante è l’ingresso di Pierluigi “Jonna” Coletta. Inizialmente come chitarrista ritmico e poi come bassista. Fa parte della “famiglia” da sempre perché anche con lui ci conosciamo da trent’anni e noi tutti abbiamo suonato con lui e collaborato in diverse band. Lorenzo: Oltre alla novità in formazione, un cambiamento sta nel songwriting del disco. “Vol. II” è un lavoro molto più corale. Durante il lockdown abbiamo avuto modo di scambiarci idee, parti di canzoni e testi. Quindi tutti abbiamo partecipato alla stesura di quelli nuovi. Inoltre, il materiale era parecchio e ci siamo potuti permettere di scegliere quali brani mettere nel disco e quali tenere per i prossimi lavori.

Citiamo la line up completa?
Lorenzo: Certamente. La nuova formazione della band è: Lorenzo Cortoni – voce e chitarra ritmica; Fabio Lanciotti – chitarra solista e backing vocals; Pierluigi “Jonna” Coletta – basso e backing vocals e Cristiano Ruggiero – batteria.

Mi rivolgo a Francesco. Il brano di apertura del nuovo album è ispirato ad uno dei tuoi libri, qual è il titolo e ci racconti com’è andata?
Francesco: Ciao Mirella. È nato tutto dalla mia richiesta a Lorenzo di preparare alcuni teaser promozionali per “Dipinto Sull’Acciaio – del rapporto tra heavy metal e pittura”, il mio ultimo libro. Collaboravamo già insieme dal lancio di “Smoke” e quando gli ho chiesto se aveva qualche jingle originale da poter utilizzare per i miei promo, mi ha sottoposto un riff di Fabio che non era ancora stato usato per i Road Syndicate, ma “girava” da tempo in sala prove. Visto anche il successo di questi piccoli video, che hanno fatto migliaia di visualizzazioni, abbiamo convenuto che si trattava di un riff che doveva per forza diventare una canzone. Fabio lo ha quindi sviluppato e arrangiato, mentre Lorenzo gli ha costruito addosso un testo ispirato al mio scritto. Così è venuta fuori “Take me Higher”, la canzone di apertura dell’album. Un brano che, oltretutto, diventerà anche un video.

Il suono che siete riusciti ad ottenere con “Vol. II” possiede quel calore che il rock trasmette da quasi settant’anni e che purtroppo ultimamente si tende a trascurare. Credete che l’aver prodotto personalmente questo album e il mancato utilizzo di troppi “trucchetti” digitali siano il segreto alla base del risultato ottenuto?
Fabio: Pure “Smoke” è stato autoprodotto, anche se lavoriamo con una etichetta discografica (Orange Park Records). Del resto anche il primo album è figlio della stessa filosofia: backing tracks registrate in presa diretta, dal vivo, no correttori di intonazione, nessun simulatore di ampli e nessun trigger sulla batteria. E, soprattutto, nessuna concessione alla “Loudness War”. Stavolta, la differenza tra i due dischi risiede nelle risorse tecnologiche a cui abbiamo potuto attingere, oggi più importanti rispetto a due anni fa.

Per le registrazioni dell’album vi siete avvalsi della partecipazione di musicisti esterni alla band, da dove è nata questa esigenza e quali giovamenti credete abbia apportato al lavoro in fase di arrangiamento dei brani stessi?
Fabio: È molto semplice: la formazione allargata si era già esibita in diverse circostanze durante la promozione di “Smoke” ma, per una serie di motivi assolutamente fortuiti, non si era concretizzata nella realizzazione di quel disco. Stavolta la congiunzione astrale si è avverata e siamo riusciti a realizzare quel “big sound” che ci piace tanto. Con hammond, Fender Rodhes, Dobro, coriste e tutto il resto.
Lorenzo: La collaborazione con altri musicisti ci ha permesso di ampliare le possibilità sonore della band. L’aggiunta dell’hammond di Luciano Gargiulo, dei cori di Francesca Cinanni, Helena Pieraccini, Marco Battelli ed Emiliano Laglia, del dobro di Gabriele Sorrentino e del basso di Arianna De Lucrezia ci ha permesso di aggiungere venature più blues e gospel ad alcuni pezzi. Oltre al fatto che per me personalmente, suonare con Luciano e Francesca è un piacere che va avanti da anni ormai.

Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi sul web?
Lorenzo: Siamo pressoché ovunque, da Facebook a twitter e instagram, oltre che sul nostro sito www.roadsyndicate.it, cercateci.

Francesco, noi ci sentiamo presto per la presentazione del tuo libro, un salutone ai Road Syndacate e alla prossima!

Francesco: Ciao Mirella. Sarà certamente un piacere discutere con te di Dipinto Sull’Acciaio e grazie per questo spazio.
Lorenzo: Ciao e grazie anche da parte mia per aver parlato di “Vol. II”.
Fabio: E mia, a presto e… rock’n’roll.

Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 31 gennaio 2022.

The Steel – Atto secondo

Tiziano Favero, alias Roy Zaniel, ci ha presentato il secondo capitolo dei suoi The Steel. Nati dai Wizard, i The Steel proseguono il loro cammino con “The Steel II” (Wanikiya Record), un disco di hard rock classico ben calato nella realtà attuale.

Benvenuto, da poco è fuori il vostro nuovo album “The Steel II”, disco che esce a quasi sei anni di distanza dal precedente “The Evolution of Love”. L’album di debutto è arrivato subito dopo il cambio di nome da Wizard all’attuale, e magari conteneva dei retaggi ancora della vecchia entità. Alla luce di questa considerazione, possiamo ritenere questo secondo capitolo più compitamente The Steel?
In realtà “The Evolution of Love” fu interamente composto e registrato quando la band si chiamava ancora Wizard. Cambiammo poi il nome a malincuore in The Steel al momento di firmare il contratto di distribuzione del disco con l’etichetta discografica statunitense Perris Records, su richiesta della stessa, in quanto non si volevano creare problemi di copyright con gli omonimi e più affermati Wizard tedeschi. Per questo motivo probabilmente avendo ora superato mentalmente il disagio di avere dovuto cambiare un po’ la nostra identità nel nome, sentiamo più forte il marchio The Steel su questo album.

Qual è la componente puramente The Steel e qual è, invece, quella caratteristica che vi portate ancora dietro dai tempi dei Wizard nel vostro sound?
La caratteristica Wizard, soprattutto in me e Rino, è determinata dalla grande influenza del rock degli anni 70 che ci ha formato fin dalla nostra nascita come musicisti e che si sente nel nostro sound. Questa caratteristica ci ha sempre dato una certa facilità anche nell’improvvisare e modificare sul momento dal vivo parti dei nostri brani, e ad avere inoltre quindi un grande affiatamento per questo motivo come sezione ritmica. La componente The Steel invece direi che è fornita da Marco che, essendo molto più giovane di noi ed essendo stato influenzato musicalmente da un periodo storico musicale diverso dal nostro, ha portato nella band un sound più attuale anche dal punto di vista della composizione dei brani. Penso che la particolarità del nostro sound e del nostro stile sia dovuta proprio a l’essere riusciti a fondere tutte le nostre diverse influenze ed attitudini musicali.

Il vostro sound è tipicamente hard rock, qual è lo stato di salute e quante attenzioni attira ancora questo genere nel 2022?
Sono fermamente convinto che il sound degli anni 70 e quindi l’hard rock che ne deriva siano immortali! L’hard rock è la genesi di qualsiasi genere metal oggi esistente e per questo motivo sarà sempre seguito ed ascoltato a differenza di altri derivati che magari cavalcano l’onda di un periodo e che poi hanno una fase discendente. Del resto, nel nostro piccolo, ne abbiamo la prova ogni qualvolta ci esibiamo live in quanto è proprio il nostro sound influenzato da sonorità tipicamente hard rock, che oggi non si ascoltano tanto facilmente nelle band attuali, che piace al pubblico che ci viene ad ascoltare.

Come sono nati i brani di “The Steel II”?
Io e Marco componiamo i brani e a volte si inizia da un riff o da una idea dell’uno o dell’altro su cui poi si lavora insieme. Rino partecipa molto nella fase di arrangiamento e assemblaggio dei brani in sala prove mettendo in gioco le sue idee di volta in volta. Quando decidemmo di iniziare a strutturare l’album ci concentrammo solo ed esclusivamente su quello e mettemmo da parte i live senza neanche più suonare gli album precedenti. Volevamo realizzare un disco dove tutti i brani ci avessero convinto di avere un ottimo feeling ed una buona amalgama tra loro ed abbiamo lavorato molto sugli arrangiamenti di ogni singolo brano per dargli la resa migliore. Alla fine anche questa volta, come nei precedenti album, siamo rimasti molto soddisfatti di ciò che abbiamo realizzato.

C’è una canzone in cui avete azzardato di più in questo album?
Questo è un disco più omogeneo ed hard rock rispetto al precedente “The Evolution of Love”. In quel album sicuramente abbiamo azzardato molto di più in quanto vi erano brani strumentali, influenze progressive ed anche etniche nel brano “The Eden”. In “The Steel II”, a parte il sound funky di “The River”, la matrice è sempre hard/heavy rock dall’inizio alla fine del disco e questo era nelle nostre intenzioni.

Avete mai pensato in fase compositiva di passare a una formazione a quattro per avere magari un ventaglio di opzioni maggiore?
Quando entriamo in studio e registriamo gli album il quarto componente della band c’è perché ci avvaliamo di Luca Di Gennaro alle tastiere che, oltre ad essere un grande musicista, è anche un nostro caro amico, ed ha suonato in cinque brani del disco ed anche nel precedente album. Quando la band aveva ancora il nome Wizard, e soprattutto nel decennio degli anni 80, abbiamo cercato di inserire varie volte un cantante, ma non abbiamo mai trovato quello che facesse per noi. Ecco il motivo per cui mi trovo ad avere un doppio ruolo all’interno della band.

Quanto c’è di autobiografico nei testi?
Non molto a parte il voler rimarcare sempre l’amore per la musica e per la libertà di vivere le proprie passioni. Sono più portato nel focalizzare ed emozionare eventi importanti e spesso tragici come ho fatto in brani in cui ho trattato la guerra in Ucraina o il disastro nucleare di Fukushima. In questo disco con il brano “The Plastic World” mi sono ispirato al terribile problema dell’inquinamento dei mari ed oceani dovuto al consumo della plastica.

Avete già in mente i brani da proporre dal vivo e ci sono novità su questo fronte, nonostante la situazione non proprio entusiasmante sotto questo profilo a causa dell’emergenza covid?
Tutte le date che avevamo in programma in questo periodo sono saltate a causa della nuova ondata di covid purtroppo, ma fortunatamente sono solo state spostate per febbraio, si spera. Dal vivo stiamo già suonando gran parte del nuovo disco insieme a brani dei due album precedenti, “The Evolution of Love” e “Straight to the Unknown”. Spesso eseguiamo anche uno o due brani dei Wizard anni 80, che negli ultimi tempi stiamo arrangiando e risuonando in versione attuale e ci divertono molto.

I vostri propositi per il 2022?
Innanzitutto vogliamo continuare a suonare live il più possibile e proporre il nostro nuovo album al pubblico. Stiamo realizzando un nuovo singolo inedito che vorremmo pubblicare entro l‘anno anche in video e ci stiamo preparando a girare il secondo video dopo quello di “Hold on Tight” da questo nuovo album e questa volta sarà “Don’t Runaway” che apre il disco e che è il brano più ascoltato in assoluto tra i nostri nuovi. Grazie a te ed a Il Raglio del Mulo per averci dato questa graditissima opportunità di presentare la band ed il disco; un saluto caloroso a Voi e a tutti i lettori che invito a seguirci ed a darci supporto sui nostri siti facebook, youtube e Spotify.

Sainted Sinner – Coffee, whisky & rock’n roll

ENGLISH VERSION BELOW: PLEASE, SCROLL DOWN!

A poco meno di un anno dalla pubblicazione del loro ottimo terzo album “Unlocked & Reloaded”, i Sainted Sinners di Frank Pané tornano con il loro nuovo album “Taste It” (ROAR! Rock Of Angels Records), una grande raccolta di pezzi di classico hard rock.

Ciao Frank, solo pochi mesi fa ci siamo sentiti per il vostro album precedente “Unlocked & Reloaded”, oggi i Sainted Sinner hanno un nuovo full-lenght, “Taste It”. Stai vivendo una delle tue stagioni più stimolanti dal punto di vista compositivo?
Ciao Giuseppe, sì… è decisamente una stagione molto creativa e fruttuosa per noi. Abbiamo sfruttato la grande chimica che si è creata tra noi per “Unlocked & Reloaded” per diventare un team creativo molto efficiente, e ne sono davvero felice.

Il disco contiene brani scritti per “Unlocked & Reloaded” o sono stati composti solo per “Taste It”?
Tranne l’idea della canzone che è diventata “Never Back Down”, che è stata lasciata fuori ai tempi delle session di scrittura dell nostro secondo album “Back With a Vengeance”, tutte le idee erano nuove e maturate dopo l’uscita di “Unlocked & Reloaded”.

Pubblicare due album a pochi mesi di distanza, nel mezzo di una pandemia che ha bloccato le attività live, non è una mossa rischiosa?
Ad essere sincero non lo so. Ci sono come in tutto probabilmente pro e contro. Durante la scrittura di queste canzoni, tutto sembrava così naturale ed eccitante, quindi la nostra volontà era di condividerle con il mondo il prima possibile. Dal nostro punto di vista, trattenerle e aspettare non era proprio una cosa pensabile. Tuttavia questa è la nostra visione delle cose e ovviamente se la nostra nuova etichetta ROAR ci avesse detto di aspettare, ovviamente avremmo seguito il loro consiglio. Ma dato che anche loro erano d’accordo, abbiamo deciso di tirarlo fuori. Un altro buon effetto collaterale è forse che i fan del rock ci hanno ancora nel loro radar dai tempi di “Unlocked…”, quindi se gli è piaciuto l’ultimo, forse saranno felici di ricevere del nuovo materiale prima di quanto probabilmente si aspettassero.

Il titolo “Taste It” sembra un invito a fidarsi di voi, qualcosa come “dai, prova il nostro sound”…
Esattamente, questo è ciò che significa! E dato che avevo questa idea di una bottiglia di whisky con l’etichetta Sainted Sinners come tema per la copertina che ronzava nella mia mente da un po’ di tempo, mi è sembrata una decisione perfetta.

Con “Taste It” avete tagliato il traguardo del quarto album, siete soddisfatti del livello raggiunto dalla band? Quanto sei vicino all’idea che avevi dei Sainted Sinners quando hai deciso di iniziare questa nuova avventura?
Sappiamo tutti che questi sono tempi difficili per una “nuova” band e ovviamente ci potrebbero essere molti più album venduti, più visualizzazioni su Youtube, più stream, ecc… tuttavia da un punto di vista artistico sono davvero orgoglioso e felice di ciò che raggiunto nei nostri 5 anni di esistenza. 4 album e finalmente con il nostro 3° album siamo diventati una vera band e la gente ci ha riconosciuto come questo e non come un semplice progetto. Penso che abbiamo avuto la crescita naturale della consapevolezza del nostro ruolo nel mondo del rock e sono sicuro che questa cosa, così come noi come band, si evolverà ulteriormente con ogni uscita in futuro.

“Unlocked & Reloaded” è stato il frutto di una formazione nuova, la stessa che ritroviamo oggi su “Taste It”: pensi che nell’ultimo album ci sia stata una maggiore sintonia tra di voi?
Di sicuro. Anche senza incontrarci di persona prima che uscisse “Unlocked…” avevamo un’ottima intesa lavorativa, ma ora, dopo aver fatto più cose insieme, siamo diventati davvero una squadra e abbiamo potuto evolvere ulteriormente la nostra intesa lavorativa, e anche a livello personale ci piace molto stare insieme e avere una grande intesa.

L’album è stato il risultato di un lavoro di squadra o di idee individuali poi elaborate in sala prove?
È stato un lavoro di squadra, purtroppo non elaborato in sala prove, per ovvi motivi, ma attraverso la condivisione di file, tante sessioni di chat online e in cui ognuno ha portato le proprie idee e creatività. Questa è la prima volta in un album dei Sainted Sinners che le idee iniziali per le canzoni non sono venute solo da me, ma anche da Ernesto e Jack, quindi abbiamo davvero lavorando insieme come un team su queste canzoni.

Siete uno scrigno di perle di puro hard rock ma avete scelto di registrare la cover di un brano, “Losing My Religion” (REM), non proprio in linea con il vostro stile: come è nata questa particolare decisione?
Grazie mille, ci siamo detti che se avessimo fatto una cover allora non ne avremmo fatto una ovvia, ma piuttosto qualcosa di un genere diverso, che la gente non si aspetta e che possiamo personalizzare con parti riarrangiate, ecc… Avevamo alcune idee ma “Losing My Religion” mi è sembrato l’idea migliore per questo album e sono davvero felice di come sia venuta fuori. Suonarla sembra come suonare una canzone dei Sainted Sinners. Quindi abbiamo raggiunto il nostro obiettivo.

Possiamo aspettarci un nuovo album a breve o vi prenderete una meritata pausa?
Beh, abbiamo già abbastanza materiale rimasto dall’ultima sessione di scrittura che potrebbe bastare per un altro album. Abbiamo scelto queste canzoni per “Taste It”, perché pensavamo che garantissero un album con un buon bilanciamento generale tra le canzoni. Quindi c’è molto materiale di cui siamo entusiasti tanto quanto per le canzoni che sono finite su “Taste It”. Vedremo dove ci porterà “Taste It” e speriamo di poter fare molti spettacoli dal vivo per promuovere l’album, ma le cose come vedi sono già impostate per l’album numero 5.

Not even a year a after the release of their great third album “Unlocked & Reloaded”, Frank Pané’s Sainted Sinners are back with their new album “Taste It” (ROAR! Rock Of Angels Records), a great collection of songs by classic hard rock.

Hi Frank, just a few months ago we got in touch for your previous album “Unlocked & Reloaded”, today Sainted Sinner have a new full-length out, “Taste It”. Are you experiencing one of your most inspirational seasons?
Hi Giuseppe, yes…it’s definitely are very creative and fruitful season for us. We transported the great chemistry we had doing “Unlocked & Reloaded” towards becoming a very efficient writing team and i’m really happy about that.

Does the disc contain songs written for “Unlocked & Reloaded” or were they composed just for “Taste It”?
Except the song idea that became “Never Back Down” which was left over from the writing session for our second album “Back With a Vengeance” all ideas were fresh and written after the release of “Unlocked & Reloaded“.

Releasing two albums a few months apart, in the midst of a pandemic that has blocked live activities, isn’t that a risky move?
To be honest i don’t know. There are as with everything probably pros and cons. Everything when writing these songs felt so natural and exciting so our feeling was to share them with the world as soon as possible. From our standpoint to hold them back and wait wasn’t really a thing we thought about. However that’s our view of things and obviously if our new label ROAR would have told us to wait we of course would have followed their advice. But as they were also up for it we said let’s get it out. Another good side effect is maybe that rock fans still have us on their radar from “Unlocked…”, so if they liked the last one they are maybe happy to get some new material sooner than they probably expected.

The title “Taste It” seems like an invitation to trust you, something like “come on, taste our sound”…
Exactly, that is what it stands for and as i had this idea with a Sainted Sinners labeled Whiskey bottle as the cover motive buzzing around for some time it felt like a perfect fit.

With “Taste It” you have crossed the finish line of the fourth album, are you satisfied with the level reached by the band? How close are you to the idea you had of Sainted Sinners when you decided to start this new adventure?
We all know that these are difficult times being a “new“ band and of course there always could be more albums sold, more views on Youtube, more steams, etc….however from an artistic point i’m really proud and happy what we achieved in our 5 years existence. 4 albums and finally with our 3rd album we became a real band and people recognized us as that and not another project. I think we have a natural growth to our awareness in the rock world and i’m positive that this and also we as a band will further evolve with each release in the future.

“Unlocked & Reloaded” was the result of a new line-up, the same that we find today on “Taste It”: do you think that on the new album there is a greater harmony between you?
For sure. Even without meeting all together in person before “Unlocked…” was out we had a great working chemistry, but now after doing more things together we really became a team and could further evolve our working chemistry and also on a personal level we really enjoy being together and have an overall great alliance together.

Was the album the result of teamwork or individual ideas then elaborated in the rehearsal room?
It was a teamwork, unfortunately not elaborated in a rehearsal room, because of obvious reasons, but by sharing files, many online chat sessions and everybody bringing in his own ideas and creativity. This is the first time on a Sainted Sinners album that initial song ideas came not just from myself, but also Ernesto and Jack, so we really were working together as a team on these songs.

You are a treasure trove of pure hard rock gems but you have chosen to record the cover of a song, “Losing My Religion” (REM), not exactly in line with your style: how did this particular decision come about?
Thank you so much. We said if we do a cover then we do not an obvious one, but rather something from a different genre, that people not expect and that we can make ours with rearranging parts, etc… we had a few ideas floating around but “Losing My rRligion” felt the best for this album and i’m really happy how it turned out. Playing it feels like playing a Sainted Sinners song. So we reached our goal.

Can we expect a new album soon or are you getting a well-deserved break?
Well, from the last writing session we have already enough material left that could make up for another album and we picked theses songs for “Taste It“ , because we thought they make up for a good album with the overall flow between the songs in mind, so there is lots of material around we are as excited about as the songs we now put out on “Taste It“. We will see where “Taste It“ will bring us and we hope we can do many live shows to promote the album, but things as you see are already set for album #5.

Lucifer for President – Planet Lucifer

Ospite di Mirella Catena su Overthewall, N-Ikonoclast leader dei Lucifer for President, freschi autori di “Asylum” (My Kingdom Music)!

Benvenuto N-Ikonoclast!
Grazie Mirella ciao a te, e un saluto a tutto lo staff di Owerthewall e ai suoi ascoltatori.

Ti chiedo innanzitutto di parlarci della genesi della band e come si completa la line up attuale… 
I LFP, sono nati come mio progetto solista, era il 2017; all’epoca ero ancora felicemente sposato. Da molto tempo ero rimasto distante dalle scene, tranne una breve collaborazione con gli Aborym di Roma. Facevo il DJ metal e dark al Grind House di Padova e, oltre al mio lavoro, mi dedicavo alla mia attività di scrittore e poeta, senza mai scordare la mia chitarra, con la quale continuavo a registrare pezzi al PC. Tracce di matrice rock and troll, heavy metal grezzo e horror punk, dopo aver trascorso dieci anni negli Ensoph, e uno negli IsRain, in cui la proposta musicale era orienta verso l’industrial, metal, goth, prog… avevo bisogno di qualcosa di diretto, ideale da proporre un giorno dal vivo, se mai sarei tornato a fare musica. Non sono un polistrumentista, perciò un giorno mi decisi a mettermi in contatto con dei giovani musicisti, a ricoprire il ruolo di bassista, batterista e chitarrista; facemmo alcune prove, ma il chitarrista abbandonò subito, così (chiedere non costa nulla) mi azzardai a chiedere a Legione (Evol, Death Dies, Mad Agony e molte altre band). Ricordo ancora quando l’ho conosciuto, nel 93, mi tremavano le mani, ero e sono un fan sfegatato degli Evol. Con lui E Demian de Sabba, (il batterista) suonammo dei Death Dies, per alcuni anni, incidemmo un cd e un vinile, io ricoprivo il ruolo di chitarra solista. Con mia grande sorpresa, Legione accettò, e iniziammo subito a provare; le cose presero subito un’altra piega, diventammo una vera band, di cui legione è l’altro leader. Incidemmo così l’EP, omonimo “Lucifer For President”, come dicevo pocanzi, rock and roll, metal grezzo e horror punk, influenzato da band come Venom, Misfits, e Alice Cooper. Purtroppo, però riuscii a stringere tra le mani il CD solo mesi più tardi. Me lo portò Legione, mi trovavo ricoverato in una clinica Padova. Dopo che mia moglie mi aveva lascito, tentai per l’ennesima volta il suicidio, e questa volta ci misi sei mesi a riprendermi. Fui ricoverato per i miei problemi di depressione maggiore, disturbo borderline, abuso di cocaina e dipendenza cronica da alcol e psicofarmaci. Prima del triste episodio realizzammo due video “Lucifer for President”  e “We Are Rock and Roll Stars”, realizzammo alcuni live molto teatrali, e crudi, uno addirittura, in un palchetto abusivo all’autonomo di Imola, prima del concerto dei Guns and Roses”. Il video di “L.F.P.” scatenò un putiferio sul web, la curia di Padova mi mandò la scomunica… cosa che cadde come un pugno di mosche, in quanto sono sbattezzato, e il sindaco del mio comune, mi invitò a cambiare residenza. Durante la mia assenza, trascorsa girando tra psichiatria, clinica e comunità (dove non puoi tenere neppure il cellulare e sei tagliato fuori dal mondo) Legione, al contrario degli altri membri che si allontanarono, venne sempre a trovarmi. Una domenica, non ricordo l’anno, oltre all’EP, portò con sé un ragazzotto, Daniel, (ex bassista dei Mad Agony e Sex Addicction). Non so come riuscì a riporre fiducia in me, all’epoca magrissimo e ottenebrato dai farmaci, ma decise di darmi una chance, cosa che mi commuove ancora, così entrò nei L.F.P., ci rivedemmo solo qualche anno dopo. Il Batterista: Demian De Sabba (Ex Evol, Death Dies, Mad Agony) fu arruolato allo stesso modo di Legione, senza nessuna speranza di ricevere una risposta positiva… e, invece accettò.

 “Sex and Drugs and Rock’n’Roll” è il brano che abbiamo appena ascoltato ed è anche una celebre canzone del 1977 e successivo manifesto di più generazioni di rockers, pensate che ancora adesso non abbia esaurito la sua innegabile potenza e quanto ha influenzato la stesura delle liriche del vostro album?
Ti confesso che quando ho scritto questo pezzo, la mitica canzone di Ian Dury del 1977, non mi passò neppure per l’anticamera del cervello, comunque è una vera icona e, di sicuro, nonostante la becera scena musicale attuale, non esaurirà mai il suo messaggio di ribellione… fa parte della storia del rock and roll!

Il genere che proponete è uno scanzonato rock’n’roll, figlio dei Misfits e dei Motorhead, ma all’interno del vostro album troviamo una versione che reputo geniale e malsana di “Amandoti” di Giovanni Lindo Ferretti – CCCP. Come mai avete optato per un brano così impegnativo e chi è l’artefice dello smembramento sonoro di cui è stato vittima questo capolavoro di musica e poesia?
Una sera Legione mi propose di realizzare una cover di “Amandoti”, io rimasi perplesso e sulle prime, reticente. Di preciso mi chiese di cantare la canzone, in modo più fedele all’originale, ma di scrivere un testo, che lui avrebbe recitato alla fine di ogni strofa, mi spiegò a grandi linee cosa voleva trasmettere, in altre parole tutto il mondo di angosce e paure che io e lui viviamo rispetto a certi temi. La sera dopo gli mandai il testo e lui ne fu entusiasta. PS: a differenza di Gianna Nannini, avevamo colto che il grande Lindo Ferretti, non si riferisce a una persona, ma parla dell’eroina. 

Tempo addietro ho visto un fantomatico e divertente cartello elettorale che diceva espressamente “Vota Satana! Perché accontentarsi del male minore quando abbiamo la possibilità di scegliere il male assoluto!”, da dove nasce la vostra volontà di volere un Lucifero presidente e quale giovamento sociale potrebbe apportare?
Parlo a nome mio, io non appartengo a nessuna dottrina religiosa od ortodossia; seguo alcuni spunti della filosofia Luciferiana, ma all’interno della band nessuno è satanista, abbiamo in comune il gusto per l’horror. Siamo cresciuti divorando film di Dario Argento, Lucio Fulci, e certe produzioni di Pupi Avati, ascoltando i Goblin, era invitabile, che ciò si sarebbe rispecchiato nella musica, come era inevitabile che band come Venom, Celtic Frost, Bathory e Alice Cooper. La musica è sempre stata, demonizzata, a differenza di altre forme d’arte, in cui è successo più raramente, non so cosa abbia in testa la gente, ma dubito che dopo una giornata di riprese o di scrittura, personaggi come Dario Argento o Stefen King, se ne vadano in giro a massacrare il primo malcapitato. Comunque, per ritornare alla tua domanda, penso che se Lucifero governasse il mondo, arriveremmo a uno stadio di conoscenza e libertà, che non possiamo nemmeno concepire.

La fine di questo 2021 purtroppo ci ricorderà anche che il mondo del rock e dell’heavy metal saranno orfani di Lemmy da sei anni. Quanto pesa secondo voi la sua assenza e chi potrebbe essere il suo eventuale erede musicale?
Tutta la band adora i Mothorhed, Lemmy è uno dei miei idoli, come Ozzy e Nikki Sixth, spesso al mattino andando al lavoro, netto sullo stereo i Mothored, e una profonda tristezza mi coglie. Non ci saranno eredi, come non ce ne saranno per Freddy Mercury, Jim Morrison, o Ronnie James Dio.

Cosa c’è nell’immediato futuro della band?  
Sicuramente un video, un photoset, speriamo altri dischi ma soprattutto tanti live!

Diamo i vostri contatti sul web per i nostri ascoltatori?
Allora su Facebook la nostra pagina è https://www.facebook.com/LuciferForPresident, su Instagram cercate semplicemente il nome della band, o digitate presidentluciferfor.

Grazie di essere intervenuti, a voi l’ultima parola!
Grazie di cuore Mirella per l’occasione che tu e Radio Overthewall ci avete concesso, un’ abbraccio a chi si segue. Mi raccomando, pensate sempre con la vostra testa, e ovviamente rock and roll!

Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 1 Novembre 2021

Arthur Falcone – Straight to the stars 

Arthur Falcone, accompagnato da una formazione di tutto rispetto, ha rispolverato il moniker Arthur Falcone’ Stargazer per editare un gioiellino di tecnica è feeling. Abbiamo contattato il chitarrista per parlare del nuovo disco “Straight to the Stars” (Elevate Records).

Ciao Arthur, la pazienza è la virtù dei forti, ma certo attendere quasi dodici anni per veder fuori il nuovo lavoro dei tuoi Stargazer non è stato facile. Come mai ci hai messo così tanto?
Premetto  che tutto ciò non è stato facile. Il fatto è che  per completare un CD serve un bravissimo batterista e un cantante competente. Io suono anche il basso e la batteria,  ma in studio preferisco lasciare il posto ai professionisti. Oltre alla chitarra ho registrato il basso su quasi tutte le song e cantato i vari cori.  Il materiale per il  terzo  album era quasi pronto  un  paio  d’anni  dopo l’uscita del secondo.  In pratica, avevo già completato trequarti delle composizioni,  a fine 2014 era finita la stesura delle song, circa il  90% del progetto finale! Per completare definitivamente il lavoro poi ho perso qualche anno per trovare i musicisti giusti passando per altri che andavano, venivano,  interrompevano  a metà i lavori: ogni volta dovevo ricominciare dall’ inizio, ho perso anni! Il cd col mastering finale  era  pronto già tre anni fa,  ed è arrivato il covid che ha nuovamente bloccato tutto!

Quanto è cambiata la figura del chitarrista dal 1998 ad oggi, anno del tuo esordio solista?
La figura del chitarrista è mutata abbastanza, a livello underground ha trovato nuovi orizzonti e si è evoluta, mentre a livello commerciale è calata tanto. Restano pochi i nomi di spicco, anche se ce ne sono di bravissimi chitarristi in giro, specialmente in Giappone e America.

Sicuramente è cambiato tanto anche il mercato discografico, immagino che tu sia cresciuto ascoltando i dischi della Sharpnel Records, credi che oggi un’etichetta del genere potrebbe sopravvivere?
No lo escludo! Negli anni ‘80 il chitarrista virtuoso e famoso veniva considerato quasi come un calciatore di serie A! I cd e i vinili si vendevano alla grande, ora tra mode, generazioni nuove e tante altre cose l’interesse per la chitarra tecnica è calato! Uguale per cd e vinili! Specialmente parlando delle nuove generazioni! Questa è la mia opinione, poi c’è sempre chi ha ancora molta passione e motivazione riguardo a tutto questo!

Tu problemi di etichetta non ne hai avuti, anzi sei tornato a casa. “Stargazer” è stato prodotto dalla Virtuoso, sotto-etichetta della tua attuale label, l’Elevate Records: come è avvenuto questo ritorno alle origini?
Con i ragazzi dell’Elevate si era parlato di un eventuale futuro disco assieme, dato che la mia ultima etichetta ha avuto dei problemi nel far uscire questo lavoro, sempre e comunque per questioni riguardanti la pandemia, alla fine abbiamo deciso tutti assieme di comune accordo di realizzare questo passo!

Ti andrebbe di presentare l’attuale line-up degli Stargazer? E che apporto ti hanno dato i diversi membri durante la composizione del disco?
Masko Masnec / Titta Tani alla voce, Sergio Sigoni batteria, Fabio Macini al basso, Lucio Burolo alle tastiere, oltre a me alla chitarra. Di questi solo Titta e Masnec hanno cantato sul CD, a parte la scrittura dei testi di tre brani da parte di Rob Rock, le musiche, gli arrangiamenti, le composizioni  e le linee vocali sono farina del mio sacco.

Il disco è ricco di ospiti, ti andrebbe di presentarli?
Le special guest sono: Goran Edman (Ex Malmsteen), Mistheria (ex Bruce Dickinson, ora Vivaldi Metal Project), Rob Rock (Impellitteri),Titta Tani (ex Goblin), Alberto Rigoni (Vivaldi Metal Project).

Hai mai pensato a un collaborazione con tuo fratello Alex, magari per un disco a nome Falcone?
Sì, come no?! Sarebbe bello, mai dire mai!

Torniamo a “Straight to the Stars”, quale credi che sia il brano più tradizionalmente tuo come stile e quale invece quello meno riconducibile a te?
Domanda molto difficile, perché sono un musicista poliedrico e lo stesso vale come ascoltatore… Se proprio devo sceglierne uno ti direi: “Secret of Roswell”. Il meno riconducibile, non saprei…

In chiusura, il disco è uscito da qualche settimana, hai già avuto dei riscontri dal Giappone, terra che ti ha sempre dato grandi soddisfazioni in passato?
A dire il vero il cd non è ancora uscito, tranne che su piattaforma digitale. Sta comunque avendo già un buonissimo riscontro e interesse. Tantissime richieste di interviste, in diretta e non. L passano già sulle radio non solo qui da noi, ma anche e specialmente in tutte le parti del mondo! Come dici tu, la Terra Del Sol Levante mi ha sempre dato delle soddisfazioni, ai tempi del CD d’ esordio sono stato in classifica in Giappone sulla rivista Burnn. Mentre riguardo al magazine giapponese Young Guitar, nel mese di agosto 2021, sono stato incluso col mio secondo album,  Arthur Falcone’ Stargazer “The Genesis Of The Prophecy”, nella classifica mondiale tra i migliori 70 CD di metal neoclassico di tutti i tempi! Esattamente  all’interno della rivista il CD si è piazzato al trentottesimo posto. Ora attendiamo l’uscita fisica del nuovo lavoro  “Straight To The Stars”,  ha avuto nuovamente dei ritardi,  a metà novembre comunque sarà nei negozi! Stay tuned…e stay rock!

Stef Burns – Lezioni di rock

Il Teatro Barium di Bari stasera (29.09.2021) alle ore 18 ospiterà un chitarrista rock d’eccezione di fama internazionale: Stef Burns. Conosciamo meglio il rocker statunitense attraverso la seguente intervista.

Ciao Stef, ricordiamo innanzitutto che tu hai suonato con tantissimi artisti prestigiosissimi, si ricordano spesso Alice Cooper, Vasco Rossi, Steve Vai, Huey Lewis & the News e molti altri, qual è il ricordo più bello che più ti lega a questi grandissimi nomi e la differenza del modo di lavorare con una band anziché un’altra?
Tutti gli artisti con cui ho suonato mi hanno regalato tante belle cose. Sono stato cosi bene con Alice con Huey, Peppino D’Agostino, ed altri ma soprattutto con Vasco… La più grande esperienza musicale che abbia mai vissuto. Tutti i dischi che ho registrato con lui, poi i concerti a San Siro, Modena Park, Imola, Catanzaro e tanti altri.

In particolare il concerto di Modena Park sarà stato qualcosa di incredibile a livello emozionale, che ricordi hai di quella sera?
Very very strong! È stato come un sogno suonare davanti a 230.000 persone! Concentrandomi sulle mani in maniera tale di non sbagliare.

C’è qualcuno con cui invece “sogneresti” di suonare?
Paul McCartney… per poter suonare i pezzi dei Beatles con lui.

Sei un chitarrista tra i più acclamati al mondo e molto seguito, cosa consiglieresti a un ragazzino che vuole iniziare a suonare lo strumento?
Di seguire la sua passione, un suo stile, suonare tanto, suonare davanti alla gente, e con musicisti diversi. Di studiare altri strumenti per l’ispirazione come voce, sax e piano.

Spesso si dice che il “rock è morto”, che differenza vedi suonando per il mondo oggi rispetto a 20/30 anni fa? C’è realmente meno interesse per il genere o sono “solo parole”?
Sono solo parole a mio parere. Il rock non morirà mai!

Parliamo finalmente della tua carriera solista, che progetti ci sono in cantiere, lo scorso luglio era uscito un singolo, vero?
A novembre il mio gruppo, Stef Burns League, andremo in tour per un secondo giro in Italia quest’anno! Lo scorso luglio è uscito il singolo “Bringing It On” che si trova sulle varie piattaforme digitali. È sempre la cosa più importante e più bella per me suonare i nostri pezzi insieme a Juan e Paola!

Parlando della clinic che terrai a Bari domani, su cosa verterà esattamente? Cosa deve aspettarsi chi verrà a vederti?
Suonerò pezzi dei miei album, “Swamp Tea” e “World Universe Infinity”, più qualche sorpresa. Spiegherò come uso la Stratocaster e come faccio tante cose con la chitarra e parlerò anche dell’ispirazione per comporre ed improvvisare. Risponderò alle domande del pubblico e ci divertiremo tanto!

Non resta altro stasera che recarsi al Teatro Barium di Bari, in via P. Colletta 6/6 alle ore 18. Il costo di ingresso è di € 30,00. Per qualsiasi ulteriore informazione, per prenotare il proprio posto e per conoscere maggiori dettagli sull’evento, sono reperibili sulla pagina dell’evento Facebook A lezione da Stef Burns. Evento consigliato da Wanted Record, Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 29 SETTEMBRE 2021

Screaming Shadows – Le ombre urlano ancora

Bisognerà aspettare ancora qualche mese prima di poter ascoltare “Legacy of Stone” (From the Vaults), il nuovo album degli Screaming Shadows, ormai assenti dalle scene da un decennio. Abbiamo cercato di carpire da Francesco Marras qualche anticipazione sul disco in occasione della pubblicazione del nuovo singolo “Free Me”.

Ciao Francesco, dopo una decade le tue ombre sono tornate ad urlare grazie al nuovo singolo “Free Me”! Come hai occupato questi due lustri?
Ciao a tutti, si gli Screaming Shadows sono tornati e con l’uscita del singolo/video di “Free Me” abbiamo ricevuto un caloroso welcome back. In questi ultimi 10 anni mi sono concentrato più sulla mia carriera solista, ho pubblicato due dischi strumentali (“Black Sheep”, “Time Flies”), un paio di side studio projects (Black Demons , Stone Circles), sono cresciuto come produttore e compositore, ho iniziato a lavorare come turnista collaborando con tanti musicisti come Alessandro Del Vecchio, Jason Rullo, John Macaluso, Terry Brock, Daniel Flores, Angelica, Mattia Stancioiu, ecc., ho suonato come sostituto per band come Purpendicular e Bonfire. Malgrado sia stato molto impegnato ho comunque sempre continuato a comporre musica per gli Screaming Shadows.

Il lungo stop dopo la pubblicazione di “Night Keeper” è stato voluto o è capitato?
Un po’ tutti e due, la produzione di “Night Keeper” è stata molto impegnativa e avevo bisogno di una pausa che si è dilatata un po’ a causa dei vari impegni musicali. La produzione del nuovo disco è comunque iniziata circa 5 anni fa.

Il titolo “Free Me” ha qualcosa a che fare con la situazione di “cattività” in cui viviamo oggi a causa del covid?
Non direi, quando ho scritto il testo non avrei mai pensato che avremmo attraversato una pandemia come questa. Parla più che altro di una situazione generale in cui si trovano gli esseri umani, questa canzone cerca di mandare un messaggio positivo, invita a non sprecare il tempo che abbiamo a disposizione su questo mondo, ad assaporare ogni istante e tutte le esperienze che viviamo, sia positive che negative, a rimanere in contatto con la natura e non avere rimpianti.

Come è nato questo pezzo?
Un po’ come tutte le canzoni che compongo, di solito butto una demo in cui suono le chitarre, il basso, programmo la batteria e canto le linee vocali in fake english. Poi riascolto, vedo cosa funziona e cosa no, modifico, scrivo il testo e la canzone è pronta per la produzione.

In qualche modo la tua esperienza con i Tygers Of Pan Tang ha influenzato la riuscita del pezzo?
Non direi perché come ti dicevo tutto il materiale è stato scritto anni fa, prima del mio ingresso nei Tygers. Il disco era già mixato quando ho fatto le audizioni.

Al di là della tua esperienza nelle gloriose Tigri, quando è cambiato il modo di lavorare di una band in questi 10 anni? Ovviamente, mi riferisco soprattutto al progresso tecnologico, non necessariamente in ambito musicale…
Ho iniziato a fare il musicista intorno agli anni 98/99 e ho vissuto tutto il passaggio dall’analogico al digitale. Oggi è tutto molto differente e mi rendo conto che le giovani band hanno a disposizione molti più strumenti per la produzione e la promozione della propria musica.

Il prossimo inverno arriverà il nuovo album, “Legacy Of Stone”, quanto è rappresentativo del disco “Free Me”?
In questo disco ho cercato di mantenere una certa coerenza tra i vari brani e “Free me” rappresenta a pieno quello che ci si può aspettare dal disco, un heavy metal classico con una produzione moderna, ispirato dai grandi nomi del genere come Iron Maiden, Queensryche, Helloween con tanta melodia, potenza e qualche sferzata di power e prog.

Night Keeper” conteneva le ospitate di Alessandro Del Vecchio (Edge Of Forever, Silent Force), Mattia Stancioiu (Crown Of Autumn) e Pier Gonella (Necrodeath), dobbiamo aspettarci qualcosa di simile sul prossimo lavoro?
No, ed è stata una scelta ponderata. Volevo un disco che fosse omogeneo e cantato da un unico cantante. Il nostro nuovo acquisto si chiama Alessandro Marras, con cui avevamo già lavorato in passato, era inoltre presente su un brano di Night Keeper.

Qualora le condizioni sanitarie dovessero permettervi di fare qualche concerto prima dell’uscita di “Legacy Of Stone”, proporrete qualche brano nuovo oppure preferite attendere che il disco sia fuori per dedicarvi ai live?
Stiamo già organizzando delle date per la presentazione del disco a Novembre, in questi mesi sarò molto impegnato con i Tygers e preferisco aspettare l’uscita di Legacy of Stone prima di tornare sul palco con gli Screaming.

Ago Tambone – Musica libera

Ospite di Mirella Catena ad Overthewall, Ago Tambone autore dell’album “Libera” 

Ciao Ago e benvenuto su Overthewall, tu hai iniziato ad interessarti di musica già da giovanissimo con pianoforte e tastiere ma ad un certo punto molli le tastiere per la chitarra. Ci racconti com’è avvenuto questo cambiamento?
E’ stato abbastanza semplice: l’approccio alle tastiere è avvenuto naturalmente, intorno ai cinque o sei anni, con le prime tastierine elettroniche, un po’ per gioco. Crescendo, ho “curiosato” più seriamente, studiando pianoforte classico e tastiere per due anni circa; però qualche tempo dopo, la curiosità si è spostata sulla chitarra (strumento che strimpellava mio padre, per accompagnarsi quando cantava). E così c’è stato un vero e proprio innamoramento per questo strumento, che mi ha spinto a studiare ed approfondire i suoni e le tecniche relative. Studio che naturalmente, si è esteso al basso e saltuariamente al mandolino… non tralasciando, ovviamente le tastiere.

Ci sono stati dei chitarristi storici a cui ti sei inizialmente ispirato?
Non essendo io un chitarrista di formazione classica, ho avuto dei riferimenti chitarristici in artisti moderni, anche se amo il mondo della chitarra classica. Quindi nella mia formazione chitarristica, ci sono stati chitarristi – giusto per citarne alcuni – come Eric Clapton, Carlos Santana, Richie Blackmore, David Gilmour, Mark Knopfler, Pat Metheney, Van Halen, Yngwie Malmsteen, Kee Marcello, Richie Sambora, Gary Moore, George Benson… anche Chuck Berry! Ognuno di questi artisti, ha rappresentato un riferimento molto importante per me, tanto dal punto di vista tecnico, quanto e soprattutto, dal punto di vista compositivo.

Durante la tua carriera hai collaborato con diverse realtà musicali. Quali progetti musicali ti hanno coinvolto maggiormente?
Nel mio percorso artistico, ho avuto la possibilità di collaborare con diversi musicisti, di varie estrazioni. Questo aspetto è fondamentale per un musicista, poiché può imparare tanto da tanti generi differenti, oltre ad imparare come instaurare un buon rapporto umano e professionale con i propri colleghi. Devo dire che le collaborazioni che hanno lasciato il segno, sono quelle con i One Way Ticket nel 2004/2005, band rock barese capitanata da Morris Maremonti; nel 2009, c’è stata una bella parentesi in studio, per delle registrazioni di alcune parti di chitarra, con i Poeti del Quartiere, formazione rap barese, tuttora attiva. Vi consiglio di ascoltare i loro lavori; dal 2009 al 2012 invece, sono stato chitarrista e bassista per i Revo’, una formazione pop-rock italiana emergente, fondata insieme al cantautore Francesco Cacciapaglia. Una menzione a parte, merita una collaborazione del 2011 con Giuseppe Cionfoli, per la pubblicazione di un brano dedicato a Sarah Scazzi, appena quindicenne, che come tutti ricorderanno, perse la vita nel delitto di Avetrana, un caso che ebbe un enorme rilievo mediatico. Il brano, intitolato “Sarah”, nacque da un’idea di Giuseppe Cionfoli; naturalmente, io accettai subito, prendendo parte alla composizione e alle registrazioni.
E’ stato un atto di umanità, che dovrebbe farci riflettere.

Ad un certo punto inizi il tuo percorso da solista. Nel disco che presentiamo oggi, che ha come titolo “Libera”, suoni praticamente tutti gli strumenti, ed è stato mixato e masterizzato da te nel tuo studio di registrazione. Un lavoro oserei dire intimo e personale che racchiude sensazioni ed esperienze da te vissute. Ci parli di questo disco?
“Libera” nasce da mie esperienze e riflessioni, sulla quotidianità degli eventi della nostra vita. Già il titolo, vuole essere un’esortazione a sentirsi liberi di vivere la vita come si vuole e di fare le proprie scelte, senza essere vincolati da fenomeni di massa (“Libera”) Naturalmente, senza intaccare la libertà altrui. Il disco tratta anche di argomenti come l’indifferenza tra gli esseri umani, che ormai non è più un fenomeno isolato, dato che la gente si distacca sempre più dalla natura umana. Questo atteggiamento lo si vive soprattutto nelle grandi città per via della vita caotica e lo stress che tendiamo ad accumulare (“Indifferenti”). Di conseguenza, è nata la necessità di scrivere anche un brano sulla incomunicabilità tra la gente (“Una Sensazione”). Figurano altri brani che invece spaziano tra vari argomenti: Voglio spronare l’ascoltatore, a credere sempre nei propri desideri e a non mollare facilmente, poiché con la tenacia, spesso si raggiungono i risultati sperati (“Credici”); in effetti questa esortazione, si ispira a una parentesi autobiografica. O ancora, il bello del senso di libertà e di pace interiore che può dare il viaggiare per il mondo, in cosciente solitudine (“I Live On My Own”). Non è un aspetto da sottovalutare, direi… Nel percorso di “Libera”, ho voluto rendere omaggio a mio modo, a tutte le vittime degli attacchi dell’11 settembre 2001. Era un forte desiderio che ho provato praticamente dal momento che ho visto, così come tutto il mondo, le terribili immagini in televisione. Soprattutto, quello che mi ha colpito maggiormente, è stato vedere la gente che si lanciava nel vuoto. Mi è sembrato un modo per onorare in qualche modo, tutte le persone che hanno perso la vita, innocentemente (“The Falling Ones”). Non cito gli altri brani, per non svelare tutto l’album… che tra gli altri, contiene anche tre cover di brani molto famosi, ai quali sono legato. Il disco mi ha visto impegnato come autore dei testi, non tutti, per la verità, compositore e arrangiatore. Ho suonato tutti gli strumenti, ad accezione del pianoforte su “The Falling Ones”; ho curato tutta la parte delle riprese audio, editing, missaggio e mastering. Insomma, ho avuto un gran da fare! La soddisfazione maggiore, è stata aver avuto accanto, durante la lavorazione di buona parte del disco, altri artisti che hanno fatto la differenza. A loro sono molto grato.


“Libera” è stato pubblicato nel 2020, quando in realtà liberi non eravamo affatto a causa della pandemia. E’ stata una scelta casuale o voluta?
In effetti “Libera” è stato pubblicato verso la fine di gennaio 2020, il che fa intuire che era già pronto da fine 2019. Non c’è stato nessun riferimento alla pandemia, che ci ha privati di diverse libertà; anche perché l’opinione pubblica, è venuta realmente a conoscenza della gravità della situazione sanitaria mondiale un mese più tardi, con tutte le conseguenze che conosciamo bene. Però, direi che per estensione del concetto di libertà, accosterei il messaggio del mio disco alla forte necessità di tornare a vivere normalmente, nel più breve tempo possibile, come tutti auspichiamo!

C’è un brano del disco a cui sei particolarmente legato?
Sono legato, ovviamente, a tutti i brani. Se però parliamo di un legame particolarmente forte, direi che c’è un posto speciale per “Credici” (data l’ispirazione autobiografica) e “The Falling Ones”, per le ragione già citate.

Nel disco collaborano alcuni musicisti. Ne vogliamo citare qualcuno?
Al disco, hanno preso parte: Antonio Gridi, cantautore che ha scritto i testi e cantato in “Indifferenti” e “Renditi Libero” e ha preso parte ai cori di “I Live On My Own”; Monica Cimmarusti, cantautrice che ha cantato in “Indifferenti” e “Wrapped Around Your Finger” e ha preso parte ai cori in “I Live On My Own”; Massimiliano Morreale, cantautore e polistrumentista che ha cantato in “Comfortably Numb”; Francesco Cacciapaglia, cantautore e musicista che ha scritto il testo di “Cristalli Gelidi”; Pasqualino de Bari, cantautore e tastierista che ha scritto il testo di “I Live On My Own” ; Gianvito Liotine, pianista e tastierista che ha suonato il pianoforte in “The Falling Ones”. Detto ciò, abbiamo svelato anche due delle tre cover!. Vanessa Bisceglie per la fotografia; Andrea Tarquilio per la Cover-Artwork. A tutti loro, sono molto grato.

Restrizioni permettendo, sono previsti dei live per promuovere il disco?
Al momento, non è previsto nessun live, poiché sto lavorando all’ultima fase del mio nuovo disco, che per ora è pubblicato solo online, su varie piattaforme musicali. Magari, quando si tornerà alla normalità, riprenderò con i concerti… che ci mancano tanto!

Puoi dare delle indicazioni ai nostri ascoltatori per seguirti sul web?
Per chi fosse interessato all’ascolto e/o all’acquisto, i miei lavori, si possono trovare su: Bandcamp, Facebook, Youtube, Spotify e Apple Music.

Grazie di essere stato con noi su Overthewall. Ti lascio l’ultima parola
Grazie a te, Mirella e a tutto lo staff di Overthewall, per avermi invitato. E’ stato un vero piacere essere vostro ospite! Colgo l’occasione per ringraziare chi come voi, si impegna quotidianamente a far conoscere la musica “non convenzionale”. Siete grandi! Un saluto a tutti gli ascoltatori, con l’auspicio di tornare a vedere tanta musica dal vivo, nel più breve tempo possibile. Soprattutto di poter ascoltare tanta musica di grande qualità… ne abbiamo bisogno. A presto!

Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 31 Maggio 2021