Cynic – Tracce nell’aria

I Cynic sono uno dei gruppi che ha segnato maggiormente gli albori della mia “carriera” di metal fan. Ricordo ancora lo stupore e l’eccitazione provata quando mi procurai la mia copia di “Focus” (fatta autografare in occasione dell’esibizione degli statunitensi al Evolution del 2007 e gelosamente conservata) a pochi giorni della sua pubblicazione. Era un’epoca diversa e quel CD fu capito da pochi. Il tempo è galantuomo e ha ristabilito il giusto ruolo dell’opera prima dei Cynic all’interno della storia del metal. Ma quando finalmente il suo successore giunge sul mercato e il pubblico è finalmente maturo per recepire i contenuti musicali dei californiani, questi che ti combinano? Se ne vengono fuori con un disco spiazzante e diverso dal suo predecessore! Quanti anni ci vorranno per riabilitare “Traced in Air” (Season of Mist)? A Paul Masvidal questo sembra importare poco…

Ciao Paul, direi di iniziare dalla domanda che più incuriosisce i vostri fan: cosa vi ha spinto proprio ora a riformare il gruppo e a pubblicare un nuovo album, dopo tutti questi anni di silenzio?
Sono state le leggi dell’universo a volerlo! Ci sono state due fasi: la prima è quella della decisione di tornare insieme, la seconda quella di fare un album. I Cynic sono riapparsi nella nostra vita sotto forma di sincronismi nel giro d’un paio di settimane. Quando finalmente è stata raggiunta la massa critica io ho chiamo Sean e gli ho detto “è il momento”. Lui è stato d’accordo con me e ci siamo rimessi a lavorare sodo sul vecchio materiale contenuto in “Focus”. Dopo essere tornato dal nostro reunion tour, mi sono chiuso nel mio studio per esplorare nuove soluzioni musicali. Mi sono reso immediatamente conto che i Cynic avevamo ancora qualcosa da dire. Le canzoni sono nate in maniera fluida e tutto è andato nella giusta direzione. Così abbiamo deciso di inserirle in un nuovo album e, ovviamente, di andare in tour per promuoverlo.

Ma alla fine della corsa quali sono le differenze trai vecchi e i nuovi Cynic?

I Cynic di oggi hanno un suono più evoluto e sicuramente migliore: è una versione superiore di tutto quello che abbiamo realizzato prima. Siamo migliorati come musicisti e io sono un songwriter migliore. Il linguaggio melodico e armonico è più profondo e ricco, e c’è un approccio più coevo agli arrangiamenti. Dal punto di vista dei testi, le nuove canzoni sono molto più vissute e sentite in profondità di quanto non lo fossero prima.

E tutto ciò traspare in “Traced In Air”?

Preferisco credere che l’album si presenti da solo al momento dell’ascolto. Ogni ascoltatore può sperimentare la proprie visoni ed esperienze, ed è questo il bello del disco. È come intraprendere un viaggio in una navicella spaziale e scoprire nuovi scenari, che poi, curiosamente, assomigliano a quelli di casa propria.

Quando hai iniziato a stendere le prime canzoni?
Nell’ottobre del 2007, complessivamente ci ho lavorato nove mesi.


E se ti dicessi che l’album mi ha ricordato in alcuni passaggi i The Mars Volta?
Cool. Non conosco molto bene i The Mars Volta, ma ho sentito dire in giro che sono molto interessanti e originali.

Prima hai accennato a una maggiore profondità nei testi. Ti andrebbe di chiarire ulteriormente questo aspetto?

L’album è essenzialmente un viaggio nella vita, concentrato in otto canzoni. Iniziamo con una traccia di invocazione, descrivendo la nascita con “Nunc Fluens”, e concludiamo con l’addio contenuto in  “Nunc Stans”.  Le song parlano delle prove da superare per rimanere come si è nel presente, tentando di non arrendersi a quei processi naturali che ci portano trasformarci e a crescere.

Negli anni che hanno separato i due album si è fatto un gran parlare di un vostro eventuale ritorno. Le aspettative intorno a voi erano notevoli. Ma quali sono le vostre nei confronti di “TIA”?

Cerco di non avere aspettative. Io credo che l’album sia grande e che abbia un’enorme potenziale. Noi e la nostra etichetta stiamo lavorando affinché questo potenziale si traduca in fatti.

Ma come ti spieghi che i Cynic abbiano pubblicato nei primi anni novanta un album fondamentale, eppure non abbiano mai raggiunto il successo di gruppi quali Death o Opeth?

Semplicemente i Cynic sono spariti dopo un solo album, mentre Opeth e Death (sino alla morte di Chuck) hanno continuato a pubblicare dischi. Gli Opeth sono a quota nove? I Death si sono fermati a sette? Noi abbiamo appena realizzato il nostro secondo album, e questo dovrebbe spiegare tutto…

Ma cosa ricordi di quei fantomatici primi anni 90?

Intense creativity, inspiration and perspiration. Non è che sia cambiato molto.

Immagino che girerete parecchio per promuovere l’album…
Attualmente siamo in tour in Europa con gli Opeth. Poi andremo negli Usa, per ritornare nuovamente da voi. Ci attende parecchia strada!

In bocca al lupo, allora!

Grazie per l’intervista. Ascoltate “TIA” e fate una visita su www.cynicoline.com! Pace.

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2009 in occasione dell’uscita di “Traced In Air”

Timoria – Sul treno magico di Omar

Partiti con l’intenzione di vederci solo un bel concerto, grazie ad alcune fortunate coincidenze, siamo riusciti a fare una bella chiacchierata con Omar Pedrini, deus ex machina dei Timoria. Questa volta è stato tutto perfetto, infatti Omar ci ha voluto ricevere nell’albergo dove il gruppo alloggiava chiedendo espressamente ai suoi collaboratori di far passare solo noi e nessun altro, rimandando indietro qualsiasi giornalista! Grandioso! Così, prima del live, il mio collega Roberto ed io ci siamo armati fino ai denti per affrontare questa nuova intervista, l’ultima forse di questa estate così fruttuosa. Arrivato Omar siamo subito partiti a raffica con le domande:

Paolo: Il gruppo degli anni 70 che maggiormente ti ha influenzato?
Omar: Sicuramente a livello internazionale sono due: Pink Floyd e The Who; poi in Italia la PFM e tutte le band del prog minore partendo dai Dick Dick, che erano allora ancor post-beat, arrivando al Banco Del Mutuo Soccorso passando per i Trip a Il Rovescio della Medaglia e soprattutto gli Area.

P: Cosa pensi del panorama della musica italiana, soprattutto dei gruppi che cominciano cantando in italiano?
O: Mah, diciamo che oggi non mi dispiace. Quando abbiamo cominciato tutti cantavano in inglese, per noi è stato giusto dare un significato italiano alla nostra musica, sottolineare il nostro orgoglio di essere italiani. Infatti, il nostro simbolo era la bandiera italiana fatta a cerchio come quella degli Who dall’aviazione inglese. Se dovessi cominciare nuovamente oggi, ammetto che fare italiano o in inglese sarebbe la stessa cosa. Poi io dentro di me ho l’anima del cantautore, quindi ci tengo che i miei testi vengano compresi a fondo. Dieci anni fa l’inglese non lo capiva nessuno, ora invece lo si impara alle elementari, mio figlio lo studia in seconda. Quindi penso che i tempi siano maturi anche per cantare in inglese, non farei più la distinzione che sentivo fortemente tempo fa. Poi è chiaro che se uno ha un forte istinto poetico, come me, sente la necessità di cantare in italiano. Se avessi una band dove mi interessa solo la musica, il feeling o il sound, canterei inglese; se invece dovessi fare cose mie cantautorali canterei in Italiano. Poi l’italiano è una lingua così generosa nella poesia e nella letteratura e rispetto all’inglese ti dà il 200% per la ricchezza di vocaboli, verbi, congiunzioni, non a caso deriva dal latino e dal greco. Timoria è una parola greca. Le radici sono le cose a cui tengo maggiormente.

P: A distanza di anni dal vostro debutto con San Remo come è stato il vostro ritorno?
O: Oh, il primo anno è stata una follia e anche una provocazione perché siamo stati il primo gruppo underground che è andato lì. Fu uno scandalo “I Timoria a San Remo hanno tradito il movimento!”, e noi invece abbiamo detto che sino a quando nessuno va là il rock italiano rimarrà un mondo di poveri, un ghetto! Noi andiamo lì e sentite la canzone che portiamo! Partecipammo con un brano tra i più difficili del nostro repertorio “L’Uomo Che Ride”, quindi poi tutti quanti ci hanno detto bravi, avete fatto bene e si è cominciato a parlare di noi, dei Litfiba, dei Diaframma, dei De Novo; i CCCP, che erano più vecchi di noi, che eravamo ragazzini. Abbiamo avuto la fortuna di fare il nostro primo album a 18 anni però anagraficamente come band siamo tra i più vecchi. Quest’anno invece a San Remo ci siamo andati in maniera calcolata più che altro non per la musica ma per far parlare di questo film, “Un Aldo Qualunque”, fatto con pochi soldi e molta energia e adesso c’è attesa, perché uscirà ad Ottobre, credo che lo debbano anche a noi.

P: Per quanto riguarda il futuro, come mai non avete ancora pubblicato un album live?
O: Vogliamo farlo quest’anno! Stiamo registrando tutto il tour e penso che uscirà a febbraio 2003. Il primo dopo 12 anni di storia!

P: Adesso, dopo un periodo di solisti, si sta assistendo a un ritorno in auge delle band Italiane: Afterhours, Timoria, Subsonica, Bluvertigo, Marlene Kuntz ecc. E’ un fenomeno che potrà durare o...
O: Per fortuna! Mah, guarda secondo me non c’è volontà nei media di far durare questo movimento! Ogni anno vedo arrivare i soliti gruppi dell’estate che scompaiono inesorabilmente. I Timoria durano perché credo che ci sia una grande volontà e serietà di fondo per quanto riguarda il nostro modo di lavorare. Investiamo molto su noi stessi. La colpa di tutto questo è dei giornalisti e delle case discografiche che sono abituate a lavorare sui singoli cantanti perché sono più facili da sfruttare. La band invece va curata, fatta crescere. Sai ogni volta che il gruppo si muove si è sempre in cinque o in otto, quindi viaggio, cena per almeno cinque, mentre con il cantante si spende solo un quinto. Poi una bella voce in Italia è più importante di un bel sound, mentre all’estero è il contrario. I giornalisti invece non hanno il coraggio di dedicare una bella copertina, ad esempio, ai Subsonica, ai Timoria, ai Bluvertigo (pace all’anima loro) a gruppi che hanno lavorato seriamente contribuendo notevolmente alla musica italiana. E invece la danno ancora a Britti, a Ligabue (che non se ne può più) a Jovanotti e a tutta sta gente. Invece il giornalista dovrebbe avere il potere di dire “non me ne frega dei tuoi 100 milioni e dedicare una bella copertina ai Subsonica perché fanno ogni volta 6000 persone ad ogni concerto ed hanno vinto due dischi d’oro, com’è successo ai Timoria, com’è successo a tutti i gruppi che hai citato tu. Io invito i nostri fans a scrivere lettere di protesta a MUSICA! Di Repubblica, al Corriere della Sera, alle riviste del settore che mettono sempre quei cazzi di gruppi inglesi o americani o comunque stranieri in copertina! C’è una realtà forte che fanno finta di non vedere e cosa aspettano che abbiamo quarant’anni per far parlare di noi che tra un po’ andiamo in pensione. Fortuna che c’è MTV o Radio DEEJAY che ogni tanto ti passa qualcuno di diverso, che poi anche loro ti trasmettono Ligabue venti volte al giorno ma bene o male MTV fa vedere un po’ tutti. Ma al telegiornale non sentirai mai parlare dei Subsonica o dei Timoria.

P:…o del Tora Tora!
O: Esatto che è una bellissima iniziativa!

P: E’ strano perché poi tutti questi gruppi non vanno mai in classifica ma i loro concerti sono seguitissimi...
O: Vero! Comunque vendono buone cifre, perché siamo tutti noi Afterhours, Subsonica. Non si può far finta di niente sarebbero quasi da denunciare. Mi parlano di altri che tutto sommato non è che vendano più di noi. Poi ci sono i fenomeni come Jovanotti e Ligabue che ormai hanno tutto in mano, è questione di denaro e di dollaroni sganciati.

Roberto: Mah, quando ho intervistato Manuel Agnelli, quest’ultimo ha accennato che sino a quando ci sarà nel mercato troppa musica di scarsa qualità non si considererà mai, come si dovrebbe, quella di valore…
O: Credo che Manuel sia stato un po’ drastico, lui secondo me vuole anche provocare. Però nel mondo del rock italiano ci sono almeno una decina di gruppi artisticamente importanti, almeno otto gruppi di qualità internazionale, seguiamo quelli. Certo, poi ogni anno le case discografiche fanno uscire quelle band di merda con le loro belle faccine che durano una stagione. Il suo Tora Tora!, di cui ha parlato prima, ospita almeno venti gruppi e sono tutti di qualità, io sono andato a vederli e posso confermarlo. Ha fatto un’ottima selezione Manuel. E’ chiaro i gruppi si possono sforzare sempre di più, ho visto i dischi di C.S.I. bellissimi che hanno venduto 10.000 e le copertine non le hanno avute, le radio non lo hanno mandato, allora dov’è la verità? “El Top Grand Hotel”, del quale un giornalista francese ha scritto che stato uno tra i più bei dischi europei del 2001 e che in Italia ha venduto 50.000 copie, ha preso il disco d’oro ma secondo me avrebbe dovuto vendere 300.000 copie se Ligabue ne vende 500.000, lo sforzo lo abbiamo fatto: c’è Ferlinghetti, che è l’ultimo poeta della Beat Generation. Il disco degli Afterhours ha venduto 30-40.000 copie, e non è un bel disco? Il problema è creare il mercato, poi la gente li compri questi dischi. Invece chi acquista non è il pubblico rock ma quello delle ragazzine! Questa è la verità. Le ragazzine non sanno cos’è il clandestino e dicono al loro papà di andarlo a comprare. Perché il pubblico rock spesso non ha i soldi: il rockettaro è difficile che stia bene economicamente, c’è da dire anche questo, non compra e così facciamo la fame. Noi durante i tour facciamo il pieno, 200.000 persone, Manuel fa il pieno e i Subsonica fanno quello che io e Manuel Agnelli facciamo durante i nostri concerti. E allora dove sono i dischi dei ragazzi che vengono a cantare le nostre canzoni?

P: Infine una domanda culinaria, cosa ne pensi della cucina pugliese…
O: Oh io la Puglia ce l’ho nel cuore, qui vicino a Locorotondo abbiamo tenuto il nostro primo concerto fuori dalla Lombardia. Gli amici mi hanno dedicato un trullo a Locorotondo, che il mio posto del cuore. Quindi conosco tutto quello che concerne la cucina, dei vostri rossi, alle cime di rapa, ai formaggi. Oggi ci sono anche i ragazzi di Locorotondo, la nostra amicizia antica!

Paolo Ormas (in collaborazione con Roberto Pellegrini)

Intervista originariamente pubblicata nel 2002 dalla fanzine cartacea The Vox nel numero di Settembre.

Afterhours – La gente sta male

Come avrete potuto leggere dalla cronaca del concerto di Trepuzzi degli Afterhours abbiamo incontrato i nostri “eroi” alle 3.10 a.m., dopo l’esibizione. Il primo ad essere subito acciuffato è stato il grande Giorgio Prette che tranquillamente ci ha permesso di intervistarlo cercando di fargli domande, le meno stupide possibile (credo di non esserci riuscito).

Come mai le date fuori del circuito Tora! Tora! sono scarsamente pubblicizzate? Un bel po’ di gente, compreso me, ha incontrato un po’ di difficoltà nel reperirvi
Giorgio Prette: Mah, la promozione della singola data spetta al promoter e comunque credo che abbia partecipato parecchia gente, del resto erano due anni che non venivamo in Puglia e non credo ci siano stati parecchi problemi perché alla fine le cose si vengono a sapere soprattutto dove c’è più attesa.

Cambiando radicalmente discorso, l’allontanamento di Xabier Iriondo ha comportato un cambio di sonorità con Agnelli che ha più spazio alle chitarre, largo anche all’elettronica e alla batteria… (spero che Giorgio qui non abbia notato la mia bava pendere in quanto durante il concerto l’ho visto trasformarsi in un motore che andava a un numero infinito di giri NDA).
G: Bisogna vedere cosa tu intendi per elettronica, noi usiamo degli effetti elettronici degli anni ’70 con un ruolo non predominante ma caratterizzante e credo che se Xabier ci fosse stato il disco non sarebbe stato molto diverso. E’ chiaro che perdendo un terzo del nostro suono, io e Manuel abbiamo dovuto prendere molto più spazio e migliorare.

Mi piacerebbe conoscere il tuo punto di vista sulla situazione della musica italiana. Vediamo che artisti che fanno parte del “laboratorio” che fanno fatica ad emergere e soprattutto “artisti” meno validi che vendono addirittura 500.000 copie. Gli Afterhours che ormai sono sulla scena da quasi venti anni, vendono molto meno (domanda stupida ma qui ero leggermente incazzato con chi invece di fare il cantante fa il regista e rompe le scatole con le storie che faceva quando era giovane NDA).
G: Diciamo che fondamentalmente facciamo un genere leggermente diverso, poi dieci anni fa luoghi per fare musica non ce n’erano, ora ci sono. E’ chiaro che di spazio ce ne vorrà sempre per crescere. Poi bisogna vedere qual è l’obbiettivo primario, a noi interessa un certo tipo di percorso che non necessariamente implica il raggiungimento delle 500.000 copie, nel senso che alla fine questa ambizione diventa un’arma a doppio taglio: in quanto è chiaro che ci si augura che la nostra musica arrivi a più persone possibili ma è anche vero che il pubblico generalista è quello che ti adotta in un’estate poi sparisce. Per cui dipende da quello che uno cerca. Noi tentiamo di fare la nostra musica e di continuare a farla, siamo sempre cresciuti piano piano e penso che andremo avanti così.

Progetti futuri?
In autunno uscirà il nuovo singolo avremo le date dei concerti di novembre e dicembre poi penso che butteremo giù qualcosa di nuovo abbastanza in fretta.

A Differenza di altri artisti, avete preferito fare una promozione basata più sui fatti, ad esempio avete inserito nel singolo “Sulle Labbra” due chicche: due brani di quando la vostra produzione musicale era in inglese…
G: Si, ci sono state delle chicche perché ci sono questi due dischi in inglese che sono irreperibili e si voleva dare un loro assaggio. Siamo contenti di averlo fatto, anche se in realtà, in questo caso “During Christy Sleep” ha un suo senso nella sua completezza e quindi a estrapolare due canzoni ci si perde fondamentalmente. Comunque va benissimo così. Per il resto , noi pensiamo alla promozione che più si adatta a noi. Passare nei network radiofonici e televisivi è molto difficile per la musica che facciamo e di conseguenza io e Manuel abbiamo deciso che non ci interessa più di tanto. La nostra migliore promozione sono i concerti, per cui puntiamo su quello!

Dopo quest’ultima domanda, io e il mio amico Tonio abbiamo chiesto a Giorgio se poteva venderci i dischi in inglese e, data la sua risposta negativa, più spudoratamente gli abbiamo chiesto di masterizzarceli, ma non è stata cosa. Va bene lo stesso, ci accontentiamo di averlo conosciuto.
Manuel Agnelli non si fa attendere e, dopo aver firmato qualche autografo qua e là, ci fa strada negli spogliatoi e lì è cominciata l’intervista.

Come già chiesto a Giorgio Prette questa volta avete fatto poca promozione per l’ultimo album inserendo due brani dei vostri primi album in inglese…
Manuel Agnelli: In realtà, abbiamo fatto il video di “Quello che Non C’è”, ma l’abbiamo fatto un po’ alla nostra maniera più narrativo e meno “MTVista”, per questo è girato poco. E’ vero, c’è meno promozione, ma un po’ è anche una scelta nostra, ritornare comunque a “lavorare” sulle cose che ci divertono veramente. Al contrario della promozione standard che era stata fatta durante il tour di “Non E’ Per Sempre” che era stata estenuante e nel quale parlavamo con gente della quale non ce ne fregava un cazzo, facevamo cose che non ci interessavano.

Parlando sempre della pocapromozione, il Tora! Tora! è scarsamente promosso, come le vostre date fuori da questo circuito, e fa fatica a trovare spazio nelle grandi riviste del settore come se ci fosse una sorta di boicottaggio da parte di queste ultime, mi riferisco anche alla tue dichiarazioni…
M: Mmmh, non credo al boicottaggio, credo più all’incapacità di coltivare delle novità in modo da farle diventare delle cose eccitanti. Il boicottaggio vero e proprio presuppone il fatto di riconoscere lo sforzo e la volontà di alcune persone di boicottarti, riconoscere delle capacità, delle qualità, in gente che in realtà non ne ha. Il Tora! Tora! non è poco promosso, ma è anche vero che su certi giornali fa fatica ad avere degli spazi per non parlare delle televisioni. Non credo sia solo un problema del Tora! Tora!, ma credo riguardi tutta la musica in genere. Io ho scritto quella lettera prendendo il Tora! Tora! ad esempio, ma la realtà è che il problema è di tipo strutturale. Non è solo colpa dei giornalisti, anche se la mia era una lettera polemica verso di loro perché volevo un po’ pungolarli. Alcuni hanno reagito bene e questi sono coloro che hanno a cuore la voglia di scrivere cose “nuove” comunque è che in Italia la musica non è considerata abbastanza e sarà come un serpente che si mangia la cosa perché sino a quando il mercato non sarà un granché non si considererà mai la musica come si dovrebbe.

Ora saltando di palo in frasca, vediamo che gli Afterhours si tengono fuori dai vari festival, San Remo e compagnia bella, mentre altri artisti della Mescal, Bluvertigo e Subsonica, vi partecipano comunque. Da chi dipende la scelta?
M: La scelta dipende da loro, penso che alcuni gruppi siano naturalmente portati ad un pubblico più eterogeneo, il progetto stesso dei Subsonica è più naturalmente leggero rispetto al nostro. Noi quando abbiamo provato a far pop, perché a noi il pop piace, siamo stati subito messi in croce da tutti è anche un segnale di quello che ti rende più o meno credibile. Penso che i Subsonica hanno nei loro geni la musica leggera italiana, fanno elettronica, la fanno bene, fanno delle cose interessanti e la stessa cosa vale per i Bluvertigo. Sono progetti che possono andare a San Remo senza perdere la loro natura, mentre per noi sarebbe una forzatura in questo senso anche per questo non ci andiamo, anche perché non mi interessa alimentare San Remo se pur nel nostro piccolo. Io ci sono stato in qualità di ospite ed è stata un’esperienza abbastanza triste.

Ora esaminando il disco, purtroppo l’ho recensito io e spero di non aver scritto cavolate, vediamo che i testi sono più forti, intimi, le sonorità con l’elettronica più aperte, tu con più spazio alle chitarre e la batteria che non viene sovrastata dall’elettronica più che altro è lei a portarla...
M: Sì, sai tutto quello che usiamo noi è in funzione della canzone, perché questa è la nostra formula in questo progetto, noi facciamo altri progetti che hanno altre formule. All’interno dgli Afterhours abbiamo riconosciuto delle cose che hanno un loro carattere e portiamo avanti queste, tutto è in funzione di questo. Ci interessa tanto lavorare con i suoni, ci interessa l’approccio e l’attitudine con cui facciamo questo ma l’attitudine, l’approccio, i suoni non sono la natura di questo progetto. Sono le canzoni, l’urgenza comunicativa che abbiamo e che mettiamo nelle song, questa è la natura del progetto. Dopodiché, come musicisti che girano da un po’ di tempo e che hanno una certa età, diciamo che ci interessa avere anche una piccola parte di sperimentazione. Ma la sperimentazione non sarà mai la parte primaria perché la ricerca fine a se stessa non ci interessa.

Per concludere, la serata come ti è parsa?
M: Mah, devo dire notevole, c’era tanta gente, il pubblico è stato bello caldo, sanguigno. Devo dire che noi abbiamo recuperato la tensione sul palco indipendentemente dal pubblico che ci è davanti. Riusciamo a suonare concentrandoci tra di noi indipendentemente dalla reazione del pubblico e questa è una cosa che un paio d’anni fa ci aveva fatto vivere dei problemi perché i nostri concerti erano nelle mani del pubblico e noi non avevamo più il controllo della musica o la tensione di questa. Invece, quest’anno facendo dei grossi sforzi – rischiando di fare degli show di merda, freddi, abulici – siamo riusciti però a trovare finalmente un’intesa vera fra di noi, interiore e anche in serate come queste, dove il pubblico è caloroso: ed è un vantaggio e non uno svantaggio perché alla fine non ti portano via la tua musica, la tua musica ti resta. Infatti, adesso mi è ritornata la voglia, non dico di dialogare con il pubblico, ma di lasciare spazio al pubblico, di interagire e in uno spettacolo live non è poco. Sai è una prova in più, mi è sembrato un bel concerto, io non ero in gran voce stasera (qui mi ha mentito spudoratamente NDA) quest’anno non ho avuto una grandissima voce, un po’ perché sono stanco, un po’ perché siamo stati al mare stamattina e abbiamo preso un bel po’ di sole e un sacco di vento, però al di là di quello mi sono divertito molto.

I progetti che vi attendono?
M: Ho appena finito di fare la produzione del nuovo album di Marco Parente, si chiama “La Trasparente” e poi voglio concentrarmi sugli Afterhours al 100%. Almeno sino alla fine della primavera prossima, voglio godermi ‘sta situazione qua perché era da molto che non riuscivamo a vivere più momenti di complicità e naturalezza tra noi, voglio ragionare su questa cosa insomma.

E con quest’ultima dichiarazione che di chiude l’intervista, ci facciamo autografare i nostri biglietti del concerto e andiamo via perché si sono fatte le 3.50. Grazie a Giorgio e Manuel per averci concesso questa magnifica esclusiva e per aver reso la mia prima intervista un ricordo assai geloso.

Intervista originariamente pubblicata nel 2002 dalla fanzine cartacea The Vox nel numero di Agosto.